Someone will love you, but someone isn't me

Lev x Ann

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    Gli mancava, se ne convinceva. Succedeva spesso quando le cose andavano storte e per un motivo o per un altro discutevano senza vedersi o parlarsi per qualche giorno. Allora a Lev sembrava davvero di sentire la mancanza di Anna e del suo sguardo addosso, della necessità ossessiva di dimostrazioni che il settanta per cento delle volte lui non si sentiva in grado di darle; inadeguato, era così ogni volta che Ann lo guardava con sopracciglia e labbra arricciate , quando puntualmente Lev non faceva qualcosa che lei si aspettava. Delusione, lo stesso modo del padre dopo che Ed era morto. Forse per questo Lev non riusciva mai a guardarla troppo a lungo, perché non lo sopportava, non era mai riuscito ad affrontare la propria inadeguatezza e starle intorno illuminava a giorno tutte le lacune di cui era fatto. Però c'erano stati anche momenti belli in quell'anno trascorso insieme, giornate in cui, a ripensarci, Lev poteva dire di essersi sentito sereno, vicino alla felicità. Vicino perché di fatto non era ancora sicuro di che forma, colore o sapore avesse quella condizione per lui non avendola mai raggiunta prima. La immaginava rosso arancio, forse, sicuramente calda e arrotondata per far fronte al freddo grigio nero delle ossessioni che da sempre facevano da padroni alla sua intera esistenza. Dopo la festa, Lev si era sentito in colpa per qualcosa che neanche lui riusciva bene a individuare. Non era solamente il fatto di aver ignorato Anna e di averla praticamente abbandonata senza più una parola, ma il ricordo della strana vicinanza che c'era stata con quella ragazza nell'ascensore lo aveva tenuto a rimuginare per qualche giorno. Era imbarazzato di quello che era successo, del modo in cui era crollato di fronte a una sconosciuta; era successo talmente all'improvviso da non lasciargli neanche il tempo di mettere in pratica tutti quei trucchi che la terapista gli aveva insegnato per arginare la crisi: la mente aveva ceduto al panico così velocemente da coglierlo del tutto impreparato. Erano mesi che non aveva una crisi del genere. Mesi. L'ultima era stata poco prima delle regionali di nuoto a inizio estate, quando gli era parso di scorgere Ed fra la folla. Dopo era riuscito a finire la gara e a piazzarsi niente male, ma per tutto il tempo non aveva smesso di vedere i piedi del fratello nuotare di fronte a lui. Era stato a tanto così dal farsi beccare. Uno dei compagni di squadra sarebbe potuto entrare negli spogliatoi e trovarlo così, tremante sul lineum umido mentre, per lo sforzo di respirare, gli uscivano le lacrime dagli occhi. A guardarlo infilare la cuffia quindici minuti dopo, mai si sarebbe immaginato che fosse lo stesso ragazzo degli spogliatoi. La solita espressione imperturbabile, i movimenti precisi e calcolati mentre si posizionava sulla pedana piegando le gambe, le braccia tese con i gomiti contro la cuffia, vicino alle orecchie qualche secondo prima di perforare con il corpo il manto lucido dell'acqua. Neanche un passo falso. Tenersi tutto dentro era l'unico modo che aveva di mantenersi dritto, di non crollare. Perché non poteva davvero far vedere la verità a nessuno, sapere di lui avrebbe voluto dire perdere quel poco che gli restava. Lev non poteva cadere, e Anna poteva aiutarlo a restare a galla. Popolare, intelligente e bellissima, poteva essere la ragazza perfetta per lui; era la ragazza perfetta, mancava solo lui che lo capisse. Doveva finirla, essere più presente e un po' meno nella sua testa prima che fosse troppo tardi e mandasse a puttane anche quello e, insieme, tutta la pantomima che da anni era la sua vita. Doveva semplicemente dimostrarle di più, sai quanti ragazzi ci riuscivano?

    Persino quel pensiero non gli dispiaceva, avrebbe potuto impegnarsi, donarle qualche attenzione e affetto in più. Poteva farlo. Voleva farlo? Sì, certo che sì. Questa sensazione lo rincuorava, doveva piacergli davvero se provava il desiderio di rivederla, se pensava con piacere all'opportunità di poterla sfiorare e sopratutto di farsi toccare, situazione che raramente viveva con la tranquillità tipica della sua generazione che invece non sembrava volere altro se non quello.
