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Roy x Coco | Acquario

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    Il cielo era scuro, sembrava notte alle tre e mezza del pomeriggio. Correvano sotto la pioggia, lei più avanti e lui a qualche passo di distanza rallentava per guardarla da dietro, per riconoscerla in tutte le cose più piccole che facevano di lei la sua Coco come l'angolo del gomito, le punta dei ricci neri e la risata che attraversando le gocce e il temporale arrivava a lui con estrema chiarezza, come se gli fosse accanto e gli ridesse nell'orecchio. Non era mai stato un tipo particolarmente attento, aveva perso così tante cose per via della sua testaccia che a pensarci gli veniva voglia di mangiarsi le mani, ma aveva imparato. Sì? Sì, Roy aveva imparato la lezione. Ci aveva messo quasi trent'anni ma alla fine era riuscito a capire come curare una delle pochissime bellezze che la vita gli aveva donato senza che lui in effetti la meritasse davvero. Ad oggi, a guardarla lì voltarsi sotto la pioggia e cercarlo, si chiedeva come fosse riuscita Coco ad accoglierlo di nuovo dopo tutto quello che le aveva fatto. Il male infertole era così grande da tenerlo sveglio la notte. Ora che gli incubi dell'esercito sbiadivano lentamente venivano rimpiazzati da quei pensieri intrusivi su di lei, dal senso di colpa che provava per aver passato una vita a cercare di ferirla. Perché quello aveva fatto Roy, le aveva fatto male migliaia di volte e un centinaio di queste l'aveva voluto. E su questo rimuginava la notte dopo averle sussurrato dando la colpa all'ennesimo ricordo sotterraneo venuto a galla in un sogno. Non è niente, torna a dormire. le diceva e se ne restava lì, occhi sbarrati nel buio, a pensare a quello che aveva fatto e a rispondersi sempre la stessa cosa: non era abbastanza per lei. Per quanto si fosse sforzato di crederlo e di far valere la sua tesi con pugni, urla e botte da matto Roy aveva sempre saputo che solo una svista del destino poteva avergli dato una come lei. Appartenevano a due mondi diversi e non solo economicamente, no, quello era solo lo strato superficiale della faccenda. Il succo è che Coco era una brava persona e lui invece no, anche se stava provando a cambiare. Si sforzava con tutto sé stesso ma a tratti sentiva ancora d'essere una sorta di impostore, un pesce fuor d'acqua che al fianco di lei non poteva trovare ragione d'essere. Tentava ogni giorno, ogni ora, chiedendosi se sarebbe mai davvero finita la lotta o se prima o poi sarebbe di nuovo inciampato da qualche parte su una radice spessa venuta a galla e che ora ingrossava l'asfalto che aveva cercato di sotterrarla. Per questo Roy sostò ancora qualche secondo a vederla sorridere dicendogli qualcosa e agitando le mani senza che in effetti lui la sentisse davvero. Raccogliere ogni dettaglio di lei e della loro vita era un esercizio iniziato in tempi meno felici e rimasto anche ora che non aveva più bisogno di ricordare. Perché Roy ricordava tutto dell'anno appena passato, che ruotava intorno a Coco e a nient'altro. Era stato l'anno in cui si era sentito d'essere felice, allora perché aveva così paura? Coco lo chiamò, ora quasi confusa. Doveva aver urlato Roy già un paio di volte ma lui non l'aveva sentita. Le sorrise senza sapere se l'avrebbe visto attraverso la pioggia fitta, poi si decise a rimettere in moto il corpo e a raggiungerla. La prese per mano senza fermare la corsa fino a raggiungere il negozio e il suo ambiente asciutto. Dentro non era particolarmente caldo, probabilmente la temperatura doveva essere mantenuta a un punto preciso per far si che gli abitanti sopravvivessero. Roy si avvicinò a un acquario enorme grondando acqua dalla giacca a ogni passo. Allungò le dita e sentì il calore della lampada che scaldava due pesci enormi, verde azzurri, intenti a ciancicare qualcosa. O almeno così gli pareva. «Ma come scopano i pesci?» Le chiese avvicinando la faccia al vetro come in cerca di qualcosa, forse di apparati riproduttivi. Anche quella era una grande differenza tra loro, la cultura che Roy quasi non aveva.
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    Lui sapeva solo fare a pugni e versare la birra dai fusti senza fare troppa schiuma. Che bel partito. Dai capelli, due gocce d'acqua gli caddero negli occhi e allora si raddrizzò, intirizzito dal freddo, avvicinandosi a lei per cingerla da dietro. «Scusa se ultimamente sono stato distratto.» Affondò il viso nell'incavo del collo, il naso contro la pelle tesa. Inspirò e rilasciò aria, le mani che stringendola la accarezzavano lentamente. Socchiuse gli occhi. Affossato lì dentro gli sembrava di poter affrontare ogni cosa. Prese fiato. «Mia madre. È rispuntata.» Ma me ne fotto. Fu lì lì per aggiunger ma non lo fece. Era cambiato, non avrebbe reagito così per nascondersi. Non da lei. Cacciò fuori quella verità col fiato, contro di lei, con il collo piegato e sempre nascosto sul corpo fresco di Coco. Chissà perché gli vennero in mente i loro spazzolini messi l'uno di fianco all'altro. Era sicuro che anche loro si sarebbero voluti piegare e cercarsi se solo fossero stati costruiti diversamente. E lui? Era anche lui fatto come la madre, in quel modo sbagliato che sforzarlo a cambiare era solo una farsa, una bugia dietro la quale nascondersi per non affrontare la verità? Era anche lui impossibile da forzare? Inalò un ultima volta il profumo di Coco misto a tessuto bagnato, e quando sollevò lo sguardo gli occhi apparivano particolarmente stanchi. Erano quasi dieci anni che Roy non vedeva sua madre né aveva sua notizie, e sarebbe stato meglio continuare a quel modo. Ora il suo ritorno e le sue richieste l'avevano confuso a tal punto da non essere riuscito a parlarne con Coco sin da subito. Non sapeva il perché, ma si sentiva abbastanza in colpa da evitare di leggerle l'espressione. Preferiva non parlarne, seriamente, o quantomeno minimizzare. Riemerse dal suo collo ma rimase abbracciato a lei da dietro, tempia e mascella quasi parallela alle sue, le mani sul ventre e i pesci che li osservavano in silenzio. «Ti dice niente questo posto?» Sorrise, mettendola alla prova.

