You don't need to save me, but would you run away with me?

Bellatrix ft. James | Rainbow lounge restaurant | 05.10.2022

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. 'misia
        +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    16,567
    Reputation
    +2,797
    Location
    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_pef4qvEdpW1rrbwq5_1280
    Erano passati anni ormai da quando aveva deciso di trasferirsi a Besaid per mettere quanta più distanza possibile tra lui e il suo amore finito male. Era convinto che non si sarebbe più ripreso da quella rottura e che non sarebbe riuscito a sentirsi a casa da nessuna parte. Invece, aveva imparato ad ambientarsi, aveva trovato nuovi amici, aveva persino pensato di innamorarsi di nuovo, finendo ancora una volta scottato. L’unica cosa che non era cambiata, in tutti quei mesi, era la sua avversione per la particolarità che quel posto gli aveva dato. Ancora faticava a conviverci. L’aveva usata così tanto nei primi mesi, preso dall’euforia della novità e dal pensiero di essere simile a un supereroe, da perdere la sensibilità alle mani e alle braccia e la cosa l’aveva spaventato incredibilmente. Aveva temuto di non riuscire più a provare nulla, di non poter più recuperare la sensazione di caldo o freddo, di morbido o duro, di non poter più sentire come faceva un tempo. Ne aveva avuto così paura che le cure che gli avevano dato in ospedale non gli erano bastate e aveva quindi cercato aiuto in altri centri di supporto, dove persone come lui, spaventate da quel potere, o incapaci di usarlo, si raccoglievano in cerca di conforto e di una spinta per andare avanti. Era lì che aveva conosciuto Max, finendo anche con l’intessere con lei una breve relazione, prima che entrambi si rendessero conto di essere ancora presi da un’altra persona e lasciarsi di comune accordo. Non aveva smesso però di recarsi al centro e di aiutare quando poteva. Era piacevole essere d’aiuto a qualcuno, gli permetteva di vedere uno spiraglio di luce anche nelle giornate più faticose, di sentire che anche la sua vita aveva uno scopo. Forse era anche quello il motivo che lo aveva spinto a diventare un barista. Certe sere si sentiva un po’ come uno psicologo, o quanto meno un confidente, la persona a cui i clienti affidavano i propri segreti e problemi, nella speranza di ottenere un buon consiglio.
    James amava il suo lavoro, per quanto semplice o banale potesse apparire agli occhi di molti. Non era mai stato un uomo ambizioso, sebbene in tenera età avesse sognato di diventare un famoso giocatore di basket e intraprendere una carriera in quell’ambito. Un brutto infortunio lo aveva subito fatto scendere dal suo piedistallo, costringendolo a trovare una nuova strada per se stesso, una più adatta alla persona che era o a quella che aveva intenzione di diventare. Se fuori dal lavoro si sentiva un uomo comune, di compagnia certo e sempre con il sorriso sulle labbra, ma comunque simile a tanti altri, dietro il bancone invece si sentiva una persona completamente diversa. Dalla sua postazione privilegiata gli pareva quasi di poter leggere dietro i volti delle persone, di interpretare i loro silenzi e cercare di cogliere ciò di cui potevano avere bisogno. Era diventato bravo, negli anni, a ideare cocktail su misura, facendosi dare giusto qualche dettaglio da chi aveva davanti. Altre volte, addirittura, azzardava qualcosa basandosi soltanto su occhiate e impressioni, sul modo di porsi o di sedersi, sul tono della voce o sul modo che le persone avevano di guardare, rimanendo sempre piuttosto soddisfatto quando riusciva a indovinare i gusti delle persone, scorgendo sorrisi sorpresi ma felici sui loro volti. Si sentiva un artista, a modo suo. Non certo come quelli che esponevano le opere nelle gallerie o nei musei, no, lui era un artista della vita comune e i suoi strumenti erano bottiglie, bicchieri, cucchiaini, shaker, pestelli e tanti altri accessori. E aveva anche lui una tavolozza di colori da mischiare per rendere i suoi prodotti belli e invitanti, oltre che tutta una serie di gusti che andavano uniti in maniera attenta e ben calcolata. Bastava davvero poco per esagerare un gusto e rendere quindi un cocktail assolutamente imbevibile. Lo sapeva bene perché aveva sperimentato molto prima di riuscire a ottenere un buon equilibrio. Aveva assaggiato tante di quelle schifezze che a volte si era chiesto come fosse possibile che fosse ancora vivo e completamente in salute.
