You don't need to save me, but would you run away with me?

Bellatrix ft. James | Rainbow lounge restaurant | 05.10.2022

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    Spinse la porta d'ingresso, una mano spiaccicata sopra al vetro e una sulla grande maniglia tubolare del locale. Bellatrix entrò all'interno, il freddo che aveva lasciato all'esterno si tramutò in un tepore acuto e penetrante, che la costrinse ad abbandonare il cappotto rosso di lana che aveva indosso immediatamente, spogliandosi appena dopo aver fatto il suo ingresso all'interno del locale. Riconobbe il silenzio, quello che accompagnava da sempre il suo ingresso negli ambienti dove poteva essere conosciuta, riconosciuta, adocchiata, silenziosamente additata. Bellatrix sorrise, portando a casa un altro favoloso ingresso in un locale dalla sua. La sua particolarità stava da sempre, almeno da quando era entrata nella scena politica ed aveva guadagnato lo stipendio ambito a poter permettersi quello che poteva, in qualche modo, nel fatto di saper abbinare gli abbigliamenti giusti ad ogni occasione, e di saper fare la sua figura sempre e comunque, attirando l'attenzione come la luce abbaglia la falena notturna. Nora avrebbe definito il suo attire sopra le righe ma avrebbe detto che era perfetta, non sbagliava mai, e lei si sarebbe definita impeccabile. Se solo avessero saputo quanto tempo dedicava a pensare il suo guardaroba, e a decidere cosa andava fatto, cosa doveva essere comprato, cosa gettato nella pila degli scarti, cosa conservato per le grandi occasioni.. Bellatrix rappresentava davvero il pacchetto completo. Era intelligente, bella, e passava moltissimo tempo a preparare i suoi discorsi come il suo abbigliamento, a definire stategicamente i pro e i contro di qualsiasi uscita fuori casa e di qualsiasi discorso. Valutava minuziosamente la vita che percorreva, valutava le parole che spendeva, e le parole che doveva ricordarsi di utilizzare. Bellatrix non aveva scelto una vita ambiziosa, era quella vita che aveva scelto lei: cavalcava l'onda della semina che aveva effettuato, aspettava la tempesta che doveva giungere. Un difetto aveva anche lei dalla sua: sapeva di non essere una persona qualunque. Sapeva che il tempo e le energie che spendeva dietro un incarico non erano questione da niente, e che gli altri non l'avrebbero mai pensata come lei. Tutto quello che faceva aveva un significato, e tutto quello che compiva era chiaramente articolato, e spesso non era facile da organizzare. Ecco che l'uscita a quel locale, quel giorno, quella sera in particolare, non era nata come frutto di un caso, ma la scelta di quel preciso locale era stata improvvisata, dovuta e purtroppo attutita come meglio poteva.
    Bellatrix era nel momento migliore della sua vita. La campagna elettorale stava dando i suoi frutti. Il suo nome era effettivamente sulla bocca di tutti, e finalmente le nuove elezioni la indicavano come candidata migliore al seggio preposto per l'amministrazione cittadina. Se fosse stata eletta molte cose sarebbero cambiate: il suo stipendio, tanto per cominciare, sarebbe cresciuto quattro volte quello che prendeva in quel momento, avrebbe abbandonato i lavori superflui, la possibilità di effettuare ricerca in università e di destreggiarsi in discorsi che puntavano alla candidatura. Adesso si sarebbe concentrata nel lavoro effettivo, nel taglio delle spese e nella direzione del futuro, negli investimenti in azioni sensate, alle persone giuste, al lavoro giusto e ai settori migliori. E lei era così eccitata per quello che sarebbe potuta svenire seduta stante, in quel momento, ma per fortuna non dimenticava mai che il più delle volte si trovava di fronte alle persone. Si lasciò andare ad un gesto semplicissimo, si bagnò le labbra alla ricerca di un posto per sedersi. Il Rainbow non rientrava nei locali preferiti sulla sua scena, non era tra i posti che frequentava. C'era un preciso perché dietro quella decisione: fino a quel momento era rientrato tra i locali che frequentava sempre ed incondizionatamente la persona del partito opposto, Garrett Olsen. Quello che cambiava allora però era che quell'uomo era così improbabile che venisse considerato per l'elezione che finalmente le dava l'agio necessario a frequentare anche il Rainbow. Ci erano voluti anni, e mesi di campagna elettorale massiva, del supporto dei suoi colleghi, di Holden come suo assistente tuttofare, e della sua fidata Nora. Finalmente poteva varcare anche le porte di quel locale senza sentirsi fuori posto: ciao ciao Garrett, adesso mi faccio posto da me.
    Il vestito che aveva indosso Bellatrix faceva presupporre che la serata sarebbe continuata per la donna. Indossava un pezzo unico in nero, lungo fino ai piedi, di maglina, che nascondeva e mostrava allo stesso tempo tutto il corpo che l'attività fisica e lo yoga le avevano regalato: un corpo flessuoso senza pieghe, estremamente curato, frutto di una dieta bilanciata e di allenamento costante. Quanta fatica e quanta soddisfazione le portava tutto quell'impegno, eppure ogni tanto, se ne sentiva gratificata. Trattenne il suo cappotto in mano finché una ragazza vestita in un tailleur bianco non venne ad accoglierla all'ingresso. «Signora Doyle, è un piacere accoglierla. Che tavolo possiamo riservarle per stasera? Aspetta ospiti?» Bellatrix sorrise cordiale, il suo solito sorriso di fabbrica a labbra strette, storto e tutt'occhi, gli occhi turchesi posati sulla ragazza che era stata assegnata all'accoglienza nel locale. «Grazie. Stasera sono sola, cenerò al bancone.» La ragazza sorrise, facendole strada al suo posto. Bellatrix aveva pensato adeguatamente l'uscita in quel locale, pensando di poter prevedere il suo arrivo e l'orario della sua uscita di scena, senza attardarsi troppo ma facendo intendere che la serata per lei sarebbe sicuramente seguita in altro modo. Era stato Egon ad accompagnarla lì, brontolando per tutto il tempo che per andare, bere e cenare avrebbe potuto anche sistemarsi e vestirsi in altro modo, evitando di lasciar intendere cose superflue alla gente nei dintorni, e lei lo avrebbe rimbeccato dicendo di chiamare la gente elettori. C'era sempre un motivo a tutto quello che Bellatrix decideva, e quella era l'ennesima prova. Camminò lentamente, con la grazia che la contraddistingueva, quando la ragazza tornò da lei dopo aver lasciato il cappotto altrove, avvicinandosi a lei e seguendola lungo il corridoio che la introduceva direttamente al bancone del locale. Il ristorante, da quello che ricordava lei, aveva fatto enormi passi in avanti: si era tramutato da un semplice diner a qualcosa di diverso da una tavola calda, acquisendo uno status, una icona e un target di clienti precisi. La proprietaria aveva fatto lunghi passi in avanti per arrivare fino a quel punto, e alla fine della serata, se tutto fosse andato bene, le sarebbe piaciuto anche salutarla. «Grazie cara.» Sussurrò, quando la ragazza la accompagnò al bancone, al suo posto, sola, in una fila di sedie su trespoli alti, sgabelli bianchi e bancone in legno chiaro tipo rovere, un locale dai colori neutri e dai toni che richiamavano il verde tiffany. Bellatrix spiccava con il suo completo nero elegante rispetto al resto dei clienti del locale, vestiti eleganti ma con un dress code meno formale. Si sedette sullo sgabello agevolmente, aiutata dall'altezza che possedeva che l'aveva sempre aiutata più del lecito, la ragazza avvampò per il cara che le aveva assegnato, le posò tra le mani la lista dei drink del locale, e lei si acclimatò con un sorriso che pronunciava appena i suoi denti bianchissimi. Bellatrix socchiuse gli occhi, leggendo la lista dei drink, e facendo ondeggiare con la mano sinistra i capelli biondi dritti e stirati al di là della sua spalla, dietro le scapole. Ancorò il tacco dalla suola rossa, di marchio inconfondibile, al di sotto dello sgabello, e posò la mano destra con gli anelli vicino al collo alto del vestito simil maglione, nero, che indossava. Sorrise a denti stretti, trattenendo come sapeva sempre fare l'emozione, beandosi delle occhiate di tutti i presenti che guardavano solo lei. In attesa che arrivasse qualcuno a servirla, cercò con la mano sinistra il cellulare nella borsa minuscola, che conteneva solo esso, il suo rossetto, e le chiavi di casa, digitando velocemente un messaggio a sua sorella Vega.
