Quest V : Sykdom Apocalypse

Quest nr. 5 | Besaid

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    ~ Prologo ~


    C'è una domanda che, silenziosa, si è fatta spazio tra la folla. Non si sa quando è nata, non si sa da dove venga esattamente, eppure esiste. Si è moltiplicata, fatta suono, fatta visione, si è protesa in avanti e ha provato a sbirciare nel futuro cercandovi un rimedio, forse una via di fuga. Quella domanda è presente nell'aria da ore, giorni, mesi, probabilmente anche anni, ed è forse il sentiero da percorrere per sapere e conoscere, non solo il futuro e il presente, ma anche e soprattutto il passato, il tempo che questi occhi ora non hanno mai visto ma che la mentre ha solo immaginato.

    Leopardi descrisse ne "Il Sabato del Villaggio" quell'euforia crescente che, accumulatasi durante la settimana, giunge al sabato di festa per esplodere ed esaurirsi alla domenica. A quell'euforia i cittadini di Besaid ci erano sempre stati abituati, sempre pronti, soprattutto nella notte che divide il mese di Marzo da quello di Aprile, a festeggiare il vero nuovo anno cittadino, che non faceva alcuna fatica a scardinarsi dall'anno che invece, in altre parti del mondo, scattava alla fine del 31 Dicembre. Era divenuta un po' una tradizione, una legge non scritta che, al di fuori dei confini di Besaid, non aveva alcuna ragione d'esistere: e dunque, proprio entro quei confini a pochi conosciuti, la brezza di una festa dilagava silenziosa fra le strade, ai piani alti dei palazzi così come giù nei più bassi, sotterranei collegati fra di essi tramite mani, banconote, sguardi d'attenzione, cauti per non farsi acciuffare da chi quella celebrazione l'avrebbe voluta fermare, contenere.

    Ma come si fa a contenere qualcosa che viene magnetizzata a proprio piacimento da luna, sole e universo intero?
    Come si fa a contenere qualcosa il cui richiamo viene dal sottosuolo e s'infila sotto pelle e freme per scivolar via dai polpastrelli sottoforma di potere?

    Non si contiene.

    In città qualcosa sta accadendo: c'è chi girovaga nella notte con indosso vestiti di altri tempi, il ricordo di qualcosa che antenati hanno vissuto, un carnevale vichingo pregno di risate, corse, vino e idromele. In alcune piccole traverse brucia qualcosa, forse un cassonetto, forse la cicca di una sigaretta non spenta, a volte ci si sente al sicuro e altre no, sembra sia venuto a mancare l'ordine, il controllo. La musica è acustica e antica, a volte si riversa fra le strade da finestre spalancate, altre volte giunge dalla spiaggia e non c'è poi molto modo per fermarla. La luce delle fiaccole infilate nella sabbia illumina la superficie marina, le onde arancioni si muovono per mescolarsi al nero pece del fondo che non è più possibile vedere, la luna è alta in cielo e aspetta che il sole la raggiunga, come ogni anno.
    Un gruppo di individui si fa strada in città, non si fa fermare, giunge alla spiaggia insieme alla maggior parte di chi quella sera vuole festeggiare, quasi per inerzia. Alcuni del gruppo che si fa spazio fra la folla indossano lunghi abiti di lino e seta, le pelli di animali pendono sulle loro spalle; altri hanno armature, ricordano i combattenti che salpavano centinaia di anni prima per andare alla scoperta di un nuovo mondo, per conquistare territorio, potere. I volti sono ricoperti di vernice verde, neon visibile anche al buio. Sembrano venire dal passato per appropriarsi del presente e del futuro, un messaggio antico rinnovato, la prova che forse il tempo non è poi davvero una linea retta, ma un cerchio.
    Avanzano tra la folla senza disturbare ancora i festeggiamenti, si dirigono verso il più grande dei falò presenti sulla spiaggia, nell'esatto centro fra bosco, mare e rocce, il punto d'incontro fra tre angoli. Si fermano, allineandosi gli uni accanto agli altri, fila dietro fila, mentre le fiamme illuminano a stento i loro volti colorati. Un uomo avanza fra di essi, passo lento ma deciso, non affonda nella sabbia, anzi, sembra quasi vorticarci sopra senza mai sfiorarla, senza lasciare che un solo granello s'innalzi per aria al suo passaggio. Quando le sue spalle quindi sono rivolte al resto del suo gruppo, solleva le mani per mostrare il proprio volto e sfilarsi via il cappuccio di lino che, in una veste bianchissima, gli copre anche le spalle e il petto nudo ricolmo di cicatrici e tatuaggi, scritte in simboli, una lingua antica.
    Ha gli occhi chiarissimi, i capelli altrettanto corti, le sfumature di arancione che da tutto intorno dalle fiaccole s'innalzano illuminano anche lui e la nuca ora scoperta.

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    Cala il silenzio, la musica cessa di suonare, nessuno più si muove. Nell'aria c'è paura, eppure nessuno prova a scappare via. Lungo i confini della spiaggia appare una barriera luminosa che si chiude attorno alla popolazione presente e, dietro d'essa, una catena di individui incappucciati fanno da muro. L'uomo al centro della spiaggia osserva i volti di chi gli è davanti, intorno, sorride a labbra strette mentre solleva le mani verso l'alto e, mostrando i palmi, intrappola fra le proprie dita tutta l'energia che riesce a trovare all'interno di quel cerchio di poteri.
    «Avverto l'adrenalina, so che la confondete con paura.» parla per la prima volta, una voce dura, roca, forte.
    «La sento scorrere tutt'intorno, dentro e fuori, ed è un peccato tramutarla in paura, è potere continua, compiendo un passo in avanti, ora i piedi nudi affondano nella sabbia che, sotto il peso e intorno alla sua sagoma, si tinge di nero, brucia. «Sono qui per liberarvi, liberarci, da chi ci vuole assottigliare, da chi ci vuole separati.» aggiunge, guardandosi intorno. «Sono qui per voi, per renderci uno, un solo essere, il prescelto senza alcun limite, senza restrizione, il fondatore di qualcosa che un tempo già era ed ora potrebbe tornare ad essere.» continua, avanzando per avvicinarsi ai presenti e sfiorarne le spalle di alcuni con un tocco leggero della mano, i polpastrelli ruvidi sulla pelle liscia di chi lo osserva con timore. «Sono qui per impedire che ci venga vietato di viverci appieno, per impedire che ci venga vietato d'essere quello che siamo. Per mostrarvi che ad essere uniti siamo molto di più di questo...» disse fermandosi di nuovo e, dopo aver sollevato il meno e una delle mani verso l'alto, lasciò che una fiamma di un rosso acceso nascesse fra le sue dita. Le chiuse piano per far scivolare via verso l'alto la sfera di fuoco che lo seguì mentre riprendeva a camminare. Fece un giro intorno al falò per poi tornare dinnanzi ad esso e fermarsi a poca distanza dal viso di un ragazzo. L'osservò per qualche istante con estrema attenzione mentre il giovane ne ricambiava le attenzioni senza tirarsi indietro impaurito come alcuni avevano fatto fino a quel momento. «Ti unirai alla causa?» chiese l'uomo allora, avvicinandosi ancora di più al ragazzo e puntando il proprio sguardo di ghiaccio in quello più scuro dell'altro. Strinse le labbra, il giovane, un secondo prima di parlare. «Sei uno spostato...» sussurrò, e poterono udirlo tutti. Vide il suo nemico sorridere e allontanarsi di qualche passo da lui così da lasciare che la sfera di fuoco gli precipitasse addosso. Bruciò, mentre chi gli stava accanto si allontanava per non farsi colpire dalle fiamme di quel corpo. Durò qualche secondo e, del corpo del ragazzo, non restò che la stessa sabbia nera che le impronte del prescelto lasciavano ad ogni passo compiuto sulla spiaggia. «Ti unirai alla causa?» chiese dopo aver avanzato di qualche metro ed essersi fermato dinnanzi alla sagoma di una donna. Spalancò gli occhi, schiuse le labbra ma non ne uscì alcuna voce. Annuì piano, una, due volte, e l'uomo le offrì il palmo della propria mano. La accompagnò in direzione del falò dove una delle donne incappucciate l'accolse fra le proprie fila, le tinse il volto dello stesso colore del proprio e, con un solo movimento della propria mano, le cambiò il vestiario tramite la sua particolarità. «E' ora di decidere da che parte stare.» pronunciò dunque lui nuovamente rivolto alla folla. Ci fu un brusio, poi di nuovo il silenzio. Qualcuno provò a scappare cercando di superare la barriera di luce verde, senza alcun successo, ritrovandosi per terra in preda a brividi e dolore. «Avanzino tutti coloro i quali vogliono prender parte alla nascita della nuova Besaid.» urlò ancora in direzione di tutti quegli sguardi pietrificati. «Tutti quelli che vogliono stare dalla parte del potere, del giusto, di chi non accetta di esser domato.» aggiunse ancora, muovendosi nuovamente intorno e in mezzo alla folla, senza paura, senza alcun timore che qualcuno potesse anche solo provare a fermarlo. Consapevole del proprio potere.



    #indicazioni:.
    -- Nel vostro primo post potete descrivere a grandi linee la vostra partecipazione alla festa clandestina della città. Good to know: il governo e le autorità locali hanno vietato qualsiasi tipo di festeggiamento, quest'anno, in vista dei pericoli che si celano fra le strade per via dell'uomo ricercato. Quindi tenetene conto, se hanno deciso di festeggiare è perché la voce di una festa clandestina si è sparsa nell'underground e ha come punto di riferimento la spiaggia al tramonto. La voce stessa della festa è stata sparsa da un gruppo di individui di cui non si sa il nome, aka i vostri pg non sapranno chi davvero l'ha organizzata per aggirare le forze dell'ordine.
    Avete libera scelta nel decidere con chi o come arrivarci (ad esempio, potete arrivare anche con altri partecipanti alla quest, tutto a vostra discrezione!) e tenete conto che il raduno sulla spiaggia avviene a notte fonda, poco prima dell'alba.
    -- Come descritto nel masterpost, la spiaggia è animata, da un’estremo all’altro, da quella che è una mini raduno: non ci sono chioschi in legno come l'anno precedente; potrete trovare però diversi musicisti o cantastorie pronti a deliziare i partecipanti con canti di tradizione norrena e storie leggendarie; diversi piccoli falò e uno più grande nel centro della spiaggia. Il tutto è stato allestito tramito l'uso di particolarità e poco prima dell'alba; (Attenzione: le forze dell'ordine sono in giro sotto copertura)
    -- Quando l'uomo incappucciato rivela la propria sagoma, i vostri pg potrebbero avere paura ma NON saranno in grado di scappare. Nel momento in cui l'uomo solleva le mani, le particolarità verranno sottratte ai vostri PG.
    -- Quando verrà chiesto di compiere una scelta, ognuno dei vostri PG dovrà rispondere e scegliere se unirsi alla causa o meno. La scelta spetta solo ed esclusivamente a voi! Vi chiediamo di scegliere tenendo considerazione delle possibili conseguenze. (Se possibile, non comunicate a NESSUN altro Player in quest la vostra scelta prima di postare)
    -- Per il primo giro di risposte, avete la completa libertà di descrivere le reazioni dei vostri PG nel momento in cui si troveranno sulla spiaggia e, successivamente, dinanzi al "nemico". Sulla spiaggia troverete naturalmente anche gli altri partecipanti, potrete vederli chiaramente e, se vi garba, interagire come lo desiderate.
    -- Se volete, per prendere attivamente parte alle celebrazioni, come nella scorsa quest i PG hanno la possibilità di mascherarsi, indossando quindi costumi tipici che rappresentino la storia norvegese: guerrieri e guerriere, contadini e contadine, re e regine, quello che più vi garba!
    -- Vi invitiamo ad iscrivervi alla discussione per non perdere nessun post.