    Sole infuocato che spacca le labbra in piccoli taglietti rossi. Quelli di Coco lì bacerebbe fino a portare via il sangue e farlo suo, perché questo è Coco. Sua. Lo sarà per sempre. A diciassette anni Roy ci crede davvero mentre passeggiano tra le vasche piene di pesci coloratissimi. La guarda e gli sembra di capire qualcosa che non sa spiegare ma che sente fortissimo nel petto, nella pancia, all'inguine, nella testa e nel fiato che accelerava senza motivo. Vorrei un pesce azzurro. Aveva detto lei. Io voglio te, cazzo. Rispose lui fermandosi di scatto. Che fai? Niente, ovvio che niente. Anzi aspetta. Aveva frugato nelle tasche forsennatamente. Con la testa china non vedeva né Coco né i pesci ma sentiva gli sguardi di tutti contro la pelle. Poi aveva tirato fuori uno di quei fil di ferro neri usati per chiudere le buste del pane. Gli occhi gli brillavano come due lampioni.

    «Volevi un pesce azzurro.» Aveva riavuto indietro quel particolare ricordo solo qualche mese prima. Dopo anni aveva creduto di aver recuperato ogni cosa e invece ancora affioravano immagini di istanti perduti e ora ritrovati, bottiglie nel mare con un messaggio da scoprire ogni volta. Si sporse a guardarle meglio il profilo reso azzurognolo dal riflesso delle vasche tutt'intorno. «Mi è tornato in mente quell'episodio solo qualche tempo fa e mi è venuta voglia di tornare qui con te. » Sospirò con un sorriso tutto denti aguzzi stortissimi. «Il solito vecchio, pazzo Roy, eh?»
     
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    Non era mai andata via, eppure c'erano ricordi che affioravano in lei come se li avesse dimenticati, lasciati altrove. Spuntavano dietro le iridi o nelle orecchie, nel gusto dolciastro del vino rosso che le restava sulla lingua. Roteava nel bicchiere di vetro ad ogni movimento, regolare, per lasciare sulle pareti trasparenti di quella conca delle scie di rosso intenso. A volte lo dava per scontato, altre volte invece si stupiva di quanto fosse incredibile aver vissuto così tanto, sia il bello che il brutto, sia l'abbandono che il ritrovo, sia Coco che Coco e Roy. A cercarle, ora, le mani di Roy venivano strette in una presa che sì, paura ancora aveva, ma mai come prima: quella di perdersi era divenuta una possibilità su centomila e Coco, che nel calcolo delle probabilità ci si era sempre persa, ora neanche ripescava la calcolatrice, neanche lo voleva sapere quanto tempo fosse passato o quanto ancora avrebbero potuto averne. C'era, lei come lui, e gli tendeva la mano per lasciargliela afferrare, un gioco a chi tiene stretto più forte, a chi riesce a tirare l'altro più vicino e non più lontano. Una sorta di silenziosa promessa che si ripetevano ogni sera senza neanche parlare. Era di nuovo tutto lì, fra quattro mura e su un materasso assottigliato dal peso di un amore così intenso e dilagante che addirittura il pavimento se ne era stato lasciato sommergere. Un piede dietro l'altro, Coco ci camminava sopra a pelle nuda immaginando fosse lava: bisognava che facesse veloce per tornare dov'era lui e non perché le mattonelle brocciassero sotto la pianta dei piedi. Non c'era più alcun dolore, a volte solo qualche pericolo. Ma andava bene anche così.