    CITAZIONE
    @Vega: missione compiuta, sono arrivata. Domani ci vediamo e studiamo insieme le possibilità per l'istituto. Love you little sys.

    Era Vega la sua debolezza, il suo tallone d'Achille. Lei sapeva che qualsiasi cosa fosse successa la sorella sarebbe sempre stata lì per lei a ricordarle di essere umana, e non una semi-dea come professava di essere, lei e suo fratello Sirius. Ma fintanto che si trovava fuori dal loro radar e poco impegnata a sorvegliarli, non aveva problemi. C'erano molte cose che avrebbe dovuto organizzare, quando la sua vita sarebbe cambiata, ma fino a quel momento abitare con loro significava avvisare dei suoi spostamenti e, cosa che faceva volutamente, raccontare delle sue giornate, giustificare i suoi spostamenti. Spesso le toccava aspettare di concordare con Egon quando e come farlo, ma per allora era tutto filato liscio. Posò via il telefono, lasciandolo al sicuro nella borsa, prima di poggiarsi al bancone, dritta con le spalle, e riprendere con la mano sinistra la lista dei cocktails. Poteva davvero pensare di scegliere qualcosa che non fosse un Old Fashioned? Era pur sempre la sua serata libera e poteva bere super alcolici senza problemi, il giorno dopo le sarebbe toccato la palestra o rimediare alle calorie, ma non era un problema della Bellatrix del presente, lo sarebbe stato di quella del giorno dopo. Si sistemò sullo sgabello alzando la seconda gamba, quella con lo spacco vertiginoso lungo fin sulla coscia, per sedersi composta, ma direttamente in vista con il resto del locale e dei commensali. Si sentì indecisa se fosse il caso di prendere un bicchiere che fosse tra i drink firmati dal locale, di creazione esclusiva del barman del posto, perché forse sarebbe valsa la pena aspettare di sentire un suo parere e far gli onori di casa di chi non conosceva? Perciò si ravviò i capelli, e si umettò di nuovo le labbra, alzando lo sguardo alla figura che sembrava avvicinarsi in quel momento a lei, proprio di fronte a dove si sedeva. «Ciao. Cosa mi consigli per stasera?» Alzò gli occhi sulla figura, e qualcosa si spezzò nella sua compostezza. Gli occhi turchesi vacillarono, guardarono meglio il ragazzo che aveva di fronte, e poi li riposarono su di lui con più forza. Capelli castano rossicci, figura curata, mascella scolpita, occhi azzurri come quelli di un principe. Dovette ricredersi e ricordarsi di non avere solo due talloni d'Achille, perché ne aveva un terzo che non aveva mai superato, e purtroppo mai dimenticato. «James.» Lo sussurrò come un'affermazione, incrociò le braccia sul bancone e si sforzò, con, davvero, tutte le sue forze di non chiedere nulla di affrettato. Sirius il giorno successivo sarebbe morto per mano sua, maledetto disgraziato, perché non le aveva mai detto che James lavorava al Rainbow, e lei era una stolta se aveva pensato di aver studiato la sua serata in ogni piccolo, minuscolo particolare. Quanto era passato da quando si erano incontrati, lui e lei? E quanto da quando aveva dovuto scordare di avere una cotta colossale per l'uomo che era stato l'amico del fratello che non aveva mai guardato nella direzione della sorella minore, per la precisione, della gemella bionda?

    'misia 💥
     
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    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

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    Erano passati anni ormai da quando aveva deciso di trasferirsi a Besaid per mettere quanta più distanza possibile tra lui e il suo amore finito male. Era convinto che non si sarebbe più ripreso da quella rottura e che non sarebbe riuscito a sentirsi a casa da nessuna parte. Invece, aveva imparato ad ambientarsi, aveva trovato nuovi amici, aveva persino pensato di innamorarsi di nuovo, finendo ancora una volta scottato. L’unica cosa che non era cambiata, in tutti quei mesi, era la sua avversione per la particolarità che quel posto gli aveva dato. Ancora faticava a conviverci. L’aveva usata così tanto nei primi mesi, preso dall’euforia della novità e dal pensiero di essere simile a un supereroe, da perdere la sensibilità alle mani e alle braccia e la cosa l’aveva spaventato incredibilmente. Aveva temuto di non riuscire più a provare nulla, di non poter più recuperare la sensazione di caldo o freddo, di morbido o duro, di non poter più sentire come faceva un tempo. Ne aveva avuto così paura che le cure che gli avevano dato in ospedale non gli erano bastate e aveva quindi cercato aiuto in altri centri di supporto, dove persone come lui, spaventate da quel potere, o incapaci di usarlo, si raccoglievano in cerca di conforto e di una spinta per andare avanti. Era lì che aveva conosciuto Max, finendo anche con l’intessere con lei una breve relazione, prima che entrambi si rendessero conto di essere ancora presi da un’altra persona e lasciarsi di comune accordo. Non aveva smesso però di recarsi al centro e di aiutare quando poteva. Era piacevole essere d’aiuto a qualcuno, gli permetteva di vedere uno spiraglio di luce anche nelle giornate più faticose, di sentire che anche la sua vita aveva uno scopo. Forse era anche quello il motivo che lo aveva spinto a diventare un barista. Certe sere si sentiva un po’ come uno psicologo, o quanto meno un confidente, la persona a cui i clienti affidavano i propri segreti e problemi, nella speranza di ottenere un buon consiglio.
    James amava il suo lavoro, per quanto semplice o banale potesse apparire agli occhi di molti. Non era mai stato un uomo ambizioso, sebbene in tenera età avesse sognato di diventare un famoso giocatore di basket e intraprendere una carriera in quell’ambito. Un brutto infortunio lo aveva subito fatto scendere dal suo piedistallo, costringendolo a trovare una nuova strada per se stesso, una più adatta alla persona che era o a quella che aveva intenzione di diventare. Se fuori dal lavoro si sentiva un uomo comune, di compagnia certo e sempre con il sorriso sulle labbra, ma comunque simile a tanti altri, dietro il bancone invece si sentiva una persona completamente diversa. Dalla sua postazione privilegiata gli pareva quasi di poter leggere dietro i volti delle persone, di interpretare i loro silenzi e cercare di cogliere ciò di cui potevano avere bisogno. Era diventato bravo, negli anni, a ideare cocktail su misura, facendosi dare giusto qualche dettaglio da chi aveva davanti. Altre volte, addirittura, azzardava qualcosa basandosi soltanto su occhiate e impressioni, sul modo di porsi o di sedersi, sul tono della voce o sul modo che le persone avevano di guardare, rimanendo sempre piuttosto soddisfatto quando riusciva a indovinare i gusti delle persone, scorgendo sorrisi sorpresi ma felici sui loro volti. Si sentiva un artista, a modo suo. Non certo come quelli che esponevano le opere nelle gallerie o nei musei, no, lui era un artista della vita comune e i suoi strumenti erano bottiglie, bicchieri, cucchiaini, shaker, pestelli e tanti altri accessori. E aveva anche lui una tavolozza di colori da mischiare per rendere i suoi prodotti belli e invitanti, oltre che tutta una serie di gusti che andavano uniti in maniera attenta e ben calcolata. Bastava davvero poco per esagerare un gusto e rendere quindi un cocktail assolutamente imbevibile. Lo sapeva bene perché aveva sperimentato molto prima di riuscire a ottenere un buon equilibrio. Aveva assaggiato tante di quelle schifezze che a volte si era chiesto come fosse possibile che fosse ancora vivo e completamente in salute.