    #recap azioni & info utili:
    • La festa inizia il 31 Marzo, in tarda serata, sparsa fra le strade della città e quindi senza un programma preciso: festeggiare è VIETATO, ciò significa che i PG devono stare attenti a non farsi beccare dalle pattuglie di controllo;
    • Prima che albeggi sulla città, tutti i personaggi giungono sulla spiaggia (zona est), incontreranno anche gli altri PG e PNG. (vedi sopra per più infos sull'atmosfera)
    • Poco prima dell'alba appare un gruppo di individui incappucciati e la barriera verde attorno al perimetro della spiaggia.
    • Da questo momento in poi, i PG avranno modo di interagire, finalmente, con la figura che è anche la causa della caotica situazione in cui si trova Besaid e i suoi cittadini da circa un anno.

    Turni: (ATTENZIONE: per necessità di gioco, è molto probabile che questi cambieranno radicalmente di volta in volta)
    Non ci sono turni definiti a questo giro. Ciò significa che ogni utente può postare a proprio piacimento entro e non oltre il 05/06. Chi non avrà postato entro questa data, salterà automaticamente il turno.

    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic, dove troverete anche i link alle quest precedenti. - Qui invece il link al Besaid Journal con gli ultimi articoli riguardanti il "virus" e qui il link alla Pre Quest, nel caso in cui qualcuno se la sia persa.

    I dieci giorni del primo turno partono da domani, 26/05/2023 a mezzanotte.
     
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    «Ti mancava così tanto?» La luce morbida che illuminava i lineamenti eleganti e pericolosi di Cassandra non smussava il tono impietoso della sua voce, che per quanto delicata nel timbro, non poteva che rivelarsi per ciò che era: crudele. Non per gelosia, ma per puro e semplice divertimento. Cassandra, nel coltivare il suo estremo acume, era arrivata a padroneggiare un'affilatezza comune a ben pochi esseri umani, e di questo Naavke era non solo confortato, ma pronto a ricevere ben volentieri ogni suo fendente. La casa, adornata da costosissime opere d'arte e riscaldata solo dal chiarore dei lumi, era come i suoi due abitanti ferma in una stasi pericolosa. Come stanze di notte prima del terremoto che frantuma i vetri in mille pezzi, Naavke ugualmente se ne stava in silenzio, trattenendo tra le dita un fragilissimo bicchiere ancora pieno di un pregiato whiskey Yamazaki invecchiato ben 12 anni. Non aveva bisogno di fingere con lei. Solo due persone erano state in grado di vederlo davvero: una si trovava proprio lì, in quella stanza, l'altro rinchiuso in una prigione fino a poco tempo prima. «Mi stai facendo una domanda di cui già conosci la risposta. Piuttosto.. ti stai divertendo?» Cassandra e Naavke giocavano brutalmente, così come le loro menti ed i loro corpi si erano evoluti a fare. Non ci sarebbe stata esclusione di colpi tra loro, ed era quella una delle ragioni per cui Naavke amava Cassandra così tanto. Sapeva che prima o poi l'avrebbe distrutto ed affrontava quella consapevolezza con serenità. «Molto, Naavke.» Fuseggiò lei, accavallando le gambe fasciate in un finissimo pantalone a palazzo beige. Sembrava guardare persino oltre il suo stesso marito, scorgendo sotto la camicia che indossava, il suo costato, i suoi polmoni sino al suo cuore, ben protetto da anni di minuzioso lavoro. «Un invito formale.. Non mi aspettavo niente di diverso da un amante raffinato come te. Trovo le conseguenze di questo gioco tremendamente interessanti. Non hai mai amato me come ami lui, e non amerai mai lui come ami me. Tutto questo perchè tu continui a creare muri, e vuoi vedere chi è tanto intelligente da superarli.» Solo allora Naavke portò il bicchiere alle labbra, soppesando con grande attenzione le parole della moglie per realizzare ancora una volta, senza sorpresa, che il suo giudizio era stato accurato. «È uno dei pericoli dell'autodeterminazione.» Soffiò lui, passandosi distrattamente la ligua tra le labbra, solo per prolungare ancora per qualche istante il residuo fumoso dell'alcolico. Si avvicinò poi alla moglie che fino ad allora era rimasta nella medesima posizione, ed estese una mano non ancora ricoperta dai suoi guanti in pelle nera sino alla sua guancia, che sfiorò col dorso di due dita. Venne raggiunto ben presto dall'intero palmo della donna, che gli circondò con grazia ed in una presa salda il polso - al tempo stesso un tocco amorevole ed un cappio ineludibile e pronto a stringere. «Direi piuttosto una riluttante ammissione delle tue paure, amore mio. Quando torni stanotte non fare rumore, questo passatempo non vale la perdita del mio sonno. Mi racconterai tutto domattina.»

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    [Carissimo Vilhelm,
    Abbiamo trovato entrambi la strada verso una nuova vita, ma le nostre vecchie esistenze aleggiano nell'ombra come nascente follia.
    Temo che ben presto i risultati e le origini di questa epidemia arriveranno a bussare anche alla tua porta.
    Ti consiglierei, come tuo amico, di godere della imminente festa, ma di non varcare la soglia che esse ti apriranno davanti a te.
    È buio dall'altra parte, e la follia attende.
    Tuo,
    Naavke Evjen]



    - It's in the eyes
    I can tell, you will always be danger
    We had it tonight, why do we always seek absolution?
    It's in the eyes
    I can tell you will always be danger

    Il caldo colore dei lumi si trasformò ben presto nel bagliore timido e misterioso delle fiaccole, nel chiacchiericcio di uomini e donne a divertirsi, e nell'ostinato ritmo che il ciclo continuo delle onde produceva. Non poteva dirsi un'occasione frequente, ma Naavke poteva sentire la pelle arricciarsi nell'elettricità tipica dell'anticipazione. Aveva come sempre seguito un progetto ben preciso, e voleva vedere ciò che sarebbe accaduto dopo - il timone non era più nelle sue mani, ma in quelle di Vilhelm. Nell'insieme di persone che celebrava il passato per sperare in un miglior futuro, Naavke si stagliava alieno tra loro, un acuto promemoria di un presente complesso e cupo. Diversamente dalla maggioranza degli altri avventori era infatti vestito come sempre, curato ed avvolto in un funzionale ma opulento completo scuro, punto da gocce di rosso solo nella camicia e nella cravatta - segni sottili di ricercatezza. Le ombre lo confortavano: proprio come aveva scritt sul suo biglietto era lì che aspettava Vilhelm, dall'altra parte, se lui l'avesse voluto. Non lo trovò, ma riconobbe il viso di un agente di polizia in borghese, quelli di esponenti più o meno interessanti della città, ed osservò una sequela di volti a lui poco familiari, ma che in quella circostanza tanto sacra, gli parvero quelli di fratelli e sorelle mai ritrovati. Del resto, con quella celebrazione clandestina si rievocava ciò che era emerso palesemente agli occhi di tutti gli abitanti della città l'anno precedente: Besaid era diventata un miracolo terrestre grazie a sangue e vite innocenti, una rivelazione terribile per alcuni e rassicurante per altri. Naavke si trovava tra questi ultimi - considerava il sacrificio dei Besaidiani come il loro primo grande successo, quello che garantì loro non solo il favore degli dei, ma anche i loro poteri straordinari. Sapere di essere parte di quella eredità e di quella storia l'inorgogliva. Era comunque più che consapevole che quella notte non si trattava unicamente di una rivendicazione cittadina a dispetto delle autorità per commemorare l'eclissi, ma anche una riappropriazione delle strade nonostante una malattia che privava la gente di quegli stessi poteri, quelli che Naavke aveva un giorno intenzione di liberare con violenza, assieme alla linfa vitale che veniva rubata senza pietà a Besaidiani e Besaidiane da mesi. Il pericolo non era mai stato tanto vicino, e Naavke sapeva si fosse trattato anche di un suo errore - certo, non agiva mai in maniera disinteressata o per altruismo: non ci sarebbe stata una città da portare al caos se tutti i suoi abitanti fossero stati annientati in una epidemia. E poi, Dominik si era rivelato trementamente scortese. Un peccato tanto grave quanto l'omicidio.
    Le elucubrazioni di Naavke si fermarono sino a divenire un bisbiglio nella sua mente appena posò lo sguardo su Vilhelm. Era tornato, aveva accettato l'invito e scelto di presentarsi lì. Difficile dimenticare il primo vero amore. Il gioco di cui parlava Cassandra lo riguardava ed era semplice: era il cuore di Naavke ad essere sul piatto, sua moglie era interessata a vedere se Vilhelm l'avrebbe divorato. Trattenne a stento un sorriso emozionato ma di quelli sereni, consapevoli del fatto che la pugnalata sarebbe arrivata presto. La desiderava. Vilhelm si trovava al di là della fiamma, là dove Naavke aveva promesso che l'avrebbe atteso. Gli sarebbe bastato oltrepassare il falò per raggiungerlo, e così fece, senza fretta, fino a fermarsi alle spalle dell'altro uomo. «Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici.» Sussurrò unicamente, slacciando uno dei guanti al polso. «Grazie, per aver dato parte della tua a me, Vilhelm.» Naavke non sapeva quando il colpo sarebbe arrivato, eppure non si spostò di un millimetro, aggrappandosi alla pelle del proprio guanto per sfilarlo del tutto. Lo ripose ordinatamente in tasca, e poi sollevò nuovamente la testa per riportare lo sguardo, più vitreo di prima, sulla figura e poi sugli occhi di Vilhelm ora volti a studiarlo. «Sei venuto.» Erano entrambi cresciuti, tanti anni erano passati da quando erano solo ragazzi acerbi in università, eppure Naavke sentiva ancora quell'agitazione mai spenta chiamarlo, quella che gli diceva che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto, quel tremore lungo la spina dorsale che l'avrebbe costretto nuovamente ad abbandonare un amore divino come quello. In quel momento fece per avvicinarsi, ma venne fermato da altre immagini, che dalla coda dell'occhio facevano capolino nel campo visivo di entrambi. Qualcosa, qualcuno di diverso era arrivato in spiaggia: il clamore della festa, per quanto sommesso, era stato sostituito da un silenzio assordante, e le macchie dapprima informi si erano trasformate in volti, ricoperti di luce fluorescente. Naavke avrebbe riconosciuto quel ghigno sfacciato ovunque: Dominik Sykvold... Sykdom. Terribilmente derivativo. Riflettè seccato il curatore, volgendo lo sguardo all'uomo che, con evidente carisma e potere aveva attirato tutta l'attenzione su di sè. L'accesso, così come l'uscita, erano stati bloccati, e quella dimostrazione di potere ora racchiuso tra le mani di quell'uomo che Nero conosceva come Dominik si rivelò impressionante. Avrebbe dovuto immaginarlo - colui che rubava particolarità e vita agli altri era adesso giunto a reclamare il suo premio. Proprio quella notte, e non in pieno giorno con l'intera città a guardare: perchè? Naavke restò impassibile nell'espressione, convinto che l'altro uomo si sarebbe rivelato ben presto. Nel frattempo, lasciò scivolare le iridi sul resto degli avventori, e lontano da lui e Vilhelm si stagliavano figure a lui note, molte delle quali presenti all'incontro per elaborare una strategia contro la persona che in quel momento manipolava con disinvoltura una sfera di fuoco senza bruciarsi - Nikolaj Morsonn, Athena Drakos, Sibylla Greseth, Ares Maleros, padre Sirius Doyle, Lars Berg, Jonah Losnedahl. Tutte persone che conosceva, ed in cui notava la sua medesima confusione. Per non parlare di Poison, il suo fidato adepto, il giovane che lui stesso aveva messo sulle tracce del rivale - mentendo al governo, aveva tenuto ben protetti tra i dossier di Libra l'identikit dell'uomo, di cui però non conoscevano il vero nome. Ciò gli aveva garantito un solido anonimato, reso idistruttibile da poteri convenienti in situazioni come quelle.
    «Sono qui per liberarvi, liberarci, da chi ci vuole assottigliare, da chi ci vuole separati. Sono qui per voi, per renderci uno, un solo essere, il prescelto senza alcun limite, senza restrizione, il fondatore di qualcosa che un tempo già era ed ora potrebbe tornare ad essere.» Ed eccolo che deciso e pericoloso, l'uomo si avvicinava agli avventori, chiedendo loro di prestargli la fede che è riposta in un messia. Tutto parve incuriosire e non scalfire Naavke, fino a che Dominik non incenerì in un sol colpo un dissidente. Fu allora che, mantenendo la sua compostezza seppur apparente, fece un passo avanti superando Vilhelm. Uno scatto d'istinto di protezione e possesso. «E' ora di decidere da che parte stare.» Naavke restò in silenzio. Un altro ultimatum, un'altra persona colta dal dolore nella cenere, mentre il cuore tornava a battere indomito. Si preparava, portava più sangue e forza al corpo che la necessitava. «Avanzino tutti coloro i quali vogliono prender parte alla nascita della nuova Besaid. Tutti quelli che vogliono stare dalla parte del potere, del giusto, di chi non accetta di esser domato.» E così sia, allora. Naavke non esitò: si guardò intorno e non attese che l'uomo gli fosse vicino per farsi avanti, lentamente come faceva lui, prendendo il suo tempo, il suo spazio. «Io.» Affermò secco, trovandosi con una spalla a sfiorare quella dell'altro. «Mi unirò alla causa.» Aggiunse poco dopo, sollevando il palmo scoperto per posarlo sulla spalla seminuda dell'altro, parzialmente libera dalla piega della sua veste. Strinse con l'intera mano la carne in un gesto d'incoraggiamento, per vedere cosa sarebbe successo. Nulla. La debolezza che aveva accusato non appena il malcapitato venne incenerito poco prima non era che un sintomo: aveva perso la sua particolarità. Non riflettè sul da farsi articolando veri e propri pensieri, per paura che anche la sua mente fosse stata messa sotto scacco, controllata dallo stesso uomo che ora cercava di portargli via la sua città, le sue persone, i suoi adepti, il suo Vilhelm. Per quanto più stanco, il cuore continuava a caricare, contrarsi, portare sangue al corpo, i muscoli si tendevano anche mentre la donna incappucciata lo cambiava d'abito con una semplice trasmutazione, per fare ciò che l'evoluzione l'aveva equipaggiato a fare. Da predatore a predatore, Naavke non avrebbe mai permesso che qualcun altro gli avesse rubato le sue prede. La caccia era iniziata.

