Chess Games

Athena x Naavke

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  1. Annie`
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    The Fourteenth of the Hill.

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    Athena Astra Drakos
    ❝39 y.o. , paladin of Justice, chained bird.
    You should see me in a crown.
    Per Aspera Ad Astrasheet

    D
    all'alto della sua non trascurabile statura, il curatore Evjen si presentò in tutta la sua elegante prestanza in cerca di compania quel tardo mattino invernale.
    Athena, che non era mai stata il soggetto migliore per adempiere a quel compito, decise comunque di indulgere nella richiesta a favore d'una curiosità che aveva scelto di non trascurare.
    Era solita lasciare inascoltate le preghiere del suo cuore per un'incredibile quantità di motivi, uno fra questi il fatto d'essersi mai fidata di se stessa.
    Qualsiasi cosa il suo animo le suggerisse, ella dava per scontato che fosse inaffidabile, bugiarda, traditrice.
    Eppure, con Naavke, ella aveva compreso che sarebbe stato sciocco non tentare di rompere l'enigma che lo abbracciava sin dalla prima volta che l'aveva visto.
    Era un uomo colto, intelligente, carismatico.
    Era pericoloso ed Athena non riusciva a comprenderne il perchè.
    Dopotutto aveva creduto di conoscere altri uomini come lui: creature sanguigne, che rilucevano nel potere, assetati, affamati.
    Suo padre era uno di loro e la sua ambizione aveva spinto i Drakos, li aveva portati alla ricchezza, al privilegio.
    Suo padre ed altri esseri molto meno retti di lui: suoi amici, suoi collaboratori, serpenti che Athena aveva allontanato e scuoiato sino a quando non era arrivato il suo turno d'essere colpita.
    Ripose il suo taccuino nella costosa ventriquattrore e seguì il curatore, tentando di scorgere quale pezzo avrebbe occupato lui nella scacchiera infinita che la giudice scorgeva costantemente: un Alfiere od un Re?
    «Comprendo la sua richiesta di riservatezza. Il caso Pettersen continua a far parlare di se' ed a riemergere nella memoria anche dopo mesi.» Athena annuì fredda mentre la sua mente si librava in oscuri ricordi di quel caso fra i più complessi che avesse mai dovuto affrontare nella sua lunga carriera.
    Niente era andato come previsto a parte la sentenza, sperata da tutti, osannata da tutti.
    Tutti tranne che da lei, tormentata sino all'ultimo, anche dopo essersi separata da Vilhelm Petersen.
    Sono stato svuotato e riempito di qualcos'altro che non sono io.
    Espirò quieta, scostando la spessa treccia in cui i capelli corvini erano stretti, strana metafora della sua vita sino a quel momento: fili densi, spessi, astretti a lei, soffocati, severi e guerrieri.
    «La mia responsabilità si limita ad una interpretazione della Legge e, per quanto possibile, mi ritengo nient'altro che un tramite» soggiunse Athena in una pacata correzione dell'idea del curatore Evjen.
    Per quanto ella avesse accennato col capo come a ringraziare cortesemente la sua gratitudine sul caso Petersen, non aveva mai sentito d'aver adempiuto ad altro se non al proprio dovere.
    Athena era e sarebbe sempre stata figlia d'un sistema che nutriva e cercava di migliorare con ossessiva perfezione.
    «Durante la mia carriera militare il peso di queste responsabilità è stato più esigente» ammise candidamente, seguendo il curatore in un'ala del museo che non aveva ancora mai esplorato.
    «Vilhelm Petersen resta un mistero e forse sarà così per sempre» Il ticchettio elegante dei tacchi che indossava erano la unica, delicata eco in quegli spazi ampi, desaturati.
    Siamo molto lontani dalla fine.
    Progressivamente la luce precisa e calibrata per ogni opera d'arte cedette il posto ad una conforevole oscurità velata di sagome immobili.
    Athena aggrottò piano le sopracciglia, trovando quella stasi spiacevole.
    Sola con un uomo che non conosceva, ritenne istintivo restare indietro.
    Per alcuni quell'oscurità sarebbe potuta essere conciliante, quel silenzio piacevole.
    Per lei, invece, stava diventando una gabbia.
    Uccello attento, Athena non stava apprezzando quei momenti, ancor più quando percepì il proprio cuore accelerare, come se avesse perso per un istante controllo del suo corpo.
    Thyelas, se ti chiamo corri più veloce che puoi pensò solamente, irritata dal fatto che si fosse posta in una situazione simile.
    Irritata d'aver detto sì.
    Inspirò profondamente, separandosi da Naavke mentre lo ascoltava scalpicciare in quella coltre di tenebra che gli donò mervigliosamente.
    Sguazzava come un attento predatore in un abisso decorato e, per quell'attitudine, Athena si sentì schiacciare da una titanica mano invisibile.
    «Solo per i suoi occhi naturalmente. In questo caso, mi permetterei di chiederle di ricambiare il favore di riservatezza che mi ha chiesto.» a quel punto, la giudice si rilassò un momento.
    Razionalmente quella visita aveva acquisito un senso: non stonava più in quel delicato concerto, non sfumava in righe d'allarme o paragrafi oscuri del suo passato.
    «Senza dubbio, Curatore» disse lei, stupendosi del fatto che la sua voce di velluto era parsa molto più salda di quanto in realtà ella non fosse.
    Così Athena ruotò su se stessa e volse gli occhi glauchi verso una di quelle statue meravigliose, immobili e salde nel tempo.
    Luce tornò ad inondare gli spazi e dovette chiudere le palpebre per un istante, abituarsi al cambiamento.
    «Splendide» ammise senza difficoltà, vagamente nostalgica della propria terra mentre ne osservava alcune e Naavke al loro fianco, dio in quell'universo immutabile.
    In qualche modo velato d'ultraterreno, l'uomo sembrò aver perso ogni qualità mortale in quel momento, accostato a quelle opere imperiture.
    Spigoloso, elegante, crudele nel suo carismatico cospetto.
    Athena comprese d'aver avuto ragione a temerne la presenza e, per una volta, decise di fidarsi del suo istinto che già una volta in passato l'aveva salvata.
    Non avrebbe commesso l'errore di ammutolirlo, non allora.
    «Cosa vede in queste opere, Naavke?» domandò cortese, chiamandolo per nome questa volta come a volerne scorgere sfumature oltre la loro coltre di nobiltà e privilegio.
    Athena lo sapeva, ne era abituata poichè anche lei aveva adottato una maschera divenuta così salda contro la sua carne da averla inglobata in sé.
    Gli occhi chiarissimi come vetro trafissero una statua femminile, saggiandone la bellezza prima di volgersi a quella maschile d'un giovane riccioluto, guerriero.
    Vi colse somiglianze col professor Petersen e, per ironia della sorte, accennò un sorriso.
     
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