    Indossò la sua giacca di pelle sopra il maglioncino grigio e, con le mani ben infilate nelle tasche dei suoi jeans, si diresse verso l’interno del Rainbow, pronto per il suo turno lavorativo. Quel giorno gli toccava il turno di sera che, sebbene fosse il più impegnativo, era anche il suo preferito. A pranzo di solito il locale era frequentato da giovani coppie, uomini e donne d’affari che usavano il locale per pranzi di lavoro, colleghi di vari uffici che sfruttavano la posizione centrale del luogo per fare una breve pausa. La sera, invece, il locale si colorava in maniera completamente diversa, andando a raccogliere una clientela molto più varia, fatta di persone solitarie o piccoli gruppi, amici che si recavano lì almeno una volta a settimane o individui che ci finivano per caso. Spinse la porta di ingresso, beandosi per un momento del silenzio che precedeva la tempesta che sarebbe arrivata lì a momenti, quando il locale avrebbe iniziato a riempirsi. Era incredibile come un posto potesse mutare completamente in poche ore grazie all’atmosfera che si respirava all’interno. Allungò la mano in direzione di Dean, salutandolo velocemente mentre l’altro portava una cassa sul retro. Dovevano essere arrivate le nuove provviste, le avrebbe controllate e sistemate a fine serata. Lasciò la giacca sull’appendiabiti e infilò il suo grembiule nero, con lo stemma del locale, andando poi a prendere posizione. Sarebbe stata una serata lunga, ma non vedeva l’ora di iniziare.

    Posò l’ennesimo drink sul bancone, rivolgendo un sorriso e un occhiolino in direzione delle due ragazze che si erano accomodate al bancone per non trattenersi troppo a lungo. Colse con la coda dell’occhio un guizzo rosso proveniente dalla porta di ingresso, ma non fece in tempo a voltarsi per capire cosa fosse che questo era già sparito. Scosse il capo, immaginando di esserselo sognato, mentre le ragazze lo ringraziavano e riprendevano le loro animate chiacchiere sui ragazzi con cui stavano uscendo in quell’ultimo periodo. Si mosse di un metro, raggiungendo un signore sulla sessantina che aveva preso l’abitudine di recarsi al locale sempre lo stesso giorno della settimana, sempre alla stessa ora. Ordinava un whisky e delle costolette, gli raccontava alcuni aneddoti sulla sua vita e in particolare della sua defunta moglie, Lorraine e poi, dopo avergli lasciato una mancia sostanziosa, tornava a casa, con il sorriso sulle labbra e la sensazione che sua moglie fosse ancora lì con lui, grazie ai suoi racconti. Si era affezionato al vecchio William e si chiedeva se quella particolare cerimonia sarebbe durata ancora negli anni o se c’era qualcosa che non gli aveva rivelato nel suo sguardo che, giorno dopo giorno, si faceva sempre più fosco. Percorse a passi veloci tutto il bancone verso destra, accogliendo gli ordini dei nuovi clienti, per poi spostarsi di nuovo completamente a sinistra, dove una figura bionda di era accomodata in completa solitudine. C’era qualcosa di familiare in lei che lo spinse ad avvicinarsi con passo più celere, per comprendere la ragione di quella strana sensazione. Quando la donna alzò lo sguardo verso di lui, per chiedergli un consiglio su cosa bere, un sorriso divertito comparve sulle sue labbra, schiarendo immediatamente tutti i dubbi. Ma certo che la conosceva, o meglio, l’aveva conosciuta un tempo quando era solo la piccola Doyle e non la candidata di punta di uno dei partiti della città, il volto che campeggiava si lati delle strade, il nome sulla bocca di tutti. Anche lei parve riconoscerlo subito, cambiando immediatamente espressione. Abbandonò la tranquillità con cui aveva posto la domanda per rivolgergli un’espressione quasi confusa mentre mormorava il suo nome. -Miss Doyle. - la salutò lui, con un cenno del capo piuttosto serio ma un sorriso e un leggero occhiolino a suggerire, solo a lei, che ricordava bene il suo nome e le giornate trascorse insieme nel periodo dell’infanzia. Se aveva evitato di rivolgersi a lei in modo colloquiale era solo perché aveva seguito la sua campagna, a distanza, e non sapeva quindi come lei voleva farsi chiamare.
    Poi, si avvicinò appena, così da poter sussurrare il resto del suo discorso senza che le altre persone al bancone potessero sentirli. Il suo profumo gli invase le narici, segnando un confine netto tra la ragazzina che profumava di fiori e quella donna che invece odorava di eleganza e successo. -Devo dare un consiglio alla piccola Bella? O alla risoluta Miss Doyle? - domandò, per poi lasciare che un sorrisetto irriverente gli tingesse le labbra di nuovo, per un momento. -Non sono sicuro di conoscere la seconda. - aggiunse quindi, per poi fare di nuovo un passo indietro e allontanarsi da lei, lasciandole il suo spazio, mentre, senza aspettare una risposta, iniziava ad armeggiare con i suoi strumenti, lasciandosi ispirare dalle sensazioni del momento. No, non conosceva affatto la donna che era diventata, ma sapeva da dove era partita e chi era stata, almeno in passato. Partì con il whisky come base, irlandese ovviamente, non poteva certo sbagliare in quello. Poi aggiunse del ginger ale, la grappa alla pesca, il succo d’arancia e due cucchiaini di miele, terminando con una fettina d’arancia e del ghiaccio, una reinterpretazione dell’Oro irlandese, solo per lei. -Questo lo offre la casa. - disse, lasciando il cocktail davanti a lei, mentre si spostava qualche minuto per servire una nuova coppia di clienti che si erano seduti al lato opposto del bancone rispetto a quello dove si trovava Bellatrix. Sicuramente un cameriere l’avrebbe raggiunta presto per prendere il suo ordine relativo alla cena e allora, sulla base della sua scelta, avrebbe potuto consigliarle meglio che cosa bere per continuare la sua serata.
    Guardò con la coda dell’occhio nella sua direzione mentre sbrigava alcune comande arrivate dai tavoli, preparando i drink per due tavolate da sei. Impiegò alcuni minuti poi, dopo essersi accertato che la attenzione non fosse richiesta da nessuna parte, si riavvicinò a lei. -Allora? Ho indovinato? - chiese, piuttosto curioso di capire se fosse riuscito ad azzeccare i suoi gusti o se invece fosse il caso di affidarsi a un cocktail più noto, che andava bene più o meno con tutti. -Ho seguito la campagna. Posso ancora rivolgermi a te come a un’amica, o dobbiamo fingere di non conoscerci affatto? - domandò, sfruttando il brusio crescente per porgli più apertamente quella domanda. In effetti era una notizia da sapere se mai avesse deciso di frequentare il Rainbow più spesso. Da quando aveva iniziato a lavorare lì non l’aveva mai vista e nessuno aveva fatto menzione della sua presenza. Si chiedeva quindi se se lo fosse perso o se fosse invece la sua prima volta lì. -Come stai? Ti trovo bene. - aggiunse, prendendosi un po’ di confidenza e cercando di avere qualche notizia da lei. Aveva visto Sirius qualche mese prima e gli aveva raccontato alcune cose, ma sentire le notizie dai diretti interessati era sempre un’altra cosa.
     
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    C'era una volta una ragazza che viveva accanto al camino. Come una moderna Cenerentola dei nostri giorni passava ore di fronte al fuoco, la allietava, e la faceva viaggiare con l'immaginazione, donandole calma e forza. E seppur facesse un gran rumore di disappunto in casa, e si opponesse sempre ai suoi genitori, era anche a lei che toccava ripulirlo. Passava i giorni con le guance sporche di fuliggine e carbone, nessuno si premurava di lavarglielo via finché non era lei al bagno successivo che aveva a disposizione a poterselo togliere dal viso. Nessuno avrebbe immaginato che sarebbe mai diventata qualcuno, era solo un soldo bucato.