    Creava una tale aspettativa, il sesso, e Lev non si sentiva all'altezza. Non che non gli andasse anzi, ma sapeva che non poteva, non quando la mente non collaborava. C'era qualcosa, nell'atto del toccarsi, che d'istinto lo spingeva a rispondere con l'allontanamento. Ha a che fare con il trauma, gli era stato detto molte volte, con il trauma e con tua madre. Fino ad ora, quelle parole non l'avevano aiutato a risolvere un bel nulla.Prima doveva cercare di arginarsi, di frenare il casino che gli roteava in testa e poi, forse, ce l'avrebbe fatta. Chissà se Anna avrebbe saputo aspettare. L'inverno era arrivato da un pezzo e aveva ricoperto Besaid di un manto di neve indurito ai lati delle strade. Lev ne scavalcò uno, la suola degli stivali da uomo batté sull'asfalto creando un piccolo tonfo ghiacciato e scricchiolante. Dalla macchina appena parcheggiata nella stradina laterale un po' buia si stava dirigendo verso le luci, il calore, il vociare e le persone. Al pensiero della gente infilò più a fondo le mani nelle tasche del cappotto invernale, così giù come se sperasse ingoiassero i gomiti, le spalle e per finire anche lui. Sparito. Ma non poteva, doveva incontrare Ann e sarebbe stata una bella serata. Guardò i propri piedi per tutto il tempo che impiegò a raggiungere uno dei tanti stand febbricitanti di colori, chiacchiere e musica natalizia, ordinando un americano per lui e una cioccolata calda per lei prima di inoltrarsi di più nella fiera. Concentrarsi sulle proprie scarpe era uno stratagemma imparato col tempo per lasciare alla mente pochissimo spazio d'azione, anche se notare che l'etichetta con il suo nome sul bicchiere era storta e avere le mani piene e non poterci fare nulla lo stava già facendo impazzire. Per fortuna un movimento catturò la sua attenzione e Lev alzò lo sguardo. Sopra di lui svettavano i rami di un abete altissimo e, appena più in là, le cabine di una ruota in movimento. Ti aspetto sotto l'albero e la ruota così non puoi mancarmi. Le aveva scritto l'ennesimo messaggio, l'unico che aveva ricevuto risposta. Non che si fosse impegnata, ma quell' ok solitario conteneva speranza ed era meglio di niente. In effetti, a starsene lì sotto sembrava quasi di avere dei fari puntati addosso e Lev cercò di non pensare alle palline di natale appese sopra la sua testa. Era centinaia, ci avrebbe messo una vita a contarle tutte. Alzò lo sguardo, quell'idea era troppo dolce per lasciarsela sfuggire, e il fiato si scontrò con gli aghi di quel maestoso pino che il comune aveva deciso di addobbare proprio lì, all'ingresso del mercatino di Natale annuale. Poteva farcela. Si disse, studiando il proprio riflesso sulla superficie di una palla rossa. Doveva solo impegnarsi.
    In quel momento, una striscia gialla inondò il rosso della decorazione e Lev abbassò lo sguardo. Ciao. Salutò Anna con un mezzo sorriso forse un po' incerto, come a capire quanto arrabbiata fosse con lui. Molto, pensò. Sembra incazzata nera. Si chinò nel tentativo di darle un leggero bacio sulle labbra, chissà se l'avrebbe scansato per farlo atterrare altrove, forse sulla guancia. Cioccolata fondente, niente marshmallow ma con aroma all'arancia.
    Le offrì dunque il bicchiere ancora caldo con l'accenno di un sorriso speranzoso sulle labbra. Sapeva che era arrabbiata e che avrebbero dovuto parlare ma prima c'era una cosa che doveva farle assolutamente vedere, una cosa che sperava rendesse quella conversazione un po' meno difficile e la risoluzione molto più veloce. Voleva solo lasciarsi quella storia alle spalle, compreso lo strano incontro dell'ascensore al quale aveva pensato un po' troppo spesso, e impegnarsi a fare meglio con Ann. Ti ricordi? SI inumidì la labbra con un sorso di caffè, spostando gli occhi verso la grande ruota panoramica alle loro spalle. Il nostro primo appuntamento era lì sopra. Facciamo un giro, dai. Si avviò cercando la sua mano lungo il fianco dopo aver mostrato al personale i due biglietti che aveva già comprato. La fece salire per prima, seguendola poi e assicurando la sbarra di protezione come fosse lui l'addetto alla giostra e controllandola ossessivamente tre volte. Sperò che non si fosse notato. Ehm Si schiarì la voce, Lev, stringendo il bicchiere con tutte e due le mani, scaldandosi. Non ero sicuro saresti venuta, nei tuoi ultimi messaggi eri distante. Abbozzò un altro sorriso che però sparì quasi subito sotto lo sguardo gelido della ragazza. Mi dispiace per come mi sono comportato l'altra sera, ho la testa presa dalle gare ma davvero non ci sono scuse: sono un ragazzo di merda. La guardò per un attimo prima di cercare con la mano in una tasca e tirarne fuori una scatolina. Però non mi sono dimenticato del tuo colore preferito e del nostro anniversario due giorni fa, quando non mi parlavi. Il viso di Ann era illuminato per metà dalle luci della giostra che disegnavano uno strano gioco ipnotico nei suoi occhi azzurrissimi, ma la penombra aiutava Lev a non focalizzarsi su dettagli su cui arrovellarsi invece di concentrare tutto sé stesso sulla situazione. La scatolina conteneva un paio di orecchini di topazio bianco. Continuò ad osservare quella metà di viso illuminata convincendosi di poterla amare davvero, qualunque cosa volesse dire si sarebbe impegnato ad ogni costo.
