So find someone great, but don't find no one better

Cornelia ft. Ethan | Abitazione Blackthorne (ex Wright) | 05.10.2022

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    Nonostante fosse una giovane mamma, non era la più giovane della classe di Amelia. Era qualcosa che la faceva riflettere spesso, e pensare come fosse possibile che qualcuno decidesse con la sanità mentale consapevole di avere un figlio addirittura prima di compiere ventotto anni - che erano quelli che aveva aspettato di compiere lei prima di prendere una decisione con Thomas, più di sette anni prima. A dirla per bene, tutta la verità, le sembrava una eternità, eppure erano anni passati così in fretta, volati via, bevuti come avrebbe potuto bere una bottiglia di vino. Altro che acqua passata. Cornelia si guardò intorno, stretta nel cappotto nero in tessuto, aperto su tutta la lunghezza, uno zaino sulle spalle nero che la faceva sembrare una studentessa, ancora, e non una chirurga appena uscita dal turno in ospedale, e lì li vedeva e si chiedeva stranamente, come fosse possibile che tutte quelle mamme, e qualche papà, fossero giovani quanto o meno di lei. Tutti loro conoscevano Cornelia Blackthorne, era nata e vissuta lì, aveva un nome antico e strambo, era giovane, ma non troppo, bella e solare, sempre, fino all'eccesso cordiale con tutti. Ed era ovviamente divorziata. Ce lo aveva appuntato sul petto, la sua lettera scarlatta in bella vista. Appena due anni prima, con una bambina ancora così piccola, tutti le avevano dato della matta, e tutto il buono che aveva costruito era stato soppiantato e visto come se avesse compiuto chissà quale peccato. Era stata lei, dicevano, vociferavano. Era colpa sua, e il marito era stato un sant'uomo a sopportarla, così santo che adesso poteva andare in giro e avere tutte le relazioni che voleva e non essere recriminato per quello. Ciò che era uno smacco per lei, e ciò che le dava davvero fastidio ed era l'unica cosa che davvero la importunava nella diceria, era che avessero ragione, perché era stata lei a malsopportarlo e a costringerlo a lasciarla andare via. Erano passati due anni da allora, ma quelli al contrario di quelli che contava da quando si era sposata e aveva deciso di fare consapevolmente un bambino, erano passati lentissimamente. Maggie aveva provato a presentarle alcuni suoi amici, oltre alla cerchia che già avevano in comune essendo così strette come erano, i suoi colleghi allo studio legale, qualcuno che insomma potesse fare al caso suo per iniziare di nuovo, guardarsi intorno, cercare un'altra compagnia, ma nessuno era andato bene, e lei era scappata dopo tutti i primi appuntamenti, senza neanche aver cercato qualcosa di più. Con Amelia a casa aveva tutto, e il suo lavoro era totalizzante. Cosa poteva cercare di più? Avevano le loro serate Margarita con Maggie, e Fae e zia Rory e la sua famiglia, erano tutti zii a tempo pieno per Amelia, e lei aveva perfino da lottare per trovare il tempo per lei e la figlia da sole, senza richiamare nessun altro con loro. Lei non aveva bisogno di un buon partito, lei era il buon partito, o tanto per citare Cher lei avrebbe potuto dire a sua madre: mamma, non ho bisogno di cercare un bravo uomo da sposare, sono io l'uomo da sposare. Ed era così. Non era stato Thomas a costruire il loro impero, lo avevano costruito insieme. Anni dopo, professionisti entrambi, lei era sufficiente da sola per definire di avere una casa meravigliosa, una vita piena, nessun problema economico e per fortuna di salute. E non aveva bisogno di un compagno per definirsi. Malgrado tutto, era là, in attesa che Amelia uscisse da scuola per tornare a casa e pranzare insieme, finalmente, eppure tutti la guardavano e la salutavano, e lei salutava cordialmente di rimando, ma quello che dicevano sembrava essere solo quello. Poverina, perché non aveva nessuno a casa da cui tornare, da cui farsi abbracciare. Per quel giorno tra l'altro, era tutto sbagliato, aveva qualcuno da aspettare. Sorrise tra sé e sé, scalpitando per l'attesa, trascinò gli stivali neri bassi sui ciottoli di fronte alla scuola, si passò le mani sul jeans che indossava strofinandole su di essi per trattenere la noia dell'attesa e scaldarsi nell'autunno tutt'altro che mite di quel periodo. Era appena un mese che era ricominciata la scuola, e quello era un giorno come un altro, se non fosse che aveva ricevuto un invito inatteso e una richiesta di aiuto che non poteva che farle piacere. Amelia e Jacob, il figlio di Ethan, suo amico di famiglia da anni oramai, erano capitati in classe insieme per quell'anno. Avevano la stessa età: curioso come la vita conciliasse i casi e rendesse vicini episodi impensabili. Amelia e Jacob erano figli di due famiglie separate, nel caso di Cornelia una malattia aveva spinto via marito e moglie ma erano entrambi presenti per Amelia, e anche lei lo sapeva, ci sarebbero sempre stati per lei, Cornie e Tom, in quello strano modo che avevano di fare co-parenting per i figli. Mina per Jacob non ci sarebbe stata più invece, e lei e Ethan non si erano separati per scelta - probabilmente sarebbero stati insieme tutta la vita, se quella malattia non l'avesse portata via.
    Si portò le mani alle tempie, cacciò via una mosca molesta che le ronzava attorno, e si girò in allerta verso la porta dell'edificio della scuola quando finalmente sentì l'allarme della campanella che suonava. I bambini cominciarono a uscire dalla scuola, in ordine o un pò a casaccio, i primi che uscivano erano i più grandi, perciò ci sarebbe voluto tempo per intercettare sua figlia. Ci volle qualche altro attimo, e lei prese a camminare di fronte all'ingresso, per arrivare più vicino, salutando e oltrepassando velocemente la fila delle persone che le venivano attorno, passavano tra le figure, si intervallavano a scambiare due convenevoli e a sparire via nel resto del fiume composto dalle figure umane che si avvicendavano al cancello. E poi la vide. «Amy!» Salutò con la mano, si sbracciò, per attirare la vista della sua bambina. Poi quando la figlia la vide si avvicinò e lei le corse incontro, abbassandosi per abbracciarla. Non era diventata una mamma ansiosa Cornelia, crescendo nella sua comprensione delle cose nel suo rapporto con la figlia, ma era diventata molto più desiderosa del contatto da quando la depressione era sparita e aveva lasciato scalciare l'istinto materno molto in ritardo. Aveva bisogno del contatto della figlia per sentire che fosse a posto, forse più lei che sua figlia. «Ciao piccolo insetto. Come è andata oggi?» Si sorprese nel non vedere nessuno con lei, e si voltò attorno, prima di identificare pochi passi dietro di lei la figura di Jacob. «Ciao tesoro. Come sei cresciuto! Cosa mi raccontate della scuola?» In realtà non era una frase fatta, Jacob a sette anni era diventato alto più di dieci centimetri di Amelia. Che sua figlia avesse un problema ormonale? Doveva preoccuparsene? Poi si diede una pacca sulla spalla e realizzò che certe cose dovevano solo fare il loro corso, e che non doveva farsi nessun dramma a riguardo. Non si era detto che era una madre estremamente poco ansiosa, tutt'altro che il ritratto di nonna Jennifer?
    Lasciò che i bambini guidassero la conversazione, e li fece parlare mentre li prese per mano, uno da una parte e uno dall'altra, mano destra e sinistra, fino a condurli nella sua auto per tornare a casa. Le sarebbe piaciuto avere perfino dieci bambini se fosse stato per lei, ma come doveva redimersi sempre, a quanto pareva, non ne aveva avuta possibilità. Era pur sempre una rivelazione vedere come Amy si comportava in presenza di altri bambini e come si dava da fare per mostrare che lei poteva fare di più, poteva chiacchierare senza far capricci e cercare di portare l'attenzione sulle sue parole, concentrandosi per rendersi conto di cosa fosse capace. Ed era un comportamento che la incuriosiva.
    Fece in tempo ad arrivare a casa, aprire la porta, far fiondare i bambini all'interno a correre per posare gli zaini e tirare fuori i diari e i compiti e parlare delle loro cose da grandi, che entrò in azione nella modalità mamma sprint, fai presto, prepara la tavola e il pranzo, togli scarpe e cappotto.