    Quella ragazza era Bellatrix Doyle, e a quel tempo veniva chiamata la fatina del carbone (fairy coal) di Howth
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    Era passato così tanto tempo da quando l'aveva visto che non poteva credere ai suoi occhi. Quel secondo - o quella manciata di secondi - che aveva speso a riprendersi dall'emozione era stato notato: se non da lui, almeno da lei. Gli attimi di défaillance che erano passati per ricomporsi erano stati già troppi, e per Bellatrix era difficile immaginare di essere sembrata una sciocca ragazza, non una donna, non una adulta, ma la ragazzina di allora, del tempo perduto che avevano condiviso per qualche volta in un'altra terra, una decina di anni prima. Troppi ricordi guizzavano nella sua mente quando immaginava il suo passato, e se nel suo passato era stata follemente invaghita di James O'Neill tanto da essere canzonata costantemente dalla sua sorella gemella per quello, adesso nel suo presente si rendeva conto di quanto fosse arduo distaccarsi da quell'immagine imponendosi di essere superiori alla propria parte, conscia della sovrapposizione che subiva tra quella che era stata, e quella che era allora. Gli sorrise, con un sorriso spontaneo, non costruito, cercando però di imporsi nella sua emozione a non sorridere troppo, le guance appena visibilmente imporporate dall'imbarazzo del rivederlo - sperò che venisse scambiato e frainteso per il calore improvviso del locale rispetto al freddo fuori. «Onestamente non sapevo lavorassi qui. È stata una sorpresa, mi hai colto impreparata.» Glielo disse candidamente, come se avesse scelto le parole migliori per dirgli la verità senza però dire troppo di lei, di tutto quello di cui consisteva il suo imbarazzo, sperando effettivamente di non essere colta in flagrante nel tentativo. Le fece poco segretamente piacere essere chiamata Miss Doyle. Le piaceva il suo cognome, sapeva di casa senza ricordarle le sue origini, sembrava, quando lo raccontava, un cognome lontano e importante, il cognome del capostipite del genere del giallo, e un nome che tradiva una discendenza scozzese diverso dal ceppo della sua Irlanda. Come lei, anche quel nome dissimulava le sue origini e raccontava qualcosa di diverso, sapeva molto di più di tutto quello che era mai stata Bellatrix. E lei aveva deciso quel nome di non cambiarlo, appunto, neanche per la sua campagna elettorale, presentandosi esattamente per quella che era in quel momento. Avrebbe voluto chiedergli di getto come stesse lui, da tutto il tempo che era passato dall'ultima volta che si erano incontrati, ma si zittì stringendosi le mani attorno al grembo rendendosi conto che avrebbe dovuto dosare le sue domande senza gettarsi sull'uomo con tutte le sue curiosità e sui perché del caso. Si sorprese a pensare che era passato davvero tantissimo dall'ultima volta che si erano incrociati. James era stato amico storico di Sirius, e sapevano entrambi che erano lì a Besaid da tempo, ma il fatto di essere stretti, l'una per parentela e l'altro per amicizia del sacerdote in ogni caso aveva fatto si che sapessero qualcosa l'uno dell'altra ma mai troppo, e che comunque non si frequentassero loro due direttamente, chissà per quale motivo. Forse la scelta delle compagnie, le strade che avevano preso, erano nella vita della cittadina molto lontane tra loro. Per Bella ovviamente James rappresentava anche una vergogna viscerale sul passato che aveva avuto, non tanto quello che riguardava il suo contesto e i suoi sogni, la sua condizione e le costrizioni della famiglia, ma proprio per la grande infatuazione che aveva avuto per lui quando non sapeva vestire il suo corpo slanciato e nodoso e non sapeva ancora curare l'acne o acconciare i capelli. Il fiore era ben lontano dallo sbocciare allora. Si inorgoglì dunque, alzando bene il mento alla domanda allusiva che le aveva posto l'uomo. Tenne a freno i pensieri bruschi per un pò, rallentando le parole e aspettando che fossero vicini entrambi i loro volti, per guardare la sua espressione e chiedersi se fosse un modo di flirtare che non aveva mai conosciuto direttamente da James con la Bellatrix adulta, o un modo per canzonare la Bellatrix ragazza. Era una domanda che doveva lasciare per la fine della serata, perché le danze erano appena iniziate, e lei poteva avere tutte le supposizioni che voleva tra le mani ma non poteva saper nulla che fosse certo, senza alcuna possibile probabilità dalla sua. «Se invece la piccola Bella e la risoluta Miss Doyle fossero effettivamente la stessa persona, cosa consiglieresti basandoti su quello che vedi adesso e che immagini di sapere?» Incrociò le braccia sotto il suo mento, posando il volto tra le mani ancorate al bancone. Bellatrix era diventata brava a mascherare tutte le emozioni superflue, ed era determinata a continuare a farlo a lungo per i più disparati ambiti della sua vita. La paura era solo una nemica da tenere a bada, lei lo sapeva bene, e in tutte le occasioni si ricordava di pensare bene prima, a rispondere a tono, ad essere allusiva, a dire quello che voleva lasciando solo quando era necessario un margine di incertezza, abilità importantissima nel suo settore. Affrontare la paura, permettendo che passasse oltre e la attraversasse. Questo era il suo mantra, le svuotava i sensi rinnovandola di forza. James la guardava con occhi incuriositi, così come quelli di lei cercavano la sua figura lasciando trapelare un'interesse, che poteva significare tutto senza sapere di nulla. La danza continuava. Guardò James fare la sua magia, e districarsi tra le bottiglie colorate illuminate dalle luci soffuse del locale, passando da un bicchiere all'altro, al mixer e al ghiaccio, arrivando a completare la sua composizione. Si avvicinò a lei con la sua creazione tra le mani, e lasciò lo sguardo di James per concentrarsi davvero sul suo cocktail. Le sembrò di conoscere qualche sapore, immaginando i profumi che le aveva regalato. Sul whisky non poteva sbagliare, era il liquore di casa, secco e aspro, difficile e bellissimo come la sua terra. Le note dolci erano date da un sapore fruttato, e dal miele che si era amalgamato all'acidità complessa del super alcolico lasciandone scivolare i sorsi facilmente, le inebriò i sensi. Non ebbe modo di dire nulla a James prima che si fosse riavvicinato a lei, nel frattempo aveva scorso il menù sulla lista che le aveva lasciato il cameriere della sala, che era tornato a prendere le sue ordinazioni dopo aver lasciato il tempo di bere il cocktail insieme ad un piccolo benvenuto della casa. Ordinò un piccolo antipasto con un tagliere di formaggi, crostini, composte e foie gras, e il sapore dell'arancia nel suo drink omaggiato da James le fece scorrere velocemente la lista facendole scegliere subito l'anatra glassata all'arancia, una scelta insolita e apprezzata su di un menu in Norvegia, che strizzava l'occhio alla Francia, accompagnato da contorni di verdure tipici di quella terra. Quando James tornò da lei lo fissò dritto negli occhi, più a suo agio nel nuovo ambiente e più sicura istintivamente di dire la sua, complice anche l'alcool che aveva bevuto. «Una scelta molto apprezzata. Perciò alla fine a cosa ti sei ispirato di me per questa creazione?» Sottolineò il cosa, facendogli intendere che non aveva dimenticato l'argomento che avevano inziato prima. Bellatrix aveva appena iniziato a duellare con le parole, e la fune di conversazione che le aveva posto James non le dispiaceva neanche un pò. Il suo passato era forse strampalato come poteva, ma le ricordava quel sentimento ingenuo che aveva avuto per lui, e voleva indugiarci su per capire quanto di quel ragazzo da cui era attratta rimaneva ancora in lui, e quanto l'uomo che aveva di fronte ricordava chi fosse lei.
