You don't need to save me, but would you run away with me?

Bellatrix ft. James | Rainbow lounge restaurant | 05.10.2022

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  1. 'misia
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    Sorrise con aria divertita quando lei gli disse che non sapeva che lui lavorava in quel locale. -Perché? Sarebbe cambiato qualcosa? - domandò, curioso e irriverente come era sempre stato. Aveva trovato strano quel commento da parte sua, come se ci fosse stato qualcosa di non detto che lui non era riuscito a capire. Voleva forse dire che avrebbe evitato il locale se lo avesse saputo? O che al contrario si sarebbe fatta viva prima per incontrarlo? Il sorrisetto sornione che aveva sul volto sembrava chiederle qualche spiegazione in più. Se guardandola lui poteva dire di fare quasi fatica a riconoscere la ragazzina di Howth, lui era invece certo di essere rimasto sempre lo stesso, impossibile da confondere con qualcuno di diverso. In realtà, anche se lui non lo avrebbe ammesso, qualcosa era effettivamente mutato. Il luccichio che aveva avuto negli occhi quando era soltanto un ragazzo con grandi sogni si era fatto un po’ più offuscato in quegli anni, rimesso al suo posto da una serie di sfortunate circostanze che lo avevano portato a ridimensionare i suoi desideri. Si accontentava di poter dire di essere tranquillo, di non avere alcun tipo di problema per la testa in quel momento. qualche volta sulle copertine dei giornali leggeva ancora qualche notizia che lo riportava a Julia, alla sua carriera di ballerina, agli spettacoli che faceva in giro per il mondo, alla vita che aveva scelto di non condividere con lui. Chissà che tipo di uomo sarebbe stato ora se lei gli avesse permesso di seguirla in quella sua grande impresa, o se lei, al contrario, avesse deciso di rinunciare a tutto per lui. Probabilmente nessuno dei due sarebbe stato felice e la loro relazione sarebbe quindi terminata in ogni caso, schiacciata dal peso delle decisioni prese per fare felice qualcun altro. Forse alla fine dei conti avrebbe dovuto ringraziarla per aver strappato quel cerotto senza dargli neppure in tempo di contare fino a tre, per avergli impedito di trascinarsi all’interno di un’esistenza che lo avrebbe reso ancora più infelice. Poteva dire di stare bene ora, nonostante le altre batoste amorose ricevute. Il suo lavoro gli piaceva e anche i colleghi, gli sembrava quasi di aver trovato il suo posto dopo tanto vagare.
    La sua risposta lo lasciò senza parole per un momento. No, onestamente non riusciva a credere che quelle due immagini di lei indicassero una stessa persona. Non riusciva a sovrapporre l’immagine di quella ragazzina con le guance sporche di fuliggine, i capelli un po’ scarmigliati e un sorriso dolce con quello della donna sicura ed elegante che aveva di fronte. Certo, in fin dei conti si trattava sempre di Bellatrix, ma qualcosa gli diceva che troppe cose fossero cambiate in lei e attorno a lei, per poter dire che si trattava sempre di quella stessa ragazzina. Non le rispose, lasciando che la sua domanda aleggiasse nell’aria mentre si allontanava di qualche passo e iniziava a preparare il cocktail su misura per lei, lasciando ispirare da alcuni dettagli e cercando di immaginare che cosa potesse essere rimasto lo stesso. Pensò alla nostalgia di casa che qualche volta lo attanagliava ed era convinto che anche per lei dovesse essere lo stesso. Sapere di non poter andare via, non per lungo tempo almeno, per non perdere ciò che si era costruito in quella cittadina, faceva sempre venire una certa vertigine quando si riportava alla mente il ricordo della propria patria lontana, degli amici e della famiglia che erano rimasti lì. Le porse il suo drink per poi allontanarsi da lei per qualche minuto, avvicinandosi agli altri clienti e occupandosi di altre preparazioni. I tavoli erano ormai stati quasi tutti riempiti e molti degli ospiti di quella sera sembravano voler iniziare il loro pasto con un cocktail di benvenuto. Gli piaceva darsi da fare ed era felice quindi di avere serate come quelle, in cui gli veniva richiesta anche un po’ di inventiva. Negli altri luoghi dove aveva fatto il barista il più delle volte i clienti chiedevano semplicemente del vino o della birra, o negli orari degli aperitivi qualcuno chiedeva i soliti drink ormai conosciuti da tutti. Al Rainbow, invece, arrivavano anche clienti che volevano assaggiare qualcosa di nuovo e quelli che divenivano avventori abituali avevano imparato a fidarsi di lui e lasciare che li sorprendesse con qualcosa fatto su misura per loro.