    Si attivò subito a tagliare il pane fresco che sua madre le aveva portato a casa, sistemò la tovaglia e tirò fuori acqua e una bottiglia di vino, semmai Ethan l'avesse gradito. Era una vita che non lo vedeva, forse avrebbero avuto bisogno di scaldarsi un pò con qualcosa. Gli mandò un messaggio per avvisarlo che la missione era compiuta, e che lo aspettavano tutti e tre per pranzo.
    CITAZIONE
    @Ethan: siamo a casa, tutto ok! ⭐️ Ti aspettiamo. Avvisami per quando devo iniziare a preparare.🔥

    E ci infilò un paio di emoji simpatiche, giusto perché le sembrava giusto avvisare che fosse tutto ok. Era lui che l'aveva chiamata, le aveva chiesto di poter prendere Jacob al suo posto perché avrebbe fatto tardi quel giorno, e la conversazione era stata così naturale che gli aveva chiesto direttamente se per pranzo gli sarebbe piaciuto passare da lei, perché oramai i bambini si erano ritrovati e potevano studiare assieme nel pomeriggio, lei per quel giorno aveva il pomeriggio libero. Doveva ammettere che aveva ancora il suo contatto ma non parlavano direttamente così da anni, perciò per Cornelia stessa fu una sorpresa rendersi conto di quanto potessero dirsi. Gli ultimi messaggi che aveva in memoria erano scambi di auguri di compleanno routinari, e di quelli che aveva inviato Cameron al tempo quando il suo telefono si era scaricato, anni e anni prima, quando abitava ancora nella casa dei suoi genitori e suo fratello e Ethan uscivano in continuazione sempre insieme, inseparabili. Passarono una decina di minuti che Cornelia occupò sistemando gli ultimi ritocchi, e al messaggio di risposta di Ethan accese il forno con lo sformato che aveva preparato per il pranzo. Si concentrò sui bambini solo allora, in attesa di attendere il papà di Jacob, e scoprì di più sulla loro maestra su quello che passarono a raccontarle. «Quindi la maestra si chiama Beatrice, e oggi la lezione di inglese è andata bene. Cosa mi sapete dire in inglese?» Li canzonò un pò, prima di sentire le loro vocine balbettare in lingua, e poi sentì il campanello della porta e corse ad aprire, certa di chi sarebbe apparso dietro l'uscio.

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    Si passò una mano tra I capelli, scompigliandoli appena mentre cercava di riprendere fiato. Guardò l’orologio con la coda dell’occhio, notando che erano già passate due ore dall’ultima volta che lo aveva fatto e che il tempo sembrava scorrere troppo velocemente. Forse il vero problema era che aveva semplicemente troppe cose da fare e che aveva delle scadenze prossime che non avrebbe proprio potuto rimandare. Era difficile riuscire a organizzare tutti i tasselli della sua vita, lo era stato sin dal primo momento in cui aveva perso Mina. Per anni si era detto che non ce l’avrebbe fatta, che non era assolutamente in grado di gestire una cosa così grande da solo, ma alla fine aveva dovuto ricredersi. La vita andava avanti, le persone si adattavano e lui aveva imparato a cercare di combinare tutte le cose restando comunque in piedi. Non l’aveva dimenticata, forse quello non sarebbe mai accaduto e una parte di lui ancora si chiedeva che cosa sarebbe accaduto se non avesse sospeso la terapia per dare alla luce il loro bambino. Sarebbe stata ancora lì con lui? Avrebbero trascorso insieme tutta la vita? No, immaginava che se ne sarebbe andata comunque, presto o tardi, e che in quel caso non avrebbe avuto nulla di lei, neanche la luce che vedeva tutti i giorni negli occhi di suo figlio. Gliela ricordava molto. Era spiritoso, proprio come lei e aveva il suo stesso sorriso. Certe volte faceva male vederlo, gli ricordava che cosa aveva avuto modo di sfiorare per un breve tempo e che non sarebbe tornato mai più. Altre volte invece quel ricordo lo aiutava ad andare avanti e a trovare la forza necessaria a non abbattersi. Lei non lo avrebbe voluto. Lei aveva lottato fino alla fine ed era certo che volesse la stessa cosa lui. Quindi ci provava, giorno dopo giorno, un pezzettino alla volta, sperando che piano piano sarebbe divenuto tutto più semplice.
    Il problema era che, certe volte, il mondo sembrava proprio mettersi contro lui e cercare di mandare all’aria tutti i suoi buoni propositi. Quella settimana ad esempio un suo collega si era ammalato e il suo capo gli aveva rifilato anche i suoi lavori da finire, gli incontri con i fornitori e la gestione di un cantiere in più. Se già faticava ad avere un po’ di tempo libero con i suoi soli lavori, sarebbe stato ancora più difficile riuscire a racimolarne un po’ dovendo lavorare per due. Proprio per questo motivo aveva chiesto a Cornelia, la sorella del suo migliore amico, di prendere da scuola anche Jake insieme a sua figlia Amelia. Non capitava spesso che lui chiedesse aiuto ma in alcune occasioni non riusciva proprio a farne a meno e per fortuna Cornelia era una delle poche mamme della classe in grado di comprenderlo, l’unica di cui si fidasse. Anche lei era una donna in carriera, una divorziata tra l’altro, che quindi aveva dovuto imparare a organizzarsi e dividersi tra il suo lavoro e sua figlia. Le altre madri non vedevano di buon occhio il fatto che una donna sola potesse avere un lavoro impegnativo e redditizio e una figlia da crescere, sebbene il suo ex marito la supportasse in questo, e quindi alcune la etichettavano come una poco di buono, solo perché aveva scelto di crearsi anche una carriera.
    Nel suo caso invece, aveva ovviamente il diritto di avere un lavoro che lo teneva impegnato a tempo pieno, ma essendo vedovo attirava comunque tantissime occhiate all’uscita da scuola. Da un lato c’erano le mamme che compativano lui e Jake perché non c’era alcuna figura femminile nelle loro vite e quindi dovevano sentirsi persi in mezzo alle faccende di case. Gli parlavano come se fosse un miracolo che la sua casa fosse ancora in piedi. Dall’altro lato c’erano invece quelle che avrebbero voluto trovargli una nuova compagnia e che non mascheravano i loro aperti tentativi di accalappiarlo o di presentargli varie sorelle, amiche o altro genere di conoscenze. Andare alle riunioni con i genitori era quindi divenuto per lui un momento di assoluto stress a cui riusciva a sopravvivere solo grazie alla fortunata presenza di Cornelia, unico baluardo di salvezza in mezzo a quel mare in tempesta. Era molto grato di avere almeno qualcuno con cui poter parlare in maniera seria e matura dei propri impegni e di quelli di suo figlio, senza che ci fossero giudizi o strani doppi fini. Cornelia era sempre stata un pezzetto della sua vita. L’aveva conosciuta quando era un ragazzino e aveva aiutato suo fratello da un gruppetto di bulli, divenendo così il suo amico più fidato. La ragazza era stata lì a osservarli combinare guai, fare i compiti e avere le prime cotte ed era quindi strano ma confortante al tempo stesso ritrovarsela ora lì, come sua pari, un altro genitore che cercava di rimanere in piedi in mezzo a tutti gli impegni che i bambini portavano con sé. C’era anche il giorno in cui lui e Mina si erano sposati, con davvero poco preavviso, presi da un amore sconfinato a cui avevano voluto necessariamente dare un nome e lui era stato al matrimonio di Cornelia con Thomas. Strano come i casi della vita a volte facessero scorrere le vite di due persone su due binari paralleli ma molto vicini, sempre pronti a incontrarsi nei momenti più inaspettati.
