This is a life free from destiny

Rei & Eira / Ospedale / Post-quest

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    Giugno aveva accolto Rei in modo insolito. Però, se avesse dovuto essere più precisa, erano ormai tre mesi che non poteva più riconoscere gli elementi costanti e familiari nella sua routine. Dopo quello che era successo in spiaggia mesi prima, la qualità del sonno si era fatta ancora più preoccupante, così come l'acuirsi del tabagismo. Molto spesso il mancato riposo veniva tradotto in un comportamento ancor più spigoloso e aggressivo a lavoro: era intrattabile, perennemente assente nonostante fosse piantata dietro i vetri dei laboratori la maggior parte del suo tempo, e tutto lo staff preferiva versarsi addosso del caffè bollente piuttosto che avere a che fare con lei. Per quanto ciò rientrasse a pieno regime con l'andamento della quotidianità nei laboratori di Omega, non era stato difficile notare un aggravamento della situazione. Da un paio di settimane, tuttavia, aveva deciso di non mettere più piede a lavoro. Aveva chiesto di potersi allontanare per un po' dagli esami e dagli esperimenti, dando sollievo al suo team e lasciando la direzione del Laboratorio in mani esperte. Era sicura che se la sarebbero cavata anche senza di lei. Al posto di passare le sue ore fra lavoro e casa, nell'appartamento che divideva con il suo gatto Jiji, Rei aveva preso l'abitudine di passare il suo tempo presso l'ospedale di Besaid, trattenendosi delle volte per tutta la durata dell'orario di visita. Si trattava di un'abitudine che si era intensificata nell'ultimo mese, fino a farsi costante nelle due settimane di riposo da lavoro. A pochi metri da lei, stesa sul letto d'ospedale e in stato comatoso, c'era una ragazza di cui non sapeva nulla, di cui fino a qualche tempo prima non conosceva nemmeno il nome, ma che in breve tempo era diventata il centro di tutto per lei. Eira era una poco più che una ragazzina e, immersa dal candore delle coperte d'ospedale, sembrava quasi difficile per Rei non pensarla come una bambola in porcellana. Immobile, se non per il lentissimo e regolare alzarsi e abbassarsi del petto, di fronte a quella scena Rei avrebbe potuto giurare d'essere in una camera mortuaria. Invece non stava vegliando su una giovane ragazza morta: Eira era solo in coma. Inoltre, era quasi del tutto convinta che Eira fosse anche sua figlia.

    "Io ti aspetterò. Ti prego, non lasciarmi andare ancora."

    La voce spettrale e distante di Eira tornava ogni tanto a farle visita. Pur non avendola mai sentita parlare prima di quella notte, non potendo accedere ai suoi ricordi di vagiti e pianti distanti, le parole della ragazza si ripetevano nitidamente nella memoria di Rei, bloccata su quel segmento di quella melodia interrotta. Avvertiva lo strappo e riattaccava la punta al nastro, riavvolgendolo ogni volta senza che potesse davvero avere un controllo sul suo inizio o sulla sua fine. Non era la sola a far visita a Eira. Ovviamente, c'erano i suoi attuali genitori. Quando William o Oliver si presentavano Eira rimaneva in disparte, assumendo l'aria austera e riflessiva di una monaca, come se fosse lì in missione. "Ho sentito parlare della vicenda di Eira. Prego per lei e per l'altro ragazzo in coma." La sua presenza non sembrava disturbare i coniugi Viken, che non le avevano mai chiesto di allontanarsi. Sembravano quasi rassicurati dalla presenza di Rei, come se avessero bisogno di un altro paio di occhi che vegliasse sulla figlia mentre loro erano impegnati con il lavoro. I Viken erano sempre molto presenti - e più raramente si presentava sull'orlo della stanza anche un altro ragazzo, che doveva avere più o meno l'età di Eira. Rei preferiva uscire dalla stanza quando c'erano altre persone in visita, anche se un paio di volte le capitò di origliare qualche conversazione mentre si stava svegliando da un pisolino non programmato.
    "Signora Kobayashi... manca poco alla fine dell'orario di visita. Non voglio metterle fretta, la sto solo avvisando. Fra mezz'ora chiederemo a tutti di uscire." La voce di un infermiere la destò dalla sua apnea, facendo realizzare a Rei che aveva passato chissà quanto tempo su una pagina del libro che si era portata dietro senza leggerla davvero. Annuì un paio di volte, inclinando il corpo per abitudine verso l'infermiere, ringraziandolo a bassa voce. "Ah... dannazione. Dove l'ho messo..." Borbottò infastidita, costretta a levarsi gli occhiali dalla radice del naso per sfregarsi con forza gli occhi. Dopo averli appoggiati sulla propria coscia sinistra, allora iniziò a cercare fra le tasche della giacca che aveva addosso, finendo per tirare fuori da una di esse una piccola boccetta di collirio. Tirò la testa all'indietro e si inumidì gli occhi. Da tempo non avvertiva più il suo corpo come avrebbe fatto un tempo: era più stanca del solito e di certo il trauma vissuto poco tempo prima non l'aveva aiutata a vedere dei miglioramenti - i farmaci per dormire non avevano alcun effetto su quella peculiare forma d'insonnia, che si rivelava tormentata e insidiosa. Forse in un certo senso se la meritava: a quanti pazienti aveva negato il sonno? Inforcò di nuovo gli occhiali sul naso, mentre una patina di leggero disgusto le piegava il viso, abbandonandola poco dopo con tanta rapidità con cui si era generata nel volto.
    Rei mise da parte la lettura, stringendosi le braccia conserte al petto. Tornò a guardare Eira, e poi il soffitto della stanza d'ospedale. La consapevolezza che c'era una sola persona dietro quella tragedia non solo la spaventava, ma l'affascinava. Non sapeva bene come quell'informazione l'avesse raggiunta e nemmeno dopo mesi avrebbe potuto ricomporre linearmente gli eventi di quella notte. Quale mente era stata in grado di architettare tutto ciò? Chi li aveva costretti a provare tanto dolore senza nemmeno firmare le proprie azioni? Dopo un po' di tempo guardò l'orologio che aveva al polso girando verso l'alto il palmo della mano. In quel momento si chiese se qualcun altro avrebbe fatto visita a Eira o se fosse arrivato il momento di tornare a casa. Gettò un ultimo sguardo alla ragazza. Una strana sensazione le stava impedendo di allontanarsi. Prima che potesse rendersene conto, Rei si alzò dalla sedia posta a una discreta distanza dai piedi del letto, e si avvicinò ad Eira, sfiorando con una mano le barre metalliche sul finire del materasso. Mai aveva osato avvicinarsi a tal punto, preferendo vegliare su di lei ad una certa distanza, spaventata all'idea di poter essere la prima persona che avrebbe rivisto una volta risvegliata dal coma.