    Si indispettì parzialmente quindi, quando lui le chiese se dovessero far finta di non conoscersi. Probabilmente doveva solo considerarla come una domanda cautelativa, e volutamente scelta solo per tutelare lei, eppure, alzò appena un sopracciglio lasciando intendere vagamente quello che poteva pensare senza aggiungere altre parole, quasi inneggiando al fatto che fosse scontato il contrario, che dovesse assolutamente considerarsi off-limits dal suo passato, e che lui e lei non avevano proprio niente a che spartire. Ma durò per un attimo, e poi accompagnò il chiarimento ad una risposta gentile. «Certo che siamo amici La scelta di parole sul come definirsi non le piacque molto, e la rimaneggiò, parlando lui con un tono di voce basso, perché si intendessero solo loro, ma limpido, incatenando lo sguardo al suo. «Condividiamo un amico molto rompiscatole per lo meno da moltissimo tempo.» A quel punto lo fece lei l'occhiolino, inarcandosi sulla sua schiena per avvicinarsi a lui, terribile e felina come quando voleva esserlo. Il povero Sirius era citato nella loro conversazione e fece di nuovo capolino tra i suoi pensieri, la fece sorridere rendendo il suo viso dolcissimo e la posizione temibile, pronta a scattare come un puma. La campagna era stata tirata in ballo ed era arrivato il momento di parlarne a seguito della sua domanda. «La campagna va molto bene. Vediamo tra qualche mese cosa succederà.» Non si sbilanciò oltre, sapendo che tutto quello che diceva poteva essere usato contro di lei. Non era scaramantica, ma non si poteva mai sapere con i sondaggi e i pronostici. «Io sto bene, grazie.» Si fermò. Dopo aver detto del lavoro non sapeva cosa dire di lei. Non voleva lasciargli troppe parole tutte insieme, e non voleva dire frasi banali quali "sto al meglio di come potrei essere". Perciò gli sorrise, facendo intendere che se avesse chiesto di più, lei si sarebbe raccontata meglio. Ricambiò subito la domanda presa dalla conversazione, sapendo che aveva aspettato a chiederglielo per prima proprio perché aveva aspettato prendesse lui l'iniziativa. «Come stai tu invece? Non ci vediamo da... tantissimo. Da quanto lavori qui?» Pose la domanda rammentando le considerazioni che aveva fatto prima, il pensiero a Sirius, ed il fatto che non si vedessero davvero da molto, non si erano neanche più incrociati per qualche via o stradina di Besaid, e per un pò nella sua vita James non era balenato tra i suoi pensieri. Questa considerazione le sembrò amara, così tanto che continuò ad incalzare il discorso, come se fossero proprio due vecchi amici che si rincontrano e si sfidano di nuovo in una conversazione, misurandosi e cercando di capire quanto potersi esporre l'uno con l'altro. «È la mia prima sera al Rainbow, hai un compito molto importante, devi farmi innamorare del posto.» Lo specificò, chiara sul non sapere nulla del locale, e ambigua sul resto della frase. Non era mai stata in quel locale, e se non era mai venuta lì non era stato un caso che non si fossero più incontrati. Lasciò chiaramente nel mezzo una frase criptica, rimanendo salda e composta sulla sua seduta, e sapendo esattamente che tipo di effetto facesse alla gente una frase di quel tipo detta da Bellatrix Doyle.


     
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    Sorrise con aria divertita quando lei gli disse che non sapeva che lui lavorava in quel locale. -Perché? Sarebbe cambiato qualcosa? - domandò, curioso e irriverente come era sempre stato. Aveva trovato strano quel commento da parte sua, come se ci fosse stato qualcosa di non detto che lui non era riuscito a capire. Voleva forse dire che avrebbe evitato il locale se lo avesse saputo? O che al contrario si sarebbe fatta viva prima per incontrarlo? Il sorrisetto sornione che aveva sul volto sembrava chiederle qualche spiegazione in più. Se guardandola lui poteva dire di fare quasi fatica a riconoscere la ragazzina di Howth, lui era invece certo di essere rimasto sempre lo stesso, impossibile da confondere con qualcuno di diverso. In realtà, anche se lui non lo avrebbe ammesso, qualcosa era effettivamente mutato. Il luccichio che aveva avuto negli occhi quando era soltanto un ragazzo con grandi sogni si era fatto un po’ più offuscato in quegli anni, rimesso al suo posto da una serie di sfortunate circostanze che lo avevano portato a ridimensionare i suoi desideri. Si accontentava di poter dire di essere tranquillo, di non avere alcun tipo di problema per la testa in quel momento. qualche volta sulle copertine dei giornali leggeva ancora qualche notizia che lo riportava a Julia, alla sua carriera di ballerina, agli spettacoli che faceva in giro per il mondo, alla vita che aveva scelto di non condividere con lui. Chissà che tipo di uomo sarebbe stato ora se lei gli avesse permesso di seguirla in quella sua grande impresa, o se lei, al contrario, avesse deciso di rinunciare a tutto per lui. Probabilmente nessuno dei due sarebbe stato felice e la loro relazione sarebbe quindi terminata in ogni caso, schiacciata dal peso delle decisioni prese per fare felice qualcun altro. Forse alla fine dei conti avrebbe dovuto ringraziarla per aver strappato quel cerotto senza dargli neppure in tempo di contare fino a tre, per avergli impedito di trascinarsi all’interno di un’esistenza che lo avrebbe reso ancora più infelice. Poteva dire di stare bene ora, nonostante le altre batoste amorose ricevute. Il suo lavoro gli piaceva e anche i colleghi, gli sembrava quasi di aver trovato il suo posto dopo tanto vagare.
    La sua risposta lo lasciò senza parole per un momento. No, onestamente non riusciva a credere che quelle due immagini di lei indicassero una stessa persona. Non riusciva a sovrapporre l’immagine di quella ragazzina con le guance sporche di fuliggine, i capelli un po’ scarmigliati e un sorriso dolce con quello della donna sicura ed elegante che aveva di fronte. Certo, in fin dei conti si trattava sempre di Bellatrix, ma qualcosa gli diceva che troppe cose fossero cambiate in lei e attorno a lei, per poter dire che si trattava sempre di quella stessa ragazzina. Non le rispose, lasciando che la sua domanda aleggiasse nell’aria mentre si allontanava di qualche passo e iniziava a preparare il cocktail su misura per lei, lasciando ispirare da alcuni dettagli e cercando di immaginare che cosa potesse essere rimasto lo stesso. Pensò alla nostalgia di casa che qualche volta lo attanagliava ed era convinto che anche per lei dovesse essere lo stesso. Sapere di non poter andare via, non per lungo tempo almeno, per non perdere ciò che si era costruito in quella cittadina, faceva sempre venire una certa vertigine quando si riportava alla mente il ricordo della propria patria lontana, degli amici e della famiglia che erano rimasti lì. Le porse il suo drink per poi allontanarsi da lei per qualche minuto, avvicinandosi agli altri clienti e occupandosi di altre preparazioni. I tavoli erano ormai stati quasi tutti riempiti e molti degli ospiti di quella sera sembravano voler iniziare il loro pasto con un cocktail di benvenuto. Gli piaceva darsi da fare ed era felice quindi di avere serate come quelle, in cui gli veniva richiesta anche un po’ di inventiva. Negli altri luoghi dove aveva fatto il barista il più delle volte i clienti chiedevano semplicemente del vino o della birra, o negli orari degli aperitivi qualcuno chiedeva i soliti drink ormai conosciuti da tutti. Al Rainbow, invece, arrivavano anche clienti che volevano assaggiare qualcosa di nuovo e quelli che divenivano avventori abituali avevano imparato a fidarsi di lui e lasciare che li sorprendesse con qualcosa fatto su misura per loro.
    La guardò di sottecchi per qualche momento prima di riavvicinarsi, curioso di sapere se il drink le fosse piaciuto. Sorrise un po’ più sereno quando lei confermò che la scelta era stata apprezzata, per poi chiedergli cosa lo avesse ispirato, alla fine dei conti. Il sorriso sulle sue labbra si fece ancora più largo e sbarazzino mentre si stringeva appena nelle spalle. -Mi dispiace, un mago non rivela mai i suoi trucchi. - disse quindi, soltanto, evitando di rispondere a quella domanda. Il processo creativo che lo portava a realizzare delle bevande su misura era qualcosa di molto intimo per lui, che non spiegava mai. Forse perché temeva di aver colto i dettagli sbagliati, quelli più tristi, che le persone avrebbero voluto dimenticare e sentirsi invece dire che questi erano perfettamente visibili agli occhi di uno sconosciuto dietro un bancone non li avrebbe aiutati a trascorrere una buona serata. Evitò quindi la sua domanda. Forse un giorno glielo avrebbe spiegato davvero, ma riteneva che quello non fosse il momento migliore. La vide anche cambiare espressione, mostrandone una decisamente più ostile, quando lui le chiese come si dovesse comportare e se dovesse fingere di non conoscerla affatto. Mosse istintivamente un passo all’indietro, allontanandosi da lei dopo essersi fatto così vicino, pronto quindi a incassare le conseguenze delle sue parole. Inclinò appena il capo quando la sentì calcare il tono sulla parola amici lasciando intendere che fosse quello che non le era piaciuto della sua domanda. In effetti forse amici non lo erano mai stati, anche se lui l’aveva sempre considerata tale, visto l’affetto che provava per suo fratello Sirius. Forse l’errore era stato semplicemente credere che lei lo avesse sempre visto allo stesso modo e non uno sconosciuto tra i tanti, uno degli altri amici di suo fratello di cui non le importava affatto. Appuntò quel dettaglio, deciso nell’idea di ricalibrare il modo in cui rivolgersi a lei, facendo tesoro di quella reazione sin troppo evidente, sotto la patina di tranquillità che continuava a mostrare a un occhio più esterno. -Sì, probabilmente questa è una maniera più corretta di definirci, in effetti. - ne convenne, continuando a mantenere quella maggiore distanza che aveva posto poco prima. Prese uno dei bicchieri usati dal lavandino, iniziando a riempire la lavastoviglie che aveva alle spalle, spostando quindi l’attenzione da lei per qualche momento, mentre la sentiva parlare della sua campagna elettorale. Forse spostare l’attenzione su un terreno più sicuro era stata una buona idea per evitare che quell’incontro andasse completamente a rotoli. Si appuntò di scrivere a Sirius quanto prima, per cercare di incontrarlo e capire qualcosa in più su una delle sue due sorelline.