    Una vibrazione dal suo telefono catturò la sua attenzione, distogliendolo per un altro momento dal lavoro. Un messaggio di Cornelia lo avvisava del loro arrivo a casa e del fatto che lo stavano aspettando per il pranzo. Aveva provato a dirle che avrebbe mangiato una cosa al volo in ufficio per cercare di finire prima e portare via Jake a un orario decente, ma lei aveva insistito perché si prendesse almeno una piccola pausa e mangiasse insieme a loro. Penso di riuscire a liberarmi tra una mezz’ora. Le scrisse, subito dopo, facendo mente locale sulle cose che doveva assolutamente concludere entro la mattinata, prima di poter staccare almeno per un’ora o al massimo due. Si aspettava già di dover recuperare a casa la sera, dopo cena, ma era d’accordo con Cornelia sul fatto che a volte una buona pausa poteva fare dei miracoli e allontanarsi dall’ufficio in certe occasioni lo aveva aiutato ad affrontare le cose più lucidamente poi, e trovare delle idee per le soluzioni architettoniche a cui non aveva mai pensato prima. Riportò lo sguardo sullo schermo, cercando di velocizzarsi nel chiudere quella simulazione paesaggistica che gli aveva portato via le ultime due ore. Stavano lavorando al progetto di un nuovo ristorante nei pressi della spiaggia ed era quindi importante che non creasse delle problematiche con l’ambiente circostante. Il committente aveva fatto cambiare loro l’esterno almeno cinque volte nell’ultimo mese e quindi ancora non era riuscito a chiudere quell’elaborato, importantissimo per l’approvazione del progetto. Diede una sistemata alle luci e ai colori per poi inviarla via mail al suo capo e al committente, sperando questa volta di ricevere un commento positivo e l’ok a proseguire con le altre questioni. Prese la sua giacca e le chiavi dell’auto e uscì velocemente dall’ufficio, lasciando il computer acceso e alcuni documenti ancora sulla scrivania. Avrebbe ripreso a lavorare successivamente e non voleva spostare nulla per evitare di perdere il filo. Sono in macchina. Arrivo. Scrisse quindi, velocemente, avvisando Cornelia di essere effettivamente uscito all’orario previsto e che quindi li avrebbe raggiunti di lì a pochi minuti. Non aggiunse faccine o altro, troppo impegnato a ricordarsi la strada migliore per raggiungere la sua destinazione.
    Parcheggiò vicino all’ingresso, prendendosi qualche momento per osservare da fuori quella grande casa, molto diversa dal piccolo appartamento che lui e Jake condividevano. Si chiese per un istante come fosse vivere lì, per poi scuotere la testa e rendersi conto che lui si trovava molto meglio nella sua sistemazione. Non aveva mai sognato una casa troppo grande, era uno che si accontentava delle piccole cose e che non sperperava in giro con ciò che non gli serviva. Anche lui aveva dei sogni ovviamente e stava infatti risparmiando per cercare di aprirsi uno studio tutto suo, ma nel frattempo faceva in modo che suo figlio avesse tutto ciò che aveva bisogno, compreso qualche paio in più di scarpe o di vestiti e qualche gioco di cui forse avrebbe potuto fare a meno. Cercava di essersi come poteva, di fargli sentire la sua presenza, anche se non sempre riusciva a esserci davvero. Camminò spedito verso la porta, suonando il campanello una sola volta, per avvisare del suo arrivo. Alcuni rumori provenienti dall’interno gli fecero intuire che qualcuno stava arrivando e che i bambini sembravano piuttosto felici di quel pranzo diverso dal solito. -Ciao. - salutò Cornelia, con un sorriso, quando lo accolse all’interno, allungandole una busta con un dolce che si era fermato a comprare prima di arrivare. -Scusami ancora per aver scombussolato i tuoi piani, ma non sapevo a chi altro chiedere. - mormorò, scusandosi forse per la decima volta per averla disturbata chiedendole di andare a prendere Jake per lui. Lei ovviamente non glielo aveva fatto pesare in alcun modo, ma per lui era come una personale sconfitta. Non era riuscito a cavarsela da solo, ancora una volta. -Mia madre comunque ha già terminato con la sua visita, quindi se dovesse essere un disturbo dopo pranzo posso portare Jake dai nonni e liberarvi. - aggiunse ancora, prima di rendersi conto di aver parlato troppo velocemente e di non averle lasciato neppure il tempo di ribattere. -Perdonami, ho parlato troppo, come stai? Com’è andata la tua mattina? - chiese, lasciando che un sorriso un po’ più tranquillo gli illuminasse il volto, mentre lasciava il suo cappotto nell’appendiabiti e si muovevano per raggiungere i bambini. Jake gli corse incontro appena lo vide, abbracciandolo forte. -Papà sei già arrivato! - trillò, con aria felice. Gli sorrise di rimando, pensando a quanto in effetti fossero rare le occasioni in cui riuscivano davvero a pranzare insieme in serenità. Lo prese in braccio, facendogli fare una leggera giravolta, prima di notare la figura timida di Amelia che lo osservava. -Ciao piccola principessa. - la salutò, riportando a terra suo figlio e allungando una mano in direzione della bambina, per attirare la sua attenzione e salutarla. -Avete fatto i bravi a scuola oggi? - domandò, ricevendo ovviamente una risposta positiva da parte di entrambi, sebbene Jake suonò un po' meno entusiasta di Amelia. -E avete aiutato Cornelia con il pranzo? - chiese ancora, ricevendo invece un sonoro no che lo fece ridacchiare appena e scuotere il capo. -C’è qualcosa che io posso fare invece? - si propose, strofinando una mano contro l’altra, pronto a rendersi utile con qualsiasi tipo di attività. Era un po’ strano pranzare di nuovo con figure che non fossero la sua famiglia o i suoi amici di sempre, doveva ancora farci l’abitudine.
     
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    Aveva ricevuto il messaggio di Ethan, quindi sapeva che sarebbe arrivato di lì a breve. Era stato puntualissimo dal calcolare quanto tempo ci avrebbe messo dall'inviare il messaggio SMS ad effettivamente raggiungere Cornelia e i bambini. Al suono del campanello della porta lasciò giù tutto quello che aveva tra le mani - stava ancora trafficando per finire di preparare la tavola e chiacchierare con i due mentre giocavano tra loro e le raccontavano tutte le novità della classe. Aprì la porta blindata di casa per trovarsi di fronte Ethan in controluce, illuminato dal sole mentre le veniva incontro con un dolce tra le mani. «Buongiorno! Ma grazie non dovevi, non c'era bisogno di farti scomodare. Ti ho fatto fare dei giri in più invece che in meno.» Lo ringraziò, guardandolo, alternando lo sguardo tra lui e la busta, e poi una volta imbracciato il dolce gli fece segno di lasciare tutto quello che aveva di più all'ingresso e infilare le ciabatte per avventurarsi in casa. Oramai era diventata una simpatica mania di Cornelia che tutte le persone che frequentavano quella casa conoscevano, nessuno poteva scampare alla possibilità di sfilare le proprie scarpe e sentirsi in difetto, aveva ciabatte perfette per tutti. Rise tra sé e sé, pensando che quella stranezza l'aveva invontariamente colpita da giovanissima, quando era cresciuta in una grande casa ed era sempre stata ossessionata dal disordine che si creava tra i suoi genitori e cinque figli e gli innumerevoli animaletti che ognuno di loro portava in casa, senza contare che vivevano in un ranch moderno con tanto di cavalli e stalle, e quindi aveva odiato ogni singolo minuto che aveva passato con fango e sporco per ripulire l'abitazione. A pensarci adesso in prospettiva era quasi dolce, ricordare la sua adolescenza alle prese con qualcosa che aveva odiato, e che ora le sembrava pieno di calore e affetto e di persone che erano sempre con lei a fronteggiare gli imprevisti di ogni giorno. «Stai tranquillo, mi fa piacere. Ci fa piacere stare un pò insieme, non ci vedevamo da tanto.» Aggiunse, tornando a guardare lui mentre si scusava per l'imprevisto a cui l'aveva costretta. In realtà era segretamente contenta di poter lustrare nuovamente, e di mettere alla prova, le sue capacità di super organizzatrice, adorava non avere il tempo di pensare a nulla che non fosse correre e darsi da fare, per fare del suo meglio e far contenti gli altri. Era una delle tante manie di Cornelia, che non sopportava avere il tempo di piangersi addosso ma di fare, ed era grata di poter rivedere Ethan e il piccolo Jake, non soltanto perché così Amelia passava il tempo con un altro bambino della sua età di cui si fidava ciecamente, ma anche perché lei stessa poteva parlare con un adulto che la capiva. Ethan era più giovane di lei, ma aveva passato diverse disavventure, e si fidava ciecamente di quel ragazzo, considerato anche quanto aveva fatto per il suo fratello minore.