    Edited by ‹Alucard† - 5/6/2023, 13:41
     
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    ✖️ Il proibito era ovunque quella notte. Nella terra, nelle luci, nella musica arcaica, nei passi affrettati, nell'aria salata che dal mare risaliva i vicoli e allagava i polmoni di tutti, Nikolaj incluso, insieme al fumo del più innocuo fra brutti vizi di quell'uomo alto e con la faccia sempre increspata in una forma qualsiasi di malcontento, che da sempre attraversava la vita da solo, isolato anche in mezzo alle folle più fitte. Ma proprio solo non era da un po', difficile a dirsi da quanto e cosa fosse cambiato, tutto intorno e lui sempre di meno del resto, ma sicuramente non era solo in quel momento - avevano davvero importanza i come e i perché? Un movimento impercettibile verso destra, labbra che lasciavano la presa magnetica sul filtro e la cicca che si apprestava a compiere un giro intorno alla terra bloccato a metà da un gesto semplice dell'uomo. Così, invece che il giro del mondo, pochi centimetri soltanto bastarono e la sigaretta giunse a destinazione, una meta calda di cui Nikolaj aveva cominciato a sognare il sapore quando era lontana e Nikolaj non sognava mai, non cose così, non capelli biondi sottilissimi che d'improvviso si tingevano di punte nere con la pece. Aveva avvicinato Melodie a sé con un braccio senza interrompere la camminata. Sembravano non avere fretta, come se il dove non fosse importante quando invece era al centro cruciale di tutto, e al contempo sapere esattamente dove fossero diretti, dove tutti erano diretti. Verso la promessa, il proibito, verso la risposta a quella domanda che da mesi li aveva assillati e che doveva essere lì fra la gente, alla fine della strada, sulla spiaggia, alla fine del mondo dove cielo e terra si fanno tutt'uno fino a scomparire. Non che lui fosse del tutto all'oscuro, no, lui possedeva parte di quella conoscenza che per un po', anni fa, era stata del Mordersonn e di nessun altro e che poi era scomparsa nel buio senza lasciare più tracce. Anni erano passati, anni di tormenti, di ricerche, di infiniti supplizi finché quella verità non era entrata a far parte anche della ossessioni. Da nonno a figlio, finalmente. E poi qualche tempo indietro qualcosa era tornato a muoversi, i sussurri si erano fatti più forti ma sempre imprecisi, fino a quel momento. Non c'era modo di perdersi neanche a volerci provare, poi, visto come la città e la sua architettura sembra spingerli tutti in una stessa direzione. Passarono davanti a un bidone e il bagliore di qualsiasi cosa stesse andando a fuoco lì dentro disegnò sul viso dell'uomo i contorni di quella che, intersecata alla struttura appuntita del cranio e ai segni neri che Mel gli aveva dipinto, sembrava una maschera d'ossa terrificante. Sembrava un morto, pensò dopo essersi scorto fugacemente nella vetrina di un negozio sbarrato e, proprio mentre contemplava quel pensiero assurdamente piacevole, d'improvviso dal fondo di un vicolo nero spuntò la faccia scarna di una ragazza, distorta dalla paura. "Non dovremmo essere qui, moriremo tutti", lo disse come in preda a una visione mentre gli afferrò il braccio fino al gomito, aggrappandosi a lui per fissarlo con occhi di melachite sgranati fino al limite. Voleva salvarli o meglio, stava cercando disperatamente di salvare sé stessa, di uscire dall'ipnotica smania di dover continuare ad avanzare nonostante facesse paura dovunque li stessero conducendo. A Nikolaj però non servì contemplare l'avviso, sapeva già che non l'avrebbe mai seguito. Non dovremmo essere qui., era una delle frasi che più gli piacevano da sempre. L'aveva detta o gli era stata detta prima di molti momenti chiave della sua vita e il letto della sala operatoria tornava alla mente come fosse ieri, come se bastasse voltarsi per ritrovarsi di fronte Jakob che gli diceva, con quel dannato viso copia del suo raggrinzito in una smorfia, "Non dovremmo essere qui. ". "Ti sbagli." Si sentì rispondere e la scrollò di dosso, mentre sul viso gli si dipinse un sorriso dei suoi, da mostro mentre continuava: "Mai sentito parlare di Darwinismo? Di lotta alla sopravvivenza? I più forti, i più adatti, sopravvivono. Il resto..." Si fermò guardandola da capo a piedi e lasciando che quelle parole permeassero sotto la pelle per depositarsi nel nido più profondo dove alloggia la paura.
    Non ebbe modo di scoprire l'effetto delle sue parole perché, come a farsi altrettanto beffe di quell'avvertimento, Melanie lo afferrò per una mano spingendolo a correre lontano, verso la musica e l'orizzonte illuminato non dalla luna ma da dozzine di piccoli fuochi. Perché il proibito si respirava nell'aria, quella sera, e nelle cose da non fare Nikolaj aveva sempre trovato il sui posto, un luogo sicuro nell'insicurezza che solo il vietato restituisce. Lui stesso era nato come qualcosa che non avrebbe dovuto essere, un errore: Nikolaj non avrebbe dovuto essere lì da trenta e passa anni. E invece c'era, respirava, viveva anche se non avrebbe dovuto, ed era lì per completare quella conoscenza che solo in minima parte possedeva e che aveva deciso di condividere con il governo qualche tempo prima, più o meno accuratamente. Perché più di qualsiasi altra cosa, Nikolaj Mordersonn era attratto dal potere, che pulsava come linfa per le via e il cui epicentro sembrava scaturire dal centro esatto della spiaggia, dove il falò più grande brillava anche da lì. Danzarono vicini, bevevano celebrando qualcosa di antico che tutti sapevano e non sapevano al contempo, i minuti e le ore si dilatavano all'infinito per riallacciarsi poi in un secondo, un senso di vuoto d'aria che dava le vertigini e bloccava il fiato nel petto. L'asfalto si fece presto sabbia senza che neanche se ne accorgesse, e intere mezzore dovevano essere passate quando si accorse di averla persa tra la gente. Non ebbe molto tempo di chiedersi dove fosse finita, visto che quelle che sembravano grosse ali nere presero a marciare verso un punto preciso della spiaggia, disponendosi in file come schieramenti che proteggono il loro pezzo più prezioso, al centro esatto dei ranghi. Si guardò intorno, facce già viste spiccavano qua e là come pezzi bianchi in una scacchiera. Lars, Naavke, Samantha, Athena, padre Sirius da cui una volta era andato a confessare i peccati trovandosi incapace di iniziare quella lista troppo lunga, ma nessuna traccia di Melodia tra quei volti emaciati dalla luce delle fiaccole. O di Delilah.
    Quando una veste bianca si staccò dal brado di pellicce e armature, Nikolaj trattenne il fiato con forza riconoscendo forse in quella camminata il passo di un bambino che un tempo aveva calpestato i corridoi del Mordersonn con la stessa feroce solennità che mostrava ora, e di cui Nikolaj aveva letto e analizzato dozzine e dozzine di fascicoli.
    Finalmente. Pensò mentre l'altro si calava il cappuccio e iniziava a parlare. Finalmente, pensò sentendosi tuttavia anche desideroso di allontanarsi il più velocemente possibile da lì, come se il suo corpo avvertiva quella cosa inspiegabile mentre la sua mente voleva restare per saperne di più. Per sapere, finalmente. Era così che si era sentita la ragazza dagli occhi di melachite? Un guizzo, i muscoli si contrassero ma le gambe non risposero al comando. Era paralizzato. Volente o nolente, qualcun altro aveva preso la decisione per lui. Abbacinato come se l'individuo fosse fatto di luce pura, Nikolaj avvertì una sensazione spiacevolissima strapparlo violentemente dall'interno come, se la mano di un chirurgo gli fosse appena entrata dentro privandolo di qualcosa che gli apparteneva. Piegò leggermente il busto in avanti, bocconi, tirando su gli occhi verso l'uomo in tempo per vederlo con le mani alzate e il sorriso terribile di chi è satollo dopo un pranzo luculliano. Riuscì a raddrizzarsi ma iniziava a sudare. Piccole goccioline gli imperlavano la fronte, una scivolò nel solco profondo fra le sopracciglia che la assorbirono in parte. Quando parlò di nuovo, parve farlo da molto vicino a lui, tanto che dovette sforzarsi per non sobbalzare. Era quella, la verità? Aveva sempre creduto d'essere più forte, più intelligente, più meschino e crudele degli altri, eppure di fronte a quell'uomo si sentì minuscolo. Ancora una volta avvertì l'esigenza di scappare, ma l'enorme quantità di potere che si avvertiva nell'aria gli impediva di volerlo fino in fondo. L'ho già detto, se c'era una cosa a cui Nikolaj Morserdonn non poteva resistere era il potere. Probabilmente era un gene di famiglia, quello, perché non era forse quella la ragione che aveva spinto il nonno a creare l'Istituto? Appropriarsi delle particolarità più forti in esistenza, e quello a cui stava assistendo superava di gran lunga qualsiasi cosa avesse mai visto.
    L'ennesimo falò accese l'aria notturna, questa volta fatto di carne umana piuttosto che di legno e benzina. Esplose abbastanza vicino a lui da sentirne il calore divampare con prepotenza e spingerlo a fare un passo indietro per sopportarlo, gli occhi resi acquosi dal fumo, dall'euforia, dall'odore e dalla paura. Una fiamma innaturale e verde li circondava ora, non c'era via di scampo. «Tutti quelli che vogliono stare dalla parte del potere, del giusto, di chi non accetta di esser domato.» Ripensò alla ragazza dagli occhi di melachite, alla sopravvivenza della specie e alle parole del nonno che gli diceva di lottare. Così aveva sempre fatto da allora Nikolaj. Aveva lottato per la propria sopravvivenza anche quando significava sacrificare il suo stesso gemello. Sentì la prima voce alzarsi dalla platea silenziosa, una voce che avrebbe riconosciuto tra mille tanto la odiava. Ebbe un moto di stizza pensandosi in quella stessa situazione non solo con Naavke, ma dalla stess parte di Naavke. Odiava gli eroi, li trovava stupidi, inutili, buoni solo a farsi ammazzare per primi. Per la prima volta, poi, forse aveva trovato qualcosa da cui tornare e non per dovere. Perché lo voleva, forse.Sopravvivenza. Al resto ci avrebbe pensato dopo, e avrebbe trovato una soluzione come sempre. Si limitò a fare due passi in avanti per separare la sua alta figura dagli altri, attendendo che si accorgesse di lui con la mano già alzata e il palmo rivolto davanti a sé.