    Nonostante il cappuccio a coprirle la nuca, i riccioli castani di Calypso Evjen non potevano proteggersi del tutto dalla raffica di pioggia che si stava abbattendo su di loro. Un passo veloce dietro l'altro, Coco restava comunque nelle vicinanze di Roy che, dietro di lei, la inseguiva senza perderla di vista ma lasciandole allo stesso tempo lo spazio che necessitava solo per poi accorciarlo d'improvviso, sono ancora qui, a distanza di due metri, un metro, due centimetri. Quando si voltava per cercarlo, Coco, non lo faceva per paura di non ritrovarlo: era tutt'altro ciò che gli sussurrava senza parlare, chiamando solo il suo nome per infrangere il chiasso della pioggia sull'asfalto, sulle giacche ora completamente fradici. Lo chiamava per rispondere ai dubbi silenziosi che, lei lo poteva immaginare, ogni tanto si fiondavano in Roy per farlo appassire come un fiore alle porte dell'autunno. Se lo chiedeva, lui, se fossero all'altezza del tempo che, ora maturo, dava loro la spinta per restare? «Roy!» "Sì." Ci credeva completamente, Coco. Credeva che il passato avesse preso le sembianze di una lezione senza neanche aver avuto bisogno di dover stare seduti al banco di una scuola: un po' più dura e difficoltosa per uno come Roy, ribelle convinto che chiunque mettesse piede dalla porta nella sua vita, lo facesse solo per poi ritrovarsi a sgattaiolare via attraverso la finestra sul retro. Le aveva provate tutte, Roy: aveva sbarrato porte e finestre, poi le aveva spalancate, gli altri però continuavano ad entrare ed uscire, lui a restare, finché la solitudine di alcuni intervalli tra le visite non aveva cominciato ad essere troppo banale, un po' stancante e timorosa e, alla fine, aveva compreso che per evitare d'esser per gli altri solo una breve tappa di passaggio, avrebbe dovuto permettere lui stesso a loro di fermarsi più a lungo, un po' di più, magari per sempre? Più semplice lo era stato per una come Coco, che al contrario di Roy aveva sempre saputo d'essere un punto fermo, fisso nel proprio sistema solare, nomade solo nei primi anni di vita, quando sbattuta dal ricordo nuvola di una madre e un fratello di cui neanche aveva saputo il nome, si era lasciata accogliere da braccia straniere, sconosciute, ritrovando fra i palmi guantati di Naavke e quelli morbidi di Cassandra un posto da chiamare casa e, per molto tempo, non era stata lei a decidere per davvero chi far entrare e chi no, ma loro. Aveva potuto affidarsi a qualcuno, Coco, per lasciarsi guidare e assimilare tutto quello che, successivamente, sarebbe stato giusto ed errato anche per lei.
    Il tintinnio della campanella che dondolava sopra la porta d'ingresso del negozio vibrò dentro le quattro mura e fuori da esse, riecheggiando appena quando la porta si richiuse alle loro spalle. Cercò con lo sguardo il volto di qualcuno, un commesso o magari un altro cliente, ritrovando solo quello di Roy che, dopo averla raggiunta affrettando il proprio passo, le aveva afferrato la mano per tirarsela dentro il negozio. Luci al neon sovrastavano l'intero ambiente, tingendosi poi di sfumature blu e verde acqua non appena i raggi di luce fioca affondavano nelle acque cristalline dei grandi acquari posti di lato, in una stanza adiacente a quella dove Coco e Roy avevano appena fatto il loro ingresso. «Salve?» si sprecò Coco nel salutare il silenzio di quel posto, scrollando appena le spalle in direzione dell'altro quando nessuno sembrò risponderle o apparire dietro il bancone. Lo seguì verso la sezione laterale e, come lui, anche Coco venne attratta immediatamente da una delle grandi scatole di vetro che intrappolavano due pesci di un verde brillante. Ci si avvicinò senza lasciar scivolare via la mano di Roy, solo un po' di pioggia che le pareva si fosse appiccicata ai suoi vestiti e ai capelli lunghi e che, ora, si riversava sul pavimento proprio accanto alle gocce che dai lembi della giacca di Roy si lasciavano andare allo stesso movimento gravitazionale. «Ma come scopano i pesci?» udì la voce dell'altro e Coco non potè che stirare le labbra in un sorriso compiaciuto, addolcito. «Si rincorrono.» rispose subito Coco guardando per un momento Roy e poi tornando a voltarsi in direzione dell'acquario. Si chinò piano con le spalle e puntò il mento e i sottili occhi blu in direzione di quella grande scatola dalle pareti trasparenti. «E se si acchiappano, se si piacciono, se si amano, la femmina depone le uova e il maschio pensa al resto.» continuò Coco, ridacchiando appena mentre aggiungeva del proprio ad un modus operandi di cui non aveva poi davvero certezza di come funzionasse. Le piaceva immaginarselo così, però. Come loro due, due pesci totalmente differenti che si girano e rigirano intorno perché vogliono esser certi di piacersi, di amarsi. E non succede mai con altri, nessuno riesce a stare loro intorno per tutto quel tempo, nessuno riesce mai a tenere la loro velocità d'inseguimento. Forse, neanche lo avevano mai voluto: esser rincorsi da altri, solo dalla controparte d'occhi e mani e labbra che da sempre avevano conosciuto.
    Avvertì il corpo di Roy farsi più vicino mentre le braccia andavano a stingerla in vita per tenersela stretta contro, il mento umido andò ad incastrarsi nell'incavo del collo di Coco appena scoperto, la chioma di capelli lunghi che andava ad accogliere fra i suoi rami sottili il volto di un intruso, che neanche più lo era. Non lo era mai stato, dopotutto. Chinò appena il capo da un lato, Coco, serrando le labbra in un sorriso pacifico, sereno, in attesa. Roy era spesso -sempre- affettuoso, eppure Coco sapeva che certi atteggiamenti, certi gesti particolari come il nascondere il proprio viso fra i suoi capelli nell'angolo a lui predestinato, fra spalla e collo, era sinonimo di un grumo di parole che iniziavano a pesargli sullo stomaco o gli erano rimaste intrappolate nella gola per giorni, quello stesso ammasso di ore trascorse durante le quali, il più delle volte, Roy sembrava voler tornare con la mente da luoghi che gli stavano scomodi ma che non sembrava riuscire ad evitare. «Scusa se ultimamente sono stato distratto.» confessò quindi, la voce sembrò venir fuori