    Si riscosse da quel pensiero, guardando le pantofole bianche che aveva dato ad Ethan e che il poveretto stava lì lì per indossare. «La mia piccola mania non è ancora volata via.» Rise con i denti in mostra, nascondendosi dietro la busta con il dolce per un momento, prima di andare oltre e di continuare la sua organizzazione del pranzo. Gli fece cenno di seguirla, prima che i bambini corressero dietro di loro per abbracciare e salutare Ethan a modo loro. «Jake può rimanere qui, oggi pomeriggio ho preso metà giornata libera incastrandomi in un turno comodo per passare il tempo insieme. Possono fare i compiti insieme, e chissà magari può diventare la loro nuova abitudine.» Rispose alla proposta di Ethan evitando di dirgli che per incastrare quel pomeriggio libero aveva ovviamente rinunciato ad una metà giorno di riposo nel fine settimana. Avrebbe sempre preferito lavorare due mattine e trascorrere due pomeriggi interi con Amelia, perciò anche per lei era stata una vittoria, non aveva avuto problemi a chiedere il cambio turno, anche se così facendo non aveva più un giorno intero per stare per conto proprio. L'unica cosa che doveva sempre tenere a mente, e quello le scombussolava i piani perché non poteva proprio prevederlo, era portare il suo cercapersone con lei, perché se fosse stato necessario operare di urgenza doveva sempre mollare tutto e correre via. Nella sua vita era ancora fortunata da poter dipendere dai suoi genitori, vicino a lei, che potevano esserci sempre per Amelia, e qualche volta doveva ammettere non era neanche così malvagio ricorrere al pensiero di Thomas che fosse libero per occuaprsi della bambina, ma solo quando lei proprio non poteva gestire il tutto.
    Passò oltre, lasciando ai tre il tempo di interloquire tra loro. Fece un gesto a Ethan come per dire che sì, andava tutto bene. Ma gli avrebbe detto meglio dopo, prendendosi un momento per loro e fare una conversazione nel modo giusto. L'uomo capì, dando retta ai due piccolini, e la conversazione scivolò via nell'innocenza dei gesti e delle disquisizioni che potevano fare ai bambini. Posizionò il dolce in frigo, per evitare che rimanesse fuori a lungo, anche se il tempo in quel caso era sempre dalla loro e non sarebbe stato un evidente problema di cambio di temperatura repentino. Osservò la scena da lontano con interesse, la coda dell'occhio che corse a sbirciare Amelia e il suo comportamento con l'uomo. Con il padre era esuberante, faceva di tutto per attirare l'attenzione, un'ottima attrice, la canzonava lei, rendendosi conto di quanto fosse simile e dissimile da lei, che era sempre stata la algida e rigida Cornelia, già da bambina concentrata nelle piccole cose e negli obiettivi che doveva porsi, senza grossi sbalzi di umore fino a che non aveva raggiunto l'età della ragione, al contrario del resto dei suoi fratelli. Pratica, salda, e concreta, Cornelia sembrava molto diversa da Amelia, venesia e sognatrice. Forse l'età l'avrebbe cambiata e avrebbe avuto la meglio sui sogni, ma era un pensiero che la fece sorridere, senza un perché concreto. I bambini cominciarono a raccontare a Ethan e a rispondere alla sua domanda. Amelia sembrò riprendersi all'idea di aver fatto un buon lavoro a scuola, e stava già correndo a prendere i suoi quaderni con gli appunti per raccontare ad Ethan dei suoi compiti. «Amelia lascia respirare Ethan prima, mangiamo e poi guardiamo i compiti.» Ovviamente in tutta risposta la figlia le fece una linguaccia, battibeccando contrariata che era una cosa bellissima di cui dover parlare, e Jake le diede man forte a suo modo aggiungendo qualcosa al suo racconto, ma sembrò molto più abbattuto di Amy. Scambiò un'occhiata di intesa con Ethan istantanea, fiutando entrambi che c'era qualcosa di non chiaro nel suo comportamento. Ci sarebbero arrivati man mano riportandoli all'ordine a tavola.
    Ethan andò in sua direzione, chiedendole poi se potesse fare qualcosa per aiutarla. Si guardò intorno e poi guardò lui, gli occhi verdi su di lei in attesa che gli desse il la per procedere. «Oh, non ho ancora sistemato piatti e posate. Posso chiedere a te? Nel frattempo che sia pronto.» Sussurrò, rendendosi conto che era oramai tempo di guardare forno e fornelli e controllare che le cotture dei piatti che aveva preparato fossero tutte giuste. Apprezzò il fatto che Ethan le volesse dare una mano, avrebbe voluto in realtà dirgli di sedersi e godersi i minuti di calma, ma, forse, anche lui aveva bisogno di sentirsi sempre in movimento come lei. «Piatti e posate sono qui.» Gli fece strada indicando il cassetto degli utensili e il ripiano in alto sulla scaffalatura della cucina contenente i piatti. Approfittò del fatto che fossero soli e i bambini distratti a sistemare i quaderni e i pennarelli sul ripiano dove Amelia faceva i compiti, su una piccola scrivania in salotto, mentre parlottavano tra loro colse il momento a sua volta. «A me va tutto bene. Nulla di diverso dal solito.» Tacque, facendo una pausa, rendendosi conto che era un buon momento per raccontare qualcosa della sua quotidianità a Ethan, della routine in ospedale e di cosa si occupasse: lui non era sua madre, suo padre, o i suoi fratelli, che ormai collezionavano storie di ordinaria follia della gestione dell'ospedale e si scambiavano occhiate preoccupate, o conservavano aneddoti dei suoi racconti. «Oggi mi sono occupata di controlli a dei pazienti in osservazione, che hanno patologie cardiologiche complesse, ma non ho avuto operazioni e non ci sono state emergenze. C'è un simpatico vecchietto che continua a dirmi che prima o poi ci sposeremo, ma io gli ricordo che ho una figlia troppo giovane per fare un'avventura.» Rise, stavolta scuotendo la testa e facendo spallucce. Si strofinò le mani, controllando la teglia con lo sformato che aveva preparato quella mattina in forno che rosolava felice, compattandosi in una crosticina invitante sopra il bordo. «E tu, come è andata questa mattina?» Mormorò, infine, rispondendo alla domanda che le aveva fatto lui all'ingresso e ricambiando con la domanda speculare per sentire un pò della sua mattinata a lavoro. Non sapeva molto di come si comportasse Ethan nello studio in cui lavorava, e non immaginava cosa succedesse all'interno: la vita con Thomas fino a quel momento era stata condita di esperienza maturata in reparto, dagli anni del praticantato fino ad allora, tutto era stato convissuto tenendo a mente come funzionassero le vicende della medicina generale, delle patologie, di ricette mediche e di turni senza regole. «Ho notato qualcosa di strano prima, mi sembra che Jake sia un pò agitato quando parla della scuola. È forse successo qualcosa?» Non lo disse con fare di pettegolezzo, e sapeva che Ethan avrebbe apprezzato quella domanda. Non erano intimi, ma si conoscevano da così tanto tempo che era come se le loro storie fossero sempre state convissute. Qualche volta Cornelia sentiva che non aveva nella sua vita una persona che potesse farla sentire capita quando voleva raccontare di lei, o condividere preoccupazioni su Amelia, parlare del lavoro, era come se fosse tutto un racconto di un'altra dimensione. Amelia era il suo centro, ma era pur sempre una bambina, non voleva certo essere un peso per la stessa carne, era lei che doveva essere il faro, lei a non dover vacillare mai ai suoi occhi. Con Ethan poteva condividere il fardello di essere un genitore preoccupato di stare a fare le cose nel modo giusto, e non immaginare che fosse tutto sbagliato.

    Edited by wanderer. - 27/11/2022, 16:00
     
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    -Non mi sono affatto scomodato. - disse, mentre varcava con un piede la soglia di casa di Cornelia. Sua madre gli aveva insegnato che non si andava mai a casa di qualcuno con le mani vuote e visto che lui e la donna non si frequentavano ormai da un po’ di tempo, aveva pensato che non ci fosse modo migliore per ricominciare. Era capitato di incontrarsi qualche volta, ma non ricordava quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva messo piede in casa sua. Forse Mia era ancora viva e lei era ancora sposata con Thomas, un tempo decisamente troppo lungo. Era capitato molto più spesso di incontrarsi a casa di Cameron o dei loro genitori. Lei gli fece cenno di lasciare le sue cose lì vicino all’ingresso e di cambiare le scarpe, indossando delle ciabatte bianche che aveva preparato lì vicino. Le osservò con aria perplessa, per poi scuotere appena il capo, ricordando solo in quel momento che Cornelia aveva preso quell’abitudine diverso tempo prima. Forse, in fin dei conti, non erano poi cambiati tanto quanto volevano far credere al mondo e la cosa lo rincuorò un po’. Era rassicurante sapere che certe cose che sarebbero rimaste sempre le stesse, lo faceva sentire a casa, in qualche modo. -E’ vero, probabilmente da troppo tempo. - ne convenne anche lui, mentre annuiva tra sé e sé. Non ricordava l’ultima volta che avessero avuto qualche minuto per chiacchierare un po’ tra di loro, al di fuori di occasioni scolastiche o compleanno di qualche amico in comune dei bambini. Frequentavano due giri molto diversi nelle loro vite private e svolgevano due lavori molto diversi, era quindi difficile riuscire a incastrare le loro agende e avere del tempo libero nello stesso momento. Anche quel giorno avevano avuto modo di vedersi solo perché Cornelia lo aveva convinto a trascorrere la sua pausa pranzo insieme a loro prima di tornare al suo lavoro. -E’ rassicurante sapere che certe cose non cambiano mai. - disse, a voce bassa, ma abbastanza alta da farsi sentire solo da lei, rivolgendole un sorriso prima di sfilare le scarpe e infossare le pantofole. Voleva che sapesse che non la viveva come una cosa fastidiosa, anche se lo aveva sempre considerato strano. Era però un dettaglio di Cornelia, qualcosa che la rendeva unica nel suo genere.
