Chess Games

Athena x Naavke

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    The Fourteenth of the Hill.

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    Athena Astra Drakos
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    Un mite, estivo paesaggio norvegese sostava ritratto dinanzi agli occhi cerulei di Athena Drakos.
    Ritraeva un placido e silente mattino domenicale proprio come il proprio, verdeggianti colline e paglierine distese di grano.
    Athena potè quasi ascoltare il loro frusciare come un mare aureo, al vento, di una campagna fantastica.
    Era seduta dinanzi a quella meraviglia d'arte e composizione da circa mezz'ora, avendo abbandonato da poco l'esposizione temporanea di artisti rinascimentali italiani ch'erano stati messi in mostra al museo per un intero, privilegiato quadrimestre. Da quando si era stabilita a Besaid, Athena era diventata un'assidua frequentatrice del Kunstmuseum anche se la sua anima raramente si rivedeva toccata dai chiaroscuri, anche dopo una lunga sessione di visite.
    Quella quiete e compostezza, quel perfetto equilibrio di luci, ombre, espressioni ed anatomia la estraniava in una dimensione di pace sufficiente affinchè ella avesse potuto realmente riordinare le proprie idee.
    Ammirava il bello, sebbene dell'arte preferisse l'armonico, l'equilibrio.
    Delle volte si sedeva dinanzi a maestose cornici per dipanare dilemmi semplici: come comportarsi dopo l'ennesimo dramma familiare, chi contattare per rattoppare in modo più efficace, cosa nascondere a suo padre o cosa invece rivelargli per il bene ultimo di mantenere la famiglia salda e coesa.
    Altre volte carezzava riflessioni personali: il proprio modo di codificare e decriptare il mondo, di interpretarne segni e comportamenti, intravedere trame che ad altri sfuggivano o quando ed in che modo ascoltare il proprio cuore.
    Altre ancora si trattava di pungenti questioni lavorative: decretare una sentenza con giustezza o quando, invece, avrebbe dovuto farne esempio. Quando avrebbe dovuto perdere la propria inflessibile fama per essere più morbida, più condiscendente. Sebbene marmorea, la legge si sarebbe potuta piegare alle evenienze e circostanze.
    Seduta dinanzi al paesaggio, Athena tesseva trame invisibili di pensieri, ne riordinava i punti, ne tagliava i fili e snodava gli imbrogli.
    Con le ultime novità e la pandemia che aveva investito Besaid il museo era eccezionalmente vuoto.
    Sebbene preoccupata dagli eventi, Athena apprezzò molto quella coperta ulteriore di pace, quiete surreale in quelle stanze quasi infinite, ove i suoi pensieri erano riusciti a correre liberi.
    Si riscoprì in compagnia solo qualche tempo dopo.
    La giudice sollevò lo sguardo glauco per separarsi sia dal proprio ricamo di pensieri che dalla splendida tela dinanzi a sé, volgendolo nei pressi d'una figura familiare, maschile a cui ella accennò un cordiale sorriso prima di chiudere i propri taccuini.
    Le eleganti, metodiche scritte in greco sparirono, rivelando ancor più il suo distinto compagno.
    Naavke Evjen era uno stimato e prestigioso membro della società cittadina. Più volte la Giudice aveva frequentato il museo di cui egli era curatore e, in altrettante occasioni, era stata ospite dei suoi sofisticati ricevimenti in passato.
    Athena, dopotutto, aveva sempre avuto un occhio di riguardo per quelle creature che avrebbero potuto quietamente tessere trame come lei.
    Sapeva di non essere l'unica con quel dono ed era convinta, dall'acume ed intelligenza innegabili di Naavke, ch'egli fosse suo gemello in quella delicatissima danza.
    «Buongiorno, Herre Evjen» scandì la giudice senza alzarsi, fasciata in uno dei suoi severi ma costosissimi tailleurs dai pantaloni a vita alta e giacche rigorose.
    I lunghi capelli neri e lucenti erano acconciati alle sue spalle in una treccia guerriera mentre dinanzi a sé v'era solo la eco gentile dei passi del suo interlocutore.