     
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    Era trascorso ormai qualche giorno dalla festa in cui Lev aveva ben pensato di piantarla in asso, costringendola a chiedere l’aiuto del suo amico Henrik per poter tornare a casa. I giorni erano trascorsi e con il passare del tempo Anna aveva creduto che la rabbia si sarebbe affievolita, così come era accaduto tutte le volte precedenti, quando il suo ragazzo aveva messo in atto una serie di atteggiamenti fuori luogo che lei gli aveva sempre perdonato, invece quella volta tutto sembrava diverso. Se in passato la necessità di avere qualcuno al suo fianco le aveva imposto di passare sopra ogni cosa, di accettare la distanza che c’era tra di loro quando erano soli pur di avere tutti gli occhi puntati addosso quanto erano in mezzo alla folla, ora che lui l’aveva lasciata da sola davanti agli occhi di tutti non credeva che potesse esserci più nulla in grado di tenerli insieme. C’era sempre stato una sorta di patto non detto tra di loro, qualcosa che li spingeva a mostrarsi felici e affiatati davanti al pubblico per brillare come una delle coppie del momento, invidiati e sospirati da tutti, e lui aveva appena tradito quel patto. Aveva trascorso ore la mattina successiva al fatto a chiedersi che cosa fosse successo, ne aveva parlato anche con Gree che l'aveva aiutata a vedere le cose più chiaramente, mettendo da parte i sentimenti e cercano di guardare la scena dall'esterno. Lui non la amava quanto lei meritava, di questo oramai credeva di essersi convinta. Aveva trascorso anni a credere di non essere abbastanza, sebbene desiderasse con tutta se stessa brillare come la stella più luminosa del cielo. Si era detta che la vicinanza con un altro astro avrebbe accentuato la sua luce e invece Lev la stava oscurando, mettendola da parte e privandola delle attenzioni che meritava. Anna avrebbe sempre desiderato essere il sole, come Gree: caldo, passionale e così luminoso da accecarti. Invece lei era molto più simile alla luna: fredda, algida e lontana, con quel bagliore azzurrino che a malapena rischiarava la notte.
    Aveva quindi smesso di scrivergli, cercando ostinatamente di trovare da sola una soluzione al problema che la affiggeva. Lo amava così tanto da sopportare il pensiero di rimanere nell'ombra ancora per chissà quanto tempo? E lui, lui la amava davvero? C'erano stati anche dei momenti belli. Se li ricordava, ed era a quelli che si aggrappava quando le cose si facevano più difficili e lei iniziava a vacillare. Ricordava il loro primo appuntamento, il suo sorriso sghembo che l'aveva sempre fatta impazzire, così lontano e misterioso, l'attenzione che ci metteva per sembrare sempre perfetto, così come faceva lei. Ricordava quella volta in cui, in mezzo al temporale, le aveva dato la sua giacca per non sentire freddo; la prima volta in cui le aveva detto che era bella, quasi sottovoce, come se non volesse che il mondo lo sentisse e lei si era sentita davvero bellissima in quel momento, come se le sue parole bastassero a farle dimenticare tutto quanto, tutte le insicurezze, le paure, tutti i traumi del passato. Si era aggrappata spesso a lui, alle sue poche parole e ai suoi gesti ancora più piccoli ma non per questo meno importanti. Era il loro piccolo fragile mondo, difficile da capire per tutti gli altri e lei faceva fatica a distruggerlo.
    Era stato lui a scriverle quando lei aveva deciso di ignorarlo. Le aveva mandato un primo messaggio che aveva letto senza aprire, abbassando semplicemente la finestrella del display e lasciandolo lì, senza alcuna visualizzazione. Poi ne era arrivato un altro e anche in quel caso aveva fatto lo stesso, troppo orgogliosa per ammettere che quelle piccole attenzioni le avevano fatto piacere e per rispondere subito, dopo tutto quel silenzio da parte sua. Aveva atteso ancora, fino a che non le aveva proposto di vedersi vicino alla ruota panoramica e allora alla fine aveva ceduto, scrivendo un semplice "Ok". In cuor suo aveva sempre considerato che quello fosse il loro posto, quello dove tutto era iniziato e dove forse, poeticamente, tutto doveva finire. Lo aveva colto come un segno, un messaggio da parte del destino che le diceva che quello doveva essere il luogo della verità, quello dove rivedersi e finalmente capire tutto più lucidamente.