    Si cambiò le scarpe e la seguì, ringraziandola per l’aiuto e facendole sapere che avrebbe potuto liberarla presto di quell’incombenza, visto che anche sua madre era libera e poteva quindi occuparsi del bambino. Lo sorprese sentirle invece dire che le avrebbe fatto piacere che lui restasse lì, per fare i compiti insieme ad Amelia e magari trasformare quell’imprevisto casuale in un appuntamento da ripetere almeno una o due volte a settimana. Sorrise, piuttosto felice nell’immaginare quella prospettiva. -Sì, perché no? Credo sarebbe una buona idea. Possiamo parlarne e cercare di organizzarci. - le disse, annuendo appena. Lui non aveva praticamente mai un pomeriggio o una sera libera, ma avrebbe potuto tranquillamente chiedere a sua madre di guardare entrambi i bambini. Non ebbero comunque il tempo di continuare a parlare tra di loro perché i bambini notarono subito quella nuova presenza e Jake gli si gettò tra le braccia alla ricerca di un po’ di attenzioni. Doveva essere strano per lui vederlo a quell’ora durante la settimana, visto che di solito restava sempre in ufficio e si vedevano soltanto in tarda serata. Era complicato riuscire a incastrare il suo lavoro e i vari impegni di Jake. In certi periodi dell’anno, quando il lavoro era un po’ più calmo, riusciva a ottenere di lavorare almeno qualche ora da casa, ma in momenti come quello, quando tutti i progetti erano sul punto di essere consegnati, il capo preferiva averli tutti in ufficio, per poter controllare il lavoro passo passo e indire qualche riunione dell’ultimo minuto senza dare alcun preavviso.
    Chiese ai bambini come era andata a scuola e Amelia si propose subito di andare a recuperare i suoi quaderni per mostrargli che cosa avevano fatto quel giorno. Ridacchiò appena quando Cornelia cercò di farla desistere e di convincerla ad aspettare almeno che il pranzo fosse finito, ottenendo una linguaccia per tutta risposta. Era divertente vederle insieme, così diverse eppure così simili a un occhio più attento, soprattutto per quanto all’aspetto fisico, po’ guardò Jake per un momento, che era rimasto un po’ più defilato in quella conversazione. Si chiedeva spesso come sarebbe diventato da grande. Avrebbe assunto un carattere simile al suo, o malgrado l’impossibilità di conoscerla, ci sarebbe stata qualche traccia di Mina nel suo modo di guardare il mondo? Cercava di allontanare il pensiero di lei dalla sua mente, per evitare che potesse imprimere sul suo volto ombre troppo scure che gli avrebbero impedito di vivere a pieno la vita insieme a suo figlio. La rivedeva in ogni dettaglio e, nonostante fossero passati ormai quasi sei anni dalla sua scomparsa, non riusciva a fare a meno si sentire la sua mancanza. -Ascoltiamo la mamma e mangiamo prima di dedicarci alle cose importanti, va bene? - disse quindi, ad Amelia, dopo aver scambiato un’occhiata di intesa con Cornelia. Anche lei doveva aver notato che suo figlio era un po’ giù di tono in quel momento e lui immaginava di sapere quale fosse il motivo di quei suoi parziali silenzi e della sua distanza. Si rialzò in piedi, raggiungendo Cornelia per aiutarla con le preparazioni. -Ma certo. - rispose, ben felice di poter fare qualcosa, quando lei lo invitò a terminare di apparecchiare, indicandogli dove avrebbe potuto trovare i piatti e le posate. Si sarebbe perso in quell’ambiente così grande probabilmente, se lei non gli avesse indicato la direzione corretta.
    Iniziò a estrarre le posate dal cassetto, contandole con cura per evitare di dimenticarne qualcuna e approfittarono di quel momento di solitudine per parlare un po’ tra loro. Ascoltò i suoi racconti sui pazienti e sul lavoro che aveva svolto quella mattina, coronato dal simpatico vecchietto che cercava di conquistarla con le sue parole. Sorrise, scuotendo appena il capo con aria divertita. -Caspita, che rubacuori. - le disse, prendendola bonariamente in giro mentre la guardava muoversi con aria sicura all’interno della sua cucina. -Sono certo che se non ci fosse stata Amelia.. - iniziò, per poi scoppiare a ridere guardandola, sottolineando come la scusa che tirava fuori con il vecchietto facesse acqua un po’ da tutte le parti. Immaginava che lei cercasse solo di utilizzare quanto più tatto possibile nel rispondergli, ma il solo immaginare la scena gli aveva restituito il buon umore. -Io? Beh, diciamo che poteva andare meglio. - mormorò con un respiro, cancellando immediatamente il sorriso bonario che aveva avuto fino a qualche istante prima. -Un cliente ha cambiato idea sulla disposizione interna della sua abitazione proprio questa mattina, quindi mi toccherà cercare di rifare il lavoro degli scorsi giorni tutto in una sera. - disse, sfoderando il sorriso tirato di chi non era affatto felice di ciò che lo aspettava, ma anche di chi sapeva che comunque non era in grado di cambiare le cose. -Il mio capo vuole consegnare alcuni progetti il prima possibile e quando accadono queste cose ci ritroviamo sempre a fare un sacco di ore di straordinari. - aggiunse, stringendosi appena nelle spalle, cercando di fare sembrare tutto normale e che quei cambiamenti dell’ultimo minuto non lo facessero dare di matto. -Un giorno spero di riuscire ad aprire un piccolo studio tutto mio, così da poter scegliere da solo quali clienti accettare e quali no.. - mormorò, abbassando appena il tono di voce, per essere sicuro che i bambini non potessero sentirli, neppure se si fossero avvicinati per sbaglio. Jake si preoccupava molto per lui e per il suo lavoro, a volte capitava persino che si sentisse in colpa quando trascorrevano del tempo insieme. -Ma nel frattempo dovrò accontentarmi di quello che passa il convento e farmi andare bene i miei orari. - terminò, nascondendo i suoi problemi dietro a un nuovo sorriso. Si era confidato con lei perché glielo aveva chiesto, ma non voleva certo turbare la giornata di Cornelia aggiungendole anche i suoi pensieri. Tutto sommato stavano bene. Avevano un equilibrio un po’ precario, ma le cose funzionavano.
    Sospirò appena, limitandosi inizialmente ad annuire quando Cornelia gli chiese di Jake. Rimase in silenzio ancora per qualche momento, guardandosi attorno per assicurarsi che i bambini fossero abbastanza distanti da solo. -Sì, in effetti sì. - rispose, e si avvicinò di qualche passo a lei così da poter abbassare almeno un po’ il tono di voce. Non ne aveva ancora parlato con nessuno, ma forse gli avrebbe fatto bene sfogarsi con qualcuno che avrebbe potuto capire. -La maestra mi ha convocato a scuola qualche giorno fa, pare che Jake abbia litigato con un altro bambino. - iniziò, raccontandole quello che era stato l’episodio scatenante di tutta quella faccenda. -Credevo che ormai la notizia avesse già fatto il giro del paese.. - mormorò, con un sorriso un po’ mesto, cercando di capire se i genitori dell’altro bambino lo avessero raccontato a qualcuno e se quindi la notizia fosse già arrivata a lei in precedenza. -Ho provato a parlare con lui poi. All’inizio mi ha respinto, non c’era verso di farlo parlare, poi, due giorni fa, mi ha fatto capire che il litigio aveva a che fare con Mina. - rivelò, con un nuovo sospiro. Aveva sempre temuto che sarebbe stato difficile crescerlo da solo, ma non aveva mai pensato a quel genere di problemi. -Credo che qualcuno lo abbia preso in giro perché lui non ha più la mamma. - disse ancora, cercando di essere più esplicito, anche se immaginava che Cornelia dovesse averlo già capito da sola. Era una donna brillante, non le sarebbero serviti molti dati per giungere alla soluzione del problema. -Ho evitato di forzarlo a dirmi di più e gli sto lasciando del tempo, anche se è evidente che andare a scuola non gli piaccia più come un tempo. - mormorò, con aria un po’ abbattuta. Si sentiva in colpa in qualche modo per quello che era accaduto, per non essere riuscito a evitarlo. -Ho provato a contattare i genitori dell’altro bambino ma non hanno mai risposto alle mie chiamate o ai messaggi. Credo mi stiano evitando. - aggiunse, gonfiando il petto con un nuovo respiro, mostrando solo allora una punta di rabbia. Si sarebbe aspettato un atteggiamento più maturo da quelle persone e invece evitavano di parlargli, probabilmente dando a Jake la colpa di ogni cosa. -Non so come comportarmi. Sono molto preoccupato. - terminò, guardandola dritta in volto in quel momento, alla ricerca di un consiglio. Si portò una mano alla tasca dei pantaloni, alla ricerca del pacchetto di sigarette, poi cambiò idea, facendola ricadere sul fianco. Ultimamente fumava decisamente troppo, doveva trovare il modo di controllarsi.