    Risollevò lo sguardo su di lei quando la sentì dire, come tono tranquillo, di stare bene, notando un sorriso più sereno sul suo volto a quel punto, come se l’iniziale maremoto si fosse placato e ora la superficie del mare che si estendeva tra di loro apparisse più quieta. Annuì appena, ricambiando il suo sorriso senza tuttavia tentare di chiederle qualcosa di più gli sembrò di aver già combinato abbastanza guai per una sola serata e si limitò quindi a restare in silenzio, in attesa che fosse lei a porre qualche domanda. -Io sto.. bene. - mormorò, con un leggero sorriso, prendendosi qualche istante prima di mormorare quella parola. In realtà non lo sapeva neppure lei come stava. Un momento stava bene, quello dopo veniva riassorbito nella parabola discendente in cui era finito dopo essere arrivato in città e aver abusato della sua strana particolarità. Dire di stare bene però era molto più semplice, faceva sentire le persone più tranquille e le sollevava dalla necessità di dire qualcosa per risollevargli il morale. -Sì, in effetti è passato molto tempo. - mormorò e quel punto l’ombra di Julia rabbuiò il suo sorriso. Stava ancora insieme a lei quando l’aveva incontrata l’ultima volta? O forse era stato ancora prima? In effetti non lo ricordava affatto. -Sono quasi due anni ormai. Più o meno da quando hanno aperto. - le rivelò, con una certa tranquillità. Parlare del suo lavoro era senza dubbio uno degli argomenti più semplici per lui, uno di quelli che non lo riportava indietro di anni. -Mi trovo bene qui, finalmente. Quindi spero di non combinare qualche disastro. - le disse, rivolgendole poi un leggero occhiolino, cercando di rendere un po’ più scherzosi i toni di quella conversazione. Aveva lavorato in diversi altri locali prima di arrivare a quello e doveva dire che era il miglior posto in cui aveva lavorato fino a quel momento.
    Scosse il capo, ridacchiando appena, quando lei gli affidò il compito di farla innamorare di quel locale. -No, credo di non essere la persona più adatta per questo. - rispose, in tutta franchezza, mentre uno dei camerieri le portava i vari stuzzichini che aveva ordinato come antipasto, augurandole una buona prosecuzione. -Credo che sia la nostra chef, quella che di solito fa innamorati tutti e li convince a tornare. - ammise quindi, poco dopo, con un sorriso dolce sul volto mentre parlava del suo capo. Era una ragazza allegra e molto gentile, un po’ imbranata nel tempo libero, ma un vero portento nel suo lavoro. -Non potrei mai rubarle la scena. - aggiunse quindi, parlando della chef ma, in qualche modo, rivolgendosi anche a lei in una velata metafora. -Che cosa ti ha portata qui oggi? - domandò, incuriosito, visto che non era una delle frequentatrici abituali e che non sembrava essere stato Sirius a mandarla, avvisandola che lui lavorava lì. -Si è trattato di un semplice caso? - chiese ancora, immaginando che la risposta dovesse essere molto più semplice del previsto. Era molto curioso di sapere che cosa le fosse accaduto in tutti quegli anni, che tipo di scelte avesse fatto e che cosa l’aveva condotta dove si trovava, ma sapeva che quelle non erano domande da fare in un locale pieno di persone che avrebbero potuto cercare di ascoltare alcune delle sue parole. E poi, credeva di avere ancora molta strada da fare prima di poterla conoscere davvero.
     
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    C'era stato un tempo in cui si era chiesta quanto si notasse la sua cotta per James dall'esterno. In maniera molto retorica, tutte le persone che le erano intorno l'avevano capito e avevano allo stesso modo compreso lei, nella leggerezza dell'età che attraversava, dell'immagine che da cliché si dispiegava a lei, di innamorarsi del migliore amico del proprio fratello maggiore. Ma che a James fosse chiaro o meno era un vero mistero, e a dirla tutta, spesso le sembrava o aveva l'impressione, che lui non se ne fosse mai accorto. «Sarei venuta a trovarti.» Disse, direttamente, senza tergiversare. Certo che sarebbe cambiato qualcosa. Eppure se fosse stato un gioco di seduzione che non comprendeva quello che si mostrava di fronte a lei, non avrebbe saputo dirlo. Nel momento in cui lei si sbilanciava sembrava puntualmente che James si tirasse indietro, o almeno così era avvenuto sempre in passato, e adesso in quelle poche frasi che si erano scambiati dall'ingresso e permanenza nel locale, tutto le sembrava confermare che James non avesse mai guardato Bella in nessun modo possibile prima di allora, e che forse, molte delle sottigliezze che immaginava Bella, erano effettivamente date per scontate. Perciò gli disse la sua frase in risposta dopo molto tempo, quando era tornato da lei e le aveva preparato il suo cocktail prima di andare via ad occuparsi di altri clienti e lasciasse il bancone libero per lei, per ordinare, in attesa che il cameriere di sala le portasse la sua cena.
    Non le volle affatto dire quale fosse stata la motivazione della scelta del suo drink. Sarebbe stato bello sapere se in effetti avesse visto la donna che era diventata, senza dimenticare la ragazza che aveva sostituito, che era appunto la ragazza che si era infatuata dal giovane allegro e spensierato che era stato e che al tempo le sembrava irraggiungibile perché sembrava avere tutto quello che potesse desiderare: bellezza e gioventù, spirito di iniziativa, abilità nel suo sport. Ne erano stati convinti tutti che sarebbe andato molto lontano, invece un infortunio aveva cancellato il suo astro nascente, e aveva ridimensionato proprio tutto quello che era successo da quel momento in poi, dalla vita che aveva vissuto e della scelta che avevano fatto entrambi lui e Sirius in momenti diversi di trasferirsi in Norvegia. Da quel momento, le scelte degli altri l'avevano portata con sua sorella Vega a raggiungere Besaid, ed ecco che si erano ritrovati e ricongiunti tutti lì. Ma il suo rapporto con James non era mai cambiato, si era addirittura confuso nella moltitudine delle persone che frequentavano e vivevano a Besaid, e lui era diventato semplicemente l'amico di suo fratello, una persona che non aveva più passato davvero il tempo con lei, vissuto in nessun modo alcuna delle sue avventure. James non sapeva nulla, per esempio, di quello che era successo alla festa di fondazione di Besaid. «Mi toccherà scoprirli. Se me ne prepari un altro provo ad indovinare da cosa ti lascerai ispirare stavolta.» Disse, rimanendo con le mani sul viso e i gomiti sul bancone, attenta a che l'attenzione dell'altro fosse su di lei. Era pronta a bere il suo secondo drink mentre avrebbe cenato con quello che aveva ordinato.
    La reazione che le porse le fece corrucciare lo sguardo, quando si ritrasse e sembrò tirarsi indietro, rimettendosi sulle sue. Sembrò porre subito una distanza tangibile tra di loro, mettendosi ad occuparsi al resto delle sue attività, ovvero pulire i bicchieri sul bancone dei commensali che avevano già sostato al bar, riponendoli sulla lavastoviglie e occupandosi di quelli da asciugare. Aspettò prima di dire una qualsiasi cosa, perché l'ombra dell'incomprensione le fu da subito visibile, e si rese conto che non fosse il caso tastare subito il terreno finché non fossero passati ad argomenti più sereni.
