This is a life free from destiny

Rei & Eira / Ospedale / Post-quest

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. ‹Alucard†
        +2   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    original
    Guardandosi intorno confusa, Eira non ricordava quando fosse arrivata alla festa. Aveva una pregiata camicia nera in seta e dei pantaloni altrettanto raffinati indosso, un cappellino scintillante sulla testa.. Era pronta! Eppure, non sapeva nè dove fosse, nè chi si festeggiasse. Perchè era arrivata? E da dove? Mah, forse non ha poi chissà quanta importanza. Pensò, sedendo tra i festoni abbandonati, relitti di tempi gioiosi tutt'attorno a lei. E aspettiamo. Sussurrò quieta, posando pigramente la testa al palmo della mano e piegata su se stessa, accarezzata dalle luci colorate. Un silenzio statico e fermo ma comunque vibrante la circondava, tanto da causarle la pelle d'oca. Eira però non era nè spaventata, nè annoiata da quel luogo. Ricordava di essere stata in posti più spaventosi di quello, ed un semplice party liminale non l'avrebbe intimidita. Chissà se arriverà qualcuno.. O qualcosa. Si chiese, e pensò di essere rimasta ad aspettare per anni interi, lì seduta alla festa sola con se stessa, eppure ad un tratto della musica, lontana e sordida, la costrinse ad alzare la testa. Era una canzone che conosceva molto bene, una delle sue preferite: What is it that you are doing here? / I know, I don't know / What is it that you are doing my dear? / I know, I don't know / I am gonna follow you tonight / All the way, all the way home / I am gonna find you in the night / All the way, all the way home / You see me you see a stranger / I see you I see danger / Pain, always pain. Il volume diventava sempre più alto, e nel fissare lo sguardo sulle pareti, Eira potè notare delle macchie che sbocciavano dietro la carta da parati - si facevano grandi, traboccanti, rosse. Sembrava che i muri sanguinassero. E lo fecero ancora, sinchè proprio del liquido rosso non iniziò a coagularsi e poi a sgorgare fuori dalle pareti, scivolando giù, giù e sempre più giù. Solo allora Eira si guardò intorno, più in ansia, alzandosi per raggiungere il sangue a poca distanza da lei. Stava quasi per sfiorarne i grumi, quando qualcuno sfondò la parete a calci facendo direttamente scoppiare lo stucco.
    FERMA, EIRA! NON TOCCARLO! Tanto veloce da sembrare solo un'ombra, una macchia di nero superò il cartongesso e la pietra e si fermò davanti alla ragazza: era la stessa donna che Eira ricordava di aver visto in uno strano sogno, lo stesso in cui aveva osservato del sangue identico a quello che scivolava giù dalle pareti in grandi, enormi quantità. Tu sei.. Poi le prese la mano, senza neanche permetterle di continuare la sua frase. Sembrava avere una gran fretta, ma il suo palmo era caldo. Svelta, dobbiamo andare! E tirandola via da lì, la donna col caschetto nero la portò altrove, in uno spazio totalmente diverso, la spiaggia di Besaid ma molto diversa dal sogno che Eira aveva fatto - più blu, più gialla e più verde, piena d'erba anche dentro l'acqua. Meglio non tornare a quei ricordi, devi sognare cose più belle stavolta. Le disse lei, ed Eira si voltò verso la lunga lingua di terra che delineava la costa: poco lontano, in costume da bagno e con tanto di occhiali da sole ed ombrellone, William ed Oliver godevano di una serena vacanza, con Hakon che leggeva i suoi soliti costosi libricini motivazionali d'auto-aiuto. Sembrarono averla notata e la salutarono rumorosamente. Eira!! Sei venuta, dai che non c'è troppo sole, ti aspettiamo! Trillò Oliver, e posando una mano dolcemente su quella del marito, tornò a rilassarsi. In tutto ciò Eira, per la prima volta da quando aveva messo piede alla festa, si sentì confusa. Guardò la sua famiglia, e poi la donna vicino a lei, riconoscendone finalmente il viso. Il momento in cui la vide, in quel sogno precedente tanto spaventoso sembrava non avere un volto, velata da una patina che non le permetteva di riconoscerla. Ora che l'osservava meglio però, parte del suo naso, del taglio della mascella o la forma delle mani... Perchè sei venuta a prendermi? Perchè adesso? Eira si fece avanti, non attendendo la donna mentre si avvicinava al bagnasciuga ed immergeva i piedi ora nudi nell'erba e nell'acqua, lasciandosi accarezzare le caviglie da dei piccoli pesci rossi. Non si era accorta di avere indosso solo un leggero e lungo prendisole viola, così come sua madre, che vestiva lo stesso capo ma con una stampa un po' ridicola, con dei bruchi e dei girasoli. Eira accennò un sorriso, ma era triste. Avrai avuto le tue ragioni, non te ne farei mai una colpa. Ciò che aveva detto lo sentiva e credeva veramente, eppure più forte di lei era un senso d'abbandono che non poteva controllare. Loro non erano tenuti a prendermi, eppure mi hanno preso. Tu non eri tenuta a tenermi, e mi hai lasciata. Pensò, più come un arido fatto che come un'accusa piena di veleno. Eira non era arrabbiata, ma sicuramente si lasciò tingere dalla malinconia, quando nel cielo apparvero come un film tutti i suoi pensieri più tristi, visibili in linee semplici come in un cartone animato: le sue richieste ai papà di sapere di più delle sue origini, le liti e le tensioni con Hakon quando era piccola, i momenti in cui francamente avrebbe voluto avere solo una donna affianco che avrebbe potuto capire appieno le sue esperienze.
    Ora devo andare, ma non voglio che mi accompagni. Così sorpaffatta da emozioni tanto diverse e più grandi di lei, Eira lanciò uno sguardo fermo e quasi brusco alla madre ed indicò l'orizzonte, in cui si formò uno strappo nero come la pece nel cielo blu, come esploso dal movimento stesso delle dita di Eira. Perchè le si erano bagnati gli occhi di lacrime proprio ora? Nonostante fossero tutte lì le persone che componevano la sua famiglia, Eira si sentì più sola che mai, non vista nemmeno dalla persona che di punto in bianco era comparsa nella sua vita dopo così tanto tempo. Si lasciò quindi tutto alle spalle, i suoi pensieri che in quelle nuvolette quasi comiche continuavano ad essere proiettate nel cielo, il cubo bianco al limitare della foresta ora diventato per metà rosso sangue, i suoi papà, suo fratello e sua madre, camminando in quell'erba soffice e bagnata tra i pesci ed il mare blu finchè dopo quelli che le sembrarono interi chilometri non si fermò con le guance bagnate sotto allo strappo nerissimo. Avrebbe solo dovuto aggrapparsi al cielo e ci sarebbe entrata. Così come nel suo lontano sogno, prima di saltare in una corda, ora Eira era terrorizzata di saltare in quell'oscurità cosmica. Prese un grosso respiro, e si rese conto di aver mentito. Non voglio più stare sola, non voglio più saltare adesso. Pensò velocemente, portandosi un polso ad asciugarsi le lacrime sotto agli occhi un po' come faceva quando era bambina. E nel voltarsi eccola lì, sua madre, che le sorrise e le avvolse di forza le cosce, aiutandola ad arrampicarsi mentre la guardava e le mani affondavano finalmente nel buio. Andrà tutto bene, svegliati.