     
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    Cornelia ricordava ancora la prima volta che aveva visto Ethan. Forse non glielo aveva mai detto, e forse Ethan non se lo ricordava nemmeno. Cornelia era più grande di lui, e in generale in quel periodo aveva la testa piena di cose da pensare, perché stava pensando all'università, agli studi, a diventare la prima figlia laureata di tutta una stirpe di Blackthorne, che erano sempre state persone semplici e sapevano molto poco di cosa significasse avere il lusso di non fare un lavoro faticoso fisicamente, ma impegnativo per la mente, di nutrire la testa e rimpinzarla di nozioni per cercare di prendere un sudato pezzo di carta e diventare qualcuno nel mondo. Più che qualcuno nel mondo Cornelia voleva diventare una persona in grado di salvare vite umane e di essere utile alla società, di fare un lavoro che significasse qualcosa, e quel qualcosa l'aveva definita da tutta una vita, perché semplicemente così ci era nata e basta. Cameron era il suo fratello minore, il quarto figlio della sua famiglia, e molto stranamente era stato preso di mira da dei bulletti scolastici, cosa che a lei non era mai avvenuta e mai ne aveva avuto esperienza anche riguardo gli altri fratelli. Era diventato difficile capire come muoversi con loro e come aiutare la sua famiglia senza calpestare l'orgoglio impossibile di Cam, ma ecco che le cose si erano risolte, e in qualche modo smosse, senza che avesse dovuto fare molto, grazie a Ethan, che un bel giorno era piombato in casa loro e aveva in qualche modo fatto capire che non sarebbe più capitato, ecco, non ricordava più le sue parole, ma ricordava i suoi gesti e l'espressione sollevata di Cam quando aveva varcato la porta di casa. Qualcosa era cambiato, e sarebbe cambiato da quel momento. La sua famiglia in qualche modo aveva un gran debito nei suoi confronti da allora. Però era entrato silenziosamente da allora nelle loro vicende familiari, ed ovviamente essendo più amico di Cam che suo aveva solo saputo di riflesso le cose che erano accadute nella sua storia, diversamente da quello che succedeva tra lei e Maggie e il fatto che Maggie fosse sempre con sé a condividere gli avvenimenti del suo destino. Era stato difficile e doloroso pensare a cosa avesse passato nella vita il giovane Ethan, ma le loro vite non si erano incrociate più per molto tempo direttamente finché i loro bambini non erano stati combinati nella stessa classe a Besaid. Perciò annuì con lui mentre quel pensiero si formò nella sua mente e la mise a suo agio. Tanto tempo era passato, ma era un pò come se fosse sempre stato lì a condividere frammenti di storia con loro, come se fossero schizzi diversi su uno stesso quadro.
    Per fortuna di Cornelia, Ethan sfilò le scarpe e infilò le pantofole sembrando piuttosto contento. «È un sollievo vero? Io non riesco proprio a pensare di sentirmi a mio agio finché non cambio scarpe.» Si mise a ridere, quando erano ancora sull'uscio, prima di continuare a organizzare i grandi lavori del pranzo. Non poteva sapere che per Ethan fosse una cosa insolita, e forse non era neanche granché a suo agio senza le sue scarpe. Era una frase vera, era un suo capriccio, ma pensava che le persone potessero sentirsi al proprio posto ed essere sincere solo se erano effettivamente comodi. Lei quando non era di turno adorava portare scarpe alte, ma ogni luogo aveva il proprio abbigliamento, e la casa era fatta per pantofole calde, avvolgenti e confortevoli. Così tutti potevano salire sul divano e camminare sui tappeti senza problemi. Per coincidenza insomma, anche Ethan pensava che se certe cose non cambiavano mai non era un male. Spesso era portata a pensare che la vita dovesse cambiare sempre e tutti con essa per sentirsi tutti parte dello stesso mondo. Preferiva che fosse così.
    Avrebbero parlato dopo poi dell'organizzazione dei bambini e dei compiti da fare e dei pomeriggi da organizzare come giornate studio, era un bene che potesse finalmente condividere quel momento con qualcuno, e Cornelia voleva sapere come fosse la vita di Amelia da quel punto di vista, voleva essere una mamma presente nelle dinamiche che non poteva vivere della bambina quando era a scuola, con i compagni, lontana da lei.
    Avevano cominciato l'organizzazione generale del pranzo e ognuno aveva i suoi compiti, e Cornelia un pò despota aveva chiaramente definito che Amelia aspettasse dopo pranzo per tirare fuori i quaderni, piuttosto che fare pasticci e macchiare di cibo i fogli come faceva sempre, perciò aveva apprezzato che Ethan avesse dato man forte alla sua voce e avesse convinto con le buone Amelia a collaborare. Ogni tanto aveva davvero bisogno di una voce diversa che imponesse le dinamiche familiari come si doveva, e questo un pò la impensieriva perché il pensiero correva al fatto che tra lei e Thomas avrebbe potuto essere così, ma non lo avevano mai vissuto, e così era oramai andata.
    Quando Ethan la raggiunse per sistemare ed apparecchiare la tavola finalmente poterono scambiare qualche parola da soli. Ovviamente aveva cominciato a raccontare della sua vita ciarlando delle disavventure all'ospedale, ci teneva a smorzare la confidenza tra loro finché potessero dirsi qualcosa di autentico, anche per creare quell'intesa che aveva solo visto tra lui e Cameron, dovevano ancora lavorare in tal senso.
    «Esatto. Beh se fosse stato un interessante signore anziano avrei potuto farci una pensata. Insomma, un uomo della mia età non è che sia stata la scelta esatta no?» Rise, oramai abituata a parlare della sua relazione fallita con nonchalance, non perché non le facesse male pensarci, ma perché talvolta per essere leggeri bisognava prendersi molto meno sul serio. Era convinta che altre persone più orgogliose di lei non la vivessero bene proprio perché non sapessero riderci su. Lei non aveva bisogno di non dire che la sua storia era stata un flop. Poi certo che sì, il suo paziente anziano con, povero cuore, quel briciolo di demenza senile che già si manifestava in lui non sarebbe stata la scelta più adatta.
    Ascoltò a quel punto il racconto di Ethan e del suo lavoro. «Posso immaginare. Mi dispiace per i cambiamenti dell'ultimo minuto di questo cliente. Capisco che non sia facile dover sempre correre sugli straordinari.» Evitò di parlare di sé e dei suoi turni in ospedale. Non voleva fare a gara su chi dei due avesse il lavoro più incasinato, era invece molto interessata a capire la dinamica di Ethan, del suo lavoro, e della vita per come si svolgeva con Jake. D'altronde lui non poteva dividersi con una compagna come faceva lei con Thomas, perciò sarebbe stato indelicato indicarglielo. «Sarebbe molto bello se potessi aprire uno studio tuo. Ti auguro di poterlo fare presto, anche se so che non sarebbe nell'immediato. Comunque davvero, per qualsiasi cosa sono felice di aiutarti, i miei genitori si divertono a passare il tempo con Amelia e mi dedicano molto aiuto, anche quando non ci sono io, Jake sarebbe in buone mani.» Giocò subito la carta dei genitori Hugh e Jennifer. Loro sì che erano dei super nonni, e per fortuna poteva contare su di loro da sempre. Abitavano in fondo poco più distanti lungo quella via della periferia di Besaid, a qualche chilometro, dove si estendeva il ranch e l'allevamento dei cavalli di Hugh, nella loro grande casa di famiglia costruita dal papà di Cornelia. Se avesse voluto aprire un proprio studio, Ethan poteva contare anche sul tempo che il bambino avrebbe avuto passando in compagnia con la famiglia Blackthorne.