    Si preparò con cura, acconciando i capelli in morbide onde dorate e cercando il trucco più corretto per quell’occasione. Aveva indossato un abito bianco invernale, dal tessuto un po’ spesso e una trama di fiori che andavano dal giallo, al rosso al blu, vestito che aveva coperto con un cappotto bianco, come la neve che aveva coperto le strade in quelle ultime settimane. Le era bastato guardare i cumuli al bordo della strada per recuperare almeno l’ombra di un sorriso. Le piaceva l’inverno, ma ancora di più adorava quel manto bianco in grado di coprire ogni cosa, le dava l’impressione che la neve fosse capace di cancellare tutto, anche le cose più brutte. Si piegò un momento, afferrando un pugnetto di neve tra le mani guantate e se lo avvicinò al volto, osservandola più da vicino e sorridendo con aria più tranquilla. La riappoggiò quindi a terra, con un sospiro. Poteva farcela. Riprese a camminare, decidendo di lasciare l’auto a casa per quel giorno. Il freddo l’avrebbe aiutata a rimettere a posto i pensieri. Era una sensazione piacevole, quasi familiare, la faceva sentire come se fosse davvero a casa. Si mosse veloce, puntino bianco in mezzo al bianco dell’inverno, ben sapendo che usare quel colore non l’avrebbe comunque fatta passare inosservata, anzi. Raggiunse l’ingresso dei mercatini di Natale e si fermò un istante a osservare quella folla di persone felici. Anche lei lo era? Era davvero felice in quella vita? Notò la figura di Lev, con la teta sollevata verso l’alto a guardare le palline di Natale luminose che addobbavano l’albero di Natale e fu pervasa dall’istinto di andare via, tornare a casa e lasciare perdere tutto quanto. Rivederlo fece rapidamente montare in superficie tutta la rabbia che aveva cercato con fatica di sedare sino a quel momento. Aveva voluto raggiungerlo di tutta fretta e colpirlo, prendere a pugni quel suo petto largo e chiedergli perché, perché diavolo l’avesse lasciata lì, da sola, senza neppure un messaggio. Invece si mossa lenta nella sua direzione, con lo sguardo fisso e fermo, l’unico elemento che mostrava il fuoco che divampava sotto la superficie apparentemente impassibile che mostrava davanti al resto del mondo. Era a pochi metri da lui quando il ragazzo abbassò lo sguardo, intercettando la sua figura con un mezzo sorriso che lei non ricambiò. -Ciao. - rispose, cercando di modulare la voce per mantenere un tono civile ed evitare di attirare tutta l’attenzione. Voltò la testa quando lui si chinò per baciarla, offrendogli solo la guancia, facendo intendere a lui, e a lui soltanto, quanto fosse la rabbia che ancora provava nei suoi confronti.
    Accettò la cioccolata, che suonò tanto come un’offerta di pace, tenendola con entrambe le mani. Il calore si spinse fin sotto il tessuto dei guanti, andando a intaccare il freddo delle sue mani smaltate. -Sì, me lo ricordo. - mormorò, in risposta alla sua frase, guardando il terreno sotto i suoi piedi. Serbava quel ricordo nel suo cuore con incredibile affetto e un po’ temeva che quel giorno il ricordo si sarebbe infranto, annullato da qualcosa di molto più forte e impossibile da circoscrivere. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Arrabbiarsi non le faceva bene, rendeva incontrollabile la sua particolarità e lei non voleva perderne il controllo davanti a tutte quelle persone. La città ne avrebbe parlato per giorni e lei non poteva assolutamente permetterselo. Si accomodò sul sedile della ruota panoramica mandando giù un sorso di cioccolata e perdendosi a osservare il suo riflesso all’interno di quel liquido scuro. -Chissà perché. – mormorò, stizzita, continuando a evitare il suo sguardo, quando lui le fece notare che era stata distante nei sui messaggi, per poi provare a scusarsi cercando di giustificarsi con le gare che stavano per arrivare. Solo allora rialzò lo sguardo dalla cioccolato, puntando i suoi occhi azzurri dritti su di lui. -Le gare? Davvero, Lev? - chiese, come a volersi assicurare che davvero pensasse di potersela cavare così, buttandola sullo sport e sperando che lei ci credesse. Trattenne il respiro, assumendo un’aria confusa, quando lo vide armeggiare all’interno della sua tasca, tirando fuori una scatolina. Si era ricordato del loro anniversario. Lei, invece, era stata così presa dalla rabbia da esserselo completamente dimenticata. Strinse le labbra mentre si rigirava tra le mani la scatolina. Si sentì in colpa per quella dimenticanza, per non averci pensato. Attese qualche momento, in silenzio, senza aprirla. -Hai detto che andavi a prendere da bere e non sei più tornato. - mormorò, abbassando il tono della voce, lo sguardo ancora su quella piccola scatolina bianca che teneva in mano. -Dove sei andato? Perché non sei tornato? - chiese, la voce che tremolò appena mentre lo sguardo tornava su di lui, appena più lucido. Raramente Anna piangeva, detestava farlo, la sentiva fragile e insicura, eppure c’erano delle occasioni in cui nulla sembrava voler frenare quella corsa. -E perché non hai risposto ai miei messaggi e alle mie chiamate? - domandò ancora, a ruota, senza dargli il tempo di rispondere. Un fiume di parole che premevano di uscire e la necessità di dirle nel modo giusto, senza che frasi sbagliate potessero attivare senza volerlo la sua particolarità. -E voglio la verità Dimitri, perché me la merito. - terminò, lo sguardo di nuovo fermo nonostante il luccichio. Non lo chiamava mai con il suo vero nome, quasi nessuno lo faceva, eppure in quel momento sentiva che non c’erano più i Lev e Anna di una volta, quelli che erano stati fino a qualche settimana o mese prima. Sentiva che qualcosa si era rotto, spezzato e lo dimostrava il fatto che lei si fosse dimenticata il loro anniversario e che lui l’avesse piantata in asso. Lo dimostrava il fatto che erano lì anche se sembrava che entrambi volessero essere da tutt’altra parte.