    Edited by Kagura` - 11/10/2023, 14:52
     
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    Guardandosi intorno confusa, Eira non ricordava quando fosse arrivata alla festa. Aveva una pregiata camicia nera in seta e dei pantaloni altrettanto raffinati indosso, un cappellino scintillante sulla testa.. Era pronta! Eppure, non sapeva nè dove fosse, nè chi si festeggiasse. Perchè era arrivata? E da dove? Mah, forse non ha poi chissà quanta importanza. Pensò, sedendo tra i festoni abbandonati, relitti di tempi gioiosi tutt'attorno a lei. E aspettiamo. Sussurrò quieta, posando pigramente la testa al palmo della mano e piegata su se stessa, accarezzata dalle luci colorate. Un silenzio statico e fermo ma comunque vibrante la circondava, tanto da causarle la pelle d'oca. Eira però non era nè spaventata, nè annoiata da quel luogo. Ricordava di essere stata in posti più spaventosi di quello, ed un semplice party liminale non l'avrebbe intimidita. Chissà se arriverà qualcuno.. O qualcosa. Si chiese, e pensò di essere rimasta ad aspettare per anni interi, lì seduta alla festa sola con se stessa, eppure ad un tratto della musica, lontana e sordida, la costrinse ad alzare la testa. Era una canzone che conosceva molto bene, una delle sue preferite: What is it that you are doing here? / I know, I don't know / What is it that you are doing my dear? / I know, I don't know / I am gonna follow you tonight / All the way, all the way home / I am gonna find you in the night / All the way, all the way home / You see me you see a stranger / I see you I see danger / Pain, always pain. Il volume diventava sempre più alto, e nel fissare lo sguardo sulle pareti, Eira potè notare delle macchie che sbocciavano dietro la carta da parati - si facevano grandi, traboccanti, rosse. Sembrava che i muri sanguinassero. E lo fecero ancora, sinchè proprio del liquido rosso non iniziò a coagularsi e poi a sgorgare fuori dalle pareti, scivolando giù, giù e sempre più giù. Solo allora Eira si guardò intorno, più in ansia, alzandosi per raggiungere il sangue a poca distanza da lei. Stava quasi per sfiorarne i grumi, quando qualcuno sfondò la parete a calci facendo direttamente scoppiare lo stucco.
    FERMA, EIRA! NON TOCCARLO! Tanto veloce da sembrare solo un'ombra, una macchia di nero superò il cartongesso e la pietra e si fermò davanti alla ragazza: era la stessa donna che Eira ricordava di aver visto in uno strano sogno, lo stesso in cui aveva osservato del sangue identico a quello che scivolava giù dalle pareti in grandi, enormi quantità. Tu sei.. Poi le prese la mano, senza neanche permetterle di continuare la sua frase. Sembrava avere una gran fretta, ma il suo palmo era caldo. Svelta, dobbiamo andare! E tirandola via da lì, la donna col caschetto nero la portò altrove, in uno spazio totalmente diverso, la spiaggia di Besaid ma molto diversa dal sogno che Eira aveva fatto - più blu, più gialla e più verde, piena d'erba anche dentro l'acqua. Meglio non tornare a quei ricordi, devi sognare cose più belle stavolta. Le disse lei, ed Eira si voltò verso la lunga lingua di terra che delineava la costa: poco lontano, in costume da bagno e con tanto di occhiali da sole ed ombrellone, William ed Oliver godevano di una serena vacanza, con Hakon che leggeva i suoi soliti costosi libricini motivazionali d'auto-aiuto. Sembrarono averla notata e la salutarono rumorosamente. Eira!! Sei venuta, dai che non c'è troppo sole, ti aspettiamo! Trillò Oliver, e posando una mano dolcemente su quella del marito, tornò a rilassarsi. In tutto ciò Eira, per la prima volta da quando aveva messo piede alla festa, si sentì confusa. Guardò la sua famiglia, e poi la donna vicino a lei, riconoscendone finalmente il viso. Il momento in cui la vide, in quel sogno precedente tanto spaventoso sembrava non avere un volto, velata da una patina che non le permetteva di riconoscerla. Ora che l'osservava meglio però, parte del suo naso, del taglio della mascella o la forma delle mani... Perchè sei venuta a prendermi? Perchè adesso? Eira si fece avanti, non attendendo la donna mentre si avvicinava al bagnasciuga ed immergeva i piedi ora nudi nell'erba e nell'acqua, lasciandosi accarezzare le caviglie da dei piccoli pesci rossi. Non si era accorta di avere indosso solo un leggero e lungo prendisole viola, così come sua madre, che vestiva lo stesso capo ma con una stampa un po' ridicola, con dei bruchi e dei girasoli. Eira accennò un sorriso, ma era triste. Avrai avuto le tue ragioni, non te ne farei mai una colpa. Ciò che aveva detto lo sentiva e credeva veramente, eppure più forte di lei era un senso d'abbandono che non poteva controllare. Loro non erano tenuti a prendermi, eppure mi hanno preso. Tu non eri tenuta a tenermi, e mi hai lasciata. Pensò, più come un arido fatto che come un'accusa piena di veleno. Eira non era arrabbiata, ma sicuramente si lasciò tingere dalla malinconia, quando nel cielo apparvero come un film tutti i suoi pensieri più tristi, visibili in linee semplici come in un cartone animato: le sue richieste ai papà di sapere di più delle sue origini, le liti e le tensioni con Hakon quando era piccola, i momenti in cui francamente avrebbe voluto avere solo una donna affianco che avrebbe potuto capire appieno le sue esperienze.
    Ora devo andare, ma non voglio che mi accompagni. Così sorpaffatta da emozioni tanto diverse e più grandi di lei, Eira lanciò uno sguardo fermo e quasi brusco alla madre ed indicò l'orizzonte, in cui si formò uno strappo nero come la pece nel cielo blu, come esploso dal movimento stesso delle dita di Eira. Perchè le si erano bagnati gli occhi di lacrime proprio ora? Nonostante fossero tutte lì le persone che componevano la sua famiglia, Eira si sentì più sola che mai, non vista nemmeno dalla persona che di punto in bianco era comparsa nella sua vita dopo così tanto tempo. Si lasciò quindi tutto alle spalle, i suoi pensieri che in quelle nuvolette quasi comiche continuavano ad essere proiettate nel cielo, il cubo bianco al limitare della foresta ora diventato per metà rosso sangue, i suoi papà, suo fratello e sua madre, camminando in quell'erba soffice e bagnata tra i pesci ed il mare blu finchè dopo quelli che le sembrarono interi chilometri non si fermò con le guance bagnate sotto allo strappo nerissimo. Avrebbe solo dovuto aggrapparsi al cielo e ci sarebbe entrata. Così come nel suo lontano sogno, prima di saltare in una corda, ora Eira era terrorizzata di saltare in quell'oscurità cosmica. Prese un grosso respiro, e si rese conto di aver mentito. Non voglio più stare sola, non voglio più saltare adesso. Pensò velocemente, portandosi un polso ad asciugarsi le lacrime sotto agli occhi un po' come faceva quando era bambina. E nel voltarsi eccola lì, sua madre, che le sorrise e le avvolse di forza le cosce, aiutandola ad arrampicarsi mentre la guardava e le mani affondavano finalmente nel buio. Andrà tutto bene, svegliati.