    La voce del nonno pompava insieme al sangue nei timpani. Secondo Darwin, l'evoluzione della specie avviene come risultato di caso e necessità: nelle specie si hanno della mutazioni naturali casuali, piccoli errori nella riproduzione, e l'ambiente salva quelli adatti e elimina gli altri, principalmente attraverso la lotta per la vita.

    Quando gli strinse la mano, Nikolaj riuscì solo a pensare: che bruciasse pure tutti gli eroi, gli avrebbe fatto solo che un piacere.

    Edited by scarecrow! - 29/5/2023, 12:40
     
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    How could you think darling
    I’d scare so easily?

    Lo sfarfallio degli abbaglianti e lo strombazzare veloce di clacson di macchine che gli sfrecciavano vicino non l'avrebbero risvegliato dal sonno. Vilhelm non sapeva da quanto tempo stava camminando e non si era reso conto di aver abbandonato le comodità della sua casa e del suo letto. Le sue gambe l'avevano allontanato da casa sua e, gradualmente, il manto erboso era stato sostituito da quello stradale. "Ehi, amico, ci finirai sotto!" Strizzò gli occhi mentre si rendeva conto di essere stato investito dalla luce siderale di due fanali, alzando una mano per coprirsi il viso, infastidito e confuso. Addosso non aveva che una maglietta e dei pantaloni, anche se privo di scarpe. Il viso era più pallido del normale, e l'umidità della notte si era appiccicata sulla pelle esposta delle braccia, del viso, impregnandogli i capelli. Accortosi di non essere più a casa sua, ma ancora troppo tramortito per poter registrare le parole dell'uomo che si era rivolto a lui, Vilhelm si fermò sul posto. "Ma è fatto? Dove stai andando?" Mentre la comitiva di amici sghignazzava, e la loro musica e più voci indistinte lo raggiungevano, Vilhelm mosse qualche passo fino al finestrino aperto della vettura. "Festa... alla festa." Parlò con una certa fatica Vilhelm, ma le sue parole vennero ben accolte dal gruppo dentro la macchina. "In spiaggia? Stiamo andando proprio là." In breve tempo si trovò nei sedili posteriori dell'auto, stretto fra le gambe di qualche sconosciuto e la portiera. Si appoggiò là dove non c'era il vetro del finestrino, ora completamente aperto, e lasciò che l'aria notturna lo colpisse in pieno viso.
    Parole elegantissime pulsavano come stelle, danzando in un cerchio frenetico che si fondeva al movimento di alcune donne di fronte a lui. Ballavano gioiose e scalpitanti sulla sabbia, sembravano imitare e lingue di fuoco dei numerosi falò che illuminavano la spiaggia. Ora Vilhelm era seduto su una sedia da campeggio e non aveva idea di come fosse arrivato là. Una musica antica lo raggiungeva senza sfiorarlo, così come le risate delle persone, e i loro passi festosi. Il suo passato e il suo presente avevano iniziando a confondersi da tempo, rendendo impossibile per Vilhelm discernere con precisione l'uno dall'altro ora che avevano i confini sfocati. Aveva perso sé stesso nel bosco, quando aveva rischiato di morire per mano dell'unica persona che aveva amato? Oppure era successo quando aveva sentito la carne degli innocenti lacerarsi sotto il suo morso? Quando aveva vissuto in compagnia di quei ricordi atroci in prigione? Quando i medici avevano cercato di entrare nella sua testa, affidando la sua cura a farmaci salvifici? Sulla mano vuota vedeva una lettera che aveva già affidato alla bocca ardente del camino ma che, come un'allucinazione o una fastidiosa appendice, si era di nuovo palesata alla sua vista. È buio dall'altra parte, e la follia attende. Vilhelm voltò il palmo della mano verso il falò, vicino a tal punto da rischiare di bruciarsi, agitando il polso in maniera convulsa. Sapeva che ciò di cui doveva liberarsi aveva un peso di gran lunga maggiore rispetto a quello di un pezzo di carta: credeva che l'inchiostro scuro avesse potuto imprimersi sulla sua pelle fino ad arrivare alle sue vene. Non voleva essere avvelenato una seconda volta. Eppure si rendeva conto di essere lì in spiaggia per un motivo ben preciso, spinto da una pulsione che superava il controllo che aveva su di sé, che l'aveva abbandonato ormai da tempo.
    Credeva di essere stato chiaro, anni prima, con sé e con Naavke: non era nei suoi interessi avere a che fare con lui in nessun modo, per il resto della sua vita, non dopo quello che era stato costretto a subire. Vilhelm si era convinto del fatto che l'altro l'avesse dimenticato e che i dolori di entrambi fossero stati sotterrati dalle radici degli antichi alberi nel bosco, tuttavia Vilhelm si sbagliava. Quella lettera non era altro che la conferma di non essere mai uscito dal pericolo, di essere stato continuamente e sempre allo scoperto rispetto gli occhi aridi e crudeli di Naavke, che ora voleva iniziare una nuova partita con lui. Vilhelm aveva rifiutato il suo invito eppure si trovava lì, esattamente dove era stato chiamato a presentarsi. La voce del vecchio amante, mutata dal tempo ma mai povera di fascino, raccolse tutto il fiato nei polmoni di Vilhelm che, quasi con ingenuità, fece scivolare una mano nella tasca dei propri pantaloni alla ricerca di un'arma per difendersi. Pur sfiorando con le dita l'impugnatura legnosa del coltello da pesca da cui si separava raramente, sapeva bene di essere indifeso di fronte a Naavke che, sfilando il guanto da una delle mani, gli ricordava di avere la meglio. A quel punto si girò, sfuggendo allo sguardo di Naavke in un primo momento e, solo dopo qualche secondo, puntando gli occhi proprio in quelli dell'altro. Non sapeva che cosa Naavke avrebbe letto nel suo sguardo. Forse avrebbe trovato dell'odio o forse del dolore mai cicatrizzato. "Sei venuto." Mi hai chiamato. Eppure, forse anche per via della tensione, avendo compreso la sconfitta, Vilhelm emise una breve risata sommessa. "No, non ho dato nulla. Sei stato tu a prenderla." Parlò arido, in netto contrasto con la sempre presente e, sicuramente, fittizia pacatezza di Naavke. "Ho ricevuto il tuo messaggio. Pensavo che la tua voglia di giocare si fosse estinta dopo l'ultima volta. Non sei sazio?" Continuò, certo del fatto che Naavke avrebbe inteso tutti i messaggi sottesi a quelle semplici parole, dato che Vilhelm non si stava riferendo esclusivamente al suo ultimo messaggio e all'improvviso desiderio di fornire a Vilhelm dei consigli.
    Tuttavia ben altro sembrò cogliere l'attenzione di entrambi, mentre uno sconosciuto seguito da un gruppo di persone irrompeva nella scena. Un'aura magnetica lo circondava e presto incastrò anche tutte le persone presenti sulla spiaggia in quella zona: la fuga divenne impossibile e, nonostante in molti, presi dal panico, iniziarono a correre, vennero respinti da una barriera verde e costretti a terra in preda a convulsioni. Un rito... ? Nonostante l'atroce esecuzione di un innocente, infuocato dal tocco di quello che sembrava essere un leader autoproclamato, la mente di Vilhelm era concentrata a razionalizzare e analizzare ciò che lo circondava. Aveva avvertito uno svuotamento dentro di sé, come se attraverso i movimenti e le parole dello sconosciuto fosse stato privato della parte più emotiva e umana. Libero di pensare senza l'affanno di altre centinaia di pulsioni, anche se chiaramente in pericolo, Vilhelm si concentrò sulle parole e sull'aspetto dello sconosciuto: che messaggi nascondevano i simboli e le scritte sul suo petto? Potere, liberazione, unione... senza alcun limite. È un'iniziazione... L'intestino gli diceva di mettere in moto le gambe per fuggire - ma dove? Una donna venne accolta nel gruppo e la sua omologazione significò la sua salvezza, almeno per il momento.
    "Io mi unirò alla causa." In che momento Naavke l'aveva superato? Vilhelm gli guardò la schiena e lo osservò mentre si allontanava a passo sicuro, non distogliendo lo sguardo dai suoi movimenti. Era impazzito? O forse era a conoscenza di quello strano colpo di scena che, fin da subito, si era rivelato fecondo di pericolo? Vilhelm conosceva fin troppo bene Naavke per immaginare che l'altro si sarebbe fatto rubare la scena in quel modo. Quell'uomo non poteva essere un suo alleato ma era evidente, agli occhi di Vilhelm, come Naavke lo reputasse inferiore e, conseguentemente, in grado di essere schiacciato. Lo ucciderà? Vilhelm non nutriva timori per la sicurezza di Naavke, al contrario, provava un po' di invidia per l'altro uomo che, come aveva dimostrato poco prima, non credeva che dar fuoco alla gente fosse problematico. Il tocco di Naavke avrebbe risvegliato i vizi dello sconosciuto? Eppure nulla sembrò mutare. In quegli stessi attimi, altre persone si fecero avanti, dirette verso l'uomo come delle falene attirate dalla luce. Vilhelm rimase sul posto, guardandosi attorno, riconoscendo dei visi che non si sarebbe aspettato di trovare là fra quella folla, quella sera: Athena Drakos e Sibylla Greseth, perfino il capo di una delle testate locali più importanti, Lars Berg. Sarebbe stato saggio raggiungere una delle due donne? Vilhelm non sapeva discernere il suo presente dal suo passato, ma credeva di saperlo ancora fare con il bene e con il male. Stare dalla parte di quello sconosciuto non era il bene. Stare dalla parte di Naavke non era il bene. Allora fece diversi passi indietro, cercando di muoversi dove la folla era più densa, provando a capire se la barriera si fosse indebolita o se si fosse generato qualche spiraglio di fuga dopo l'impatto con numerosi corpi in corsa. Nulla sembrava essere in grado di attraversarla, e Vilhelm si accucciò a terra, cercando di aiutare una persona che stava subendo ancora lo scontro con la barriera sotto lo sguardo di una catena di persone incappucciate.
     