    «Ho terminato da qualche ora di ammirare l'esposizione temporanea. Notevole» ammise Athena, la cui voce femminile parve parlare con una nota di rispetto atta ad onorare il luogo in cui entrambi si trovavano.
    Strano come, di istinto, la giudice fosse cauta nel parlare con l'uomo dinanzi a lei, come se volesse in qualche modo rimuoversi da ogni possibile eventualità di rientrare in uno dei suoi schemi anche solo per errore.
     
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    «Buongiorno, Herre Evjen» Seduta ad osservare le opere d'arte custodite nell'esposizione temporanea, la giudice Drakos pareva essere diventata parte delle maestose pennellate che ricoprivano le tele e gli spazi del Besaid Kunstmuseum, proprio come loro imperturbabile, eterna, bellissima ed a suo modo spietata. Non c'è limite, infatti, alle maniere in cui l'arte rivela ciò che di noi vogliamo più nascondere. Di questo Naavke era consapevole, ed in tal senso utilizzava il suo lavoro di curatore al museo per esprimere non solo il vivace scorrere degli scambi artistici nella scena passata e contemporanea, ma anche se stesso. Sapeva che un occhio attento sarebbe stato capace di cogliere in quella selezione severa e creativa anche le pieghe del suo animo, per quanto complesso e nascosto. Si avvicinò alla giudice con calma, senza rimuoverla dalla meditazione in cui sembrava essersi chiusa nell'osservare le opere, e rispose con elegante gentilezza al suo saluto, solo con un cenno del capo. Dottoressa Drakos. Sussurrò lui riverente, sollevando appena le sopracciglia per chiedere in silenzio alla sua interlocutrice se gradisse la sua compagnia. Una volta che gli ebbe risposto, Naavke si accomodò al suo fianco, rivolgendole la sua completa attenzione. «Ho terminato da qualche ora di ammirare l'esposizione temporanea. Notevole» Il contegno quasi marziale che la giudice Drakos esibiva incuriosiva tremendamente Naavke: cosa sarebbe successo se, al posto della mano guantata che sfiorava i propri pantaloni, i polpastrelli del tutto scoperti avessero anche solo inavvertitamente toccato il dorso della mano della impenetrabile magistrata? Cosa le sarebbe accaduto se fosse caduta vittima del suo più grande vizio senza riuscire a mantenere il controllo ed a fermarsi? Sicuramente sarebbe stato un esperimento interessante a cui sottoporre la meravigliosa e ferma Athena Drakos.
    La ringrazio, dottoressa. Penso di non meritare questi complimenti, ma li riferirò certamente a mia moglie. Sa, Cassandra ha origini italiane, intrecciate persino a quelle tormentate e vitali di Artemisia Gentileschi. La collezione infatti proviene in parte dalla sua eredità, mentre il resto delle opere sono illustri prestiti. Ce n'è una che la ispira in maniera particolare? Nell'accarezzare ora l'uno ora l'altro quadro, lo sguardo di Naavke si illuminò di una luce genuinamente curiosa, rivelando il suo interesse nel capire che cosa Athena trovasse di suo gradimento e per quale motivo, come se entrare per qualche momento nel palazzo della sua mente costituisse un'esperienza affascinante tanto quanto la visita della sua controparte al museo. Ci sarebbe stato tanto da ammirare. Eppure, la giudice Drakos aveva già incrociato i piani di Naavke in passato, essendole stato affidato un compito che solo una donna della sua levatura avrebbe potuto portare a termine: Naavke le aveva consegnato il suo cuore, e lei lo aveva custodito per lui tutti quegli anni. Non si trattava però né di qualcosa che il curatore aveva confidato nè organizzato con Athena. Al contrario, era successo tutto a sua insaputa, e lei, precisa ed accurata com'era, si era comportata esattamente come Naavke aveva previsto. Anni prima, quando Athena aveva pronunciato la sua sentenza mandando Vilhelm Bjerke-Petersen in prigione per crimini che non aveva commesso, Naavke aveva capito di aver trovato in lei una una degna avversaria. La giudice Drakos era stata imbrogliata, catturata in una tela di ragno dai fili invisibili, e quella volta non era riuscita a smascherarli. Tuttavia Naavke aveva ben inquadrato la sua figura: se una giudice con la sua esperienza ed il suo rigore era caduta nelle sue macchinazioni, significava che il curatore avrebbe potuto metterla ulteriormente alla prova, testarla finchè non fosse stata lei con ferocia e senza pietà a cercarlo.