    ◊◊◊

    Non appena riaprì gli occhi, stanca, stanchissima come non lo era mai stata, Eira si trovò a fissare da quelle sottilissime fessure una luce che le dava fastidio più di bruciori sulla pelle: si trattava dall'illuminazione morbida nella sua stanza d'ospedale, e le sagome che vide davanti a sè erano il tubo che la faceva respirare e che ora sentiva affondare sgradevolmente sin nelle profondità della gola, le sue gambe protette da una pesante coperta e che ora sembravano pesarle come appendici in metallo, ed infine dei capelli scuri, gli stessi che aveva visto durante il suo sonno. Doveva essere proprio lei, lo sentiva nelle ossa. Nessun test del DNA o affermazione esplicita avrebbe potuto convincerla tanto quanto quelle sensazioni viscerali che da quando era saltata nel cappio l'avevano guidata sin lì. Provò a muovere appena le dita di una mano, ma sentì sul dorso la farfalla della flebo tirarle la pelle ed allora si fermò. Pian piano, nonostante la testa piena di cotone e fatica, udì persino chiaramente il suono ritmico ed asettico del monitor sopra la sua testa, che segnalò subito il galoppare del suo cuore sul tracciato. Si era svegliata,la morte, il cappio, la spiaggia, il sangue, l'erba e tutto il resto era un ricordo lontano e vaporoso, come fumo di una sigaretta effimero ed opprimente, una puzza nelle narici che non riusciva a togliersi tra un respiro e l'altro, come quello di plastica e farmaci che ora l'avvolgeva. Si tese quindi in avanti appena un po', quanto bastava per richiamare l'attenzione in una crescente ansia di lasciarsi togliere ogni tubo di dosso per poter finalmente riprendere fiato e parlare come si deve. Per quanto stanca, gli occhi però li percepì d'un tratto lucidi, e si rese conto che forse poco prima di svegliarsi una lacrima doveva averle rigato una guancia, accarezzandola e regalandole l'unica sensazione di fredda libertà che in quel momento tanto desiderava e che trovava riflessa nelle iridi della donna davanti a lei, sua madre, di cui non conosceva neanche il nome.
     
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    Se solo avesse potuto gettare lo sguardo all'interno della mente di Eira, la donna avrebbe potuto conoscere una meraviglia che mai aveva provato prima d'allora. Quel mito creativo l'avrebbe ricondotta indietro, al loro primo incontro, al momento in cui si erano separate. Erano in un ambiente molto simile a quello eppure in due condizioni totalmente differenti. Ecco che Eira tornava alla vita: apriva gli occhi, piangeva silenziosamente, cercava di respirare con i propri polmoni, ormai indipendente dalle fredde macchine che l'avevano alimentata. "Va tutto bene, aspetta. Eira... con calma." Intervenne prima che la più giovane potesse attraversare quel passaggio dal sonno alla veglia in modo troppo brusco. Non era quel tipo di dottore, ma credeva che un approccio più lento, per quanto potesse immaginare l'urgenza di Eira, fosse necessario, se non fondamentale. Non provò a toccarla ma si avvicinò di più al letto solo per premere con l'indice il tasto che avrebbe richiamato l'attenzione degli infermieri: qualcuno più abile e capace di lei avrebbe fatto presto capolino nella stanza, occupandosi di Eira a dovere, in modo da rimetterla in contatto con i suoi veri affetti. Era sicura che i suoi genitori sarebbero stati contenti di vederla sveglia.
    Rei la scrutò per qualche secondo ancora e poi indietreggiò. "Uh... qualcuno? Ehi?" Provò ad alta voce, nonostante potesse sentire chiaramente il rumore del campanello, lasciando vagare lo sguardo sulla porta della stanza. Dopo qualche secondo un paio di infermiere accorsero, chiedendole di farsi da parte in modo che potessero accertarsi dei parametri vitali e dello stato di coscienza di Eira. La donna eseguì gli ordini, allontanandosi di qualche passo ma continuando a guardare Eira davanti a sé: si era svegliata! Rei si passò una mano sulle labbra, decidendo che non avrebbe aspettato ulteriormente - l'essere stata scoperta da Eira a vegliare su di lei l'imbarazzava. Rei credeva di non avere il diritto di esse là. Nonostante tutto, scivolò con una mano in una tasca interna della propria giacca. Evitò il pacchetto di sigarette per raccogliere uno dei suoi biglietti da visita, che appoggiò sul comodino al lato del letto prima di uscire rapidamente dalla stanza. Abbandonò l'ospedale accompagnata dalla speranza che Eira notasse quel biglietto, riponendo nella figlia tutto il potere decisionale: sarebbe stata lei a scegliere se contattarla o meno. Che l'avesse abbandonata una seconda volta? Rei era convinta che questa volta sarebbe stata in grado di incontrare finalmente Eira, sua figlia.

