Crying at the Discoteque

Galdr x Alina | "Hot-Dog" LGBTQI+ Night Club

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    Bip-bip. Bip-bip. Bip-bip. Bip-. Silenzio. La mano si accascia sul materasso, come priva di forza, mentre il corpo nudo aggrovigliato nelle lenzuola emette un grugnito a metà tra un orso e un bambino, inizia basso ma poi cambia tonalità a metà strada, diventando stridulo e “capriccioso”. Qualche altro minuto di silenzio, in cui il respiro dell’uomo diventa pericolosamente pesante, come se stesse per riaddormentarsi, quand’ecco che a suonare, questa volta, non è la sveglia digitale – molto anni 2000 – sul comodino, ma l’iPhone ultimo modello per terra, vicino al letto. Suoneria classica, quella caratteristica del marchio, sono anni che ormai ha smesso di giochicchiare con le suonerie, scegliendo quelle che più si adattano all’umore del momento; non ha più voglia di stare dietro a queste cose, non ha la forza mentale per farlo. «Ho capito, ho capito… mi sveglio!» urla verso il dispositivo mobile, che intanto continua a suonare. «Merda» aggiunge poi, dandosi una forte spinta con le braccia, che tese nello sforzo si gonfiano, mettendo in mostra i muscoli allenati, fino a mettersi a sedere, i corti capelli biondi leggermente scompigliati dal cuscino, lo sguardo vacuo e fisso nel vuoto.
    Il cellulare smette di suonare, qualche secondo prima che il ragazzo lo recuperi da terra. Lo sblocca con l’impronta digitale, lo schermo gli illumina il volto e lo porta a chiudere gli occhi chiari, disturbato dalla luce improvvisa – mica tanto – che viene sprigionata dallo smartphone. Legge un nome sul display, Erik, il suo capo. Sbuffa, ripromettendosi di richiamarlo non appena si sarà svegliato del tutto, quando una vibrazione lo avvisa di un messaggio in arrivo. L’icona di WhatsApp viene decorata da una spunta rossa con il numero 1, a indicare un nuovo messaggio da leggere. Sempre Erik, che gli chiede di attaccare prima al lavoro: di turno al bar, ma questo già lo sapeva, solo che invece delle 18:00 lo aspetta alle 17:00. Con un grugnito Galdr butta un occhio alla sveglia, che segna le 16:00. «Fanculo» è ciò che borbotta tra sé, mentre le dita si muovono veloci sullo schermo per rispondere al messaggio. Ridacchia quando legge la risposta che ha scritto e che vorrebbe realmente inviare al suo capo, le parole sullo schermo dicono Succhiamelo ma vengono cancellate in favore di un laconico Ok.
    Si alza dal letto, lentamente, stiracchiandosi per recuperare un po’ di mobilità. Uno sbadiglio, lungo, di quelli che fanno venire le lacrime agli occhi, prima di dirigersi verso il bagno, perché la vescica gli sta scoppiando. Si rende conto di non avere tempo per mangiare qualcosa a casa, ha letteralmente i minuti contati se vuole farsi una doccia e rendersi presentabile a lavoro. Sbuffa, mentre l’acqua calda comincia a scorrere lungo il suo corpo tatuato e i suoi sensi cominciano pian piano a risvegliarsi del tutto, rendendolo più capace di intendere e di volere di quanto non lo fosse stato fino a quel momento.
    […]
    La serata è iniziata da almeno un paio d’ore, l’orologio sul bancone d’ingresso indica le 22:00, l’happy hour con formula aperitivo è terminato e alcuni tra i fedelissimi del locale sono già sulla pista da ballo, semi-vuota, ma che si riempirà presto. Quello che ha potuto notare è che le persone sono molto abitudinarie, non che fosse una novità, lo sapeva, ma anche dal punto di vista dell’andare fuori a ballare, prima delle 23:30 il locale è sempre terreno di poche persone, solo dopo si scatena l’Inferno. Anche dietro la sua postazione la situazione è gestibile fino a