    La guardò di sottecchi per qualche momento prima di riavvicinarsi, curioso di sapere se il drink le fosse piaciuto. Sorrise un po’ più sereno quando lei confermò che la scelta era stata apprezzata, per poi chiedergli cosa lo avesse ispirato, alla fine dei conti. Il sorriso sulle sue labbra si fece ancora più largo e sbarazzino mentre si stringeva appena nelle spalle. -Mi dispiace, un mago non rivela mai i suoi trucchi. - disse quindi, soltanto, evitando di rispondere a quella domanda. Il processo creativo che lo portava a realizzare delle bevande su misura era qualcosa di molto intimo per lui, che non spiegava mai. Forse perché temeva di aver colto i dettagli sbagliati, quelli più tristi, che le persone avrebbero voluto dimenticare e sentirsi invece dire che questi erano perfettamente visibili agli occhi di uno sconosciuto dietro un bancone non li avrebbe aiutati a trascorrere una buona serata. Evitò quindi la sua domanda. Forse un giorno glielo avrebbe spiegato davvero, ma riteneva che quello non fosse il momento migliore. La vide anche cambiare espressione, mostrandone una decisamente più ostile, quando lui le chiese come si dovesse comportare e se dovesse fingere di non conoscerla affatto. Mosse istintivamente un passo all’indietro, allontanandosi da lei dopo essersi fatto così vicino, pronto quindi a incassare le conseguenze delle sue parole. Inclinò appena il capo quando la sentì calcare il tono sulla parola amici lasciando intendere che fosse quello che non le era piaciuto della sua domanda. In effetti forse amici non lo erano mai stati, anche se lui l’aveva sempre considerata tale, visto l’affetto che provava per suo fratello Sirius. Forse l’errore era stato semplicemente credere che lei lo avesse sempre visto allo stesso modo e non uno sconosciuto tra i tanti, uno degli altri amici di suo fratello di cui non le importava affatto. Appuntò quel dettaglio, deciso nell’idea di ricalibrare il modo in cui rivolgersi a lei, facendo tesoro di quella reazione sin troppo evidente, sotto la patina di tranquillità che continuava a mostrare a un occhio più esterno. -Sì, probabilmente questa è una maniera più corretta di definirci, in effetti. - ne convenne, continuando a mantenere quella maggiore distanza che aveva posto poco prima. Prese uno dei bicchieri usati dal lavandino, iniziando a riempire la lavastoviglie che aveva alle spalle, spostando quindi l’attenzione da lei per qualche momento, mentre la sentiva parlare della sua campagna elettorale. Forse spostare l’attenzione su un terreno più sicuro era stata una buona idea per evitare che quell’incontro andasse completamente a rotoli. Si appuntò di scrivere a Sirius quanto prima, per cercare di incontrarlo e capire qualcosa in più su una delle sue due sorelline.
    Risollevò lo sguardo su di lei quando la sentì dire, come tono tranquillo, di stare bene, notando un sorriso più sereno sul suo volto a quel punto, come se l’iniziale maremoto si fosse placato e ora la superficie del mare che si estendeva tra di loro apparisse più quieta. Annuì appena, ricambiando il suo sorriso senza tuttavia tentare di chiederle qualcosa di più gli sembrò di aver già combinato abbastanza guai per una sola serata e si limitò quindi a restare in silenzio, in attesa che fosse lei a porre qualche domanda. -Io sto.. bene. - mormorò, con un leggero sorriso, prendendosi qualche istante prima di mormorare quella parola. In realtà non lo sapeva neppure lei come stava. Un momento stava bene, quello dopo veniva riassorbito nella parabola discendente in cui era finito dopo essere arrivato in città e aver abusato della sua strana particolarità. Dire di stare bene però era molto più semplice, faceva sentire le persone più tranquille e le sollevava dalla necessità di dire qualcosa per risollevargli il morale. -Sì, in effetti è passato molto tempo. - mormorò e quel punto l’ombra di Julia rabbuiò il suo sorriso. Stava ancora insieme a lei quando l’aveva incontrata l’ultima volta? O forse era stato ancora prima? In effetti non lo ricordava affatto. -Sono quasi due anni ormai. Più o meno da quando hanno aperto. - le rivelò, con una certa tranquillità. Parlare del suo lavoro era senza dubbio uno degli argomenti più semplici per lui, uno di quelli che non lo riportava indietro di anni. -Mi trovo bene qui, finalmente. Quindi spero di non combinare qualche disastro. - le disse, rivolgendole poi un leggero occhiolino, cercando di rendere un po’ più scherzosi i toni di quella conversazione. Aveva lavorato in diversi altri locali prima di arrivare a quello e doveva dire che era il miglior posto in cui aveva lavorato fino a quel momento.
    Scosse il capo, ridacchiando appena, quando lei gli affidò il compito di farla innamorare di quel locale. -No, credo di non essere la persona più adatta per questo. - rispose, in tutta franchezza, mentre uno dei camerieri le portava i vari stuzzichini che aveva ordinato come antipasto, augurandole una buona prosecuzione. -Credo che sia la nostra chef, quella che di solito fa innamorati tutti e li convince a tornare. - ammise quindi, poco dopo, con un sorriso dolce sul volto mentre parlava del suo capo. Era una ragazza allegra e molto gentile, un po’ imbranata nel tempo libero, ma un vero portento nel suo lavoro. -Non potrei mai rubarle la scena. - aggiunse quindi, parlando della chef ma, in qualche modo, rivolgendosi anche a lei in una velata metafora. -Che cosa ti ha portata qui oggi? - domandò, incuriosito, visto che non era una delle frequentatrici abituali e che non sembrava essere stato Sirius a mandarla, avvisandola che lui lavorava lì. -Si è trattato di un semplice caso? - chiese ancora, immaginando che la risposta dovesse essere molto più semplice del previsto. Era molto curioso di sapere che cosa le fosse accaduto in tutti quegli anni, che tipo di scelte avesse fatto e che cosa l’aveva condotta dove si trovava, ma sapeva che quelle non erano domande da fare in un locale pieno di persone che avrebbero potuto cercare di ascoltare alcune delle sue parole. E poi, credeva di avere ancora molta strada da fare prima di poterla conoscere davvero.
     
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