    Il mio preferito è senza dubbio Giuditta che decapita Oloferne. Considerata anche la storia della pittrice, un apparente atto di vendetta non può che trasformarsi in uno di liberazione. Commentò, tracciando un sottilissimo filo tra la storia personale della pittrice Artemisia Gentileschi, donna di grande determinazione e dalla storia complessa e Athena stessa, il cui vissuto in qualche maniera sarebbe stato possibile sovrapporre a quello dell'artista. Vista la abilità e le competenze della donna di fronte sè, Naavke infatti si sentì in dovere di fare ricerche sul suo conto con estrema discrezione. Fu solo allora che si sollevò nuovamente, scrutando la figura raffinata di Athena dall'alto per poterla studiare e comprenderne le reazioni. Non gli sarebbe dispiaciuto osservarla in contesti diversi da quello lavorativo, per carpire di più sul modo di fare di una persona che avrebbe avuto senza alcuno sforzo il potere di distruggere sia lui che la sua famiglia e la sua organizzazione. La posso persuadere con un calice di vino? Non capita tutti i giorni di avere una persona dal così alto profilo qui al Kunstmuseum, e del resto è quasi ora di pranzo. Concluse, portando così lo sguardo alle ampie vetrate che illuminavano gli spazi ampi ed ariosi del museo. Il Kunstmuseum riposava nella stasi e nella quiete, eppure abbracciando così la luce del sole attraverso le sue vetrate, sembrava poter abbracciare tutto il bene del mondo in quelle mura piene d'arte ed umanità. Peccato che, nemmeno ad un piano al di sotto di quello, Libra operasse nella più totale libertà, coltivando particolarità di individui che credevano che lì sarebbero stati aiutati, così come continuando nell'operato di destabilizzazione della città, ancora più in fermento dati gli eventi dell'eclissi. Ad ogni modo ora Naavke aspettava, in attesa di portare quella che pensava sarebbe stata una conversazione tremendamente interessante al di fuori delle mura del Kunstmuseum per poter capire fin dove avrebbe potuto coinvolgere Athena Drakos nei suoi progetti di caos e dominio.
     
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    Dall'alto del suo metro e ottanta, il curatore Evjen si presentò in tutta la sua elegante prestanza in cerca di compagnia ed un po' di sana conversazione.
    Athena aveva già incrociato più volte il suo cammino durante la propria permanenza nella città norvegese e, sino ad ora, Evjen era forse stato l'individuo che più le aveva ricordato quell'opulento ambiente d'oro e privilegio che aveva vissuto sulla propria pelle anni prima, quando ancora abitava in Europa.
    Oramai Athena aveva acquisito un buon posto nell'alta società besaidiana e, con esso, erano giunte anche le prevedibili scintille che coloravano quegli ambienti: segreti ben nascosti, maschere fintamente meravigliose di buone maniere, sentimenti irretiti con forza in pubblico e selvaggi in privato.
    La giudice conosceva bene quel genere di dualità e ne aveva assorbito così tanto l'essenza da non riuscire più a distingerla dalla propria.
    Era quel genere di strano comportamento che avevano tutti i nobili moderni, attenti ad ogni gesto, parola o cuore esibito troppo in fretta, intrappolati nelle loro insensate ma ancora tristemente attuali catene di classismo e bizzarrie.
    Così la giudice accettò solenne che qualsiasi cosa fosse stata detta quel giorno fra lei ed il Curatore Evjen non sarebbe stata sincera, aperta e certamente completa nel suo essere.
    «Si accomodi» accennò dunque Athena, riponendo definitivamente il proprio taccuino in borsa con discrezione.