quell’ora, dopo è un delirio di voci che si sovrastano l’una all’altra, cercando di superare il volume della musica che pompa nelle casse, è tutto un passargli il bigliettino dei drink, segnare il prezzo, se alcolico o analcolico, restituirlo, assicurarsi di aver capito bene l’ordinazione, recuperare gli ingredienti e gli strumenti giusti, preparare il cocktail, darlo all’interessato/a e via di nuovo, fino alla prima pausa sigaretta utile. Al momento però è tranquillo, sta asciugando alcuni bicchieri che sono appena usciti dalla lavastoviglie e li sta sistemando dietro al bancone. Ha scelto di vestire con dei jeans neri aderenti, che esaltano i muscoli delle sue gambe e il suo sedere sodo; da sopra, una camicia a quadri rossa, simil-boscaiolo, aperta fino al petto, le maniche arrotolate fino agli avambracci. Gli piace questo look, lo fa sentire bello ma allo stesso tempo comodo, sensuale ma senza metterci troppo impegno.
    Il locale non è enorme, è uno spazio che si estende su due piani, circa 120 metri quadrati; l'ingresso, che dà sulla strada principale, è segnalato da un'insegna al neon che rappresenta un hot-dog avvolto in una bandiera LGBTQI+ inclusiva, non solo il classico arcobaleno quindi. Una volta entrati dalla porta ci si trova in una piccola anticamera, dove un buttafuori scagliona gli ingressi mentre la cassa, immediatamente dopo la seconda porta che dall'anticamera dà nel locale, registra gli ospiti e prende in custodia gli eventuali cappotti da mettere nel guardaroba alle sue spalle. Proseguendo diritto e lasciandosi la cassa sulla sinistra, sulla destra c'è il bancone del bar. Quella sala, piccolina, ospita anche un bagno e un piccolo cucinino, dove mangiucchiare qualcosa. La seconda sala, invece, separata dalla prima da un corridoio, è più grande ed è adibita solo a discoteca, con postazione da deejay e piccolo palco per gli spettacoli delle drag queen e dei drag king. Dalla seconda sala, grazie a delle porte-finestre, si accede a un giardinetto interno, adibito a zona fumatori. In un altro angolo della sala, opposto al giardinetto, vi è un secondo bagno, un po' più grande, e caratterizzato da uno specchio rotto che è ormai diventato segno distintivo del locale, con tanto di hashtag sui social #lospecchiorotto. Nel corridoio che divide le due sale, in un angolo buio, vi è una scala a chiocciola, che porta su al secondo piano del locale, dove ci sono due zone: sulla sinistra il magazzino e deposito, il cui accesso è consentito solo al personale; sulla destra, invece, ci sono le dark rooms, una zona letteralmente buia, illuminata da fioche luci rosse sul pavimento, che portano a diverse stanze con divanetti, quasi come se fossero dei camerini un po' più grandi, dove tra adulti consenzienti è possibile consumare rapporti sessuali fugaci, spesso caratterizzati dall'anonimato e da momenti di voyeurismo. Una zona frequentata da pochi audaci, amanti di queste particolarità.
    Il deejay di turno ha messo su della musica dance anni ’90, perfetta per quel tipo di serate, la gente adora ballarla e adora scatenarsi in pista sulle note di Crying at the Discoteque, per citarne una. E così anche lui, al momento è intento a dare le spalle al bancone, mentre sistema le bottiglie di alcolici sulla parete che fa da sfondo all’angolo bar, e intanto ballicchia muovendo la testa, le spalle e il sedere a rimo di musica, in filodiffusione dalle casse sparse un po' ovunque. Gli piace lavorare lì, nonostante sia un lavoro stancante e spesso debba sostituire i colleghi all’ultimo, è un ambiente molto rilassato che gli permette di essere se stesso e non dover sottostare a troppe regole; non lo sopporterebbe.