    Indossò la sua giacca di pelle sopra il maglioncino grigio e, con le mani ben infilate nelle tasche dei suoi jeans, si diresse verso l’interno del Rainbow, pronto per il suo turno lavorativo. Quel giorno gli toccava il turno di sera che, sebbene fosse il più impegnativo, era anche il suo preferito. A pranzo di solito il locale era frequentato da giovani coppie, uomini e donne d’affari che usavano il locale per pranzi di lavoro, colleghi di vari uffici che sfruttavano la posizione centrale del luogo per fare una breve pausa. La sera, invece, il locale si colorava in maniera completamente diversa, andando a raccogliere una clientela molto più varia, fatta di persone solitarie o piccoli gruppi, amici che si recavano lì almeno una volta a settimane o individui che ci finivano per caso. Spinse la porta di ingresso, beandosi per un momento del silenzio che precedeva la tempesta che sarebbe arrivata lì a momenti, quando il locale avrebbe iniziato a riempirsi. Era incredibile come un posto potesse mutare completamente in poche ore grazie all’atmosfera che si respirava all’interno. Allungò la mano in direzione di Dean, salutandolo velocemente mentre l’altro portava una cassa sul retro. Dovevano essere arrivate le nuove provviste, le avrebbe controllate e sistemate a fine serata. Lasciò la giacca sull’appendiabiti e infilò il suo grembiule nero, con lo stemma del locale, andando poi a prendere posizione. Sarebbe stata una serata lunga, ma non vedeva l’ora di iniziare.

    Posò l’ennesimo drink sul bancone, rivolgendo un sorriso e un occhiolino in direzione delle due ragazze che si erano accomodate al bancone per non trattenersi troppo a lungo. Colse con la coda dell’occhio un guizzo rosso proveniente dalla porta di ingresso, ma non fece in tempo a voltarsi per capire cosa fosse che questo era già sparito. Scosse il capo, immaginando di esserselo sognato, mentre le ragazze lo ringraziavano e riprendevano le loro animate chiacchiere sui ragazzi con cui stavano uscendo in quell’ultimo periodo. Si mosse di un metro, raggiungendo un signore sulla sessantina che aveva preso l’abitudine di recarsi al locale sempre lo stesso giorno della settimana, sempre alla stessa ora. Ordinava un whisky e delle costolette, gli raccontava alcuni aneddoti sulla sua vita e in particolare della sua defunta moglie, Lorraine e poi, dopo avergli lasciato una mancia sostanziosa, tornava a casa, con il sorriso sulle labbra e la sensazione che sua moglie fosse ancora lì con lui, grazie ai suoi racconti. Si era affezionato al vecchio William e si chiedeva se quella particolare cerimonia sarebbe durata ancora negli anni o se c’era qualcosa che non gli aveva rivelato nel suo sguardo che, giorno dopo giorno, si faceva sempre più fosco. Percorse a passi veloci tutto il bancone verso destra, accogliendo gli ordini dei nuovi clienti, per poi spostarsi di nuovo completamente a sinistra, dove una figura bionda di era accomodata in completa solitudine. C’era qualcosa di familiare in lei che lo spinse ad avvicinarsi con passo più celere, per comprendere la ragione di quella strana sensazione. Quando la donna alzò lo sguardo verso di lui, per chiedergli un consiglio su cosa bere, un sorriso divertito comparve sulle sue labbra, schiarendo immediatamente tutti i dubbi. Ma certo che la conosceva, o meglio, l’aveva conosciuta un tempo quando era solo la piccola Doyle e non la candidata di punta di uno dei partiti della città, il volto che campeggiava si lati delle strade, il nome sulla bocca di tutti. Anche lei parve riconoscerlo subito, cambiando immediatamente espressione. Abbandonò la tranquillità con cui aveva posto la domanda per rivolgergli un’espressione quasi confusa mentre mormorava il suo nome. -Miss Doyle. - la salutò lui, con un cenno del capo piuttosto serio ma un sorriso e un leggero occhiolino a suggerire, solo a lei, che ricordava bene il suo nome e le giornate trascorse insieme nel periodo dell’infanzia. Se aveva evitato di rivolgersi a lei in modo colloquiale era solo perché aveva seguito la sua campagna, a distanza, e non sapeva quindi come lei voleva farsi chiamare.