ovattata, incastrarsi in qualche nodo fra i riccioli di Coco. Spostò piano lo sguardo alla propria destra, Coco, cercando di afferrare il profilo della sagoma di Roy ma senza riuscirci davvero. Restò immobile, i palmi delle mani posati sui dorsi di quelle di lui, ancora annodate attorno alla sua vita. «Mia madre. È rispuntata.» aggiunse Roy, inspirando ed espirando profondamente prima di poter aggiungere altro. Non avvertendo alcun movimento nel corpo caldo di Roy che ancora la tratteneva da dietro, Coco assecondò la sua immobilità e restò ferma, sguardo sull'acquario, seguiva i movimenti a scatti di quei due pesciolini verdi che si alternavano da destra a sinistra, da sopra a sotto, occupando lentamente qualsiasi spazio possibile vi fosse lì dentro. Pensò a Roy, a quanto a lungo aveva lottato contro sé stesso per convincersi che non gli importasse, che fosse meglio in quel modo, che l'importanza della sua persona non dipendesse dal non essersi sentito mai importante da piccolo agli occhi di chi dovrebbe donarti la vita. Abbassò piano lo sguardo, Coco, i pesci ora le sembrarono terribilmente fragili lì dentro, intrappolati, e così Roy dentro le convinzioni che mai a voce alta avrebbe pronunciato. Non era una laureata in pedagogia o psicologia, ma con il sentimento d'abbandono ci aveva dovuto lottare anche lei, da bambina, e sebbene non potesse trovarne una cura o non sapesse tutte le leggi che ne regolavano la natura, Coco aveva imparato presto a leggerne i segni anche su Roy, non solo su se stessa. «Non scusarti.» affermò, spostando appena il capo nella direzione di Roy, lasciò che la propria guancia si strofinasse contro lo strato sottile di capelli di lui. «Come ti senti al riguardo, Roy?» domandò a voce bassa, forse incerta, forse speranzosa che lui condividesse con lei anche quello, un po' ansiosa di metterlo in difficoltà. «Va bene sperare che sia ok. E se non pensi lo sia, andrà bene anche così.» aggiunse, stringendo piano le proprie dita attorno alle mani di Roy ancora intrecciate sul suo ventre. «Ti ha parlato di qualcosa in particolare?» domandò solamente, nonostante fosse curiosa di sapere di più. Temeva, Coco, che il ritorno della mamma di Roy potesse portare squilibrio in quella vita che lui aveva faticato per costruirsi, tornando sulle uniche orme giuste che conosceva e che aprissero un sentiero per lui soleggiato.
    «Ti dice niente questo posto?» chiese Roy regalandole uno dei suoi soliti sorrisi, uno di quelli furbi eppure ingenui, puri, come chi ha provato tutta la vita a cercare di esser giusto senza mai davvero esser corretto. «Volevi un pesce azzurro.» aggiunse, compiaciuto di aver ripescato nel proprio acquario uno dei desideri di Coco, seppur futile, sottile e lasciato appassire altrove perché, alla fine, meno importante. «Lo avresti pescato per me.» rispose lei, stringendosi appena nelle spalle per farsi più piccina e chiudersi fra quelle braccia allacciate intorno al suo busto. «Mi è tornato in mente quell'episodio solo qualche tempo fa e mi è venuta voglia di tornare qui con te.» disse Roy, spiegandole il motivo per il quale le aveva urgentemente chiesto di uscire di casa e passeggiare addirittura sotto la pioggia e il freddo. «Il solito vecchio, pazzo Roy, eh?» - sorrise, Coco, sciogliendo la presa sulle mani di Roy ancora intrecciate sul busto e, scostandosi di lato, si voltò a guardarlo per quello che a lei sembrò un lunghissimo attimo, la frazione di un tempo che a loro era di riserva, quasi potessero premere il tasto "pausa" per poi tornare a riprendere col resto della vita che, di loro, poco se ne importava. Allora dovevano ritagliarsi quello spazio-tempo che tutto di loro aveva: metri quadri da riempire con secondi. «Pazzo lo sei sempre un po' stato, vecchio mai per davvero.» constatò lei, sollevando una mano all'altezza del viso di Roy per scompigliargli dolcemente i capelli castani ancora inumiditi dalla pioggia. Lo sguardo un po' più malinconico, ora, mentre attraversava con le iridi chiare il volto di Roy, dalla fronte, al naso, alle labbra, al mento coperto da un sottilissimo strato di barba. «Io ricordo tutto di noi.» sussurrò, tornando a puntare i propri occhi in quelli di Roy e sorridendo dolcemente appena prima di protendersi nella sua direzione per posare le proprie labbra sulle sue in un lunghissimo secondo, una di quelle pause da tempo e spazio che solo loro due sapevano come ritagliarsi, uscivano via dall'universo in qualche altro scompartimento di esistenze ad altri non concesso. Quando si distaccò, le braccia ancora cinte attorno al collo di Roy per tenersi a galla con lui, Coco sorrise piano, questa volta per nascondere un brivido che le attraversò la schiena in un lampo di lucidità, un fruscio di consapevolezza che la privò della protezione che su aveva messo contro la paura. C'erano cose di cui parlavano troppo poco, altre di cui parlavano troppo spesso, alcune che neanche venivano poi davvero mai pronunciate o che non riuscivano a prendere una forma nella loro immaginazione poiché troppo astratte. Alcune di quelle cose erano già accadute e non avevano avuto modo di affrontarle assieme, altre facevano parte dello scompartimento dei desideri che, ognuno di loro due, gestiva in modo del tutto differente. Una famiglia loro, per esempio, era una di quelle "cose" che tanto avrebbero desiderato ma che sembrava venir frantumata in tantissimi piccoli pezzi di idee, paure, sogni che, anche se riuscivano a conciliarsi la maggior parte delle volte, non trovavano mai davvero una via d'uscita, una ragione d'esistere o espandersi. Perché, alla fine, se per Coco e le sue paure, quello che avevano poteva bastare, per Roy tutto poteva ingigantirsi, farsi numeroso, più grande; insieme avevano superato di peggio, insieme avrebbero affrontato anche le paure più solide. «Il pesciolino azzurro lo voglio ancora, ma ho te e Manech, non mi serve altro.» aggiunse Coco, il tono della voce più basso, mentre sfuggiva allo sguardo di Roy dandogli le spalle per lasciarsi afferrare nuovamente fra le braccia. Lo avevano avuto, il pesciolino azzurro. Non aveva poi però sopravvissuto abbastanza nella sua ampolla segreta.
     