    Edited by Armans - 7/4/2023, 22:44
     
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    Una immagine distorta: le forme del viso si spezzano, si accavallano. C’è un taglio lungo la fronte che cade dritto al centro del naso, lo divide in due metà perfette. Gli occhi chiari fissi in un azzurro vitreo, un riflesso vuoto senza anima, senza vita apparente. Un groviglio nero arruffato casca in maniera scomposta sul collo bianco, serrato da una catenina argento e un ciondolo a forma di croce. Alina non è mai stata religiosa, non ha mai creduto ad una volontà superiore che se ne sta seduta comoda a giudicarla fino alla fine dei suoi giorni; ha sempre avuto fede nell’eccessiva fantasia delle persone e sua nonna ne ha parecchia. Quei due piccoli pezzi di metallo si accavallano in un simbolismo che non le appartiene; tuttavia, la lega per affetto a chi gliel’ha regalato nel vano tentativo di proteggerla da chissà cosa. Se ne sta ferma a fissare la sua immagine in uno specchio rotto, chissà da quanto tempo è in questo stato appeso alla parete di un bagno frequentato da centinaia di persone in locale del centro città. Uno spazio angusto pieno di donne dall’aspetto misto, alcune sembrano persino in una forma peggiore della sua, come la ragazza bionda che si sta scollando dei pezzetti di vomito dal top pagliettato.

    Mezz’ora fa era stesa sul divano senza riuscire a rilassarsi: era come se la sua mente fosse affollata da un groviglio di immagini senza senso, polaroid consumate del passato miste a qualcosa di sconosciuto o partorito dalla schizofrenia latente che continua ad abitare in un angolo della sua testa. Da quando è tornata a Besaid la sua salute mentale pare essere peggiorata, eppure ha varcato il confine da pochi giorni, c’è qualcosa in questa città che la manderà fuori di testa, sempre se non sarà suo padre a farlo. Un tonfo contro il muro le ha ricordato di ritrovarsi in una camera in affitto e l’alto volume della televisione deve aver disturbato i vicini di stanza. Dopo essersi alzata di scatto e spento la tv, è uscita senza nemmeno controllarsi allo specchio: praticamente un automa che si infila le scarpe per pura abitudine prima di varcare l’uscio. Una camicetta nera lucida si adagia lungo le spalle disegnando il corpo tonico ma all’apparenza esile, i primi tre bottoni aperti lasciano intravedere il bordo del reggiseno liscio, senza disegni o pizzi. La catenina color argento gira per due volte attorno il collo, il primo per la lunghezza di un choker, mentre il secondo sostiene il ciondolo che si ferma all’incavo dei seni. Un pantalone grigio ghiaccio avvolge le gambe sottili della donna per poi infilarsi negli stivali al ginocchio di colore nero con i tacchi alti pochi centimetri. I capelli lisci sono leggermente arruffati e tirati in un lato, lasciando scoperti collo e orecchio destro. Il trucco un po’ sbavato ai lati degli occhi pare un smokey nero ben riuscito, cosa che non sarebbe mai riuscita ad ottenere volontariamente. Ha camminato circa una ventina di minuti senza una meta precisa, Besaid è una città viva a tutte le ore, i giovani si riversano nei pub e nei vari locali che riempiono le strade, le luci illuminano i vicoli rendendoli apparentemente più sicuri. Alina sembra seguire una scia invisibile, passo dopo passo, pensiero dopo pensiero, con gli occhi fissi al suolo scoprendo le trame della pavimentazione cittadina. Si ritrova ad essere abbagliata da una insegna particolarmente colorata: non la legge, non si impegna nemmeno a capire dove si trovi, è attratta come se fosse ape col miele: tutto il rumore che sente provenire dall’interno del locale servirà a sovrastare il caos della sua mente. I bodyguard non le hanno rivolto particolarmente attenzione, così attraversa svariate sale fino a quando viene spintonata da un uomo, il quale pare trascinare una donna con sé in una zona appartata dalle luci soffuse rosse. Alina si preoccupa un instante, un solo misero secondo, il tempo di rendersi conto che quella stessa donna sta sorridendo. Cerca il bagno, prima di ordinare da bere vuole lavarsi le mani e controllare che il suo aspetto sia socialmente accettabile.