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    Era facile affondare con gli scarponi incrostati nella fanghiglia, in quella notte fredda e lunga in cui il fragile figuro si faceva strada fra le fronde di un bosco a lui ormai nuovamente familiare, mani a loro volta affondate nelle tasche dello scuro cappotto, una silhouette che facilmente si confondeva con i tronchi degli alberi – a differenza di qualsiasi cosa Jonah avesse precedentemente scorto tra quelle ombre che calmavano il battito accelerato nel suo petto. Il suo cuore raramente si era lasciato cullare da quando era giunto a Besaid, tant’è che le ossa che lo proteggevano a malapena conoscevano la forma del materasso dell’ostello, ma i suoi piedi avevano ormai memorizzato ogni centimetro di quella foresta, la sensazione delle foglie sulla pelle, seppur preferita, momentaneamente abbandonata a favore di una scelta più igienica e, soprattutto, salutare considerato l’orario e quanto si sarebbe svolto quella sera in particolare. Se anche Jonah avesse voluto dormire, far esperienza almeno per poco della sensazione di pace che solo il sonno può portare (seppur a lui fosse alquanto sconosciuta), quel giorno sicuramente sarebbe stato impossibile: c’era una sensazione, una profonda consapevolezza di cui non riusciva a liberarsi con la ragione, che quella serata fosse diversa dalle altre, come se inconsciamente sapesse molto più sulla città di quanto potesse pensare. Come se avesse vissuto quel giorno molte più volte di quante si sarebbe mai potuto ricordare – e sicuramente era così, aveva già visto quei festeggiamenti, sentito quella musica, osservato le fiamme languire il cielo notturno. Se ne accorse quando raggiunse finalmente la spiaggia, meta memorizzata dalle sue passeggiate quotidiane ma, in quel caso particolare, fonte di curiosità da quando aveva accidentalmente origliato alcuni dei suoi studenti parlarne qualche giorno prima, silenziosamente diffondendo quella preziosa informazione che avrebbe preferito non conoscere. Di certo era contento di poter celebrare un evento così importante con i suoi concittadini, soprattutto perché quei residui di memoria sembravano stampati nella sua mente in una lingua a lui incomprensibile (eppure così insistente, come se gli bastasse solamente trovare il giusto dizionario per poterli decifrare) – ma, ammettiamolo, era una pessima idea. Ed era anche questo che aveva spinto il preoccupato professore ad uscire di casa, la consapevolezza che i suoi studenti si stavano esponendo al pericolo solo per poter bere qualcosa, per potersi divertire sotto al cielo stellato; e per quanto comprendesse bene l’elettrizzante sensazione, dopo l’incontro al quale era stato invitato per discutere dei recenti avvenimenti era certo fosse una pessima idea. Insomma, un pazzo a piede libero disposto a tutto pur di rubare le particolarità era un buon motivo per rimanere in casa, non solo quella sera, ma tutte le altre possibilmente – il problema è che solo lui e qualche altro figuro, conosciuto o meno che fosse, che di tanto in tanto aveva visto sia in giro per la città, sia quella sera sulla spiaggia, erano consapevoli di quella verità, e sorprendentemente (per così dire) neppure la possibilità che il virus menzionato dai giornali potesse diffondersi era riuscita a fermare le celebrazioni. Jonah sbuffò leggermente infastidito alla visione dell’affluenza, considerato il veto imposto dalle autorità, ma fu anche costretto ad ammettere la sua ipocrisia data la sua presenza lì e la sua ormai incontenibile curiosità; essa lo spinse a proseguire nella sua passeggiata, tracciando nella sabbia orme leggere quasi a non voler farsi notare dalla folla mentre costeggiava le onde schiarite dalla luce lunare, ormai sua compagna in quel suo infiltrarsi giusto ed al contempo errato. E questo non tanto per le imposizioni dall’alto, quanto per una sua conscia difficoltà nell’ammettere la sua appartenenza a quella cultura che, però, lo prendeva per le viscere e lo attirava a sé come se invece fosse sempre stata sua – queste altalenanti emozioni stridevano con lo scoppiettio del fuoco e la rilassante ninna nanna del mare, ed erano anche più insopportabili al vociare delle persone fasciate di abiti d’altra epoca, quasi fosse scivolato indietro nel tempo, molto più indietro di quanto avrebbe mai potuto ricordare.

    Quella sensazione si cementificò quando vide un gruppo di figuri dal volto illuminato in quella notte ancora scura avvicinarsi ad uno dei falò, la sua breve curiosità presto sostituita da una pesante ancora nelle viscere alla realizzazione di chi fossero – anzi, di chi fosse il loro capo. Quando abbassò il cappuccio e lasciò che la luce delle fiamme gli languisse il volto, mostrando caratteristiche che aveva studiato e memorizzato dai documenti che erano stati forniti loro nella speranza di poterlo forse trovare nei boschi (missione purtroppo fallita), Jonah riuscì solo a pensare una cosa: cazzo. Si disse che stava sbagliando, che sicuramente era solo un intrattenitore, parte dell’evento – doveva essere parte dell’evento, ma la barriera che avevano innalzato tutt’attorno a loro diceva il contrario e prima ancora che potesse realizzare cosa stesse urlando il suo istinto animale… se lo sentì strappare dalle ossa. Gli mancò il fiato, come gli era mancato per anni, e per un attimo non gli sembrò neanche possibile le gambe potessero reggere il suo peso a quella consapevolezza: non c’era più. L’uomo aveva preso la sua particolarità. Gli si inumidirono gli occhi appena se ne rese conto, anzi, forse prima ancora che i suoi pensieri riuscissero a mettere a fuoco quella sensazione – perché non serviva lucidità per ammettere fosse tornato quel buco nello stomaco che per anni aveva confuso per se stesso e che, invece, era metafora di quanto di sé avesse perso. Si coprì la bocca con la mano alla sensazione di nausea – non voleva, l’ultima cosa che avrebbe mai potuto desiderare sarebbe stata quella, di tornare a com’era prima, perso, assolutamente sconosciuto a se stesso, una fossa nel suo animo che niente e nessuno avrebbe mai potuto colmare, e come se non bastasse, mentre lui stava nuovamente perdendo il senno, l’uomo illuminato dalle fiamme continuava a dilungarsi e diffondere il suo messaggio come se potesse effettivamente avere un senso. Essere un tutt’uno? Un superorganismo, ma scherziamo? Chi tra quelle persone avrebbe accettato di cedere la propria individualità per le fandonie di un pazzo? Per una libertà che era loro già concessa dal fatto stesso di essere unici? Jonah sapeva che non avrebbe mai voluto perdersi, e si strinse a sé quasi per paura che quel figuro avrebbe potuto portargli via altro – finché non si rese conto del prezzo da pagare. Finché un ragazzo non bruciò nella notte, così velocemente che, se non si fosse trovato poco dietro di lui, forse non lo avrebbe neanche notato.

    Scappa.

    La sua testa non ripeteva altro, il suo istinto così vitale per lui – una traccia indelebile della sua particolarità – non faceva altro che ripetersi a macchinetta nella sua testa, e dio quanto avrebbe voluto effettivamente farlo, le sue gambe già pronte a procedere come se sapessero farlo a memoria; e cazzo se lo sapevano, quante volte avevano messo in atto quella risposta, sempre gazzella e mai leone. Nel meccanismo fight or flight, Jonah aveva sempre scelto la seconda, perché quando sceglieva la prima era sempre lui a perdere – o almeno, questo era quanto aveva imparato dalla sua seconda vita. Scappa, e se le sue viscere avessero trattenuto almeno un briciolo di quanto vissuto prima, allora avrebbero dovuto avere ragione. Doveva farlo, scappare, trovare un modo per sgusciare oltre quella barriera – era sicuro che, se avesse voluto, una soluzione l’avrebbe trovata, perché era sempre così con lui, se solo fosse scappato avrebbe potuto salvarsi. Ma senza la sua particolarità. Scappa comunque, si ripeteva, ma i suoi piedi non si muovevano – sentiva la gente in agonia che cercava disperatamente di fare la stessa cosa, se si fosse unita a loro forse insieme avrebbero potuto organizzare qualcosa, ma c’erano due pesanti consapevolezze che gravavano sulle sue spalle e gli impedivano di fare qualsiasi cosa se non osservare con occhi sgranati chi si faceva avanti ed offriva il proprio destino ad un’ignobile causa. Scappa, ti prego – la prima era la realizzazione che, se si fosse allontanato da quel posto, sarebbe dovuto uscire da Besaid, questa volta per sempre, perché l’uomo non avrebbe mai potuto giustiziarlo se fosse stato molto lontano dall’unico posto in cui poteva effettivamente utilizzare tutto quel potere. È vero, forse lo avrebbe lasciato andare, forse si sarebbe dimenticato di lui una volta sparito dalla sua visuale, ma nulla avrebbe potuto assicurarglielo e, soprattutto, avrebbe significato continuare a vivere metà uomo, metà vuoto. Non era così sicuro di potervi riuscire. Scappa – la seconda era, in realtà, la prima cosa che gli era venuta in mente, troppo spaventosa per poterla anche solo pensare: se lui si fosse ribellato ed il suo corpo fosse diventato cenere, sabbia nera dispersa nel vento, cosa ne sarebbe stato di Anniken? Se quell’uomo fosse riuscito in qualche modo a portare quel potere fuori da Besaid – perché dubitava fortemente si sarebbe fermato al solo raccolto, senza poi approfittare della forza guadagnata – chi avrebbe protetto sua figlia? E se anche non fosse andata così, chi l’avrebbe cresciuta, chi l’avrebbe accudita? Scappa diceva la sua testa, ma Jonah aveva il sorriso di sua figlia stampato in testa dalla videochiamata di quel pomeriggio e non poteva, sapeva che non poteva. Andava contro tutti i suoi principi, era l’idea peggiore che potesse mai avere ed i sensi di colpa già avevano cominciato a dilaniarlo come se la scelta in sé non fosse abbastanza, no, doveva anche essere consapevole in tutto e per tutto del suo egoismo, di star anteponendo la propria salvezza a ciò che era giusto – ma cosa avrebbe dovuto fare? SCAPPA ed i suoi piedi si mossero, ma nella direzione opposta: ogni passo affondava più che nel fango, come se non fosse su una spiaggia, ma nelle sabbie mobili ed ogni volta che sceglieva di proseguire, piuttosto che tornare indietro, fosse come farsi carico di un altro macigno sulle sue spalle, che in realtà erano pensieri su pensieri e battiti su battiti.