    Lo ascoltò dunque parlare di arte, ritrovandolo perfettamente nel suo elemento, così come della sua splendida moglie Cassandra che ricordava benissimo, esempio di grazia quasi immortale.
    Non aveva idea se il rapporto idilliaco che sembravano esibire durante gli eventi fosse vero, tuttavia in quelle sporadiche conversazioni avvenute fra lei e la signora Gentileschi, la giudice aveva carpito un'estrema brillantezza da parte di lei, indubbiamente superiore a quella del marito sempre impeccabile in ogni occasione.
    «Ricordo bene la signora Gentileschi» ammise Athena, tradendo vagamente il suo accento greco.
    Schioccò calma la lingua contro il palato, pensosa, mentre ascoltava la voce vellutata del suo distinto interlocutore.
    Era pacato, calmo come l'acqua d'un lago profondo.
    Altrettanto pericoloso ed inquietante, specialmente a scorgervi nei suoi abissi.
    Di rado Athena aveva percepito consistenti sentori su qualcuno: non si fidava mai delle sue prime impressioni, tantomeno di ogni valutazione di pancia che avesse potuto fare in vita sua.
    Non che fosse stata mai stata clamorosamente smentita, tutt'altro, quanto più ammetteva d'essere altera persino nei confronti del suo stesso istinto.
    Era solita ascoltarne le vaghe eco solamente quando si trattava di lavoro e, anche allora, serbava costanti riserve d'ogni tipo.
    A guardare il Curatore Evjen, però, era come se fosse capace d'intravedere una specie di tormento, distorsione, strana oscurità che l'aveva sempre invitata alla cautela ed a tenere le proprie carte strette al petto.
    Possibile che fosse stata solo un'insensata scintilla. Dopotutto era un uomo a lei sconosciuto e la cui patina aurea non la convinceva del tutto, tuttavia sancì fra sé di comportarsi esattamente come un leone intento ad infrangere il territorio di un altro.
    «Non credo d'avere un dipinto prediletto. Li ammiro in misura eguale sino a che non trovo quello che concilia più i miei pensieri al momento, come può notare» disse, indicando col mento il bel paesaggio norvegese ritratto dinanzi a sé in una tela dalle dimensioni colossali.
    Si riscoprì fiera del fatto che la sua scelta attuale fosse stata piuttosto indefinita, stringendo il mistero dei propri pensieri a sé.
    L'arte di Artemisia Gentileschi era d'una meraviglia tale da togliere il respiro e, come immortale pittrice e grande donna, Athena non ritenne opportuno ancora esprimere un giudizio in merito alla forza femminile con Naavke, ben sicura ch'egli avesse già sperimentato quella tenacia nel suo stesso nucleo familiare.
    D'altro canto, la giudice non volle manifestare ancora una volta la propria parzialità in questo o quell'argomento, preferendo sondare il suo terreno per primo.
    Aveva visto il Curatore Evjen in splendidi gala, serate di beneficenza, esposizioni temporanee ma mai si sarebbe potuto dire un uomo aperto. Era espansivo, carismatico, prestigioso ed elegante ma, proprio come Athena, non esattamente una creatura propensa a rischiarare il mondo con le proprie intenzioni e sentimenti.
    Le dava l'impressione d'essere un campione di qualcosa o qualcuno, tuttavia non seppe codificare chi o cosa.
    Il che la preoccupava marginalmente.
    «Suppongo sia una questione di momentanea utilità» spiegò dunque Athena, da sempre appassionata di cultura ed arte ma da sempre distaccata da una dimensione più intima riguardo quest'ultima.
    «In generale preferisco le sculture come mezzo espressivo» soggiunse dopo un momento di pausa, come a voler giustificare la presenza di una qualche predilezione più emotiva da parte sua.
    «Non bevo ma ne sarei lieta» accettò cortesemente la donna infine, alzandosi in un fruscio di costosissimi abiti. Infilò nuovamente il cappotto mentre i suoi gentili passi echeggiavano delicati nel museo quasi deserto.