    ◊◊◊

    Alzando lo sguardo nell'individuare la piccola insegna del locale, Rei si chiese cosa l'avesse spinta a uscire così fuori dalla sua zona di conforto. Sbuffò una densa nuvola di fumo dalle labbra, finendo per tossire leggermente come se si trovasse alle prime armi con quel vizio che ormai l'accompagnava da anni. La poca gente che si stava addentrando nel locale non aveva fatto caso a lei, catturata dalla musica densa e magnetica che, di tanto in tanto, si riusciva a percepire con l'aprirsi e il chiudersi delle porte dell'Haunted Hearse. Cosa non si fa per amore... Quel pensiero la prese un po' alla sprovvista mentre si avvicinava all'ingresso. Restò ferma qualche secondo, non avendo il tempo di acclimatarsi poiché dietro di lei altri clienti sembravano molto desiderosi di poter entrare. Pochissime luci animavano quel locale striminzito e la band di Eira non era ancora salita sul palco: non essendo una grande bevitrice e non avendo nessuno da contattare tramite il cellulare che riposava silenzioso nel piccolo marsupio che le tagliava il torso, Rei iniziò a sentire un'altra forma di disagio iniziare a risalire dalle sue caviglie.
    Era stata Eira ad invitarla lì e Rei era stata più che contenta di ricevere sue notizie. Le aveva fatto alcune domande sul suo stato di salute, e su come fosse stato per lei essere tornata a casa, ma non avevano parlato a lungo e non si erano mai più chiamate dal giorno del risveglio di Eira, circa due settimane prima di quella serata. Si guardò attorno, ipotizzando che un buon modo per anestetizzare l'agitazione fosse dirigersi verso il bar, immaginando che stringere fra le dita qualcosa di freddo si sarebbe rivelato utile. Per ingannare l'attesa si sedette su uno sgabello libero e venne facilmente intercettata dal barista, un tipo altissimo e bruno. Per via del suo abbigliamento molto più modesto, quasi minimal, Rei doveva essere quella fuori luogo all'interno del locale - tuttavia nessuno l'aveva fatta davvero sentire a disagio. Suppose che l'atteggiamento più spensierato fosse caratteristico di ambienti come quelli. Il barista fu molto cortese e rapido nel passarle l'analcolico che gli venne richiesto e, non appena la folla nuotò altrove, Rei approfittò di quella prima conoscenza per avere più informazioni sulla band. Le parole di Kris non solo furono utilissime, ma la rassicurarono allo stesso tempo; in un certo senso, sapere che Eira fosse la cantante la riempì un po' d'orgoglio. Non era esperta nel genere musicale in cui sua figlia si era specializzata e credeva che sarebbe stato più facile sentirla attraverso il canto.
    La loro prima conversazione si sarebbe svolta in modo peculiare. Rei, un recipiente fra i tanti nel pubblico, era pronta a raccogliere le parole di Eira, donando ad esse la sua intera attenzione. Nonostante avesse avuto modo di sentire la sua voce solo in una visione, credendo di essere sul punto di morire, Rei non aveva smesso di pensare a quel tono dolce e melodioso - a quanto fosse cambiato e a come non avesse modo di stabilire nessun mezzo di paragone. Si passò fugacemente una mano sotto l'ombelico, credendo di poter avvertire il freddo emanato dal palmo sulla pelle del ventre. La prima volta che aveva sentito la sua voce, questa si era dispiegata a fatica, come a non voler dar sfoggio di sé o come se volesse evitare di far notare al mondo di essere nata, forse avendo intuito che quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe dovuto dire "addio" a sua madre. Quando la musica si fermò per qualche attimo e la gente la spinse fino alle prime file, Rei venne raggiunta da una voce che non riconobbe come sua. Frasi spezzettate e confuse le riempirono la mente per una manciata di secondi prima che ogni altro rumore venisse sovrastato dalle note della prima canzone, scura, lenta e che si trascinava in modo melancolico. Rimase in attesa, alzando lo sguardo fino ad individuare Eira. Sperò che, in mezzo alla folla, Eira non credesse Rei un'estranea ma che anzi potesse leggere nei suoi occhi partecipazione e orgoglio. Nonostante non conoscesse nessuno dei testi, fu facile per Rei abbandonarsi all'emozione fino a sentire gli occhi farsi più umidi; cacciò via le pochissime lacrime dal viso solo quando si rese conto che fossero arrivate alla punta del mento. Piangere era un evento raro per lei e, in quel frangente, la sua noncuranza e la chiara concentrazione altrove le diede il permesso di sentirsi più leggera: quante emozioni erano state trasportate via da quelle pochissime lacrime?
    Rei non si rese conto di quanto fosse passato in fretta il tempo, o di quando avesse iniziato a dondolare sul posto, trasportata dalla musica. Per quanto fosse insolito per lei trovarsi in un ambiente del genere e in una situazione del genere, Rei stava scoprendo una pallida e soffusa sensazione di benessere. Rimase ai piedi del palco anche quando il concerto volse al termine, indecisa sul da farsi: avrebbe raggiunto Eira o sarebbe stata lei a tornare indietro? Iniziò a fare qualche passo, ma si trovarono a metà strada. Una ragazza che aveva visto suonare insieme a Eira, dai lunghi capelli e gli occhi chiari, lasciò un bacio affettuoso sulla guancia della figlia, abbandonandole forse un sussurro all'orecchio, prima di lasciare le due da sole. Rei attese qualche secondo, approfittando di quella brevissima parentesi di tempo per guardare con attenzione Eira. Madre e figlia non si somigliavano molto: avevano una simile corporatura, e un pallore analogo, e il colore dei capelli poteva avvicinarle, ma Rei credeva di leggere nell'espressione di Eira qualche tratto di sua nonna e forse perfino del padre. "Eira, grazie per avermi invitata. Devo farti i complimenti, è stato un bel concerto, hai davvero una bella voce... mi è piaciuto ascoltarvi, anche se è tutto nuovo per me." Parlò con calma. Non sarebbe stato difficile per Eira avvertire un po' di emozione tingere la voce di Rei, che non solo si trovava in un posto che non conosceva bene, ma anche in compagnia di una persona su cui voleva avere un'impressione positiva. Respirò un po' più di aria, ammorbidendo lo sguardo e accennando un timido sorriso. "La tua band è molto brava, sembrate molto affiatati... e il pubblico si stava divertendo." Continuò, aspettando di ricevere le prime risposte prima di proseguire con ulteriori domande. Aveva messo da parte il bicchiere da tempo e ora che le mani erano libere non sapevano che fare. Rei le infilò semplicemente nelle tasche dell'ampio cappotto, continuando a scrutare Eira, cercando di essere discreta. "Come ti senti?" Parlò, sperando che l'altra avvertisse almeno parzialmente l'anticipazione che ne attorcigliava i pensieri e la lingua. "Hai fatto cena?" Domandò più premurosa, facendo un piccolo passo indietro. "C'è un posto qui vicino che conosco... fanno un'ottima zuppa di miso. Ci potremmo spostare là e mangiare qualcosa. Qui è carino ma... rumoroso."
    Attese l'arrivo di Eira all'esterno del locale, evitando di accendersi l'ennesima sigaretta nonostante sentisse le mani pruderle. Voleva in qualche modo esorcizzare quella tensione, ma aveva paura di dare un brutto esempio a Eira, o di infastidirla con l'aroma di nicotina che non tutti apprezzavano. Alzò gli occhi al cielo, raggiunta parzialmente anche dal rumore lento e ondivago del mare non troppo distante dal locale. Non appena Eira le fu di nuovo vicina, Rei raddrizzò la postura, rivolgendole un altro lungo sguardo. "Possiamo andare?" Parlò piano, iniziando a camminare con Eira in direzione del locale. Risalendo verso il centro della città si sarebbero trovate in un piccolo ristorante a qualche minuto di distanza dall'Haunted; Rei credeva che per via dell'ambiente rilassato e intimo sarebbe stato più facile per loro parlare senza essere interrotte da stimoli esterni, mentre una luce calda illuminava il piccolo tavolino che avevano occupato. "L'ultima volta che ho fatto qualcosa fuori dalla mia zona di conforto mi sono trovata in una situazione... strana." Iniziò a dire, facendo riferimento al motivo del loro incontro. "Eppure è anche quello che è successo che mi ha portata qui." Aggiunse poco dopo, più piano. Forse per via dell'imbarazzo stava parlando più del dovuto. "Immagino che tu abbia molte domande da farmi... cercherò di risponderti come posso."