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    We can't walk away
    We gotta get in between it
    And when you wake up
    We'll grow together

    Si era sempre visto distruzione, Roy, sempre pensato in grado solo di sbriciolare. Quello sapeva fare con le mani e con il corpo robusto, bruciare fino alla combustione, picchiare fino a scorticare le ossa. Non aveva mai osato immaginarsi in grado di una carezza data senza volere niente in cambio, dolce e basta; vedersi realizzato in qualcosa, felice con qualcuno senza dover lottare per ottenere, per mantenere. Combatteva da così tanto tempo da non riconoscere più i veri nemici né ricordarsi il perché dei pugni, le ragioni dietro una violenza inaudita. Alla fine, poi, i motivi non contavano neanche più: c'era solo la voglia di farla pagare a tutti per un dolore antico di cui non avevano colpa, eppure. E poi Coco l'aveva salvato. Non una, non due ma infinite volte era tornata trovando il modo di rimanere. Non l'aveva mai fatto nessuno per lui, restare intendo. A parte Nora, che sì era famiglia ma non per questo era scontato che rimanesse. I suoi stessi genitori non l'avevano fatto, non l'avevano voluto. Ma a loro a Roy non piaceva pensare, non lo faceva mai, neanche sotto domande dirette su dove fossero, come stessero o cosa stessero facendo. La verità era che non ne aveva la più pallida idea, a lui ogni tot di anni giungevano voci che dimenticava poco dopo averle ascoltate perché trattenerle avrebbe fatto solo male. Nella luce blu e soffusa dell'acquario, Coco sembrava una sirena fra le onde di un mare nerissimo che solo lei era in grado di rischiarare. Se c'era riuscito con lui, se era riuscita a fargli credere di poter essere qualcosa di altro dal teppista violento, dal militare mietitore di vittime innocenti, Coco era in grado di stravolgere il mondo. Le strinse di più le mani sul ventre, lì dove un tempo c'era stato il battito di un cuore nato da lei e lui insieme. Lì fece una leggera pressione quasi come se, a sentire parlare di uova, fosse tornato a immaginarsi padre. Solo una così poteva essere in grado di fargli credere di potercela fare, lui, come padre. Da quando le cose si erano finalmente calmate e i loro equilibri acquietati, Roy non aveva fatto altro che pensare a come sarebbe stato il loro primo figlio. Gli avrebbe somigliato o avrebbe ripreso più da lei? Lui lo voleva esattamente come Coco, con i capelli neri neri e gli occhi che trafiggono d'azzurro, e intelligente come lei, curiosa come lei, dolce e un po' testa di cazzo quando ci voleva. Così doveva essere il loro primo figlio, lo voleva una copia dell'unica persona a quel mondo che lo amasse al completo. Fu lì lì per dire qualcosa ma ci ripensò. Non avevano più parlato dell'argomento, portava ancora tanto dolore con sé da essere difficile da affrontare. «E se si acchiappano, se si piacciono, se si amano, la femmina depone le uova e il maschio pensa al resto.» Parve pensarci un po' su, prima di spaccare il viso in uno dei soliti sorrisi storti e dire: ≪Vedi? sono sempre i maschi a fare il duro lavoro.≫ Affondare il viso nell'incavo di pelle tra il collo e il mento era come assaggiare il suo profumo più reale e farcisi cullare. Lì neanche gli incubi riuscivano a raggiungerlo; quel fazzoletto di pelle era terra di asilo politico, un rifugio dalle sue guerre, dai mali che minacciavano sempre di attaccare. Quando metteva il naso e il viso lì, Roy si sentiva al sicuro e in grado di qualsiasi cosa. Grazie a lei, ora riusciva a scegliersi un futuro non dettato dalle sue origini. Non sapeva come avrebbe mai potuto ringraziarla per quello. Accennò alla madre come liberandosi di un grosso peso sul petto, e assaporò il silenzio che seguì come una grazia. Non era sicuro del perché avesse così paura di avere la madre nella sua vita. Forse quell'assenza era semplice abitudine, forse ora era più facile così per tutti. Erano anni che non aveva sue notizie e non ne aveva cercate mai. Sospettava che il padre fosse morto in un vicolo della città, aveva immaginato un sacco di volte il momento in cui qualcuno sarebbe venuto a bussargli alla porta per informarlo. Avrebbe pianto? Avrebbe sentito qualcosa? Sperava che l'odio e la rabbia dentro di lui sarebbero finalmente svanite, lasciandolo solo una volta per tutte. «È che tenermi questa cosa mi pesava davvero, ora che ci diciamo tutto.» ammise distogliendo lo sguardo da lei per puntarlo sul pesce palla che le navigava dietro la schiena, nella teca di vetro fluorescente. Si sentiva così da quando l'aveva rivista: a immagazzinare aria senza poterla tirare fuori altrimenti sarebbe entrata l'acqua. Perché lui non era un pesciolino azzurro e non riusciva a respirare sott'acqua. ≪Ma senti cosa mi esce dalla bocca...Che ne hai fatto di me, maga Calypso?≫ Scherzò per allentare la tensione dell'argomento e nascondere una fragilità che ancora faceva fatica a cacciare fuori, a renderla visibile pure a quegli occhi che ormai lo conoscevano in ogni suo angolo, anche nel più angusto e remoto lei c'era, aveva fatto la tana lì. Cacciò un sospirò alzando leggermente la testa in aria. ≪Dice di essere pulita, di avere un lavoro e un piccolo monolocale in affitto. Non so...≫ Continuava a non riuscire a guardarla perché sapeva che non appena alla sua mercé, a Coco sarebbe bastato uno sguardo e avrebbe visto quanta speranza nutriva quella volta, molto di più rispetto alle precedenti. Se poi, come era probabile che accadesse, sarebbe andato tutto in fumo lui ci avrebbe fatto la figura del coglione patentato.
    Non lo sapeva come si riusciva, lei, a leggerlo così bene. In fondo era una vera e propria fattucchiera. Una parte di me la vorrebbe via per sempre, l'altra vorrebbe che questa volta andasse bene. Cazzo, mi sento stupido a dirlo, però è mia mamma...sai?≫ Osservò Coco riflessa lievemente nel vetro della vasca che stava loro davanti. Sembrava un acquerello smosso dalle onde, fragilissimo, e per un attimo lo attanaglio la paura improvvisa che svanisse. La strinse un po' di più tra le braccia. ≪Quando sto con lei, non te lo so spiegare, mi sento di nuovo un bambino che per non farsi male deve attaccare per primo. Ho paura che stare con lei mi riporti indietro a come ero prima e non mi piace. Sono stanco di lottare.≫ Aggrottando leggermente le sopracciglia, Roy trasse un altro respiro profondo. ≪Mi piaccio quando sono con te.≫ Senza di lei, Roy non era altro che un ammasso di muscoli e rabbia sempre sul punto di esplodere. Faceva paura, quella cosa nera con cui girava Roy, ma lei non sembrava mai esserne spaventata. Neanche nei momenti peggiori Coco si era lasciata intimidire davvero, aveva preso tra le mani quella piccola sfera di terribile energia e l'aveva alleggerita, facendone qualcosa di meno brutto e sostenibile. Lo sapeva, lei, quanto Roy le doveva? Probabilmente non se ne rendeva davvero conto e lui non era in grado di spiegare niente nel modo giusto, figurarsi una cosa come quella. Le doveva la vita, e avrebbe lavorato incessantemente per ripagarla. Aveva tutta una vita per farlo. Sentì il corpo dell'altra girarsi dentro il suo abbraccio e ne assecondò i movimenti fino a trovarsi trafitto da quegli occhi impensabili tanto erano belli. Nel vederla, Roy sorrise d'istinto, felice anche che ricordasse la faccenda del pesciolino. La verità è che, pure se non sembrava, Roy avrebbe sempre fatto di tutto per lei. Andava così sin da quando era bambini, poteva prenderla in giro e fare storie ma alla fine cercava in tutti i modi di esaudire i suoi desideri. Come quel dannato pesciolino azzurro sul quale si era fissata e che ancora non era riuscito a darle. Si lasciò scompigliare i capelli, piegando la testa verso la sua mano per cercare più contatto e farlo durare più a lungo. Quanto gli piacevano le sue mani. Erano belle, sì, ma era il modo che avevano di toccarlo che lo faceva impazzire. Erano in grado di farlo sentire unico, speciale. Iniziò a muovere le proprie sulla sua schiena piano, piccoli movimenti delle dita che preso si stufarono del cappotto e dovettero infilarsi al di sotto. La tirò verso di lui per rispondere a quel tocco di labbra al quale non avrebbe mai fatto davvero quell'abitudine brutta, di quando qualcosa diventa scontata. Ogni volta era resa famigliare da anni di storia alle spalle e al contempo sembrava come la prima, la stessa sensazione nella pancia quando i nasi si scontravano e la sentiva sulla lingua. Staccandosi, Roy non riaprì immediatamente gli occhi ma li lasciò chiusi. ≪Ti ricordi anche del fil di ferro?