     
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    Lì, su quella ruota panoramica, aveva creduto di potersi sentire come un anno prima, di poter aggiustare tutto. E invece la solitudine che avvertiva in quel momento era come una grande voragine nel petto, annientava ogni emozione positiva a cui aveva cercato di aggrapparsi e ingurgitava tutto, lasciando fuori solo le manie, le fisse, le ossessioni. Non ricordava quando erano iniziate, o forse sì ma non gli piaceva pensare a quel periodo e a quella che era la sua vita prima. Tutto di quel periodo era rilegato al prima di, che aveva cancellato dalla vita come se bastasse strofinare per far tornare il foglio intonso. L'unica cosa che dal prima si era portato nel dopo era la sorella, che forse per questo a volte sentiva di non sopportare. Gli ricordava quello che tentava disperatamente di eliminare ricoprendosi di vestiti firmati, tuffandosi nel silenzio pieno della vasca, trovando una ragazza come Ann a completare il siparietto perfetto che voleva per sé. Per un po' aveva funzionato, o così gli era parso. Ann gli piaceva più di altre, apprezzava la sua presenza anche se spesso non riusciva a tenerle la mano troppo a lungo. Ma quello era un altro discorso, un altro problema, il suo, che prescindeva da lei. Ann era perfetta, lo pensava seriamente, per questo aveva sperato di riuscire a sistemare le cose rimettendo in scena una giornata di 365 giorni prima in cui erano stati felici. Ma a quanto pareva un anno bastava a far sì che la magia non funzionasse più, gli ci era voluto un giro della terra intorno al sole per mandare tutto a puttane. Incredibile. Più lei rifiutava i suoi imbarazzati tentativi di chiederle scusa, più Lev sentiva montare dentro la frustrazione di non essere all'altezza. La vecchia, subdola sensazione di non contare niente. Strinse i pugni quando Ann praticamente non degnò di molta importanza il suo regalo. La sentiva scivolare via dalle mani e non sapeva cosa fare per fermarla. Non ne era in grado, così come non era in grado davvero di affrontare gli attacchi che lei gli stava lanciando. Si ritrasse, lo si vide proprio spostare il baricentro verso la parte opposta del piccolo spazio come se volesse sfuggire, allontanarsi, schermarsi la testa come quando da bambino il padre alzava le mani su di lui. Aveva cambiato molte cose di sé senza riuscire mai davvero a imparare a lottare, neanche per qualcosa a cui teneva. Gli era impossibile. Era bloccato nella sua testa, chiuso in una spirale di pensieri e strangolato da quelle ossessioni che in situazioni di stress si facevano ancora più pressanti. Mentre lei parlava, infatti, prese a contare i disegni sul suo vestito. Erano dispari fin dove poteva vedere, avrebbe voluto che si girasse per poter guardare il retro. Iniziò a torcersi le mani per impegnare la mente su una sensazione fisica che lo tranquillizzasse, cosa che gli attacchi verbali di Ann invece non facevano. Chiedeva e chiedeva senza dargli il tempo di rispondere, di pensare a come risponderle. Vederla così avrebbe dovuto annientarlo e invece si ritrovò solo a non sapere cosa fare, come sentirsi. Sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto provare, tuttavia solo una emozione svettava netta tra le altre ingarbugliate e senza nome: disagio. Riusciva sempre a ridurre tutto a qualcosa di negativo, lo sapeva, ma non riusciva altrimenti. Perché era fatto così?
    Ero bloccato nell'ascensore fermo e... e ho avuto un attacco di panico come non ne avevo da mesi, non riuscivo a muovermi, mi sembrava di morire, il cuore mi scoppiava nel petto, c'era questa ragazzina che mi ha preso le mani e mi sono calmato, nessuno c'era mai riuscito prima, per un momento ho avuto l'impulso di baciarla ma non l'ho fatto e mi sento in colpa lo stesso. sono fatto male, c'è qualcosa che non va in me da sempre, non riesco a godermi nulla, non provo nulla e l'unica cosa che mi rilassa è il nuoto e i numeri, mio padre mi picchiava e mia madre non faceva nulla per fermalo, ho delle manie compulsive e ho il terrore che si venga a sapere, che tu venga a sapere tutto quello che non va in me. sono tanto stanco, ho paura di esplodere, che l'oscurità vinca e che lo sciame mangi tutto fino all'osso senza lasciare più niente. ...e quando è ripartito ero così stanco e ubriaco che me ne sono andato a casa. Avrei dovuto avvertirti. Non sarebbe mai riuscito a dire la verità, mai. Avrebbe voluto piangere, Lev, sentiva gli occhi pizzicare agli angoli.Distolse lo sguardo per un attimo facendolo vagare. Le persone erano così piccole da lassù, appena piccole capocchie di spillo, gironzolavano portandosi dietro i loro piccoli problemi sulle spalle. Come facevano a sopravvivere? Perché lui era stanco morto. Uno, due, dieci, si morse forte l'interno della guancia. Il dolore a volte riusciva a interrompere l'attacco, riportandolo al presente. Si ritrovò a stringere la barra che li teneva al sicuro talmente forte da avere le nocche sbiancate. Non lo so perché non ti ho risposto. Mi dispiace An, non ho una spiegazione, non quella che vuoi. Aveva i muscoli della mascella talmente contratti da faticare a scandire bene le parole. Stava rovinando tutto e si odiava. A parte che sono uno stronzo. Sei contenta? È quello che vuoi sentirti dire, no? Alzò lo sguardo verso il cielo. Le stelle lo guardarono lontane, anche lui per loro era solo una testa di spillo tra miliardi di altre? Eppure i suoi problemi gli sembravano talmente insormontabili da voler spesso rimanere a letto senza muovere un muscolo. Si sentiva una nullità. Il contatto visivo con lei gli sembrava ora impossibile. Che cosa pensi? Che me ne stessi beatamente a casa a scoparmi un altra? Non stava urlando, cercava di controllare la voce anche se tremava chiaramente. Possiamo fare che sia andata così, se vuoi una scusa per avercela a morte con me da raccontare alle tue stupide amiche. Tanto non aspettano altro, è tutto l'anno che sbaglio o non faccio abbastanza. Almeno adesso avrete qualcosa di grande di cui sparlare. Perché stava facendo tutto quello? Perché non riusciva a starsene zitto come al solito? Era arrabbiato con lei anzi no, con sé stesso, con il fatto d'essere fatto così male. Sputava veleno stringendo sempre di più le dita contro la sbarra. Ci aveva provato tutto l'anno, aveva combattuto per darle quello che voleva ma non era abbastanza, c'era sempre qualcosa che non faceva abbastanza.