    Edited by Kagura` - 11/10/2023, 14:52
     
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    "Va tutto bene, aspetta. Eira... con calma." Tra i suoni confusi, i respiri conquistati faticosamente e lo sguardo nebbioso del dopo, Eira riuscì ad emergere verso se stessa e la sua vita interrotta sulla spiaggia di Besaid proprio aggrappandosi alla voce della donna che era certa essere sua madre. Lo sapeva, l'aveva sentita, l'aveva vista con i suoi stessi occhi. I contorni delle pareti d'ospedale si facevano sempre più vividi, e con essi anche la sagoma della figura della madre, che prima di diventare del tutto nitida sfuggì al suo sguardo. A sostenerla in quel passaggio fuori dal sonno accorsero due infermieri e poi Oliver e William, fuori di sè dalla gioia nel vedere la figlia finalmente viva e vegeta rispondere alla luce. Eira tuttavia riuscì a percepire, oltre ad una confusione cronica, anche una fortissima tristezza, una voragine tra le costole che si placò solo quando potè adocchiare il biglietto da visita che era stato posato sul suo comodino - una tenue speranza di incontrare nuovamente Rei. La ripresa però non fu lineare e facile come si aspettava: certo, sapeva che avrebbe dovuto affrontare i ricordi di ciò che le era accaduto, ma cosa significava questo in pratica? Sedute di terapia disgustosamente lunghe, non riuscire a dormire pur volendolo fare per paura di non risvegliarsi più, essere contattata anche se solo una ragazzina da persone che dicevano di essere del governo norvegese per non riuscire a dir loro nulla, come se ogni evento fosse ben presente nella sua mente ma le frasi di ciò che lo componeva le sfuggissero dalle labbra, una sensazione di apatia che si spezzava solo quando Eira era in compagnia dei suoi amici e delle sue amiche, un blocco che la proteggeva dalla enorme quantità di informazioni e sentimenti che minacciavano di investirla da un momento all'altro per aver vissuto quella esperienza brutale durante l'eclissi ed aver condiviso ogni momento con la persona che era certa fosse sua madre, perduta molti anni prima. «Papà.. Sei sicuro che tu e papà non sapete nulla sui miei genitori biologici?» Avvolgendo le dita magre e pallide allo schienale della poltrona dove Oliver stava comodamente leggedo il giornale, Eira si sbilanciò di lato, in modo che suo padre potesse vederla. La sua voce non era increspata da alcun tipo di emozione negativa, era curiosa. Oliver, per contro, sembrò colpito nel sentire Eira menzionare quella domanda, preso in contropiede. Non ne era però del tutto sorpreso: entrambi i suoi figli erano stati adottati, ed immaginava assieme a William che avrebbero potuto ad un certo punto delle loro vite richiedere informazioni sulle loro origini. «Oh tesoro. Purtroppo no.. Io e tuo padre abbiamo cercato in tutti i modi di reperire delle informazioni sapendo che queste domande sarebbero potute essere importanti per te ed Hakon, tuttavia nessuno all'orfanotrofio è riuscito a risalire ai tuoi genitori. Mi dispiace molto.»
    «Hey~ Siamo i Murder of Crows, e stasera iniziamo con una cover. Non vi dico il titolo, tanto la conoscete Aggrappandosi con le mani al microfono e sfoggiando le sue nuove unghie smaltate di nero sotto le luci colorate, Eira fissò il suo sguardo sul pubblico, cercando di identificare tra le sagome per il momento informi e scure quella di Rei, che aveva invitato dopo averle mandato un messaggio al numero che aveva trovato sul suo biglietto. Forse temeva che udire la voce della madre oltre la cornetta avrebbe disimbrigliato tutte quelle emozioni che erano rimaste così fortemente custodite in lei sin dal giorno dell'eclissi. «And here we go again, / We've taken it to the end, / With every waking moment, / We face this silent torment / I'd sacrifice, / I'd sacrifice myself to you / Right here tonight / Because you know that I love you.» Non è ancora arrivata.. Pensò Eira tra una nota e l'altra, cristalli sotto le dita di Akinyi, velandosi di una coltre di dispiacere. Forse aveva sbagliato ad invitare la dottoressa Rei Kobayashi ad un concerto, forse avrebbe preferito parlare in un altro luogo, oppure si era spaventata anche lei, esattamente come Eira, ed aveva deciso di non presentarsi. «The candle is burning low / At the window to my soul / The reaper is at my door now / He's come to take me home.» Con l'assottigliarsi delle speranze di Eira si affilava anche lo sguardo di Kris, ora posato sulla donna che, reggendo il suo drink, gli chiedeva proprio di lei. Il ragazzo quindi si appoggiò al bancone, solo per indicare con una mano tatuata il palco. «Sì, lei è Eira, la cantante. Che dire, mi rende fiero la pulcina. Perchè non resta? Il concerto è appena iniziato.» Rei parve accogliere l'invito, e quando Eira tornò sotto ai riflettori la vide: era lì, sua madre era arrivata. Un leggero sorriso si dipinse sulle sue labbra color cremisi, e voltandosi verso Petra, le rivolse un cenno d'assenso. Era stata lei ad incoraggiarla, ed era felice che fosse lì in quel momento. «Ora vi cantiamo una canzone del nostro EP Graveyards, è quella che mi sta più a cuore, si chiama Vår Frelsers* Una melodia più eterea riempì le piccole sale dell'Haunted Hearse, e dove le note profonde del basso di Petra supportavano l'armonia, la voce più sottile e velata di Eira si intrecciava a quelle stesse note, cantando delle sue tristezze e delle sue speranze. La canzone si discostava un po' dal tipico sound della musica goth, ed accarezzava sonorità più sintetiche ed echeggianti, il lamento di uno spettro, l'abbraccio assente di una persona tanto desiderata nel momento del bisogno o il ritmo sordido ed ostinato delle gocce di pioggia sulle lapidi ormai da tempo dimenticate - le stesse che scivolavano giù dagli occhi di Rei e che Eira non riusciva a vedere, ma che sentiva tra le vibrazioni negli altoparlanti. Il concerto si rivelò un gran successo, e concludendo con un brano più movimentato e tormentoso, i Murder of Crows potevano dire di aver colpito ancora una volta nel segno con il pubblico piccolo ma affezionato dell'Haunted Hearse.