    Poi aveva tirato fuori uno di quei fil di ferro usati per chiudere le buste del pane. Gli occhi gli brillavano come due lampioni. La guardava come si guarda la certezza che non hai mai avuto, la speranza alla quale hai smesso di credere. Quel fil di ferro stretto tra l'indice e il pollice li divideva, storto come un punto di domanda malandato. Aprì la bocca, Roy, senza trovare il coraggio di dire niente, impaurito da un no, lui, che si vantava di non aver paura di nulla. Che cos'è? Aveva chiesto lei spaccando il silenzio e la gola inaridita dell'adolescente. Niente, solo un fil di ferro che mi pungeva la chiappa nella tasca. Si era affrettato a metterlo via, quella cianfrusaglia inutile. Ma pure se aveva paura, seppure quel rush di follia momentanea era passato, a diciassette anni Roy già si era visto in quel futuro che solo lei poteva fargli immaginare.

    Riaprì piano gli occhi, Roy, liberando una mano per tirare fuori dal cappotto un fil di ferro malconcio. La guardò serio, con gli stessi occhi ardenti di quando quindici anni prima non era riuscito a farle quella domanda. ≪Era vero che mi pizzicava il culo ma non era l'unico motivo per cui l'avevo tirato fuori.≫ La lasciò momentaneamente andare, le dita intente a piegare l'oggetto in più punti cercando di formare qualcosa di delicato con le dita forti e spesso incaute che aveva. Sarebbe riuscito a non distruggere anche quella cosa? Aveva paura, però si sarebbe impegnato fino alla fine dei suoi giorni. ≪Sono innamorato di te da quella prima volta dietro la tenda. Mi hai guardato e non hai detto nulla però io già lo sapevo, in qualche modo, che se ci fosse stato qualcuno per me saresti potuta essere solo tu.≫ prese un leggero sorso d'aria, le dita tremavano leggermente come quando a diciassette anni aveva avuto paura di un no. Ce l'aveva ancora il timore di non essere abbastanza? ≪voglio essere la persona che sono solo quando ci sei tu, voglio avere due, tre, cinque figli tutti uguali a te; voglio che diventiamo vecchi insieme, voglio contarti le rughe intorno agli occhi e poi mentirti dicendoti che sono solo tre o quattro, voglio sentirti leggermi i tuoi libri notte dopo notte, per sempre. ≫ A quel punto sporse il braccio fra loro in modo che lei potesse vedere bene cosa ne avesse fatto del fil di ferro, ora un piccolo e imperfetto cerchio stretto fra le dita di Roy. Per tutto il tempo il cuore non aveva smesso di impazzare. Era come se se ne fosse andato in giro per il corpo e ora lo sentisse ovunque, nel petto, nelle orecchie, nella pancia e nella voce che sperava non tremasse. Solo Coco era in grado di renderlo così. ≪Coco, mi sposi?
     
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    Ci aveva sperato così tante volte.

    La prima volta era stato guardandolo attraverso il tessuto flebile di una tenda dondolante. Ricordava il timore silenzioso che si era fatto spazio dentro di lei, sotto la pelle di ceramica bianca che l'aveva tenuta insieme, un'impalcatura pericolante che cigolava ad ogni passo dopo aver perso tutto, un ammasso di ferro e chiodi arrugginiti. Era quello, il modo in cui si era sentita. E poi il ragazzino era entrato nella stanza, una macchinina di plastica rossa nella mano, l'aveva fatta sfrecciare sul pavimento lucido di casa Evjen, finché la macchinina non si era scontrata contro il piede di Coco e lei si era ritirata appena, qualche millimetro più indietro, spalle contro il muro, ginocchia ingabbiate fra le braccia esuli.
    Aveva avuto il timore che quegli occhi l'avrebbero smascherata, avrebbero avuto pretese, era stata grata per quel divisorio di stoffa che lasciava il suo volto in ombra, ci aveva posato il palmo della mano sopra per accertarsi che fosse reale, che dopotutto ci fosse davvero qualcosa a separarli e s'era chiesta quanto a lungo avrebbe resistito, quanto a lungo avrebbe ancora potuto restar protetta ma, nel momento in cui gli occhi di Roy l'avevano letteralmente perforata per raggiungerla, Coco l'aveva saputo e, di conseguenza, ci aveva sperato.

    Altre volte era stato difficile sperarci, avrebbe significato dover grattare via tutte quelle altre immagini, tutte quelle altre possibilità, ad esempio un paio di capelli biondi incastrati nel tessuto di una giacca, il numero di telefono che anche dopo aver lavato via l'inchiostro blu dal dorso della mano di Roy sembrava esserci rimasto tatuato, aggrappato al se di qualche altra.

    Innumerevoli volte dopo, Coco aveva stretto i denti, spinto le unghia delle dita nei palmi delle mani, serrato le palpebre per concedersi almeno di averlo lì nel proprio immaginario, magari a pochissimi passi di distanza dall'illusione che invece si sarebbe frantumata in mille pezzi nel momento stesso in cui le avesse risollevate per riscoprirci la solita sedia vuota, nessun paio di calzini sparsi sul pavimento, un solo bicchiere di cola sulla superficie del tavolo, il frigorifero vuoto, la credenza ricolma di cibi troppo salutari. Tutto aveva preso a gridare in silenzio, fra quelle quattro mura che un tempo avevano condiviso, rumori che non erano più stati rumori, che mai nessun altro avrebbe potuto udire, tranne Coco, tranne che nella propria testa quando sarebbe affondata nei ricordi incollati alle palpebre come post-it gialli che solo lei poteva vedere.

    ≪Coco, mi sposi?≫
    Ci aveva sperato, così tante volte.