    Guardarla gli era impossibile.
     
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    Chiusi in quello spazio, sospesi a qualche metro da terra, avrebbero potuto fingere che il mondo non esistesse. Era stato così un anno prima, ricordava ancora quella giornata speciale che l’aveva convinta che Lev fosse quello giusto, che da quel momento in poi tutto nella sua vita si sarebbe sistemato e avrebbe iniziato a girare per il verso giusto. Aveva creduto che quella relazione sarebbe bastata a rimettere insieme i pezzi di un’esistenza spezzata, a richiudere ferite che nascondeva con attenzione ma che facevano ancora male. La paura di essere rifiutata, di non essere mai abbastanza, di essere sempre la seconda scelta. Si era chiusa dietro un guscio di apparente freddezza e perfezione mentre dentro di lei non poteva fare a meno di sentire la terra mancare sotto i suoi piedi, in ogni momento. Aveva pensato che Lev sarebbe riuscito a farle sentire di nuovo quella terra, che avere qualcuno che teneva davvero a lei sarebbe bastato a cancellare ogni dubbio e insicurezza, ma più tempo trascorrevano insieme più le sue paure si facevano insistenti. Anche lui, come tutti gli altri, aveva oramai capito che lei non era abbastanza?
    Strinse appena le dita sottili contro il pacchetto, fissando il suo contenuto alla ricerca di una qualche emozione. Il bianco era sempre stato il suo colore e lui lo sapeva, almeno quello. Quasi le venne da piangere per la scelta così azzeccata in un momento così sbagliato. Se quello fosse successo soltanto qualche giorno prima sarebbe stato tutto diverso. Avrebbe fatto i salti mortali per un regalo e un po’ di attenzioni, ma in quel momento, dopo quella maledetta festa, sentiva che quei gesti non erano abbastanza, non se voleva davvero dimostrarle che si sbagliava. Era troppo arrabbiata. Così tanto che era difficile controllarsi ed evitare di dire o fare qualcosa di irreparabile. Si morse l’interno del labbro mentre lui iniziava a parlare, spiegandole di essere rimasto bloccato all’interno dell’ascensore. Per un momento le tornò alla mente Henrik che scherzava sul fatto che chi era rimasto lì dentro era stato ancora più sfortunato di loro due quella sera. Non aveva pensato neppure per un istante che potesse trattarsi di lui, che fosse stato quello a tenerlo lontano. Mantenne il fiato sospeso mentre lui si prendeva una piccola pausa prima di terminare la frase. Per un istante credette di poterlo perdonare, che ci fosse una spiegazione adeguata, qualcosa che potesse calmarla, ma le successive parole spazzarono via ogni possibilità di tregua. -Ed eri così ubriaco e stanco da dimenticarti di essere venuto con la tua ragazza e che lei non aveva un passaggio con cui tornare a casa? - domandò, indispettita, fissando il regalo per un altro momento, prima di puntare lo sguardo gelido su di lui, che nel frattempo aveva spostato lo sguardo altrove, verso il basso, verso le persone che proseguivano al loro vita, come se nulla fosse. -Eri così ubriaco da dimenticarti di me. - terminò e questa volta non ci fu rabbia nella sua voce bassa e stanca, solo infinita rassegnazione. Non era che l’ennesima dimostrazione che non ci fosse un posto per lei in quel mondo, che non ci fosse un posto per lei nel cuore di qualcuno.