    Per fortuna, una volta terminato il concerto, la fretta che investì Eira per non perdere sua madre tra la gente venne placata ancora una volta dal supporto di Petra, che le fece notare la presenza della donna ancora sotto il palco. Eira le lanciò uno sguardo, ma subito dopo tornò all'altra ragazza, ringraziandola e stavolta mostrandosi più che felice di ricevere quel bacio incoraggiante ed affettuoso, sorridendole mansueta ed abbracciandola di rimando. Anche Kris l'aspettava ai piedi delle scale in legno che conducevano al palco, e saltando per raggiungere la sua mano tesa in alto Eira gli battè il cinque, superando anche lui prima di fronteggiare Rei, ora a pochi centimetri di distanza da lei. “Eira, grazie per avermi invitata. Devo farti i complimenti, è stato un bel concerto, hai davvero una bella voce... mi è piaciuto ascoltarvi, anche se è tutto nuovo per me." Nell'ascoltarla, mani nelle mani, Eira non mancò di notare l'incrinarsi della voce di Rei, e lei stessa stava trovando più difficile gestire il battito del cuore, ora più accelerato e scalpitante del normale. Ora riusciva a vederla, a memorizzare i suoi lineamenti e finalmente dar loro un volto reale. Rispecchiò istintivamente quel sorriso molto lieve, e chiudendo i lembi della giacca in velluto nero che indossava sul petto, Eira accolse quei primi complimenti scuotendo appena i ricci scuri. «Grazie e.. Grazie anche per essere venuta, non ero sicura che volessi...» Vedermi? Tuttavia Eira si fermò lì, scrutando lo sguardo più morbido dell'altra. «Venire in un posto tanto nuovo.» Concluse allora, iniziando così ad incamminarsi verso l'uscita. Il grande vantaggio di frequentare l'Haunted Hearse così spesso era che la band e tutti i suoi membri potevano senza problemi lasciare lì anche tutta la loro attrezzatura, in modo da restare più leggere dopo un concerto. Senza alcun velo di scherno uno sbuffo di una risata si librò dalle labbra di Eira non appena sentì Rei rimarcare l'altezza del volume all'inerno del locale, e lei non potè far altro se non annuire. «Sinceramente sono un po' nervosa.. Ma sto bene. Non ho mangiato, ma.. Mi piacciono molto le zuppe quindi.. Sì mi farebbe piacere. Andiamo.» Il tempo di inviare a William un messaggino per dirgli di star bene e di non tornare per la cena ed Eira fu pronta a passare quella serata tanto singolare con sua madre appena ritrovata. Solo loro avrebbero potuto comprendere gli eventi che avevano vissuto insieme nei mesi precedenti, eppure Eira sentiva come se interi tasselli della sua vita adesso le si fossero sgretolati sotto ai piedi, molti di questi risalenti a quando non avrebbe comunque ancora avuto modo di ricordarli, quindi... Perchè sentire quella mancanza? Perchè piangere la perdita di qualcosa che non aveva mai avuto? "L'ultima volta che ho fatto qualcosa fuori dalla mia zona di conforto mi sono trovata in una situazione... strana." Un utilizzo di parole interessante per Eira, che restando in silenzio si fermò dal porre qualsiasi giudizio sulle frasi di Rei almeno finchè non ebbe finito di parlarle. Ora il rumore del mare si era fatto più vivo oltre le mura dell'Haunted Hearse, e già visibile agli occhi di entrambe era la luce calda che dal locale proposto da Rei traboccava oltre le finestre. "Eppure è anche quello che è successo che mi ha portata qui. Immagino che tu abbia molte domande da farmi... cercherò di risponderti come posso." Ancora una volta, Eira dovette impegnarsi nel leggere dei sentimenti che non riusciva a comprendere, a riconoscere. Non sentiva nulla, eppure, al tempo stesso, non si era mai sentita tanto agitata in vita propria, come se ogni cellula del suo corpo stesse rispondendo ad un riverbero leggermente distorto rispetto a tutto il resto, più intenso, più veloce. Per il momento si limitò unicamente ad annuire, attendendo di essere sedute nel ristorante prima di iniziare delle discussioni che avrebbero richiesto uno spazio ed un raccoglimento maggiore. Restò alle spalle di Rei finchè non vennero condotte al loro tavolo, una piccola alcova illuminata da una luce gialla molto morbida ed intima, un posto che a pelle Eira apprezzava per la sua intimità e le sue ombre morbide. Si accomodò sulla seduta adiacente a quella di Rei e poi si portò le mani sulle cosce, raccolte in una presa leggera, come a darsi forza in quel modo. «Io.. So la risposta a questa domanda, ma devo fartela lo stesso, voglio saperlo da te. Sei mia madre, dottoressa Kobayashi?» Soffiò lei portando i grandi occhi contornati di nero in quelli più stanchi ma non meno luminosi dell'altra donna. Nonostante fosse sicura della sua risposta sin nelle ossa, Eira avrebbe desiderato sentirla dalle sue labbra, con la sua voce, la stessa che aveva avuto tanto timore di sentire a telefono nei giorni precedenti. Non appena Rei la pronunciò infatti, parte della preoccupazione che investiva Eira sembrò svanire, dissolversi dal suo petto per poi spostarsi piano sul suo cuore. «Non so se.. Mi avresti cercata, se non ci fosse stata l'eclissi, ma questo non importa.. È successo e so che qualcosa di grosso e di brutto sta arrivando. Sono spaventata.. Ma forse anche per questo sono contenta che ci siamo viste. Se mi fosse successo qualcosa e non avessi avuto modo di conoscerti sarebbe stato.. Sarebbe stato spiacevole. Per me.» Cercare di mettere in ordine o razionalizzare ogni parola sarebbe stato inutile, per questo Eira rinunciò a farlo del tutto, parlando solo attraverso il sommesso battito del suo cuore che correva. «È per questo che sei venuta stasera? Perchè adesso? Potevi.. Non lasciare alcun biglietto all'ospedale, andartene per sempre.. Perchè hai deciso diversamente?»