    Lo sapeva, lo aveva sempre saputo che quella serata sarebbe stata diversa, da quando era silenziosamente sgusciato fuori dall’ostello, a quando si era ritrovato ad inseguire con occhi curiosi una figura oltre alla sua muoversi tra gli alberi, a quando l’odore della salsedine aveva insistentemente impregnato le sue narici – fino a quel punto, in cui si ritrovava con gli scarponi piantati nella sabbia. Il battito del suo cuore aveva solo continuato ad accelerare quasi si stesse preparando alle parole che stava per pronunciare, e le disse, proprio davanti all’uomo che per giorni si era preparato a scovare – che stupido, che stupido che era stato anche solo a crederlo. La verità è che Jonah era solo un fragile figuro avvolto in avventatezza e delusioni, svuotato di ricordi, incapace di essere molto se non padre e professore; un accademico, insomma, ed anche uno sfortunato, cosa avrebbe mai potuto fare contro un individuo del genere? Se lo disse forse solo per consolarsi, almeno un minimo, per la scelta sbagliata che sapeva di star compiendo, e non poté che ripudiare se stesso quando, alzando lo sguardo tremolante, con il battito così forte nelle orecchie da non riuscire neppur a sentire la sua stessa voce, disse «Mi unirò alla causa».
     
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    "Di cosa hai paura?"
    "Di niente, io sono la paura".


    Mi chiamo Phobos, come la paura. Come il terrore più subdolo, quello che stagna nelle tue vene, e poi ti assale di notte, senza apparente motivo. Curioso, per me, che mi aggiro per i sobborghi come un ombra. Mi dona quell’aria cattiva che mi serve, questo nome. Quella che fa sì che la mia fama preceda la mia minuta figura, quell’aura che mi difende. Curioso che proprio la paura costituisca il nome di uno che, di paura, non ne ha mai avuta. Mi vanto di non averne, di esserne immune. Può succedere, se cresci come una bestia selvatica. Se nessuno ti insegna cosa sia un legame, quanto bella sia la vita, quanta importanza ci sia in ogni piccola cosa. Spavaldo, sfido qualunque cosa mi si pari davanti.
    “La paura è per i deboli, sono io la paura.”
    Ripeto e mi ripeto. Se non hai niente da perdere non hai niente da temere. La paura è solo morboso attaccamento. È ciò che rimane di un vizio.
    "Io non ho paura, sono io la paura."
    Parlo, parlo, non si sa mai se dica il vero oppure no. Mento agli altri, mento a me stesso, perché nulla si leghi a me, o si avvicini troppo.
    “Io non ho niente da perdere, non ce l’ho mai avuto.”
    Vero o falso?


    Un accenno di sorriso colora il viso pallido di quel ragazzino sprovveduto, superbo come nessuno dovrebbe essere alla sua età. La mano stringe leggermente la stoffa grigia sul tavolo, poi la lascia andare.
    Quel coglione di Milo ha lasciato il cappello a casa sua. Hanno serbato tante speranze, eppure è ancora a farsi il culo in quella fabbrica di merda. Con orari improbabili e paga misera. E lui non è che uno spacciatore di poco conto, un bulletto delle vie buie, che si guadagna da vivere nei peggiori modi possibili. Spacciando, ammazzando, perché ormai un ragazzino non lo è più davvero.
    Si erano promessi tanto, lui e Milo. Di inseguire i sogni, di vivere d’arte. Stronzate. L’arte non dà da mangiare.
    Eppure quel cappello grigio sul tavolo lo fa sorridere. Sa che tornerà a prenderlo. Sa che gli ripeterà quanto sia coglione a tornare per un fottuto cappello. Che lo insulterà per essersi presentato a chissà a quale ora e che lui si farà scivolare addosso la sua angheria.
    Sa che non può fare a meno di questo.
    Mente, Poison, quando afferma di non aver niente da perdere. Se n’è accorto quella volta in cui li hanno gonfiati di botte. Se n’è accorto quando ha visto Milo sanguinare, quando l’ha visto accasciarsi a terra. Quando ha smesso di percepire il battito del suo cuore. Quando l’ha trascinato fino a casa sua. Quando ha implorato la morte di ridarglielo. Quando le ha urlato contro la sua gelosia. Quando ha pensato che morire insieme sarebbe stata l’unica soluzione. Perché nulla valeva quella vita senza di lui. Senza quel suo fastidioso respiro. Senza quella sua risata da checca. Senza quei suoi inquietanti tatuaggi in movimento.
    Senza la vernice passata sulla sua pelle a coprirli. Senza gli insulti per tenersi fermi. Senza sfiorarsi le labbra.
    Mente, Phobos, quando dice di non aver niente da perdere. Mente per proteggere sé stesso e Milo.
    C’è qualcosa che ha da perdere. Qualcuno che significa tutto.

    . . . . .


    E così si è avviato da solo verso la spiaggia. Cammina nel bosco a passo sicuro. Le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, il ciuffo ribelle sempre avanti al viso, il coltello a serramanico ben nascosto. Nei pantaloni, qualche grammo di fumo e qualche dose di cocaina. Semplici affari, i suoi. È la sua vita, quella. La paura dell’epidemia non l’ha poi cambiata molto. Anzi da una parte è stato meglio evitare i contatti, anche se da quando la gente è iniziata a morire, vive nel costante terrore. Perché quando ti attacchi a una cosa sola con le unghie e con i denti, poi, vivi in funzione di essa.
    La sua funzione vitale consiste nel mantenere vivo l’altro. Colui che odia nel profondo perché mina le sue certezze. Colui che deve contendersi sempre con la donna incappucciata. La certezza di non avere alcuna certezza.
    Il fuoco arde sulla spiaggia, la musica non attira gli sbirri, che per una sera fanno finta di non vedere. Quella festa clandestina esiste da anni. Nemmeno un cane rognoso priverebbe la città delle sue tradizioni. Sigaretta storta in bocca, lo spacciatore si guarda un po’ intorno, mentre si fa versare un generoso bicchiere di idromele da alcuni ragazzi già belli che ubriachi. Più in là, l'età media sembra aumentare. Da quando quella è diventata una festa per matusa?
    «Ma come mai ‘sto vecchiume ‘st’anno? » Chiede, a qualcuno lì vicino. Lo sguardo di ghiaccio del serpente si posa però su una figura particolare. Distinta, elegante. Naavke Evjen a una festa? Prevedibile che abbia qualche affare da sbrigare lì, lui non si muove mai per niente. Fa un passo avanti, posa il bicchiere, quando vede lui tra la folla.
    Skydom.
    E insieme al suo respiro il mondo intero sembra fermarsi. La musica, il ciarlare. Con la bocca semi aperta osserva quel pagliaccio prendersi il palco. Sciocco da parte sua, uscire allo scoperto. C’è chi, come lui, lo cerca da mesi. Perché quella per Besaid è una partita a Risiko con tanti giocatori, e nessuno vuole permettere agli altri di prendersela. Non a uno solo, che li ha gabbati tutti, che da loro ha appreso a maneggiare il potere e che ora glielo riversa contro.
    Non si rende conto, Poison, di quanto pericoloso sia quell’uomo. Avanza di qualche passo. Cerca Naavke con lo sguardo, ma egli sembra quasi rapito da Skydom. Affascinato, dal cane rabbioso che ha strappato la catena.
    Mai, il ragazzino, ha temuto di trovarsi di fronte a uno solo. Eppure, quando il cerchio si chiude, avverte la sensazione di essere spacciato. Lontano, da ciò che per lui è vita e morte.
    Solo, in mezzo a una folla impaurita.
    «Avverto l'adrenalina, so che la confondete con paura. La sento scorrere tutt'intorno, dentro e fuori, ed è un peccato tramutarla in paura, è potere.»

    Mi chiamo Phobos, e sono un bugiardo. Non è vero che non ho paura. Non è vero che non m’importa di niente. Ho paura della paura, perché essa mette in guardia, ma mette anche in pericolo. Ho paura di perdere ciò che più amo e odio allo stesso tempo. Ho paura che pianga, non vedendomi tornare a casa. Ho paura della lunga attesa di qualcuno che non tornerà più. È già successo, più e più volte. Non credo di essere davvero io la paura. Non voglio esserlo, per lui.

    Sussulta, quando quel pazzo inizia a fare una strage. Le pupille si dilatano. Non dovrebbe averne paura, lui fa lo stesso, solo in maniera più subdola. Ha poco più di vent’anni, Poison, e ha conosciuto la morte dal suo primo vagito. Da quando ha ucciso sua madre, anche se non ne ha memoria. Perché lui non è che un braccio della morte. Alleato di quella figura a cui contende l’amante. Ma che succede se c’è qualcuno di più forte su quella scacchiera? Se chi ci ha sempre pilotato non ci dice cosa fare? Naavke ha i suoi piani, fa un passo avanti.
    E al di là del fuoco. Phobos Schneider è solo. Sa che Milo si farebbe uccidere, piuttosto che allearsi con quel pazzo. Sa che probabilmente se così fosse, Poison ne abbraccerebbe la sorte. Ma lui non è lì, per fortuna. È al sicuro, in quella sudicia fabbrica di periferia. Lo sarà, finchè Skydom non deciderà di distruggerla.
    Poison ha tanto, troppo da perdere, anche se non lo ammetterà mai.
    E non ha una coscienza così pulita da poter fare il puritano. Ha ucciso, esattamente come Dominik. Non per difendersi, non per piacere. Sicario, quel ragazzino ha ucciso per campare. Perché ne ha il potere, e quel potere gli da sicurezza. Quella è la sua arma per non sentirsi una mosca in mezzo a un favo di calabroni. Gli serve il suo potere; quello che ha ucciso sua madre, senza che lo volesse. Quello che a volte lo tradisce. Quello che vigliaccamente definisce ciò che è.
    Il biblico serpente.
    «Mi unisco alla causa. »
    Bisbiglia, quando Dominik si avvicina. Deciso, svuota la mente per paura che egli possa leggervi dentro qualcosa. Quale sia la particolarità che vorrebbe rivoltargli contro, il volto di Milo. Poison bluffa, ma non ha padroni. Cane rabbioso, è pronto a mordere anche chi gli dà da mangiare. Naavke lo sa, Milo lo sa.
    Skydom invece deve credere che la paura muova coloro che accettano di sottomettersi. E Poison ha paura, ma lui non deve saperlo, non glielo mostra.
    Phobos è la paura, questa è la sua maschera. Fedele soltanto al proprio cuore, o a ciò che ne resta.

    Vita o morte non ha importanza, se il tuo cuore è lontano. Se tutto ciò che ami è al sicuro. Se sai che soffrirà, sì, ma sopravvivrà lo stesso anche senza di te. E sai che ti porterà con sé, ovunque andrà. Che non morirai, se sarai con lui. O che morirete insieme. Perché quello in cui voi esistete o non esistete, ma insieme, è l'unico mondo possibile.
     