    Sentì gli occhi bruciare mentre cercava di trattenere le lacrime. Avrebbe voluto urlare, ferirlo quanto lui aveva appena ferito lei, ma non ci riusciva. Era così delusa da non essere in grado di formulare altri pensieri. Gree aveva sempre avuto ragione. Lev non la amava, non l’aveva mai amata. Era sempre stata lei a illudersi che le cose potessero funzionare. Qualcuno che ti ama non si dimentica di te. Restò in silenzio mentre lui andava avanti e le diceva di non avere una spiegazione, non quella che voleva lei almeno e che poteva solo pensare che lui fosse uno stronzo. Lo aveva pensato, era vero e continuava a pensarlo, ma questo non la aiutava a stare meglio. -Non mettere in mezzo le mie amiche, loro non centrano. - ribattè, seria. La voce calma e affilata di chi stava per esplodere ma non voleva farlo. Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, scuoterlo, trovare il modo di strappargli almeno un’emozione, almeno una, in quel momento. Si girò con il busto verso di lui, gli occhi sempre più lucidi e le mani che tremavano in maniera visibile. -Sarebbe stato quasi meglio, sai? Sapere che eri con un’altra, sapere che avevi un motivo, uno qualunque, che ti tenesse la mente lontano da me. - mormorò, piano, cercando di trattenere le lacrime, mentre la giostra si fermava nel punto più alto, per qualche minuto. -Invece è anche peggio di così. - disse, scuotendo la testa e lasciandosi andare a una leggera risata liberatoria mentre le prime lacrime iniziavano a scivolare via dai suoi occhi. Era così assurdo che faceva fatica a crederci, ma in effetti ora le era finalmente tutto chiaro. -Tu non mi hai mai amata, non è così? - domandò secca, senza aspettare neppure una risposta. Era stanca di nascondersi ormai, di fingere che tutto potesse essere aggiustato. Di fingere che due pezzi di puzzle così diversi potessero davvero incastrarsi per creare qualcosa di bello. -Ti importava così poco che non ti è sembrato opportuno neppure dedicarmi un pensiero. Quanto sono stupida. - disse ancora, appoggiando il pacchetto tra loro due, così da liberare le mani per asciugarsi le lacrime. -Così stupida da credere che ti importasse, almeno un po’.. che ci tenessi almeno quanto dicevi. Invece erano tutte bugie. - soffiò, scostandosi appena con le gambe per allontanarsi da lui, almeno per quanto era possibile in uno spazio così ristretto. -Beh, grazie di averlo ammesso alla fine. Prima che fosse troppo tardi. - borbottò, mischiando le parole ai singhiozzi. Si fermò per un istante e chiuse gli occhi, cercando di recuperare la calma. No, non aveva il diritto di vederla in quel modo, non aveva il diritto di farla soffrire così. -Sei libero adesso, come hai sempre voluto. - terminò, spostando lo sguardo altrove per potersi asciugare le ultime lacrime. Lui oramai l’aveva vista, aveva capito quanto l’aveva fatta soffrire, ma il resto della città non lo avrebbe mai dovuto sapere. Non poteva permettersi di far sapere a tutti quanto fosse fragile e imperfetta, quanto soffrisse. Il suo cuore spezzato sarebbe stato nascosto con cura, almeno fino al momento opportuno. La ruota panoramica si mosse di nuovo, iniziando la sua lenta discesa verso il pavimento. Buffo pensare che, gli ultimi minuti di quel giro erano anche gli ultimi minuti che avrebbe trascorso vicina a lui.
     
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    Non poteva star accadendo. Il momento che da 360 giorni temeva era arrivato e non aveva la più pallida idea di come comportarsi. In cuor suo sapeva che sarebbe successo, che prima o poi Anne si sarebbe resa conto della farsa e l'avrebbe smascherato per quello che in realtà era: un imbroglione, uno scherzo della natura. Aveva immaginato la scena rigirandosela in testa a notti alterne, pensando a come, dove e perché sarebbe successo. Quale stupido errore, quale dettaglio l'avrebbe esposto ai suoi occhi? La fantasia però non era riuscita a immaginare l'attacco di panico in un ascensore bloccato con una sconosciuta, o la ruota panoramica a fare da sfondo al momento in cui veniva mollato; il pessimismo cosmico che lo contraddistingueva non era arrivato a scegliere l'anniversario come giorno di rottura. Si soffocava lì dentro; in quei pochi centimetri la facciata imbellita di bugie aveva aggiunta una crepa alla sua vetrina e a Lev veniva da vomitare. Strinse forte le dita tra loro, torcendole come a volersele strappare. Meglio loro, meglio distruggersi le nocche che permettere al potere di esplodere o alle manie di venire troppo a galla ed essere viste. Più parlava, più si allontanava da lui e dalla vita che voleva per se stesso, quella che desiderava così ardentemente da costruirla con premura una bugia dopo l'altra. Il cuore batteva così forte da fare male ai muscoli che lo circondavano. Non sta succedendo. Pensò abbassando gli occhi per proteggersi dalle accuse, per non farle vedere niente di lui. Sapeva che aveva ragione, era logico che andasse a finire così: quanto a lungo si può fingere un sentimento? Ma allora perché stava soffrendo? Era indubbiamente dolore quello che provava senza tuttavia riuscire ad esprimerlo a dovere. ≪Però in qualche modo a casa ci sei tornata. Con chi sei andata via?≫ Il sapore metallico del sangue si sciolse sulla lingua come una pasticca mentre il molare destro la seghettava e Lev si malediva interiormente per ciò che aveva appena detto. Stava davvero insinuando qualcosa? Stava facendo la parte del geloso o solamente dello stronzo di prima categoria? Cercò di calmarsi respirando dal naso come qualche anno prima gli era stato insegnato durante le prime sedute di terapia. Quando senti il panico montare, chiudi gli occhi e respira lentamente. Ma il panico era già lì e a chiudere gli occhi sarebbe sembrato un pazzo, perché non sono cose che la gente comune fa durante un litigio, o quando si viene mollati. Avrebbe dovuto guardarla negli occhi e dirle la verità, aprirsi come mai aveva fatto prima per rivelarle come erano davvero andare le cose quel giorno e come andavano da una vita intera, ma così avrebbe parlato di lui e non poteva farlo senza che il fiume sfondasse l'argine e tutto crollasse. Il fratello era argomento taboo. Persino fratello e sorella non ne avevano mai discusso. Stava lì e basta, gravava sulle loro menti senza che riuscissero a spiccicare parola a riguardo. Come poteva spiegarle che era tutta una bugia, che il fratello non era morto ma bloccato in stato vegetativo perché un giorno, uno soltanto, non era andato con lui a nuotare? Come svelarle che aveva spesso desiderato che fosse invece morto quel giorno, che forse sarebbe stato meglio morire piuttosto che vivere ancorato a un letto. Avrebbe dovuto dirle cosa faceva ogni giovedì dopo l'università, che non era vero che si allenava o chissà cos'altro, ma che passava due ore con il fratello alla casa di cura. Appuntamento fisso.