    *Il Cimitero del Salvatore è il più famoso in Norvegia, e si trova ad Oslo.
     
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    «Dev'essere molto brava». Investita da una strana forma di orgoglio, Rei non esitò a rispondere al barista che aveva condiviso con lei un parere che, dall'analisi di Rei, non sembrava solo sincero, ma anche riempito d'affetto. Forse si trattava di un amico di Eira e, timidamente, Rei cercò di mostrarsi più gentile, ringraziandolo un paio di volte in più del necessario per il drink che aveva chiesto. Che cosa stava facendo? Non credeva di riuscire a riconoscersi, sotto il palco, completamente stregata dalla voce di Eira che come una ninna nanna la stava cullando: i ruoli sembravano essersi invertiti, e Rei fu profondamente riconoscente per aver avuto l'occasione di poter sentir una voce tanto melodiosa toccarne le corde fino a spingerla a piangere. Lentamente e con maestria, la stessa voce di Eira le diede coraggio e la sospinse a lasciarsi andare, portandola perfino ad ondeggiare un po' sul posto. Fra tutte le possibilità, fra quelle più dolci e quelle più amare, ogni sogno e ogni incubo tremendo, era proprio quella ad essere diventata realtà: si erano incontrate di nuovo, avevano avuto la brevissima e gioiosa occasione di intrecciare i loro percorsi. Sempre più pensieri riemersero nella testa di Rei fino a quando non iniziarono a sgorgarle proprio dalle rime degli occhi, incapace di cacciare via le lacrime fino a quando l'ultima nota della canzone non si estinse. Come avvolta da un abbraccio spettrale, Rei si sentì confortata, finalmente a casa. Ripensò a sua madre e, quando guardò per la prima volta davvero Eira, le sembrò di rivederla esattamente davanti a lei: evanescente e brillante come uno smeraldo. "Sinceramente sono un po' nervosa.. Ma sto bene. Non ho mangiato, ma.. Mi piacciono molto le zuppe quindi.. Sì mi farebbe piacere. Andiamo." Rei concordò con lei. Nonostante non fosse affamata, non poteva dire di essere rilassata. Fortunatamente l'aria fredda della serata accorse in suo aiuto, permettendole di riempire i polmoni di ossigeno fresco, in grado di ravvivarle il cervello dall'assalto delle emozioni.
    Ora di fronte a due fumanti zuppe di miso, Rei offrì l'intero spazio a Eira, abbattendo il muro che la proteggeva come non aveva mai fatto per nessun altro. Eira sarebbe stata la prima persona a poter posare davvero lo sguardo su Rei, uscita fuori dal suo involucro come una debole farfalla. "Io.. So la risposta a questa domanda, ma devo fartela lo stesso, voglio saperlo da te. Sei mia madre, dottoressa Kobayashi?" Eira avrebbe avuto il pieno controllo su quella scena e Rei l'avrebbe osservata mentre sceglieva quale arma scagliarle contro, o se rincorrerla fino a gettarsi fra le sue braccia. Rei prese un respiro profondo. «Sì. Sono tua madre.» Per qualche momento, seduta di fronte a Eira, Rei si sentì trasportata indietro, ancor prima della nascita di sua figlia. Si sentiva piccola, inesperta, immatura, costretta ad attraversare un disagio necessario alla sua crescita. In un certo senso, Eira le ricordava Sadaaki, suo fratello minore, l'unico che aveva potuto conoscere il lato materno e morbido di Rei. Era stata la sorella maggiore ad occuparsi di lui quando i genitori non potevano e, una volta scomparsa la madre, era stata Rei a prendersi cura di ogni sua necessità e ogni bisogno del fratello. Sapeva di aver fallito, per via della vita che conduceva il fratello minore, e in quel momento si chiedeva se mai sarebbe stata in grado di dare il suo meglio, di portare a termine i compiti che le aveva messo sulla sua strada il destino. "Non so se.. Mi avresti cercata, se non ci fosse stata l'eclissi, ma questo non importa." Se le prime parole di Eira non erano stati degli attacchi diretti, quelle che seguirono fecero piegare un po' l'espressione di Rei sotto il dolore: il tono di Eira non era vendicativo, non era accusatorio, ma aveva una gravità intrinseca al discorso che le legava. Rei riprese ben presto il controllo di sé, sentendosi pronta a portare sulle spalle il peso per entrambe. Molte sembravano le preoccupazioni che affollavano la testa di Eira e, per quanto desiderasse potersi allungare verso di lei, trattenere le mani affusolate e giovani della ragazza fra le proprie, Rei rimase ferma, mentre apriva metaforicamente le braccia in modo da raccogliere dal torrente in cui la calò Eira solo le pietre più preziose, le più acuminate.
    «Non credevo che avrei avuto mai l'occasione di conoscerti. Sei sparita dalle mie braccia tanti anni fa, mai dalla mia testa. Eri distante ma, a quanto pare, non troppo lontana... ti ho cercata. Non abbastanza, è vero...» Rei riprese brevemente fiato. Più volte si era chiesta che sarebbe successo semmai avesse avuto l'opportunità di incontrare sua figlia eppure tutti gli scenari che aveva immaginato ad occhi aperti fino a quel momento si erano sgretolati davanti a lei, ricomponendosi nell'espressione indecifrabile di Eira. Sarebbe stata davvero in grado di essere una madre per la ragazza che sedeva di fronte a lei? «Quello che è successo ha portato indietro gli eventi e mi ha dato una seconda opportunità... è stato tremendo. Ma se...» La voce di Rei si arrestò prima ancora che finisse la frase. Abbassò lo sguardo, immaginando che Eira non avrebbe riscontrato difficoltà a terminare la frase per lei. Il pensiero di abbandonare la terra dopo aver sfiorato la possibilità di conoscere sua figlia le recava tanto dolore ma, come cercò di riportare alla memoria, non era quella la realtà che stava vivendo in quel momento. Allo stesso tempo non aveva ignorato le preoccupazioni di Eira: non voleva spingerla a parlarne ma avrebbe voluto farle capire di voler essere un punto di riferimento per lei, per quanto il desiderio peccasse di sfacciataggine.
    «Se non fosse stato per quell'evento... non avrei mai sentito la tua voce. Quel giorno tu mi hai parlato. Mi hai chiesto di non lasciarti andare una seconda volta... avrei potuto ignorarti, ma come?» Con morbidezza, Rei cercò di spiegare le proprie motivazioni, utilizzando un tono di voce e una postura che mai avrebbe adottato con nessun altro. «Per questo il biglietto, il concerto, la zuppa... Eira, il fatto che io sia tua madre non significa che tu sia costretta anche solo a valutare di volermi nella tua vita. Sarei contenta di saperti viva, in salute, con delle passioni... è sufficiente per me.» Parlò e, per quanto quella possibilità sarebbe stata in grado di riempire di nuovo la ciotola vuota delle sue lacrime, Rei voleva parlare con chiarezza con Eira. Se il legame che le univa era viscerale, non erano che due sconosciute agli occhi dell'altra. «Perciò posso andarmene se vuoi ma devo sapere che non sei in pericolo. Quello che dicevi prima, su quello che sta arrivando, qualcosa di brutto... c'è qualcosa che ti preoccupa?»