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    Athena Astra Drakos
    ❝39 y.o. , paladin of Justice, chained bird.
    I am no mother. I am no bride. I am king.
    Per Aspera Ad Astrasheet


    Qualcosa si stava muovendo.
    Serpeggiava nelle ombre dense e sinistre della città, vibrava nel timore stagnante dei suoi abitanti e infettava ogni ferita già aperta fra i palazzi e le strade silenziose.
    Non visto, bussava nella mente della giudice, serrava le proprie lunghe dita spettrali su di lei che tentava di evitarne il richiamo.
    Chiusa nel confortevole silenzio marziale d'una delle auto blindate della polizia, Athena Drakos era intenta a firmare un mandato di perquisizione ed esaminarne un secondo.
    Quella sera aveva avuto un presentimento. Le stava ribollendo nel cuore da qualche giorno, in realtà, e le aveva lasciato uno strano amaro sulla lingua, un qualcosa di sospeso che non era riuscita a decifrare ed ingoiare veramente.
    Di rado Athena soleva fidarsi di quel genere di segnali, ancor meno quando questi scaturivano da sensazioni impulsive come quella che le era scattata scintillante, nel petto, qualche giorno prima.
    Guardò oltre il finestrino oscurato, leggendo lingue rosse ed arancio d'un tramonto sanguigno incombente. Le vedeva desaturate, scure oltre il vetro eppure barlumi della loro reale vividezza la raggiunsero.
    Gli occhi cerulei scrutarono oltre, in un futuro per lei inaccessibile mentre una punta di tensione si faceva strada in lei, annodandole lo stomaco già serrato.
    Vide possibili scenari, percorsi potenziali, rami e rami di scelte che i suoi avrebbero potuto compiere.
    Era stato sempre così in missione anni prima. Imbracciava stretto il suo fucile d'assalto e, con esso, la responsabilità e la protezione delle vite d'altri uomini e donne sotto di sé.
    Si rese conto, immobile e sempre più tesa nei suoi pensieri, di star percorrendo un sottile, pericoloso sentiero. In bilico, smarrita fra presente e passato, Athena percepì d'essere spinta da una mano invisibile oltre quella che era stata la soglia dello stress post-traumatico che l'aveva accompagnata a seguire la sua carriera militare.
    Ferma e respira. Sei al sicuro. inspirò dal naso ed espirò dalle labbra, accavallando le gambe coperte da un paio di pantaloni scuri.
    La foresta si stava aprendo, diradandosi pian piano a favore d'un terreno diverso ove cervi e lepri non s'avviavano mai.
    Firmò il secondo mandato e porse entrambi i documenti all'ufficiale dinanzi a lei.
    «Entrambi di perquisizione» esalò dunque mentre il luogotenente dinanzi a lei, alla guida, la ringraziava allegro. Athena lo vide poi continuare un discorso serissimo in merito ai migliori panini da portarsi dietro durante una notte di sorveglianza.
    «Dai, Freya! Non osare –– » cominciò a dire, permissivo, mentre la donna al suo fianco, in borghese, rideva spensierata.
    «Dillo a mia moglie!» lo rimbrottò lei. «Continuo a dire che i suoi panini al tonno sono imbattibili» asserì serissima, incrociando le braccia sotto al seno.
    «Dio Santo, puzzano come la morte!» protestò lamentoso il luogotenente, cambiando marcia all'auto mentre la spiaggia cominciava ad essere in vista.

    Era solo una festa.
    Fuorilegge, clandestina ed un po' stupida nella sua essenza incosciente ma pur sempre solo una festa.
    Una volta arrivata e distribuiti i vari agenti sotto copertura nel territorio per capire chi fosse l'organizzatore di tutta quella messinscena, Athena ebbe modo di tranquillizzare se stessa ed il suo animo stranamente sospettoso, teso.
    Vestita con un dolcevita nero aderentissimo ed i lunghi capelli bruni intrecciati, si perse fra la folla che si allungava su una lingua aurea di terreno. Aveva con sé i propri ricami chiusi in uno zaino elegante appeso ad una spalla. Thyelas, nascosta con accuratezza predatrice fra i cespugli limitrofi la spiaggia, osservava con la stessa progressiva quiete della sua creatrice.
    Grandi fuochi erano stati accesi, alcuni avventori erano vestiti a rievocare tempi antichi e narravano di storie immortali, della grandezza di Odino, le forze misteriose di Loki e di strane creature. Orgogliosa delle sue origini greche, Athena cominciò a rintracciare parallelismi e differenze, vagamente intrattenuta da quel gioco d'ascolto.
    Infilò una mano in tasca ed iniziò a passeggiare.
    Vide volti più o meno conosciuti alla polizia, persone che lei stessa aveva contribuito a chiudere in prigione anni prima, ragazzi dall'aria ribelle, nessuno però le diede l'idea d'essere l'organizzatore od organizzatrice dell'evento.
    Gli stivali affondarono nella sabbia mentre gli occhi glauchi continuavano la loro meticolosa ispezione, rintracciando alcune inaspettate creature di spicco cittadino a quel ritrovo. Memore dell'esito del primo ritrovo di quelle menti all'Università di Besaid, Athena preferì tenersi le proprie carte strette al petto e non impegnarsi con alcuna di loro.
    Vide il signor Berg, forse con l'intento di documentare il succoso evento clandestino per la propria testata; la professoressa Greseth che fece presagire alla giudice nulla di buono, dubitando fortemente ch'ella fosse venuta in spiaggia solo per bersi un bicchiere di birra davanti ad un falò; il curatore Evjen, che forse più stupì Athena per la sua presenza in un luogo così differente da quelle che credeva essere le sue predilezioni.
    Vestito di tutto punto, d'eleganza esemplare, era intento a scambiare una sorta di concitata, tesa conversazione con... Petersen?
    Athena schiuse le labbra in segno di sorpresa, colpita da quel connubio del tutto improbabile. Si domandò cosa li avesse portati ad interagire ancor più poichè, di primo acchito, non le sembrarono affatto sconosciuti.
    Esalò un respiro, domandandosi quali forze fossero realmente in moto quella notte e, di nuovo, il presentimento le serpeggiò attorno al collo, drizzandole i capelli sulla nuca.
    Volse quindi lo guardo alla battigia, riconoscendo la figura longilinea ed aurea del professor Jonah Losnedahl, tanto interessato a Thyelas la prima volta che l'aveva incontrato nei boschi, durante una battuta di falconeria.
    Il suo carattere sincero e curioso non affaticarono la giudice nel collegare la sua presenza durante quell'incontro.
    Fece dunque alcuni passi in avanti dalla sponda est della spiaggia e proseguì evitando i falò.
    Annusò birra, fuoco, salsedine e foresta in lontananza.
    Ascoltò risate, frammenti d'insignificanti conversazioni e, poco dopo, un ruggito.
    Alzò gli occhi al cielo, domandandosi perchè non ci avesse pensato prima.
    Ovviamente Ares era lì, spinto da chissà quale delle sue conoscenze discutibili. Lo trovò intento a litigare con chissà chi, trascinandosi dietro una serie di occhi curiosi ed altri ch'erano intenti a scommettere su chi l'avrebbe spuntata.
    Dopo la loro cena al Delaunay le cose si erano complicate, proprio come Athena non si sarebbe assolutamente voluta auspicare.
    Era assurdo, per lei, quanto fosse sempre eccezionalmente brava a gestire qualsiasi genere di situazione tralasciando quelle sentimentali. La matassa si era annodata, aggiungendo a quella nostalgica amicizia una sorta di imprevista complicità, una notte di sesso completamente evitabile che l'aveva lasciata confusa, lieta, dubbiosa e preda di sentimenti scorti solo da lontano in passato.
    Spaventata, rapita da ricordi quasi inopportuni nella loro strana e calda positività, era fuggita.
    Risultato di quell'equazione era stato un reciproco silenzio radio asciutto e scomodo.
    Athena era proprio sul punto di andare a parlargli, tagliare la testa al toro una volta per tutte approfittando del momento quando delle figure emersero dalla folla capeggiate da un uomo incappucciato.
    Silenzio regnò quand'egli parlò, proclamandosi Re d'un ordine illusorio che la giudice non aveva previsto. Confusa, Athena si fermò nella propria avanzata ad alcuni metri da Ares, adesso catturata da una sensazione d'allarme che non le piaceva per niente.
    La folla si zittì, le storie cessarono e persino il fuoco od il mare le parvero immobili.
    Il presentimento cominciò ad asfissiarla, stringendole le proprie spire attorno al collo.
    Athena fece un passo avanti, tesa, pronta a far segno ai suoi colleghi in borghese di muoversi, quando l'uomo alzò la mano.
    Il dolore che sentì quando il legame con Thyelas fu reciso la lasciò senza fiato. Lancinante, la privò della capacità di avanzare o pensare. Si portò istintivamente la mano sul cuore come se una freccia l'avesse trafitta e, per un momento, sentì distintamente il panico d'una morte imminente sbranarla.
    Non seppe per quale forza riuscì a restare in piedi, fuori di sé dal dolore per alcuni istanti che le parvero secoli.
    Gli occhi le si riempirono d'istintive lacrime e le parole dell'uomo smisero di arrivarle alle orecchie, il suo blaterare lontano come una eco del passato.
    «Ti unirai alla causa?» carismatico, l'uomo cominciò a spargere semi di terrore, persuasione, follia fra la gente alla festa.
    Athena sentì le lacrime rigarle le guance mentre osservava febbrile alcune persone tentare di scappare, invano.
    «Ti unirai alla causa?» una rabbia feroce l'investì mentre riprendeva possesso delle proprie facoltà dopo il legame reciso con Thyelas, il petto che ancora la feriva ad ogni respiro.
    «Ti unirai alla causa?» il suo sguardo glauco si volse ai volti conosciuti che confusi e basiti riconobbe fra la folla. Sostò su Ares e, dopo un breve accenno, quanto più fiera possibile, la giudice cercò di ricomporsi il necessario da sembrare forte, solida nonostante il colpo appena subito.
    Vendicativa come suo padre, Athena avrebbe atteso sino al momento opportuno per annientare quell'uomo con ogni fibra di sé e con una crudeltà ch'egli si sarebbe ricordato per sempre.
    L'odore di carne bruciata le riempì le narici, riportandola sul campo di battaglia. Imbracciava stretto il suo fucile d'assalto e, con esso, la responsabilità e la protezione delle vite d'altri uomini e donne sotto di sé.
    «No» replicò Athena, dura come roccia, lo sguardo brillante come fuoco.