    E si ritrova a fissare il proprio riflesso su quello specchio rotto che le taglia il naso a metà. Passa svogliatamente le dita tra i capelli districandoli alla meglio. Ancora con le mani mezze bagnate, esce dalla toilette e cerca con gli occhi la postazione del bar. C’è un po’ di folla che attende il proprio turno per mandar giù l’ennesimo drink, alcune persone non si reggono in piedi, altri ridono, altri ancora hanno lo sguardo perso nel vuoto. Le occorre qualche secondo per individuare uno spazio vuoto e cercare di infilarcisi senza ritrovarsi qualcuno a spintonarla. Fortuna vuole che la pista cominci a riempirsi e la folla si sposti di qualche metro ammassandosi lontana da lei. Il barista è di spalle, indossa una camicia da boscaiolo dalle tonalità rosse, Alina resta in silenzio per qualche istante dopotutto non sa ancora cosa chiedere, non ha una voglia precisa, desidera solo annebbiare tutto. Inizia così a tamburellare con le unghie sulla superficie del banco. Dopo qualche istante decide di sedersi sullo sgabello a gambe incrociate, con il busto in un mezzo giro rivolto verso il bacone con entrambe le braccia poggiate su di esso. Le mani incrociate e il capo leggermente chinato verso la sinistra «Scusami, è possibile ordinare?» Dopodiché attende il silenzio con un mezzo sorriso accennato di cortesia.
     
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    L’Hot-Dog è un luogo sicuro, un luogo dove chiunque, a prescindere da orientamento sessuale, identità di genere, umore, carattere, letteralmente qualsiasi cosa, può trovare conforto. Che sia anche solo stare lì in silenzio in solitudine a bere qualcosa, anche quello può essere molto terapeutico.
    E a Galdr, tutto sommato, dietro il suo essere estremamente sicuro di sé al limite dell’arroganza, fa piacere poter essere un mezzo per aiutare gli altri, lo fa sentire ancora più importante di quanto già non creda di esserlo, che per un vanesio come lui è un toccasana. Un drink, uno sguardo ammaliante, un sorriso rassicurante e due paroline, ecco le tecniche che usa con chi vede solo e perso nella folla, come un leone che punta la sua preda individuandola tra le più deboli; ma non per far loro del male, assolutamente, ma perché sa che queste persone spesso sono quelle più inclini a pendere dalle sue labbra. E poi, se riesce anche a portarsele a letto, che male fa? Ci si diverte sempre tutti se c’è consenso, no?
    Una voce femminile raggiunge il suo udito, particolarmente sensibile ai suoni e in grado di discriminare quelli meno forti da quelli forti, e non perdersi così (quasi) mai nulla di quello che lo circonda. Si è abituato alla musica alta del locale, anche perché stesso lui quando suona va su con i decibel, ma il costante mal di testa che ne deriva… quello è qualcosa con cui a volte fa ancora fatica a fare i conti. «Certo tesoro, che cosa ti posso dare?» domanda a sua volta, girandosi verso la figura femminile che gli si para davanti, dietro al bancone. Alta e slanciata, molto bella, dagli scuri capelli lunghi e dallo sguardo penetrante, difficile non notarla. Ha l’aria di quella che anche in una folla di persone, anche in una calca, resterebbe perfettamente visibile e isolata dal resto del gruppo, come una goccia d’olio in una vasca da bagno piena d’acqua.
    Distoglie lo sguardo dalla figura della donna solo per un istante, il tempo di versarsi un po’ di vodka in un bicchierino da shot e buttarlo giù in un sorso solo, lasciandosi poi andare a un «Aah!» liberatorio. Perché prendere dei farmaci per l’emicrania quando ha accesso a tutto quell’alcool? «Prima volta qui? Non ti ho mai visto.» domanda sorridendole, il tono di voce è calmo, sicuro, affascinante, proprio come si presenta lui. «Io sono Galdr, e tu?» chiede tendendole la mano. Essendo un tipo molto fisico, questa è una cosa che ha spesso il bisogno di fare: toccare le persone, non in modo sconcio (se capita, però, perché no?) ma anche solo per sentirne il calore. Abbracci, strette di mano, pacche sulle spalle, un contatto fisico frequente, non costante, ma che lo aiuta a esprimere meglio se stesso.