    Amare Roy le era sempre venuto facile. Difficile era stato accettare la propria debolezza nei suoi confronti malgrado i miliardi "nonostante". ≪Vedi? sono sempre i maschi a fare il duro lavoro.≫ Ce n'erano a buttare, di frasi come quelle, che forse aveva imparato a pronunciare proprio per lei, per stuzzicarla, per attirare l'attenzione su di sè, il sopracciglio destro che sul viso di Coco s'innalzava, iniziava a puntare verso l'alto, corrucciava la pelle della fronte e ne generava piccolissime onde ancora quasi innocue. ≪Non cominciare con questi commenti.≫ lo ammonì di sottecchi, consapevole del gioco, quello che vedeva Roy stuzzicarla, lei reagire. Gli tirò un pizzico sul dorso della mano che le scladava il ventre in una presa dolce e ferrea, coraggiosa ed impaurita al tempo stesso: voleva dire tante cose, non voglio più lasciarti andare, non lasciarmi andare; erano le stesse montagne russe che agitavano lei, si rispecchiavano nei movimenti di Roy, nella sua presa sui suoi fianchi, nel centro una vita che a boccate microscopiche cercava ossigeno per farsi grande, gigante, enorme, aveva lo stesso dna della donna di cui Roy prese a raccontare, aprì un varco nel passato che raramente Coco aveva avuto modo di oltrepassare, per cui restò in silenzio, ferma fra quelle braccia, cuscino e albero, gli permise di poggiare il suo viso su di sè con cautela, lo tenne nascosto al proprio sguardo almeno fino al momento in cui, lo avrebbe avvertito, sarebbe voluto uscire nuovamente allo scoperto.
    S'addentrò nel mondo di Roy, di quello che era stato, di quello ch'era, di quello che mai più avrebbe voluto essere, ciò da cui più in fretta di tutto fuggiva, affannoso, alla ricerca d'aria o di un posto in ombra, lontano da raggi bollenti che lo avrebbero riscaldato forse anche troppo, quello stesso calore che Coco aveva spento notte dopo notte qualche tempo prima. ≪Quando sto con lei, non te lo so spiegare, mi sento di nuovo un bambino che per non farsi male deve attaccare per primo. Ho paura che stare con lei mi riporti indietro a come ero prima e non mi piace. Sono stanco di lottare. Mi piaccio quando sono con te.≫ la voce di Roy si era fatta più bassa, quasi un sussurro, Coco riconobbe la difficoltà che incontrò nel srotolare quelle parole per farle scivolare via dalla bocca, un nodo di lettere ad incastro e pericolo di distruzione, quando lui le butta fuori però Coco respirò solo amore, avrebbe voluto dirglielo ma sapeva di non poter ancora voltarsi, di dover concedergli qualche altro secondo per rendersi conto di quanto reale effettivamente fosse ciò che aveva detto e di quanto altrettanto importante fosse l'averlo fatto. Quando poi Coco chinò il capo da un lato per sfiorare la nuca di Roy con la propria guancia, sollevò una mano su quella testa per affondare le dita fra i capelli castani e ancora umidi di lui. Si voltò piano nella presa delle sue braccia senza desiderare più spazio, cercò le iridi azzurre di Roy con le proprie, l'accarezzò in maniera gentile, cauta, affettuosa. ≪Roy.≫ si pronunciò piano, anche il suo tono della voce fu cauto, dolce, sensibile, un pezzo di stoffa che si lasciò andare dalle sue labbra rosee. Sorrise, Coco, tranquilla, sicura. ≪Mi andrebbe di conoscerla, se per te va bene.≫ propose piano, scrollando appena le spalle ancora intrappolate dal tessuto della giacca bagnata di pioggia, l'odore si era aggrappato alle radici, ai capelli, ai loro indumenti, era qualcosa di confortante, le ricordava le giornate passate sul davanzale della finestra della sua stanza in casa Evjen, le ricordava di tutte quelle volte in cui, nonostante fosse scivoloso sul tetto, vedeva la testa di Roy apparire oltre il vetro, il sorriso storto, i jeans e le scarpe da ginnastica usurate, poco importava, Coco importava. ≪Sai, ci sono cose che a volte mi tengo dentro anche io perché ho il timore di spaventarti. Ho sempre avuto paura che stringendoti troppo, tu saresti fuggito via.≫ aggiunse dopo qualche secondo mentre inarcava le sopracciglia e allontanava il viso da quello di Roy per catturare la sua espressione. Poi abbassò lo sguardo, lasciò che si aggrappasse alle labbra schiuse di Roy, avvertiva il suo respiro caldo sul proprio, centimetri di pelle che si conoscevano a memoria. ≪Voglio che tu sappia che io non vado da nessuna parte, Roy. Ci siamo persi troppe volte e abbiamo trovato sempre il modo di tornare.≫ sussurrò piano, le dita delle mani incrociate dietro il collo di Roy si spinsero contro la sua pelle, i polpastrelli caldi grattarono dolcemente contro di essa, disegnarono forme immaginarie sul suo collo. Tornò a sollevare lo sguardo nel suo, sorrise d'un sorriso rilassato, il sorriso di qualcuno che sembra esser in pace con sè stesso. ≪Sei diventato la mia boa da quando hai tirato giù la tenda... ho spesso desiderato che non fosse così, e molte più volte ho sperato, invece, che tu pensassi lo stesso di me.≫ aggiunse, sospirando piano mentre il petto s'allagava e si stringeva nella presa delle braccia di Roy. Ricordava ogni passo, ogni parola, ogni espressione, ogni sguardo, dal primo all'ultimo, nella sua mente si erano trasformate quelle immagini e quelle frasi in sensazioni, nella traduzione di paure, angoscia, speranze. Sapeva leggere ogni Roy che le era stato davanti, era lo stesso nel cui sguardo si era rispecchiata lei, il modo in cui aveva avuto modo di conoscere anche Coco. ≪Fallo ora. Fà di me la tua boa di salvataggio, mi sto offrendo.≫ aggiunse, chinando appena il viso nella sua direzione per sfiorare il naso di Roy con il proprio, due ciocche ricciolute di capelli le dondolarono lievemente davanti agli occhi blu. ≪Portami con te. Saremo ciò che siamo quando siamo insieme.≫ sussurrò piano mentre, slacciate le mani da dietro al suo collo, le fece scivolare sul viso di Roy, stringendogli appena le guance con le dita mentre si allungava nella sua direzione per lasciare un bacio sulle labbra dell'altro. Si lasciò andare alla risposta delle sue mani, al tocco leggero delle dita ruvide di Roy che andarono ad infilarsi sotto la giacca per cercarla, afferrarla, toccarla con cautela. Un brivido le attraversò la schiena e la portò a chiedersi come facesse, lui, a portare alla vita ogni sua più piccola cellula, ogni atomo, ogni pensiero, ogni nervo. Ad ogni tocco di Roy, Coco sentiva la familiare sensazione d'appartenenza a tutto, al mondo e all'universo intero. Era quasi come ritrovare le proprie radici nel centro esatto dell'universo, espandersi verso l'infinito, avere l'odore della pelle calda di Roy che come liane si avvolgeva a lei, ne diveniva parte integrante. ≪Ti ricordi anche del fil di ferro?≫ le domandò lui senza allontanarsi, senza riaprire gli occhi. Coco, al contrario, chinò il capo da un lato e sollevò le palpebre, gli occhi blu in quell'acquario, la mente alla ricerca di un pomeriggio soleggiato, del davanzale della finestra, la chioma di capelli scompigliata le copriva le spalle fino alla schiena, ma il fil di ferro fra le dita ossute di Roy l'aveva visto. Aveva indicato col mento, aveva posto la propria domanda, aveva ricevuto una risposta, una delle sue, una tanto per. ≪Era vero che mi pizzicava il culo ma non era l'unico motivo per cui l'avevo tirato fuori.≫ Ed ora ecco che lo stesso filo spuntava dalla tasca della sua giacca, Coco lo guardò con interesse, stupore, interdizione. Scosse appena il capo mentre slacciava la presa delle proprie mani dal volto di Roy, ne ritirava una per fermarla fra di loro, alla stessa altezza di quella di Roy, la stessa altezza di quel pezzo di ferro che per lei ora rappresentava ancora solo un punto interrogativo. Avvertì la presa di Roy che sul proprio corpo s'allentava, lo sguardo fermo sul filo di ferro. ≪Sono innamorato di te da quella prima volta dietro la tenda. Mi hai guardato e non hai detto nulla però io già lo sapevo, in qualche modo, che se ci fosse stato qualcuno per me saresti potuta essere solo tu.≫ udì le parole di Roy e, per un istante, Coco non si mosse affatto. Lo sguardo sulle dita tremanti di Roy, le labbra serrate in un linea drittissima, due piccole rughe fra le sopracciglia appena inarcate verso il basso, un imbuto nella direzione della punta del naso. Solo nel momento in cui udì Roy prendere una profonda boccata d'aria che s'accorse di star trattenendo lei stessa il respiro ormai da qualche secondo. ≪voglio essere la persona che sono solo quando ci sei tu, voglio avere due, tre, cinque figli tutti uguali a te; voglio che diventiamo vecchi insieme, voglio contarti le rughe intorno agli occhi e poi mentirti dicendoti che sono solo tre o quattro, voglio sentirti leggermi i tuoi libri notte dopo notte, per sempre.≫ le parole di Roy la trafissero dolcemente, non fu nessuna lama, furono fiori, stelle, ricordi, pensieri, immagini di un futuro che sembrava, ora, apparisse uguale dinanzi ai loro sguardi. Quando vide il fil di ferro deformato in un piccolo cerchio, Coco giunse le mani davanti a sè ed intrecciò le dita di una a quelle dell'altra, schiuse le labbra in un sorriso curioso, felice, sorpreso, grato. Non avrebbe dovuto sperare più nient'altro.