    Aspettò a proseguire oltre per sentire la storia di Ethan e del racconto di cosa era successo a scuola a Jake. Nel frattempo aveva preparato tutto quello che dovevano portare a tavola, perciò si presero quel tempo per raccontarsi all'oscuro dei bambini, con le posate, i bicchieri e i piatti tutti disposti sull'isola della cucina di Cornelia e sul banco da lavoro accanto ai fornelli. Attese dunque che Ethan menzionasse il problema di Jake e cosa era successo a scuola, sgranando ovviamente gli occhi man mano che la storia si dipanava, finché Ethan non aveva menzionato che i genitori del bambino che aveva cominciato a prendere in giro Jake si erano rifiutati di starlo ad ascoltare, e lì si inalberò. «Che branco di imbecilli.» Sentenziò, lasciandosi andare ad una frase di commento sincera, innervositasi anche lei per quanto le aveva detto. Si guardarono negli occhi, vicini nella foga del discorso. Si chiese subito come avrebbe potuto aiutare Ethan nel gestire quella situazione, non sapendo se l'uomo avesse voluto o meno perseguire un modo per sistemare la faccenda, ma cercò di fare mente locale con le informazioni a disposizione. «Ci credo che tu sia preoccupato. E credo che dovremmo fare una riunione di classe per questa faccenda. Non per sollevare un polverone, ma dobbiamo porlo come problema comune di tutti i genitori nei confronti dei piccoli bulli. I bambini vanno educati al dolore e al decoro, e al rispetto degli altri, adesso sono bambini capisco non possano avere colpe ma è importante che queste situazioni non si verifichino più.» Finì di parlare, a quel punto, incrociando le braccia come se stesse decidendo del destino di un impero. «Se sei d'accordo convoco subito una assemblea di classe.» Nel frattempo gli fece capire che si stava spostando verso la cucina, gli fece cenno di seguirla per portare tutto il necessario e apparecchiare definitivamente la tavola. Cominciarono a sistemare tutto insieme, sul grande tavolo di legno che Hugh aveva fatto personalmente per la casa della figlia, che conservava le venature della quercia che era stata abbattuta da un temporale vicino il ranch ed era stata ritagliata a nuova vita per evitare che venisse bruciata. Non era stata molto convinta dell'idea pensando che non avesse nulla di estetico, ma invece con un tocco della mano di suo padre quel tavolo sembrava uscito dalla copertina di un catalogo di un designer italiano.
    «Amelia, Jake, dove siete finiti? È pronto!» Urlò, praticamente, sapendo che le dimensioni della casa richiedevano che alzasse la voce - sperando di non sembrare una matta isterica - e poi guardò Ethan ridendo, a fatto compiuto, senza che avesse avuto il tempo di avvisarlo prima. I bambini erano di nuovo spariti in qualche angolo della grande casa che era diventata un parcogiochi incredibile nelle avventure di Amelia. «Prima che arrivino i bambini. Ho pensato una cosa. Ti chiedo se sei d'accordo prima di proporlo a tavola, ecco, altrimenti non ti preoccupare.» Tutte quelle idee e la rabbia per i genitori che ignoravano Ethan le diedero da pensare, e il pensiero di suo padre unito al discorso aveva fatto il suo. «Ti andrebbe di portare Jake a fare ippoterapia? Amelia passa molto tempo con i cavalli, e mio papà e Caleb gestiscono il ranch apposta per aiutare i bambini a gestire le proprie emozioni... Se ti facesse piacere, insomma so che molti genitori hanno paura che cadano da cavallo, però potrebbe essere una bella idea.» Cornelia come sempre aveva mille idee e voleva sempre contribuire a trovare mille congetture per aiutare. Caleb era il secondogenito della famiglia e faceva quel lavoro da molto tempo, nel ranch a pochi passi da lì facevano miracoli per casi molto più complicati, come bambini con deficit di comprendonio. Gestire le emozioni era importante per tutti, e forse era un'idea geniale per Amelia e Jake e far passare tempo insieme in maniera costruttiva. Ma non l'avrebbe detto a Jake prima che suo padre si fosse mostrato d'accordo.
    A quel punto i bambini si fiondarono in cucina, e Cornelia tornò in cucina per tirare fuori lo sformato di verdure e formaggio che aveva preparato come prima portata, e dopo aver servito le porzioni e ascoltato le chiacchiere generali si sedette anche lei versandosi un bicchiere d'acqua, in attesa della conversazione.
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    Si limitò a sorridere quando Cornelia gli disse che per lei era un sollievo togliere le scarpe e sentirsi finalmente a suo agio. Era una cosa a cui lui non aveva mai badato molto. A volte rientrava a casa e impiegava ore prima di ricordarsi di avere ancora addosso le scarpe, preso com'era dai pensieri e dalle preoccupazioni. Viveva con il pensiero di dover essere sempre pronto per qualcosa, di doversi aspettare che, da un momento all'altro, qualcosa lo avrebbe strappato alla tranquillità della sua casa costringendolo a muoversi di fretta e furia. La pace, quella vera, mancava da tempo dalla sua vita e mai fino a quel momento se ne era reso conto davvero. Da quanto tempo non si prendeva un momento solo per sé, per ascoltare quello che voleva davvero? Per capire quale fosse la giusta direzione? Si diceva sempre che non ne aveva il tempo, che non era il momento adatto, ma forse la sua era solo paura di capirsi, di ammettere che a volte sentiva un vuoto così grande da chiedersi se fosse rimasto ancora qualcosa dentro di lui. Gli bastava guardare Jake però per ritrovare la sua stella polare e cancellare tutti i pensieri più bui, ma gli sarebbe tanto servito avere qualcuno con cui condividere almeno parte dei suoi pesi, sebbene sino a quel momento si fosse strenuamente opposto. Non voleva accettare nuove conoscenze, non solo a livello sentimentale ma anche di relazioni amicali, preoccupato dal fatto che questo volesse dire riempire un po' del vuoto che Mina aveva lasciato e che lui custodiva gelosamente. Si era detto che stare da solo era un po' come averla ancora con sé, come lasciarle per sempre da parte il posto che le sarebbe sempre spettato. Solo con Cameron, Lars e Elias ogni tanto si lasciava un po' andare, recuperando la parte più allegra e serena di se stesso, ma oramai diventava sempre più difficile incontrarsi e trovare uno spazio in mezzo agli impegni della vita adulta, che occupava gran parte del loro tempo.
    Fece scivolare via quei pensieri quando sollevò di nuovo lo sguardo su Cornelia, sempre così sorridente e radiosa da sembrare un sole che illuminava la stanza, in contrapposizione alle ombre che lui sentiva di portarsi sempre dietro, malgrado la sua particolarità. Seguì quel piccolo sole all'interno delle mura della sua casa, facendosi guidare verso i bambini e poi verso l'organizzazione del pranzo. Scherzarono insieme sul vecchietto che le aveva fatto una proposta di matrimonio sin troppo veloce e ammirò la sua capacità di scherzare anche sulle difficoltà e sul suo matrimonio finito male. -Già - si limitò a dire, non riuscendo ad affrontare quel genere di questioni. Parlare di matrimoni reali lo riportava al suo e a Mina. Erano passati tanti anni ormai, eppure la ferita non accennava a rimarginarsi e bastava una parola per farla riprendere a sanguinare come se non fossero passate che ore dal momento in cui era stato costretto a dirle addio. La parte più romantica di lui aveva sempre creduto che esistesse una sola persona destinata alla vita di un individuo e che nessun'altra avrebbe mai calzato allo stesso modo. La sua era andata, prosciugata da un male insanabile che non le aveva lasciato il tempo di vedere suo figlio crescere, di vivere una vita piena e felice, chissà invece se per Cornelia era diverso, se la sua metà era ancora in giro per il mondo, ad attenderla. Era certo che meritasse una felicità vera, autentica, ma non era la persona più indicata per dare consigli in ambito amoroso.