    Thyelas, se siamo fuori sei con me comunicò telepaticamente la giudice al suo grifone, ferma come un'elegante statua all'ingresso est del museo, meno trafficato di quello principale.
    «Se possibile le chiederei la cortesia di uscire con discrezione. La recente scarcerazione del Signor Petersen, come sono sicura deve aver letto già nei giornali, ha prodotto una quantità fastidiosa di reporters sin troppo ingordi di notizie e dichiarazioni» si raccomandò gentilmente Athena, immobile in attesa di Naavke per proseguire nei loro impegni mattutini di reciproca compagnia.
    Sarebbe potuta essere un'occasione per sondare con cautela i suoi interessi e mire attuali, possibilmente per dissipare quella nebbia oscura che sembrava non abbandonarlo mai, predatore in quel mondo perfettamente maturo per lui.
     
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    «Si accomodi.» Sembrava come se il mondo non potesse proseguire nel suo eterno ruotare, rinascere, morire e cambiare se non attraverso la parola di Athena. ll modo in cui si orientava in esso faceva di lei una donna potente, mai relegata ai margini, una protagonista indiscussa. Nell'accomodarsi accanto a lei tuttavia Naavke sapeva di conoscere la verità: come tutti gli esseri umani, per quanto regale ed arguta, la giudice Drakos non era infallibile - poteva essere aggirata, manipolata, colta in errore come chiunque. Come Naavke, del resto. Il curatore era del tutto cosciente del fatto che anche per lui un solo sbaglio o peccato di superbia avrebbe potuto costargli caro, tuttavia la sua razionale consapevolezza di questa fragilità oscillava nel tempo. A volte si ritrovava a considerare la vera ragione del suo operato, e la caducità di ogni suo progetto così come della sua vita lo incoraggiava a spingersi oltre se stesso; altre invece, le ignorava del tutto, convinto di poter disporre di altri esseri umani come un Dio sulla Terra. Nella vita si trovava, tuttavia, al fianco di una forza molto più potente e brutale di lui: Cassandra. Athena la conosceva, e senza dubbio ne aveva registrato la maestria, tanto poderosa quanto la sua e certamente superiore alla non trascurabile mente machiavellica di Naavke. L'incontro con la giudice Drakos, tuttavia, si presentava per lui come un'occasione ghiotta: raramente aveva la possibilita' di parlare con persone davvero interessanti, e nonostante la danza con la magistrata si sarebbe innegabilmente rivelata pericolosa, non volle privarsi di una giravolta in più. «Non credo d'avere un dipinto prediletto. Li ammiro in misura eguale sino a che non trovo quello che concilia più i miei pensieri al momento, come può notare» Un cenno d'assenso. Naavke comprendeva le pieghe dell'animo di Athena in quel momento, e sapeva di essere vicino ad una persona affine a lui. Era certo che, a suo modo, anche la giudice Drakos fosse una mirabile opera d'arte, anche se non ne conosceva ancora tutte le pennellate che l'avevano resa cio' che era - che fossero state tracciate sulla tela per mano sua o d'altri.
    Athena Drakos si presentava come una donna cauta, per quanto superba, e Naavke si rispecchiava in entrambi quegli aspetti della giudice - cosi' come lei, stringeva care le proprie carte al petto, ma sapeva di non poterle celare tutte ancora a lungo. L'arte di svelarsi nei sentimenti e nelle intenzioni era un gioco raffinato, ma esigeva anche dei rischi. Con una avversaria come la magistrata, era disposto a restare in bilico, sul filo della lama. «Suppongo sia una questione di momentanea utilità.» Stava calcolando le sue reazioni, e Naavke riusciva a vederlo esattamente perche' si stava comportando nello stesso identico modo. "La manipolazione dei pazienti, in psichiatria, fallisce poiche' i metodi sono troppo evidenti. Se viene usata la forza, il soggetto si arrendera' solo temporaneamente. Il soggetto non deve rendersi conto di subire influenze." Reminiscenze di studi universitari riecheggiavano nella mente di Naavke mentre sfiorava con lo sguardo affilato il profilo perfetto di Athena, di cui ponderava le parole. E' vero, dottoressa. Creare significati non e' altro che riflettere su di noi lo sguardo della contingenza. Proprio come in quel momento, la giudice Drakos ed il curatore Evjen si facevano parti di un'unica medaglia, costruendo l'una il significato dell'altro in forme esclusive alle loro menti ed alle condizioni in cui si erano intrecciati e le circostanze che avevano visto entrambi condividere gli stessi spazi. A cosa avrebbe portato quell'attenta lettura reciproca? «In generale preferisco le sculture come mezzo espressivo.» Fu allora che l'espressione di Naavke si distese in un sorriso gentile, curioso. Avrebbe voluto conoscere piu' dettagli su quella risposta, dunque la custodi' nella memoria per qualche istante in piu', invitando la sua illustre ospite ad un incontro piu' informale davanti ad un calice di vino.