    Lo guardò, mentre le raccontava, alla domanda che lei aveva posto, come stesse lui. Aveva uno sguardo diverso da quello che gli ricordava e attribuiva, e si chiese subito Bellatrix se fosse stata colpa della città che ora abitavano piuttosto che della storia che aveva lasciato dietro di sé a casa, ad Howth. «Sono contenta che tu sia a tuo agio qui. Lavorare per quello che piace e trovarsi bene nell'ambiente in cui passi la maggior parte delle ore della tua vita è la cosa più importante.» Glielo mormorò dolcemente, come se fosse una verità che a lei faceva piacere dichiarare, e una cosa in cui ci credeva fermamente. E poi era anche qualcosa che cercava di dire per approcciarsi morbidamente a James, che aveva cercato di sviare lo sguardo più volte dall'affermazione che aveva tirato in ballo Sirius. Il viso del fratello maggiore fece capolino nei suoi pensieri, e lei scosse la testa rendendosi conto che non le doveva affatto alcuna spiegazione, era da diverso tempo che non parlavano di James e di certo non l'avrebbe fatto dopo tutto quello che era capitato a Bella, e la sua reticenza a stabilire una relazione davvero seria dopo il disastro che era accaduto con la sua Astrid. Per colpa sua, unicamente sua. «Vedrai che non ci saranno disastri, me lo sento.» Fece l'occhiolino di rimando a lui, e tornò a guardare James. Non sapeva affatto cosa era successo nella sua vita fino ad allora, ed era il caso di capirlo se avesse voluto avere una conversazione come si doveva con l'uomo, ma soprattutto per cercare di recuperare qualcosa di quello che conosceva o ricordava di lui. Le sembrò malinconico e le fece sentire nostalgia del tempo passato, pensare di aver tenuto tanto alla figura del ragazzo e adesso sapere a malapena che poche cose di lui, e non aver saputo che aveva cambiato locale da ben due anni. Quante cose erano successe a lei invece in quei due anni, e quante forse anche difficilmente ricordava di quanto era accaduto.
    Proprio quando cominciò ad elogiare la sua chef e il cibo e i menù che era in grado di preparare, allora il cameriere di sala portò a lei il piatto di antipasto. Cominciò a mangiare lentamente cullata dalla voce di James che le parlava di quello che erano riusciti a conseguire in quel periodo. «Secondo me sei molto modesto.» Disse. Non ricordava di associare alla figura di James quel tratto, e quel pensiero la incuriosì. Cosa fosse accaduto al ragazzo che sembrava avere il mondo dalla sua e fosse in grado di muovere mari e monti era un mistero. Avrebbe dovuto parlarne meglio con Sirius prima di sondare troppo quell'argomento. Perciò confermò le sue parole aggiungendo cosa ne pensasse, abbracciò nell'incavo delle dita della mano sinistra lo stelo del bicchiere martini in cui James aveva preparato il suo drink, facendo sì che indicasse proprio quello che aveva appena fatto. «La tua scelta era perfetta e mi è piaciuto molto. Sono sicura che ci sono molti cittadini che vengono qui solo per assaggiare le tue creazioni.» Le sembrò buffo aver usato la parola cittadini, perciò rise, e guardò James confermandole quello che pensava. «Scusa, oramai vedo cittadini ed elettori ovunque, non posso farne a meno.»
    Accantonò solo per un attimo il discorso lavoro, sapendo che ne sarebbero ritornati a parlarne. Guardò James mentre disponeva il paté che le era arrivato su una fettina di pane, alternandosi tra il discorso e un morso. Molte persone trovavano imbarazzante mangiare mentre si parlava o parlare di fronte a qualcuno mentre si addentava qualcosa, ma lei lo trovava invece un momento di una intimità irraggiungibile e le sembrava che fosse qualcosa che fosse molto più speciale del valore che all'azione si attribuiva. Le piaceva avere l'attenzione dell'uomo mentre sapeva esattamente quanto prendere del suo piatto e come parlare di conseguenza. Era una bella sensazione.
    «È stato un caso, in parte voluto.» Fece una pausa. Un sorso del whisky, retrogusto al miele, e riprese a parlare. «Sapevo che questo posto era il preferito del mio avversario politico principale, ma ora non è più un problema. Perciò non ci sono mai venuta. Senza sapere che tu eri proprio qui.» Sorrise. Lo guardò di nuovo, mentre si avvicendava sul suo lavoro e tornava a parlare con lei, e lei approfittava di fare una pausa tra le parole e la forchetta alle labbra. Sicuramente le avrebbe chiesto o detto qualcosa sul suo avversario. Lo guardò e si decise ad indirizzare la questione che era sorta prima. «Sai perché pensavo che non siamo mai stati davvero amici?» Sussurrò. Immaginò di aver capito che la frase che aveva rivolto lei all'uomo era stata capita molto male. Le sembrò assurdo non aver pensato di chiederglielo e basta, e si rese conto che era quello l'effetto che le faceva James e sembrava farle ancora dopo molto tempo. In quel momento quando era entrata nel locale si era immaginata la ragazza che sapeva sporcarsi come solo lei sapeva fare, a cui piaceva giocare correndo nei campi di grano e arrampicarsi sugli alberi, guadare i ruscelli alla ricerca dei vermi e dei lombrichi da dare in pasto come esca ai pesci da pescare con la lenza. La vita che aveva fatto dieci anni prima era completamente diversa da quella che viveva in quel momento, e lei era completamente diversa da allora. La Bellatrix di quel momento avrebbe affrontato di petto la questione con la grazia, l'eleganza, e la forza che aveva acquisito negli anni di lunga preparazione mentale e fisica a cui si era sottoposta.
    «Quando ero ragazza avevo una cotta spropositata per te.» Lo disse seria, dolce, composta. Finì il piatto di antipasto e finì con l'ultimo sorso il cocktail di James. «Buonissimo.» Sussurrò ancora, deviando per un attimo la conversazione per permettergli di assorbire la notizia esattamente per come l'aveva recepita. Non voleva che suonasse come una sorpresa troppo grossa. Sbirciò con lo sguardo in sua direzione per capire se era come immaginasse, e non l'avesse mai saputo. «Da quello che sentivo, tutto volevo fuorché esserti solo amica, James. È per quello che ci ho pensato prima.» A quel punto sorrise, riportando lo sguardo su di lui e aspettando che lui la guardasse, mentre diceva l'ultima parte della frase. Sentiva di essersi tolta un segreto pesantissimo dal petto e si rese conto che aveva molto da imparare, ma che finalmente stava vivendo come aveva giurato di fare. Combattere sempre le giuste battaglie, senza vergognarsi di nulla, neanche dei propri sentimenti.
     
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    Sorrise appena, involontariamente, quando lei affermò che, se avesse saputo che lavorava lì, sarebbe passata prima a trovarlo. Lui non ci aveva mai pensato fino a quel momento. Aveva osservato i suoi progressi da lontano, vedendola cambiare giorno dopo giorno in televisione, sui manifesti, diventare sempre più sicura di sé. Aveva chiesto spesso a Sirius delle notizie sul suo conto, ma non aveva mai pensato seriamente all’opzione di contattarla e cercare di avere qualche notizia da lei. Non come quei fan che, morbosamente, cercavano di scoprire dove vivesse, quali fossero i suoi cibi o i suoi fiori preferiti, ma semplicemente come un fantasma del passato che cercava di recuperare un po’ della sua materia fisica. Gli venne naturale scherzare, in un primo momento, spinto da quella sintonia che aveva sempre sentito nei suoi confronti. gli sembrò di aver ritrovato la confidenza e la naturalezza di un tempo, nonostante si rendesse conto di non conoscerla più, di non sapere che cosa le fosse accaduto e come la sua vita fosse cambiata. Conosceva delle informazioni di sfuggita, filtrate attraverso gli occhi del fratello maggiore di lei, ma aveva imparato sulla sua pelle che non sempre gli altri erano in grado di capire fino in fondo le emozioni o i problemi che si agitavano dentro le persone. -Oh cavolo, questo vuol dire che non ho ancora superato il test. - scherzò, quando lei gli chiese di prepararle un secondo drink, così da cercare di cogliere le ispirazioni in maniera più marcata. In realtà per lui non era mai stato un problema preparare diverse combinazioni per la stessa persona, ma in quel momento gli parve di trovarsi quasi su un campo minato. Diversi anni prima, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe affermato con una certa tranquillità di conoscere Bellatrix Doyle e di avere con lei un ottimo rapporto. Quella sera, invece, dopo qualche breve scambio di battuta, gli sembrò di aver sempre guardato il mondo dalla prospettiva sbagliata e di aver letto una vicinanza e un affetto che non erano mai esistiti.