    ◊◊◊

    Non appena riaprì gli occhi, stanca, stanchissima come non lo era mai stata, Eira si trovò a fissare da quelle sottilissime fessure una luce che le dava fastidio più di bruciori sulla pelle: si trattava dall'illuminazione morbida nella sua stanza d'ospedale, e le sagome che vide davanti a sè erano il tubo che la faceva respirare e che ora sentiva affondare sgradevolmente sin nelle profondità della gola, le sue gambe protette da una pesante coperta e che ora sembravano pesarle come appendici in metallo, ed infine dei capelli scuri, gli stessi che aveva visto durante il suo sonno. Doveva essere proprio lei, lo sentiva nelle ossa. Nessun test del DNA o affermazione esplicita avrebbe potuto convincerla tanto quanto quelle sensazioni viscerali che da quando era saltata nel cappio l'avevano guidata sin lì. Provò a muovere appena le dita di una mano, ma sentì sul dorso la farfalla della flebo tirarle la pelle ed allora si fermò. Pian piano, nonostante la testa piena di cotone e fatica, udì persino chiaramente il suono ritmico ed asettico del monitor sopra la sua testa, che segnalò subito il galoppare del suo cuore sul tracciato. Si era svegliata,la morte, il cappio, la spiaggia, il sangue, l'erba e tutto il resto era un ricordo lontano e vaporoso, come fumo di una sigaretta effimero ed opprimente, una puzza nelle narici che non riusciva a togliersi tra un respiro e l'altro, come quello di plastica e farmaci che ora l'avvolgeva. Si tese quindi in avanti appena un po', quanto bastava per richiamare l'attenzione in una crescente ansia di lasciarsi togliere ogni tubo di dosso per poter finalmente riprendere fiato e parlare come si deve. Per quanto stanca, gli occhi però li percepì d'un tratto lucidi, e si rese conto che forse poco prima di svegliarsi una lacrima doveva averle rigato una guancia, accarezzandola e regalandole l'unica sensazione di fredda libertà che in quel momento tanto desiderava e che trovava riflessa nelle iridi della donna davanti a lei, sua madre, di cui non conosceva neanche il nome.
     
    .
5 replies since 7/2/2023, 01:11   170 views
  Share  
.
Top