    «Non bevo ma ne sarei lieta» Naavke si alzo' solo una volta che l'ebbe fatto anche Athena, incombendo con la sua figura piu' voluminosa alle spalle e poi al fianco di quella slanciata ed affusolata della magistrata. Attraversarono la lunga fila di meravigliose opere d'arte che componevano la mostra temporanea e sfociarono con il loro quieto scrosciare di passi sino al foyer, bianco e luminosissimo. «Se possibile le chiederei la cortesia di uscire con discrezione. La recente scarcerazione del Signor Petersen, come sono sicura deve aver letto già nei giornali, ha prodotto una quantità fastidiosa di reporters sin troppo ingordi di notizie e dichiarazioni.» Doveva concederlo alla giudice Drakos, quelle parole avevano fermato il passo disinvolto e tranquillo del curatore, destandone i pensieri piu' vivaci. Aveva letto della scarcerazione di Vilhelm, e nonostante il solo volto della giudice Drakos gli ricordasse ogni singolo momento di quel periodo tanto concitato, Naavke non aveva previsto che la magistrata lo risollevasse di propria spontanea volonta'. Una lieta coincidenza. Ma certo. Non deve preoccuparsi, non usciremo dal museo, non per il momento. Prego, le faccio strada. Senza posare il palmo della mano ricoperto dai guanti sempre presenti sulla schiena della giudice, con un gesto signorile e discreto invito' la sua interlocutrice a svoltare l'angolo piuttosto che dirigersi dritta verso la porta, restando al suo fianco mentre la conduceva tra le ampie sale del museo. Comprendo la sua richiesta di riservatezza. Il caso Pettersen continua a far parlare di se' ed a riemergere nella memoria anche dopo mesi. Suggeri' lui, serpeggiando nel discorso iniziato dalla stessa Athena con convincente cura mentre serbava un tipo particolare di soddisfazione nel cuore - aver ricordato, con quella sentenza, alla giudice Drakos la sua umanita' ed imperfezione, ed a Vilhelm quanto doloroso potesse rivelarsi un cuore spezzato. Vorrei ringraziarla personalmente, e penso anche a nome di molte persone qui a Besaid, per l'eccezionale lavoro che ha svolto. La sua e' una professione tra le piu' ardue in assoluto - soppesare la vita di una persona e di quelle di molte altre tra le proprie mani. Su questo Naavke si poteva dire brutalmente ironico oppure tremendamente sincero, non era dato saperlo. Una cosa pero' era certa, doveva ad Athena Drakos la propria gratitudine: aveva non solo reso immensamente piu' creativo e stimolante un periodo della sua vita, ma lo aveva anche inconsapevolmente supportato in un momento di grande dolore, tenendo al sicuro Vilhelm per lui - la stessa preziosissima persona che era riuscita a vederlo per chi era davvero e che era diventata irrimediabilmente anche parte di Athena, giacche' Naavke, piu' di tutto, si reputava inevitabile con ogni suo progetto ed azione.