    Poi, si avvicinò appena, così da poter sussurrare il resto del suo discorso senza che le altre persone al bancone potessero sentirli. Il suo profumo gli invase le narici, segnando un confine netto tra la ragazzina che profumava di fiori e quella donna che invece odorava di eleganza e successo. -Devo dare un consiglio alla piccola Bella? O alla risoluta Miss Doyle? - domandò, per poi lasciare che un sorrisetto irriverente gli tingesse le labbra di nuovo, per un momento. -Non sono sicuro di conoscere la seconda. - aggiunse quindi, per poi fare di nuovo un passo indietro e allontanarsi da lei, lasciandole il suo spazio, mentre, senza aspettare una risposta, iniziava ad armeggiare con i suoi strumenti, lasciandosi ispirare dalle sensazioni del momento. No, non conosceva affatto la donna che era diventata, ma sapeva da dove era partita e chi era stata, almeno in passato. Partì con il whisky come base, irlandese ovviamente, non poteva certo sbagliare in quello. Poi aggiunse del ginger ale, la grappa alla pesca, il succo d’arancia e due cucchiaini di miele, terminando con una fettina d’arancia e del ghiaccio, una reinterpretazione dell’Oro irlandese, solo per lei. -Questo lo offre la casa. - disse, lasciando il cocktail davanti a lei, mentre si spostava qualche minuto per servire una nuova coppia di clienti che si erano seduti al lato opposto del bancone rispetto a quello dove si trovava Bellatrix. Sicuramente un cameriere l’avrebbe raggiunta presto per prendere il suo ordine relativo alla cena e allora, sulla base della sua scelta, avrebbe potuto consigliarle meglio che cosa bere per continuare la sua serata.
    Guardò con la coda dell’occhio nella sua direzione mentre sbrigava alcune comande arrivate dai tavoli, preparando i drink per due tavolate da sei. Impiegò alcuni minuti poi, dopo essersi accertato che la attenzione non fosse richiesta da nessuna parte, si riavvicinò a lei. -Allora? Ho indovinato? - chiese, piuttosto curioso di capire se fosse riuscito ad azzeccare i suoi gusti o se invece fosse il caso di affidarsi a un cocktail più noto, che andava bene più o meno con tutti. -Ho seguito la campagna. Posso ancora rivolgermi a te come a un’amica, o dobbiamo fingere di non conoscerci affatto? - domandò, sfruttando il brusio crescente per porgli più apertamente quella domanda. In effetti era una notizia da sapere se mai avesse deciso di frequentare il Rainbow più spesso. Da quando aveva iniziato a lavorare lì non l’aveva mai vista e nessuno aveva fatto menzione della sua presenza. Si chiedeva quindi se se lo fosse perso o se fosse invece la sua prima volta lì. -Come stai? Ti trovo bene. - aggiunse, prendendosi un po’ di confidenza e cercando di avere qualche notizia da lei. Aveva visto Sirius qualche mese prima e gli aveva raccontato alcune cose, ma sentire le notizie dai diretti interessati era sempre un’altra cosa.
     
    .
5 replies since 5/10/2022, 19:09   266 views
  Share  
.
Top