Quest V : Sykdom Apocalypse

Quest nr. 5 | Besaid

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  1. Iwar
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    "Di cosa hai paura?"
    "Di niente, io sono la paura".


    Mi chiamo Phobos, come la paura. Come il terrore più subdolo, quello che stagna nelle tue vene, e poi ti assale di notte, senza apparente motivo. Curioso, per me, che mi aggiro per i sobborghi come un ombra. Mi dona quell’aria cattiva che mi serve, questo nome. Quella che fa sì che la mia fama preceda la mia minuta figura, quell’aura che mi difende. Curioso che proprio la paura costituisca il nome di uno che, di paura, non ne ha mai avuta. Mi vanto di non averne, di esserne immune. Può succedere, se cresci come una bestia selvatica. Se nessuno ti insegna cosa sia un legame, quanto bella sia la vita, quanta importanza ci sia in ogni piccola cosa. Spavaldo, sfido qualunque cosa mi si pari davanti.
    “La paura è per i deboli, sono io la paura.”
    Ripeto e mi ripeto. Se non hai niente da perdere non hai niente da temere. La paura è solo morboso attaccamento. È ciò che rimane di un vizio.
    "Io non ho paura, sono io la paura."
    Parlo, parlo, non si sa mai se dica il vero oppure no. Mento agli altri, mento a me stesso, perché nulla si leghi a me, o si avvicini troppo.
    “Io non ho niente da perdere, non ce l’ho mai avuto.”
    Vero o falso?


    Un accenno di sorriso colora il viso pallido di quel ragazzino sprovveduto, superbo come nessuno dovrebbe essere alla sua età. La mano stringe leggermente la stoffa grigia sul tavolo, poi la lascia andare.
    Quel coglione di Milo ha lasciato il cappello a casa sua. Hanno serbato tante speranze, eppure è ancora a farsi il culo in quella fabbrica di merda. Con orari improbabili e paga misera. E lui non è che uno spacciatore di poco conto, un bulletto delle vie buie, che si guadagna da vivere nei peggiori modi possibili. Spacciando, ammazzando, perché ormai un ragazzino non lo è più davvero.
    Si erano promessi tanto, lui e Milo. Di inseguire i sogni, di vivere d’arte. Stronzate. L’arte non dà da mangiare.
    Eppure quel cappello grigio sul tavolo lo fa sorridere. Sa che tornerà a prenderlo. Sa che gli ripeterà quanto sia coglione a tornare per un fottuto cappello. Che lo insulterà per essersi presentato a chissà a quale ora e che lui si farà scivolare addosso la sua angheria.
    Sa che non può fare a meno di questo.
    Mente, Poison, quando afferma di non aver niente da perdere. Se n’è accorto quella volta in cui li hanno gonfiati di botte. Se n’è accorto quando ha visto Milo sanguinare, quando l’ha visto accasciarsi a terra. Quando ha smesso di percepire il battito del suo cuore. Quando l’ha trascinato fino a casa sua. Quando ha implorato la morte di ridarglielo. Quando le ha urlato contro la sua gelosia. Quando ha pensato che morire insieme sarebbe stata l’unica soluzione. Perché nulla valeva quella vita senza di lui. Senza quel suo fastidioso respiro. Senza quella sua risata da checca. Senza quei suoi inquietanti tatuaggi in movimento.
    Senza la vernice passata sulla sua pelle a coprirli. Senza gli insulti per tenersi fermi. Senza sfiorarsi le labbra.
    Mente, Phobos, quando dice di non aver niente da perdere. Mente per proteggere sé stesso e Milo.
    C’è qualcosa che ha da perdere. Qualcuno che significa tutto.

    . . . . .