     
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    Il rumore…
    Il rumore è una culla, un’oasi di pace.
    Tutto ciò che circonda Alina non si potrebbe definire in altro modo: la musica con i suoi bassi, il chiacchiericcio continuo, voci stridule di donnicciole ubriache, uomini pseudo-alpha che parlano tra loro letteralmente urlando, vetri, bottiglie…
    Tutto ciò è confortante, perché sovrasta il caos che le si agita nella mente. Questa è una di quelle sere in cui non riesce a mettere a tacere i pensieri ossessivi e intrusivi che si accavallano in continuazione, un iper pensiero fuori controllo che pare essersi intensificato appena si è ritrovata a Besaid. Forse sua nonna ha ragione, questo posto non fa per lei, dovrebbe andarsene domani stesso. Eppure, nonostante sia rimasta a fissare le valige pronte in un angolo della stanza, nonostante la volontà di sollevarsi dal letto e afferrare quei manici per trascinarli via dalla città, il suo corpo non si è mosso. Perdere il controllo di sé stessa è qualcosa che non riesce a sopportare, rappresenta l’opposto di ciò che desidera nella vita: raggiungere la piena padronanza dei propri pensieri.

    Così si ritrova a sorridere, gli angoli della bocca si sollevano in modo impercettibile ad occhio esterno, un cambio di espressione così lieve da essere appena appena intuibile. Sorride perché riesce a sentire solo un mix di rumori e voci, compresa quella del barista che si volta verso di lei. E’ decisamente un bell’uomo, forse non propriamente il suo ideale, certamente affascinante se rapportato al contesto. Si pone con fare amichevole, ovviamente, rientra nell’attitudine di chi svolge il suo mestiere ma ad Alina piace, almeno in questo momento, in questa particolare circostanza di smarrimento personale. Inclina il capo quando si sente chiamare “Tesoro”, non è abituata a tutta questa confidenza, lei stessa non si rivolge mai col “tu” se non conosce bene il proprio interlocutore. Quando le porge la mano, resta interdetta per qualche secondo, gli occhi restano fissi sul palmo teso di lui. E’ titubante, non rientra nel suo modo di fare, eppure porge anche la propria mano. La stretta è morbida, seppur decisa, le dita di lui sono praticamente il doppio delle sue, sembra quasi la mano di una bambina in quella di un adulto. È… rassicurante. Galdr non è un nome comune, probabilmente è la prima volta che lo sente, ma è facile da memorizzare, un dato tra i tanti che sta raccogliendo quasi inconsciamente. Gli occhi sono estremamente espressivi, un azzurro così chiaro potrebbe facilmente intimidire ma non è questo il caso. E’ sorridente, si mostra sicuro di sé, complice una corporatura degna di nota, certamente dovuta ad un costante allenamento. L’altezza è fuori dalla media, circa un metro e novanta calcolando la differenza di altezza con la pedana leggermente rialzata dietro al bancone. Tatuaggi: deve esserne ricoperto a giudicare dalle zone esposte che la camicia lascia intravedere. Il lavoro che svolge lo porta a stare costantemente a contatto con il pubblico, una clientela abbastanza variegata e di una fascia di età medio giovane. Ha mandato giù uno shot in un secondo, senza gustarlo, come fosse un gesto compulsivo. Problemi di alcolismo? Forse. Sicuramente bere in quel modo è da persone che hanno problemi o qualcosa da risolvere. Alina comincia ad elaborare una serie di pensieri che lentamente sovrastano quelli che già aveva, una serie di informazioni nuove che formano un enigma incarnato avanti a lei: una distrazione, quello che le serve stasera. «Non ti ricordi di me?» decide di giocare «Dovrei ritenermi offesa…» l’espressione della donna è neutra, quella che le viene più semplice «…eppure, credevo ci fossimo divertiti insieme» lascia la mano dell’uomo per poi incrociare le braccia sul bancone e fissarlo intensamente per qualche secondo. Una attesa non troppo lunga, il tempo di fargli elaborare qualche pensiero o frase. «Sto scherzando. E’ la prima volta che vengo qui, anzi… è la prima volta che vengo a Besaid anche se…» solleva di poco le spalle «… tecnicamente ci sono nata. Non conosco ancora nessuno» Decide di mostrarsi leggermente più disinvolta, meno impostata come al suo solito «Preparami qualcosa di tuo gusto, sorprendimi. Galdr. Mi chiamo Alina, comunque»

    Edited by Nevada_ - 20/4/2023, 14:15
     
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