    Ma non l'avrebbe fatto, la bocca non si sarebbe mossa per dire niente di tutto ciò. Perché fondamentalmente Lev era un codardo e come tale gli era impossibile parlare in quei termini di sé e della sua vita. E non si limitò a tacere, sarebbe stato troppo bello. Il bugiardo cronico doveva continuare a mentire per non far crollare la facciata e, menzogna dopo menzogna, ferendo chiunque gli stesse davanti. Roteò gli occhi al cielo, visibilmente infastidito da come stesse proteggendo quelle oche della sua amiche, sgranandolo poi pochi secondi dopo sentendola parlare. ≪Avresti voluto che mi facessi un'altra. Ma ti senti quando parli? ≫ Solo in quel momento, voltando la nuca verso di lei, si accorse delle prime lacrime sul suo viso e si sentì subito il più schifoso residuo umano. Gli tornarono in mente le lacrime della madre quando non riusciva e non voleva proteggerli dal padre o le lacrime della sorella ogni volta che tornava a casa; quei fili sottili resi a tratti argentei dalle luci della città ai loro piedi Lev vi lesse tutto il male che le aveva fatto in quell'anno trascorso insieme. Deglutì a fatica, distogliendo immediatamente lo sguardo dal viso di Ann prima che iniziasse a contarne le ciglia, del tutto impreparato a reagire a quel momento. Non l'aveva mai vista piangere prima. -Tu non mi hai mai amata, non è così? Il sangue congelò diventando ghiaccio nella vene accaldate del ragazzo, a cui sembrò sfrigolare per reazione naturale. Schiuse le labbra sul punto di dire qualcosa, forse per prendere tempo o forse per mentire ancora. Ma le serrò qualche istante dopo, incapace di trovare parole che potessero andare bene. Per fortuna il silenzio durò poco e la pioggia di accuse riprese a piombare su di lui. Preferiva di gran lunghe quelle al silenzio straziante che a gran voce urlava tutte le sue mancanze. ≪...mi interessa, io...≫ balbettò in maniera scoordinata, gli occhi verdognoli che mai sostavano toppo a lungo su di lei. Si sentì impallidire, dovette muoversi allungando gli avambracci per stringere la barra di ferro tra le dita come a volercisi aggrappare e salvarsi, salvare il suo mondo che crollava a pezzetti minuscoli. ≪Non puoi...Mi stai lasciando?≫ chiese stupidamente mentre tornava a guardarla e, per una dannata volta, a sostenere lo sguardo. L'aveva chiesto a bassa voce come se avesse paura che qualcuno potesse sentire cos'era appena accaduto lì sopra, a dozzine di metri da terra. Non erano nessuno lì, le persone sotto di loro andavano avanti con la loro serata non curandosi minimamente di loro. Era straniante, sì, ma lo trovava in qualche modo anche di conforto. Non era nessuno e quello non era niente. Deglutì di nuovo, le nocche ancora stretta sul metallo sperando che quel freddo riuscisse a calmarlo. Con uno scossone, la ruota riprese a muoversi verso il terreno. La corsa era finita e così la loro storia: colava a picco come la giostra.
    Nello scendere, lei lo avrebbe lasciato solo sul sedile e lui non avrebbe detto o fatto assolutamente niente per fermarla. Non avrebbe allungato una mano, non avrebbe sussurrato il suo nome e provato a chiederle di restare. Com'era ormai abitudine, l'avrebbe lasciata andare senza muovere un muscolo, avrebbe guardato la scatolina sul sedile per un tempo lunghissimo fino a quando qualcuno non gli avrebbe intimato di scendere. Allora avrebbe obbedito come un automa, lasciando il regalo a prendere freddo nella notte invernale.
     
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