    E così si è avviato da solo verso la spiaggia. Cammina nel bosco a passo sicuro. Le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, il ciuffo ribelle sempre avanti al viso, il coltello a serramanico ben nascosto. Nei pantaloni, qualche grammo di fumo e qualche dose di cocaina. Semplici affari, i suoi. È la sua vita, quella. La paura dell’epidemia non l’ha poi cambiata molto. Anzi da una parte è stato meglio evitare i contatti, anche se da quando la gente è iniziata a morire, vive nel costante terrore. Perché quando ti attacchi a una cosa sola con le unghie e con i denti, poi, vivi in funzione di essa.
    La sua funzione vitale consiste nel mantenere vivo l’altro. Colui che odia nel profondo perché mina le sue certezze. Colui che deve contendersi sempre con la donna incappucciata. La certezza di non avere alcuna certezza.
    Il fuoco arde sulla spiaggia, la musica non attira gli sbirri, che per una sera fanno finta di non vedere. Quella festa clandestina esiste da anni. Nemmeno un cane rognoso priverebbe la città delle sue tradizioni. Sigaretta storta in bocca, lo spacciatore si guarda un po’ intorno, mentre si fa versare un generoso bicchiere di idromele da alcuni ragazzi già belli che ubriachi. Più in là, l'età media sembra aumentare. Da quando quella è diventata una festa per matusa?
    «Ma come mai ‘sto vecchiume ‘st’anno? » Chiede, a qualcuno lì vicino. Lo sguardo di ghiaccio del serpente si posa però su una figura particolare. Distinta, elegante. Naavke Evjen a una festa? Prevedibile che abbia qualche affare da sbrigare lì, lui non si muove mai per niente. Fa un passo avanti, posa il bicchiere, quando vede lui tra la folla.
    Skydom.
    E insieme al suo respiro il mondo intero sembra fermarsi. La musica, il ciarlare. Con la bocca semi aperta osserva quel pagliaccio prendersi il palco. Sciocco da parte sua, uscire allo scoperto. C’è chi, come lui, lo cerca da mesi. Perché quella per Besaid è una partita a Risiko con tanti giocatori, e nessuno vuole permettere agli altri di prendersela. Non a uno solo, che li ha gabbati tutti, che da loro ha appreso a maneggiare il potere e che ora glielo riversa contro.
    Non si rende conto, Poison, di quanto pericoloso sia quell’uomo. Avanza di qualche passo. Cerca Naavke con lo sguardo, ma egli sembra quasi rapito da Skydom. Affascinato, dal cane rabbioso che ha strappato la catena.
    Mai, il ragazzino, ha temuto di trovarsi di fronte a uno solo. Eppure, quando il cerchio si chiude, avverte la sensazione di essere spacciato. Lontano, da ciò che per lui è vita e morte.
    Solo, in mezzo a una folla impaurita.
    «Avverto l'adrenalina, so che la confondete con paura. La sento scorrere tutt'intorno, dentro e fuori, ed è un peccato tramutarla in paura, è potere.»

    Mi chiamo Phobos, e sono un bugiardo. Non è vero che non ho paura. Non è vero che non m’importa di niente. Ho paura della paura, perché essa mette in guardia, ma mette anche in pericolo. Ho paura di perdere ciò che più amo e odio allo stesso tempo. Ho paura che pianga, non vedendomi tornare a casa. Ho paura della lunga attesa di qualcuno che non tornerà più. È già successo, più e più volte. Non credo di essere davvero io la paura. Non voglio esserlo, per lui.

    Sussulta, quando quel pazzo inizia a fare una strage. Le pupille si dilatano. Non dovrebbe averne paura, lui fa lo stesso, solo in maniera più subdola. Ha poco più di vent’anni, Poison, e ha conosciuto la morte dal suo primo vagito. Da quando ha ucciso sua madre, anche se non ne ha memoria. Perché lui non è che un braccio della morte. Alleato di quella figura a cui contende l’amante. Ma che succede se c’è qualcuno di più forte su quella scacchiera? Se chi ci ha sempre pilotato non ci dice cosa fare? Naavke ha i suoi piani, fa un passo avanti.
    E al di là del fuoco. Phobos Schneider è solo. Sa che Milo si farebbe uccidere, piuttosto che allearsi con quel pazzo. Sa che probabilmente se così fosse, Poison ne abbraccerebbe la sorte. Ma lui non è lì, per fortuna. È al sicuro, in quella sudicia fabbrica di periferia. Lo sarà, finchè Skydom non deciderà di distruggerla.
    Poison ha tanto, troppo da perdere, anche se non lo ammetterà mai.
    E non ha una coscienza così pulita da poter fare il puritano. Ha ucciso, esattamente come Dominik. Non per difendersi, non per piacere. Sicario, quel ragazzino ha ucciso per campare. Perché ne ha il potere, e quel potere gli da sicurezza. Quella è la sua arma per non sentirsi una mosca in mezzo a un favo di calabroni. Gli serve il suo potere; quello che ha ucciso sua madre, senza che lo volesse. Quello che a volte lo tradisce. Quello che vigliaccamente definisce ciò che è.
    Il biblico serpente.
    «Mi unisco alla causa. »
    Bisbiglia, quando Dominik si avvicina. Deciso, svuota la mente per paura che egli possa leggervi dentro qualcosa. Quale sia la particolarità che vorrebbe rivoltargli contro, il volto di Milo. Poison bluffa, ma non ha padroni. Cane rabbioso, è pronto a mordere anche chi gli dà da mangiare. Naavke lo sa, Milo lo sa.
    Skydom invece deve credere che la paura muova coloro che accettano di sottomettersi. E Poison ha paura, ma lui non deve saperlo, non glielo mostra.
    Phobos è la paura, questa è la sua maschera. Fedele soltanto al proprio cuore, o a ciò che ne resta.

    Vita o morte non ha importanza, se il tuo cuore è lontano. Se tutto ciò che ami è al sicuro. Se sai che soffrirà, sì, ma sopravvivrà lo stesso anche senza di te. E sai che ti porterà con sé, ovunque andrà. Che non morirai, se sarai con lui. O che morirete insieme. Perché quello in cui voi esistete o non esistete, ma insieme, è l'unico mondo possibile.
     
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