    Edited by Kagura` - 11/10/2023, 14:51
     
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    As we cross the empty skies
    Come sail with me
    We play in dreams
    As we cross the space and time
    Just stay with me

    «Sì. Sono tua madre.» Sentire la conferma di quella verità direttamente dalle labbra di Rei, piuttosto che mettere a tacere il ronzio nella mente di Eira lo spinse ad aumentare sino a trasformarsi in un forte rumore bianco, un filo sonoro che presentò agli occhi di Eira ogni momento passato in orfanotrofio, ogni momento piacevole ed insopportabile con i suoi papà e con Hakon e che l'aveva portata sino a quell'istante, sino al cappio che le aveva stretto la gola e adesso alle mani di Rei a poca distanza dalle sue. Quel sogno tornava, in macchie inquietanti, ancora e ancora ad insinuarsi in Eira sin da quando era rimasta intrappolata nel letto d'ospedale. Per quanto giovane, sapeva che quel momento sarebbe stato determinante non solo per lei, ma anche per sua madre, e sperò di dimostrarsi all'altezza del loro incontro per entrambe. Le labbra tracciate di nero si schiusero in un piccolo sorriso dopo qualche momento mentre la notizia sedimentava in lei, ed Eira potè dire di sentire il cerchio chiudersi attorno alle loro vite, almeno per quel capitolo della storia. «Non credevo che avrei avuto mai l'occasione di conoscerti. Sei sparita dalle mie braccia tanti anni fa, mai dalla mia testa. Eri distante ma, a quanto pare, non troppo lontana... ti ho cercata. Non abbastanza, è vero...» La sensazione di chiusura tuttavia non aveva portato con sé immediata serenità: l'impulso più immediato e viscerale fu quello di indagare. Eira comprendeva ed accettava le risposte di Rei, chissà quante ragioni più o meno traumatiche dovevano aver portato al loro distacco - un profondo vuoto non accennava a lasciar andare la ragazza. Perché mi hai lasciata? Cosa è successo? Le domande si facevano più ingombranti, ma per tutto il tempo Eira restò in silenzio. Non volevi creare questa occasione? Eira scosse il capo. Non era quel tipo di pensieri che voleva formare nella sua mente, né tantomeno incolpare sua madre per una scelta che le spettava di diritto. Eppure era una situazione talmente nuova e complessa da impigliare Eira nei suoi stessi pensieri e nel disordine delle sue emozioni. Per quanto intense però, non avrebbero dettato le sue reazioni: si sarebbe potuto leggere nello sguardo il suo desiderio di riunirsi ad una persona tanto importante per lei, la scintilla di un legame che per scelta di entrambe sembrava volersi riaccendere.
    «Quello che è successo ha portato indietro gli eventi e mi ha dato una seconda opportunità... è stato tremendo. Ma se...» Come un pettirosso infreddolito Eira si racchiuse di più su se stessa, completando il resto della frase, e con le parole le ritornarono in mente anche le immagini dell'eclissi, come se soltanto in quel momento si fosse resa conto della portata delle proprie scelte. Cosa sarebbe successo se non fosse saltata nel cappio? Cosa sarebbe accaduto se fosse stata uccisa assieme a tutti gli altri in pedana fianco a fianco con Rei? Se avesse deciso infine di non andare in spiaggia? «Se non fosse stato per quell'evento... non avrei mai sentito la tua voce. Quel giorno tu mi hai parlato. Mi hai chiesto di non lasciarti andare una seconda volta... avrei potuto ignorarti, ma come?» Le domande aumentavano e le risposte sfuggivano sempre più, tanto che Eira iniziò a svanire. Piano piano, quietamente, perse colore fino a morire ed a lasciar emergere un nuovo segno - fuori dalla finestra il corvo prese a gracchiare un paio di volte, ed attorno al collo della giovane si formarono gli stessi solchi che la corda aveva lasciato sulla sua pelle quando l'aveva stretta. Il cucchiaio cadde con un piccolo tonfo liquido nella ciotola piena per metà di zuppa, ed Eira si raggomitolò nella sua seduta, cercando di non allarmare Rei mentre parlava. «Per questo il biglietto, il concerto, la zuppa... Eira, il fatto che io sia tua madre non significa che tu sia costretta anche solo a valutare di volermi nella tua vita. Sarei contenta di saperti viva, in salute, con delle passioni... è sufficiente per me.» Nonostante lo sguardo puntasse ora al pavimento, fu come se Rei potesse trapassarla con dritta negli occhi. Non era intenzione di Eira perdere la sua connessione con lei, tuttavia il fatto che le avesse anche solo offerto quello spazio e quella possibilità fu una grande rassicurazione. Era come se in quei pochi minuti tutte le sensazioni che Eira aveva abilmente represso nei mesi precedenti fossero riemerse con forza, tutte d'un tratto e tutte insieme. Anche quello un sintomo di fiducia. «Perciò posso andarmene se vuoi ma devo sapere che non sei in pericolo. Quello che dicevi prima, su quello che sta arrivando, qualcosa di brutto... c'è qualcosa che ti preoccupa?» Solo allora, più preoccupata, Eira tornò ad osservare dagli occhi acquorei il volto di Rei, viva, in carne ed ossa davanti a lei.
    ~Quando ho scelto di morire ho visto te.. Tra gli altri.~ Iniziò sicura ma con un filo di voce, mani nelle mani. ~Non avevi ancora un volto ma sapevo chi fossi e cosa sarebbe successo, e dovevo raggiungerti, a modo mio.~ Continuò determinata, ancora ondeggiante tra la vita e la morte, nascosta in un posto sicuro ma accessibile a Rei. ~Non volevo... Non voglio perderti di nuovo. E' vero, non ci conosciamo e non so nulla di te, ma non voglio realmente finire senza aver vissuto anche noi.~ Il bagliore timido e trasparente arrivò a sfiorare la mano di Rei, almeno per i brevi momenti in cui Eira la strinse tra le dita fredde. ~Ma ho tante domande e vorrei che mi dicessi chi sei, che cosa ti piace, se il tuo lavoro fa schifo o se è una delle cose più belle della tua vita, e.. vorrei sapere com'è stato quando mi hai avuta, perchè non hai potuto tenermi.. Se ne vuoi parlare. Voglio conoscerti e voglio avere un rapporto con te, Rei. In qualsiasi forma decideremo.~ Lottando con la propria riservatezza, Eira si spinse a mostrare tutto ciò che sentiva e tutte le sue domande a Rei, decisa a condividere con lei i suoi pensieri in quel momento tanto prezioso per tutte e due. ~Specialmente perchè qualcosa sta arrivando. Sarà qualcosa di brutto legato all'eclissi ed anche se so, se ho visto, non riesco a dirlo. E' come un ronzio nella mia testa, sempre lì, ma è come se non trovassi le parole, non-~ La frustrazione portò la ciotola a spostarsi da sola sul tavolo, mossa nel momento in cui Eira chiuse i pugni e si lasciò andare ad un apparente respiro profondo. ~Scusa..~ Pigolò subito dopo, posando lo sguardo sulle gocce di zuppa che si erano versate sul tavolo. ~E' come sapere che sta arrivando una guerra e non poter fare niente per fermarla. Sono venuti anche quelli della polizia a parlare con me quando mi sono risvegliata, ma non sono riuscita a dire nulla..~ La voce le si tinse di tristezza, ma quell'eco sottile finì nel silenzio ed poi in una leggera risata, una nota piacevole e dissonante tra le altre di quel discorso. ~Non ti ho neanche detto che sono un fantasma!~

    Edited by ‹Alucard† - 8/10/2023, 20:28
     
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5 replies since 7/2/2023, 01:11   169 views
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