    Annuì quando Cornelia gli chiese del suo lavoro, mostrandosi molto comprensiva sulla faccenda. -Sì a volte mi chiedo se non aspettino proprio gli ultimi giorni prima di comunicare le loro perplessità, ben consapevoli di metterti nei guai. - mormorò, per poi scuotere la testa e ridacchiare appena. Non lo credeva davvero, sapeva che raramente i committenti conoscevano tempi e modalità di presentazione delle pratiche, ma il loro tempismo era sempre così accurato da fargli sospettare che avessero un sesto senso nascosto. Erano rare però le volte in cui riusciva a vederla come una cosa divertente e non come una piaga che si abbatteva su di lui senza tregua. -Però a volte ci sono anche delle belle giornate. - aggiunse, per non farle pensare che il suo fosse un pessimo lavoro e basta. Gli piaceva quello che faceva e vedere delle persone felici di avere davanti ai propri occhi la casa che avevano sempre desiderato sapeva infondergli una certa gioia, ma non sempre le cose andavano nello stesso modo. -Il problema principale sono alcuni clienti, noti per fare perdere un sacco di tempo, con cui non si prendono degli accordi scritti per tempo. - spiegò ancora, cercando di fare comprendere meglio a Cornelia la faccenda. Il più delle volte il problema era il suo capo che accettava lavori impossibili o sottostava ad accordi che non stavano né in cielo né in terra solo per non perdere un cliente, sapendo che tanto sarebbero stati i suoi dipendenti a dover fare il diavolo a quattro per fare quadrare le cose e che lui se ne sarebbe invece lavato le mani. Era quella la cosa che gli dava più fastidio e che lo portava a desiderare una vita diversa, più libera, più sua. -Per quello mi serve tanto coraggio e un bel paracadute. - le disse, sulla questione di mettersi in proprio. Stava mettendo da parte un po' di soldi che lo aiutassero nel primo periodo, durante la ricerca di clienti e fino ai primi pagamenti, ma ancora non era convinto che fosse la scelta giusta. Certo, gli avrebbe dato più libertà e orari più flessibili, ma non avrebbe più avuto la sicurezza di uno stipendio che gli permetteva di dormire tranquillo, sebbene non proprio felice.
    -Ti ringrazio molto dell'offerta e credo proprio che ne approfitterò. - aggiunse poi, con un sorriso un po' più sereno quando lei le offrì aiuto per andare a prendere Jake o per tenerlo nel pomeriggio in caso lui fosse stato trattenuto da impegni improrogabili, dicendogli che anche i suoi genitori erano sempre disponibili per stare con Amelia e lo avrebbero fatto volentieri anche con Jake. -Cavolo, è da tanto che non li vedo, come stanno? - domandò, rendendosi conto che dovevano essere passati anni dall'ultima volta che era andato a casa loro e non direttamente da Cameron e che non partecipava a uno dei loro pranzi di famiglia. Aveva sempre guardato ai Blackthorne come a una famiglia modello, qualcosa che anche lui avrebbe voluto avere almeno una volta nella vita. Erano una famiglia unita e molto affiatata dove tutti i problemi sembravano risolvibili, sempre allegri e disponibili. Anche la sua famiglia un tempo era stata felice, prima dell'incidente di Peg, che aveva messo tutto a soqquadro. L'incidente di Peg, era così che lui lo chiamava nella sua mente per non dover ammettere qualcosa di peggio. Non avevano mai saputo che fine avesse fatto sua sorella, se qualcuno l'avesse rapita o peggio. Nessun corpo era stato trovato e nessuno aveva dato segnalazioni che facessero credere che era viva, da qualche parte. Dopo i primi tempi non ne avevano più parlato tra di loro, eppure il suo spettro aleggiava ancora tra le mura della casa e in particolare sul suo rapporto con Jonas che non si era più risistemato. Si ritenevano entrambi responsabili dell’accaduto e credevano che non esistesse nulla per potersi meritare il perdono. Non avevano mai capito che, insieme, sarebbe stato molto più semplice andare avanti.
    Le raccontò della lite che Jake aveva avuto con un altro compagno di scuola e dei problemi che erano seguiti a quella vicenda. Gli venne quasi da ridere quando lei, in presa a una certa rabbia, definì gli altri genitori come un gruppo di imbecilli. Lo rincuorò un po’ sapere di non essere solo e che, almeno lei, sembrava essere dalla sua parte. -No, preferirei di no. - mormorò, guardando di sottecchi verso la porta per assicurarsi che suo figlio non fosse nei paraggi. -Jake non voleva parlarne e credo che mettere questa cosa al centro di una discussione di classe lo metterebbe ancora più a disagio. - le spiegò con un leggero sospiro e il tono di voce ancora basso e un po’ preoccupato. Sapeva che in teoria la sua idea era la cosa migliore da fare, ma era preoccupato dell’impatto che avrebbe potuto avere su suo figlio. -Preferisco aspettare ancora un po’, tentare un altro approccio con i genitori e aspettare di vedere se capita di nuovo. - terminò poi, non troppo convinto ma abbastanza deciso sul da farsi. Non voleva farne una questione di Stato e sperava che si sarebbe trattato di un solo e singolo episodio. Forse anche l’altro bambino stava passando un brutto momento, forse c’era qualche problema di cui non erano a conoscenza e aveva reagito male. Per una volta voleva sperare che non ci fosse solo del male nelle persone. Si mossero verso la cucina per preparare tutto il necessario per il pranzo per poi cercare di richiamare i bambini all’ordine e invitarli a raggiungerli per il pranzo. La proposta di Cornelia di far trascorrere a Jake del tempo con i cavalli lo lasciò perplesso e senza parole per un momento. Non ci aveva mai pensato, ma in effetti fargli cambiare aria e cercare dei nuovi interessi avrebbe potuto fargli bene. Gli animali potevano fare miracoli in alcuni casi, anche lui aveva sempre desiderato averne uno e visto che non poteva permettersi di prendere un cane e stare dietro anche ai bisogni dell’animale, forse il ranch poteva venire loro incontro. -Sì, sì è un’idea fantastica. - disse, con un sorriso felice, giusto un momento prima che i bambini li raggiungessero di corsa. -Che cosa è una fantastica idea papà? - chiese quindi Jake, incuriosito dalla frase e dall’idea che potesse esserci una sorpresa in arrivo, mentre si accomodava a tavola, guardandolo con i suoi grandi occhioni scuri. -Cornelia ha una proposta da farti. - rispose lui, guardando la donna, che tornava in tavola con lo sformato di verdure e formaggio, lasciando che fosse lei a fargli quella domanda. Non voleva certo prendersi i meriti di qualcosa che non era stato lui a pensare. Si alzò per darle una mano a sporzionarlo mentre aspettava che lei parlasse ai bambini. Un urlo felice si espanse dalle labbra del figlio quando lei gli propose di trascorrere un po’ di tempo al ranch con i cavalli. -Davvero papà? Davvero? - domandò, euforico e lui rispose con un semplice cenno del capo e un sorriso. -Ora però comportati bene e non urlare così a tavola. Non è educato. - lo sgridò, con un’occhiata più seria, mentre si riaccomodava e, dopo aver dato il buon appetito, iniziava a mangiare il favoloso sformato di Cornelia. -Vi siete divertiti oggi a scuola? Avete imparato qualcosa di nuovo? - domandò, tra un boccone e l’altro, cercando di tenere viva la conversazione. Non guardò l’orologio, non voleva sapere quanto tempo gli rimaneva ancora prima di dover tornare al delirio dello studio. Aveva bisogno di quei pochi momenti di tranquillità, di un pranzo trascorso senza troppi pensieri.
    Amelia fu ancora una volta la prima a raccontare della giornata, mentre Jake ci pensò un po’ prima di parlare. -Oggi abbiamo letto una storia in inglese. - disse, limitandosi a parlare delle lezioni, senza raccontare di possibili giochi o chiacchiere con altri bambini. Guardò Cornelia con la coda dell’occhio mentre portava la seconda portata, nella speranza che lei avesse qualcosa di meglio da dire. Era complicato per lui sapere che suo figlio aveva un problema e non sapere fino in fondo che cosa fosse successo. -Ti va di restare qui con Amelia stasera a fare i compiti? - gli domandò, dopo un po’, chiedendo il suo consenso prima di decidere definitivamente. Il sorriso e il cenno di assenso gli fecero capire che anche Jake considerava quello un posto sicuro e che forse Amelia era una delle poche bambine con cui si trovava a suo agio negli ultimi tempi. -Bene, allora passerò a prenderti dopo il lavoro, appena possibile. - terminò. Non voleva chiedere ai suoi di passare a prenderlo e sperava davvero di non fare troppo tardi per evitare di abusare della pazienza di Cornelia. Osservò suo figlio versare l’acqua ad Amelia con un sorriso e anche lui si ritrovò a sorridere. Era felice che, nonostante tutti i guai degli ultimi tempi, anche lui riuscisse a trovare un po’ di serenità.
     
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