    ≪Coco, mi sposi?≫

    Lo chiese, Roy, e Coco avvertì il petto esploderle sotto il battito cardiaco di chi vede un sogno profondo, sussurrato miliardi di volte, sperato, finalmente avverarsi. Restò in silenzio per qualche secondo ancora, il sorriso a spaccarle le guance in due fette rosee, una massa di ricci castani ad avvolgere la sua figura, la incorniciava fino al busto. Scosse nuovamente il capo, quasi volesse destarsi da quello che avrebbe potuto essere un sogno, la rappresentazione teatrale di un'opera che non aveva scritto, che non le apparteneva. E invece Roy stava lì, in piedi di fronte a lei, quel cerchio di ferro fermo fra le dita ancora tremanti, lo sguardo di chi ha paura gli venga sbattuta l'ennesima porta in faccia. ≪Roy.≫ allungò una mano verso le sue, afferrandola tra le dita, quasi volle fermare quel tremore. Per un momento restò seria, quasi volesse pensarci. Poi, scrollando appena le spalle, tornò a sorridere piano, divertita. ≪Okey, sì.≫ si pronunciò con tono calmo e, dopo esser rimasta ferma per pochi secondi ancora, tirò Roy per la mano che teneva stretta nella propria e lasciò che si avvicinasse a lei. Avvolse le proprie braccia attorno al suo collo, questa volta fu lei ad affondare il proprio viso nell'incavo del suo collo, vi spinse la punta del naso contro la sua pelle profumata, ritrovò anche lì l'odore di pioggia. ≪Sì. Per sempre.≫ sussurrò lì, con gli occhi blu persi nell'ombra sotto il viso di lui, le dita che si premevano contro ogni parte di Roy, s'aggrappavano prima ai bordi della giacca, poi andavano a stringergli le spalle, poi cercavano la pelle nuda del collo, la parte laterale del suo viso, quella rimasta libera dalla chioma riccia di Coco, ancora spinta contro di lui.
    Quando riuscì a staccarsi, cercò le labbra di Roy con le proprie e, euforica, s'allontanò anche da quelle per cercare con la mano il fil di ferro. Lasciò che Roy lo facesse scivolare lungo il dito e poi, ancora incredula ma divertita, sollevò la mano davanti ai propri occhi per osservarlo. Non era niente di speciale, eppure di speciale aveva tutto. ≪Amo che tu sia come sei, Roy.≫ sussurrò poco prima di un profondo respiro. Quando tornò ad abbassare la mano, puntò le proprie iridi in quelle di Roy. ≪Sono incinta.≫ disse, poi sorrise di nuovo, un po' impaurita.
     
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3 replies since 1/10/2022, 20:12   123 views
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