    Si trovavano ora vicini ai limiti dell'area pubblica del Kunstmuseum, e li' il curatore si fece avanti per tentare un secondo affondo nei confronti della magistrata in sua compagnia. Si avvicinava sempre piu' al cuore di Libra ma non abbastanza da far scorgere ad Athena la via piu' diretta per entrarvici e frantumarlo. Superarono il cordone rosso che separava i due spazi e scesero una breve rampa di scale. Erano soli - Athena e Naavke, ed una miriade di curve ed occhi meravigliosi e spenti, in silenzio e nell'oscurita'. Manichini esanimi di esseri umani al tempo stesso facili da scorgere come marmo soffice come carne viva. Mi ha detto che preferisce le sculture, qui posso mostrarle un'anteprima della prossima esposizione. Solo per i suoi occhi naturalmente. In questo caso, mi permetterei di chiederle di ricambiare il favore di riservatezza che mi ha chiesto. Consapevole della necessita' di accendere la luce, Naavke non si mostro' impaziente, attraversando di qualche passo la stanza nell'ombra al fianco di Athena almeno finche' non raggiunse, con estrema calma, l'interruttore nella parete di mezzo della stanza, tracciando forme meno sinistre per le opere d'arte che si trovavano li'. A quel punto, con respiri misurati, regolari e mansueti, avrebbe potuto riconoscere la magistrata solo dall'essenza sottile e ricercata del costosissimo profumo che indossava. Spero non ne sia rimasta delusa ora che ho acceso la luce, dottoressa. Molte opere d'arte sono piu' interessanti se ammirate in penombra.

    Edited by ‹Alucard† - 25/6/2023, 11:42
     
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    all'alto della sua non trascurabile statura, il curatore Evjen si presentò in tutta la sua elegante prestanza in cerca di compania quel tardo mattino invernale.
    Athena, che non era mai stata il soggetto migliore per adempiere a quel compito, decise comunque di indulgere nella richiesta a favore d'una curiosità che aveva scelto di non trascurare.
    Era solita lasciare inascoltate le preghiere del suo cuore per un'incredibile quantità di motivi, uno fra questi il fatto d'essersi mai fidata di se stessa.
    Qualsiasi cosa il suo animo le suggerisse, ella dava per scontato che fosse inaffidabile, bugiarda, traditrice.
    Eppure, con Naavke, ella aveva compreso che sarebbe stato sciocco non tentare di rompere l'enigma che lo abbracciava sin dalla prima volta che l'aveva visto.
    Era un uomo colto, intelligente, carismatico.
    Era pericoloso ed Athena non riusciva a comprenderne il perchè.
    Dopotutto aveva creduto di conoscere altri uomini come lui: creature sanguigne, che rilucevano nel potere, assetati, affamati.
    Suo padre era uno di loro e la sua ambizione aveva spinto i Drakos, li aveva portati alla ricchezza, al privilegio.
    Suo padre ed altri esseri molto meno retti di lui: suoi amici, suoi collaboratori, serpenti che Athena aveva allontanato e scuoiato sino a quando non era arrivato il suo turno d'essere colpita.
    Ripose il suo taccuino nella costosa ventriquattrore e seguì il curatore, tentando di scorgere quale pezzo avrebbe occupato lui nella scacchiera infinita che la giudice scorgeva costantemente: un Alfiere od un Re?
    «Comprendo la sua richiesta di riservatezza. Il caso Pettersen continua a far parlare di se' ed a riemergere nella memoria anche dopo mesi.» Athena annuì fredda mentre la sua mente si librava in oscuri ricordi di quel caso fra i più complessi che avesse mai dovuto affrontare nella sua lunga carriera.
    Niente era andato come previsto a parte la sentenza, sperata da tutti, osannata da tutti.
    Tutti tranne che da lei, tormentata sino all'ultimo, anche dopo essersi separata da Vilhelm Petersen.
    Sono stato svuotato e riempito di qualcos'altro che non sono io.
    Espirò quieta, scostando la spessa treccia in cui i capelli corvini erano stretti, strana metafora della sua vita sino a quel momento: fili densi, spessi, astretti a lei, soffocati, severi e guerrieri.