    Si tirò subito indietro, cercando di mantenere un atteggiamento più professionale nei confronti di quella che era oramai divenuta una persona piuttosto influente all’interno della città. Aveva fatto molta strada e gli dispiacque di non aver cercato di riavvicinarsi a lei tempo prima, quando forse sarebbe stato più semplice, senza tutte quelle gerarchie di mezzo a dividerli. Si occupò quindi del suo lavoro, lasciandola tranquilla per un po’ fino a che lei non gli chiese di raccontarle qualcosa di quegli ultimi anni. Rimase sul vago, tralasciando le cose più importanti, come la sua difficoltà nell’accettare le particolarità, soprattutto la sua, la vicinanza con il gruppo dei Reservoir che lo aveva aiutato a tirare avanti, anche quando aveva creduto di lasciare tutto e scappare. Si limitò a rispondere alla sua domanda e raccontarle come fosse arrivato a lavorare proprio al Rainbow, tra tutti i locali della città. In effetti, vista dall’esterno, quella loro rimpatriata poteva sembrare davvero particolare. Era incredibile che lei, senza avere alcun tipo di aspettativa, avesse scelto di recarsi proprio lì. -Ho scoperto in realtà di essere un magnete per i guai. - mormorò, scherzando appena, prima di sorriderle di nuovo. -Ma ho anche notato che se non ci penso troppo aspettano un po’ di più prima di manifestarsi. - continuò, ridacchiando. Aveva collezionato una serie di fregature e di brutte esperienze, tanto da fargli credere che la ruota avesse ormai preso a girare nel verso sbagliato per lui, ma aver trovato quel posto era il segnale che le cose potevano sempre migliorare, se si aveva la pazienza di aspettare.
    -Molto magnanimo da parte sua Onorevole Doyle. - la prese un po’ in giro, non riuscendo a trattenere la vena più ironica che lo aveva sempre contraddistinto. Si rivolse a lei come se fosse stata già in senato, giusto per punzecchiarla un po’ dopo quel suo uso bizzarro dei termini di cui si scusò prontamente. -Siamo effettivamente dei cittadini comunque, non c’era nulla di cui scusarsi. - aggiunse, facendosi appena più serio e rivolgendole un leggero occhiolino per cercare di smorzare un po’ della tensione che si era accumulata in quei pochi minuti. Preparò qualche veloce comanda mentre iniziava a riflettere sul secondo cocktail da proporre alla donna, che nel frattempo aveva iniziato a mangiare il suo antipasto mentre continuava a parlare. -Ah, capisco. - mormorò, scuotendo appena il capo con un leggero sorriso. -Non sapevo che anche i locali fossero territorio politico e che venissero in qualche modo divisi tra le diverse fazioni. - lo disse con la fronte leggermente arricciata e un’aria piuttosto incuriosita sul volto.-In effetti mi rendo conto di non sapere davvero nulla sulla politica. - ammise poi, con una leggera scrollata di spalle, cercando di scusarsi per quella mancanza. Non si era mai interessato di quel genere di cose. Andava a votare, certo, seguiva le campagne elettorali e aveva una sua opinione, ma non conosceva i giochi di potere che si nascondevano dietro la superficie. -Ma ricordami un po’, chi è lui? - domandò, per poi ragionarci qualche momento, cercando di trovare la risposta da solo prima che fosse lei a rivelarla. Si guardò attorno, alla ricerca di una faccia conosciuta che per caso quella sera non era tra gli ospiti. -Garrett forse? - domandò ancora, in cerca di una conferma prima di sbilanciarsi nel parlare di lui. Lo ricordava bene, in effetti si era recato lì tantissime volte e solo di recente aveva iniziato a vederlo sempre meno. Aveva creduto che ci fosse stato qualche problema o che fosse troppo preso dal lavoro, non aveva pensato che potesse essere legato alla bilancia della politica.
    Notando il bicchiere di lei quasi vuoto prese un bicchiere Old fashioned, iniziando a riflettere sulla nuova Bellatrix, cercando di farsi ispirare dalle nuove scoperte e non dai ricordi passati. Si fermò per un momento, risollevando lo sguardo su di lei, quando la donna tirò di nuovo in ballo quella semplice frase che lo aveva portato a riprendere le distanze. Inarcò appena un sopracciglio, con aria confusa. Non credeva che ci fosse molto da spiegare, in effetti solo poche volte si erano ritrovati da soli a chiacchierare, non era difficile comprendere di aver fatto un passo troppo lungo con quella definizione. Attese che lei andasse avanti, restando a guardarla mentre versava alcuni cubetti di ghiaccio in quel bicchiere, ritrovandosi ad arricciare le sopracciglia davanti alla sua rivelazione. Afferrò il vermut rosso, andando a versarne un po’ insieme a del bitter, terminando il tutto con dello spumante e una fetta di limone, andando a realizzare un Negroni sbagliato, con la semplice aggiunta del limone al posto dell’arancia. Sbagliato, come l’idea che si era fatto lui sino a quel momento e che lei si era premurata di spiegare meglio. Lo posò sul bancone, di fronte a lei. -Questa volta ho preferito non lanciarmi troppo con le congetture. - le disse, servendole il drink con un sorriso, mentre cercava le parole più adatte per risponderle. -Ammetto che mi hai sorpreso. - aggiunse quindi, senza nascondersi più dietro a battutine o altre sciocchezze. Si fermò, restando di fronte a lei con un’espressione tranquilla. In fondo aveva ammesso che la cotta era stata una cosa del passato, qualcosa che apparteneva alla Bella ragazzina e che un tempo non sarebbe voluta affatto essere sua amica. -Ora però capisco alcune battute di tuo fratello che non ero mai riuscito a spiegarmi. - aggiunse, ridacchiando appena. In effetti anche Vega quando erano dei ragazzini si era prodigata in battute a doppio senso in più di un’occasione e lui aveva creduto che fosse solo il suo solito modo di esprimersi e non invece un modo per mettere a disagio la gemella. -Se non hai già scelto il prossimo piatto, ti consiglio il risotto al granchio reale, è uno dei miei preferiti. - le disse poi, con una certa tranquillità, ritirando il bicchiere vuoto e depositandolo all’interno del lavandino, senza allontanarsi.
    -Sembri cambiata molto. Che cosa è successo in questi anni? - le chiese, appoggiando i gomiti al bancone e avvicinandosi appena, con un’espressione più serena. Era convinto che lei avesse oramai superato quella cotta, vista la tranquillità con cui l’aveva espressa. Non poteva certo credere che una donna di classe e famosa come lei potesse ancora essere invaghita della sua cotta adolescenziale. Anzi, era abbastanza convinto che ci fosse già qualcuno nella sua vita, qualcuno che teneva ben lontano dalle telecamere e dai giornali per vivere una vita più serena. -Finire su tutti i muri della città non era quello che mi sarei aspettato dalla piccola Bella. - ammise, prima che lei potesse iniziare a rispondere, mentre il suo sguardo si faceva assente per un istante, ripensando ai tempi passati in cui tutto sembrava molto più semplice. Prima di trasferirsi, prima di Julia, prima dell’infortunio. -E invece ci hai oscurato tutti. Sei diventata la stella più brillante del firmamento irlandese. - terminò, continuando a sorriderle. Era il suo modo indiretto di dirle che era divenuta davvero molto bella, ma non era solo quello. Sembrava felice, sicura, persino appagata della vita che conduceva in quel momento e non poteva che essere felice per lei di rimando. La ascoltò tranquillo, osservando la sicurezza con cui si raccontava, ormai donna fatta e finita. Poi, con la coda dell’occhio, notò una figura trafelata entrare nella sala e guardarsi attorno. Qualcosa luccicò sotto la sua giacca. -Mhm. Mi sa che qualcuno ha scoperto dove trovarti. - sussurrò, ancorando lo sguardo all’uomo, che ancora non sembrava avere individuato Bellatrix. -Sei venuta da sola? - domandò, cercando di comprendere se c’erano guardie del corpo o altre persone del suo staff all’interno della sala, o se, al contrario, le sarebbe servito un po’ di aiuto.

    Edited by 'misia - 5/9/2023, 18:56
     
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5 replies since 5/10/2022, 19:09   266 views
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