    «La mia responsabilità si limita ad una interpretazione della Legge e, per quanto possibile, mi ritengo nient'altro che un tramite» soggiunse Athena in una pacata correzione dell'idea del curatore Evjen.
    Per quanto ella avesse accennato col capo come a ringraziare cortesemente la sua gratitudine sul caso Petersen, non aveva mai sentito d'aver adempiuto ad altro se non al proprio dovere.
    Athena era e sarebbe sempre stata figlia d'un sistema che nutriva e cercava di migliorare con ossessiva perfezione.
    «Durante la mia carriera militare il peso di queste responsabilità è stato più esigente» ammise candidamente, seguendo il curatore in un'ala del museo che non aveva ancora mai esplorato.
    «Vilhelm Petersen resta un mistero e forse sarà così per sempre» Il ticchettio elegante dei tacchi che indossava erano la unica, delicata eco in quegli spazi ampi, desaturati.
    Siamo molto lontani dalla fine.
    Progressivamente la luce precisa e calibrata per ogni opera d'arte cedette il posto ad una conforevole oscurità velata di sagome immobili.
    Athena aggrottò piano le sopracciglia, trovando quella stasi spiacevole.
    Sola con un uomo che non conosceva, ritenne istintivo restare indietro.
    Per alcuni quell'oscurità sarebbe potuta essere conciliante, quel silenzio piacevole.
    Per lei, invece, stava diventando una gabbia.
    Uccello attento, Athena non stava apprezzando quei momenti, ancor più quando percepì il proprio cuore accelerare, come se avesse perso per un istante controllo del suo corpo.
    Thyelas, se ti chiamo corri più veloce che puoi pensò solamente, irritata dal fatto che si fosse posta in una situazione simile.
    Irritata d'aver detto sì.
    Inspirò profondamente, separandosi da Naavke mentre lo ascoltava scalpicciare in quella coltre di tenebra che gli donò mervigliosamente.
    Sguazzava come un attento predatore in un abisso decorato e, per quell'attitudine, Athena si sentì schiacciare da una titanica mano invisibile.
    «Solo per i suoi occhi naturalmente. In questo caso, mi permetterei di chiederle di ricambiare il favore di riservatezza che mi ha chiesto.» a quel punto, la giudice si rilassò un momento.
    Razionalmente quella visita aveva acquisito un senso: non stonava più in quel delicato concerto, non sfumava in righe d'allarme o paragrafi oscuri del suo passato.
    «Senza dubbio, Curatore» disse lei, stupendosi del fatto che la sua voce di velluto era parsa molto più salda di quanto in realtà ella non fosse.
    Così Athena ruotò su se stessa e volse gli occhi glauchi verso una di quelle statue meravigliose, immobili e salde nel tempo.
    Luce tornò ad inondare gli spazi e dovette chiudere le palpebre per un istante, abituarsi al cambiamento.
    «Splendide» ammise senza difficoltà, vagamente nostalgica della propria terra mentre ne osservava alcune e Naavke al loro fianco, dio in quell'universo immutabile.
    In qualche modo velato d'ultraterreno, l'uomo sembrò aver perso ogni qualità mortale in quel momento, accostato a quelle opere imperiture.
    Spigoloso, elegante, crudele nel suo carismatico cospetto.
    Athena comprese d'aver avuto ragione a temerne la presenza e, per una volta, decise di fidarsi del suo istinto che già una volta in passato l'aveva salvata.
    Non avrebbe commesso l'errore di ammutolirlo, non allora.
    «Cosa vede in queste opere, Naavke?» domandò cortese, chiamandolo per nome questa volta come a volerne scorgere sfumature oltre la loro coltre di nobiltà e privilegio.
    Athena lo sapeva, ne era abituata poichè anche lei aveva adottato una maschera divenuta così salda contro la sua carne da averla inglobata in sé.
    Gli occhi chiarissimi come vetro trafissero una statua femminile, saggiandone la bellezza prima di volgersi a quella maschile d'un giovane riccioluto, guerriero.
    Vi colse somiglianze col professor Petersen e, per ironia della sorte, accennò un sorriso.
     
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