    Edited by Annie` - 4/6/2023, 03:43
     
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    ARES MALEROS
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    “Ehi idiota, guarda un po’ dove vai!”.
    Il capo di Ares Maleros si incurvò leggermente di lato nel sentire quell’esclamazione da parte di uno dei passanti, subito dopo che questo gli ebbe urtato prepotentemente la spalla con un braccio.
    Abbassò lo sguardo nella direzione del proprio petto, fasciato da una semplice t-shirt nera, non esattamente un capolavoro di colori e sfumature da spiaggia, e le sue labbra si incurvarono in una smorfia irritata nel notare la macchia umida causata dal liquido spillato dal bicchiere del suo interlocutore.
    Quest’ultimo continuò a imprecargli contro per qualche minuto, probabilmente troppo ubriaco per rendersi conto che il greco lo superava in altezza di almeno venti centimetri e aveva delle braccia grandi quasi quanto la sua testa.
    Anche senza utilizzare la sua particolarità, il potere che aveva acquisito al suo arrivo in quella strana e peculiare cittadina, Ares aveva un’aria imponente, autoritaria, e ben presto anche quel ragazzo se ne sarebbe reso conto.
    « O forse tu dovresti bere quanto puoi reggere, coglione » soffiò inferocito Maleros, la sua espressione più minacciosa stampata in volto mentre squadrava dall’alto in basso il suo opponente. Gracilino, sicuramente più giovane di lui, un alone di codardia nascosto dietro la sua facciata di prepotenza derivata dall’abuso di alcol: tutto fumo e niente arrosto, come molti altri che Ares aveva conosciuto e che si era divertito a rimettere apposto a modo suo.
    Era pronto a lanciarsi in una sana e agognata rissa, giusto per movimentare un po’ le cose e dare un senso all’atmosfera vichinga che permeava l’aria, quando i bisbigli di altre persone gli giunsero alle orecchie.
    ” Oh cazzo, ma quella è… la giudice Drakos? Porca puttana, ehi bro, girati, girati cazzo, non guardarla… Ma che cazzo ti indichi con il dito, vieni giù! ” uno dei ragazzi lì vicino, probabilmente arrivato lì insieme a colui che aveva rovesciato il suo drink addosso ad Ares, si accucciò improvvisamente per terra, barcollando a causa di chissà cosa si era fumato e cercando di affondare la testa nella sabbia — e non in maniera metaforica, ma piuttosto letterale. La stava quasi mangiando.
    ” La Drakos? Quella che ti ha messo ai domiciliari? “ chiese un altro, abbassandosi vicino all’amico e lanciando qualche rapida occhiata nella direzione della donna.
    Uno sbuffo divertito abbandonò le labbra di Ares nell’origliare quella conversazione, tuttavia i suoi occhi vennero immediatamente calamitati nella direzione della donna che negli ultimi tempi aveva completamente invaso i suoi pensieri.
    Passare una notte di passione insieme a lei non era stata la migliore delle sue decisioni, e ciò era tutto dire visto che Ares poteva vantare un immenso ventaglio di cattive decisioni, eppure il greco non riusciva proprio a pentirsene. Forse una parte di sé l’aveva sempre voluta, fin da quando erano giovani, e adesso che l’aveva avuta era incredibilmente difficile trattenersi dal volerne ancora, di più, nonostante vivessero in due mondi completamente opposti, paralleli.
    Prima ancora di rendersi conto di ciò che stava facendo, i suoi piedi si ritrovarono a muoversi nella direzione di Athena Drakos…
    E poi il caos si scatenò sulla spiaggia.
    Una barriera verdognola si innalzò attorno alla spiaggia, intrappolando i festanti in una circonferenza piuttosto ridotta e Ares poté avvertire una strana sensazione di debolezza, uno sgonfiarsi della forza racchiusa nella propria essenza più profonda: la sua particolarità era scomparsa.
    Figure incappucciate di nero spuntarono dal nulla, all’apparenza partoriti dalle stesse ombre della notte, e quando un uomo si erse al centro di tutto e iniziò a parlare, Ares ebbe una strana sensazione di déjà-vu.
    Durante una delle sue missioni come mercenario, quando era stato assoldato per una spedizione nella Foresta Amazzonica alla ricerca di un antico manufatto che si supponeva potesse donare l’immortalità, Ares si era ritrovato ad ascoltare un discorso molto simile a quello: a cosa servivano lo status, il denaro, persino la salute, quando non si aveva il vero e proprio potere?
    Lazarevic era stato pronto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo e, nel momento in cui aveva puntato la pistola contro uno dei suoi stessi uomini in preda alla convinzione che un qualche rituale di sangue fosse necessario a proseguire nella sua folle missione, Ares aveva capito che quell’uomo gli avrebbe fruttato più grane che denaro — e gli aveva ficcato una pallottola nel cervello.
    ”Ti unirai alla causa?”.
    ”Sei uno spostato”.

    Ares rimase a guardare mentre quel povero ragazzo si tramutava in cenere sotto i suoi occhi e dentro di sé si fece largo la convinzione che quella domanda fosse mera formalità, un inganno, l’illusione di una scelta: se non in preda alle fiamme, sarebbero morti più tardi, in una macabra unione con colui che stava parlando di salvezza e predestinazione.
    Il greco non aveva mai disdegnato il caos, ma amava esserne fautore e non vittima.
    ”Ti unirai alla causa?” Una sfilza di facce familiari cominciò a sfilare davanti ai suoi occhi, uomini che Ares aveva visto per la prima volta tra i banchi dell’università di Besaid e che adesso si stavano lasciando avvolgere in quell’abbraccio oscuro, pronti a cadere nel baratro.
    Avrebbe riso, Ares, se non fosse stato per la drammaticità della situazione. Coloro che tanto si erano affannati per cercare di catturare quell’uomo, adesso si stavano piegando al suo volere in uno schioccare di dita.
    Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Jonah, frequentatore assiduo della sua palestra, Ares non si stupì più di tanto nel sentirlo pronunciare parole di consenso.
    Paura, terrore, glielo si poteva leggere negli occhi.
    Ares continuò la sua avanzata verso Athena, silenzioso e rapido, ed esaminò rapidamente il suo viso nel tentativo di capire se si fosse ripresa da quel malessere che l’aveva colta nel momento in cui i poteri di tutti erano stati risucchiati via.
    Per ciò che riguardava la sua risposta alla domanda dell’uomo, Ares sapeva già cosa avrebbe risposto, ancora prima che ella potesse aprire bocca.
    No, non si sarebbe piegata, e neanche lui l’avrebbe fatto.
    L’una a servizio della giustizia, l’altro a servizio di una più anarchica libertà.
    La mano di Ares scivolò dietro la schiena, sotto il tessuto della maglietta dalla quale si poteva intravedere il calcio di una pistola semiautomatica: nonostante in Norvegia non si potesse circolare liberamente con le armi come negli Stati Uniti, Ares usciva raramente disarmato, soprattutto quando si immergeva in ambienti e raduni “criminali” come quello.
    ”No” pronunciò Atena, fiera e impavida come al solito, e in quel momento Ares decise di tirare un calcio ad un tavolino di legno nelle vicinanze, rovesciando bottiglie di birra e piattini di carta arrangiati che vi erano posati sopra.
    Si accovacciò per nascondersi completamente dietro il legno, soltanto le braccia a spuntare sul davanti mentre puntava la pistola contro quell’uomo.
    Sapeva che un tavolino non avrebbe certo fatto molto contro una palla di fuoco, ma se poteva offrire anche solo un minimo di protezione ad Athena, lo avrebbe fatto.
    « Mi dispiace, figlio di puttana, ma non sei proprio il mio tipo… Chiedilo a tua madre di diventare un tutt’uno con te ».
     
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    Vi è una ostinazione in me che non tollera di lasciarsi intimidire dalla volontà altrui. Il mio coraggio insorge a ogni tentativo di farmi paura.

    Guardò la sua immagine riflessa allo specchio. I capelli, che negli ultimi anni aveva lasciato crescere fino a metà della schiena, erano ora tornati corti e le arrivavano ora poco sotto il mento. Gli occhi azzurri erano stati tinti con un leggero ombretto chiaro e definiti con una linea di matita scura. Stava imparando a riconoscere di nuovo quell'immagine, a ritrovare quella sicurezza che l'aveva contraddistinta un tempo, quando da bambina si ergeva a difesa dei più piccoli e dei più deboli. Aveva messo da parte quell'anima coraggiosa per qualche tempo, ma ora sembrava essersi risvegliata, finalmente. Sorrise appena a quell'immagine che appariva pensosa e un po' distratta, cercando di ritrovare la tranquillità. Sistemò il colletto della camicia rosa che aveva indossato sopra un paio di jeans stretti. Era stata tentata dal pensiero di usare il costume dell’anno precedente, ma poi aveva optato per qualcosa di molto più comodo e pratico. Era lì per lavorare, non per festeggiare. Anche perché non era sicura che ci fosse davvero qualcosa da festeggiare visto che il numero di persone che affollavano gli ospedali non faceva che aumentare. Sarebbero davvero riusciti a scoprire chi era quella losca figura che aveva dato inizio a tutto quanto?
    Il telefono vibrò accanto a lei e il messaggio sul display le fece corrucciare appena la fronte. Sei libera stasera? Il telefono vibrò di nuovo, ma il secondo messaggio finì sotto un'altra pila. Era da un mese ormai che si sforzava di non rispondere subito a Lucas, di fingere di non vedere i suoi messaggi, di fargli credere che non le importasse. La loro relazione era iniziata per caso, come qualcosa di leggero che non doveva lasciare nessuna impronta sui loro cuori e per lei si era invece alla fine trasformata in qualcosa di diverso che le veniva difficile combattere. Si era detta che, come lui, avrebbe frequentato altre persone e si sarebbe tenuta libera dai legami, ma non ci aveva messo molto a comprendere che quella non era la sua natura. Un altro messaggio, questa volta da Lars, la scosse da quel filo di pensieri, riportandola alla realtà. Prese il telefono, aprì la conversazione e fece partire un messaggio vocale. -Saró pronta tra cinque minuti, a dopo. - disse, per poi inviare e finire di pettinarsi. Non aggiunse molto altro. Si erano già accordati in precedenza sul punto di incontro e avevano deciso che era meglio non lasciare troppe tracce di sé. Quello era un giorno importante. Lei e Lars avevano sentito parlare di una festa clandestina che si sarebbe tenuta sulla spiaggia e, visto che le notizie sui contagi non erano state molto esaustive negli ultimi tempi, si erano accordati per provare a recarsi sul posto e reperire qualche nuova informazione. Dopotutto sembrava che fosse proprio a una festa che tutto era iniziato, poteva essere un buon modo per distrarsi dai suoi problemi d'amore e concentrarsi completamente sul lavoro. A quel punto prese coraggio e aprì anche la conversazione di Lucas. -Ciao, mi dispiace ma ho già un impegno, ci sentiamo nei prossimi giorni. - inviò, aggiungendo un piccolo cuore alla fine del messaggio, per poi buttare il telefono dentro la borsa e prendere una giacca. Sarebbe stata una serata lunga e intensa, se lo sentiva, ma era anche convinta che non sarebbe stata una sera buttata.

    Si era sempre chiesta il perché di quella data così singolare a sancire il passaggio da un anno all'altro. Era ben cosciente che il calendario non fosse che una convenzione stabilita tramite alcuni accordi, ma non aveva mai capito perché la cittadina fosse sempre stata così legata a quella particolare notte dell'anno, che preludeva l’inizio del mese di aprile. Era nata e cresciuta in quel luogo e certe cose ormai erano così familiari da risultare assolutamente naturali. Aveva sempre amato l’atmosfera festosa che invadeva le strade nei giorni che anticipavano la festa e poi il grande evento finale, la notte, che segnava un nuovo inizio. Quell’anno, tuttavia, il virus aveva cambiato molte cose, o meglio, l’uomo che aveva deciso di scombussolare le loro vite. Le forze dell’ordine avevano cercato di sedare ogni tentativo di festeggiare ma qualcuno era comunque riuscito a organizzare qualcosa in sordina.
    Con un bicchiere di liquido rosso in mano si mosse in mezzo a piccoli gruppi di persone, accompagnata dal suono delle chiacchiere e della musica. Alcuni indossavano dei costumi, altri invece erano in borghese, proprio come lei, forse per mancanza di tempo o forse perché credevano che sarebbe stato più semplice fingere di essere finiti lì per caso e quindi dimostrare di non far parte dell’organizzazione. Sorrise nel vedere come la gente cercasse una via di fuga alle preoccupazioni, a quel male silenzioso che si era insediato entro i confini della città. A nulla erano valsi i richiami, gli appelli, i tentativi di illustrare i rischi a cui si andava incontro. Le feste sembravano essere l’unico modo per difendersi dalla paura.
    Individuò la figura di Lars a qualche metro da lei e, mandando giù un altro breve sorso dal bicchiere, gli si affiancò. -Sembra che in casa non sia rimasto proprio nessuno. - sussurrò, a un soffio dal suo orecchio, per poi lasciarsi andare a una leggera risata. -Hai avuto problemi ad arrivare? - domandò, curiosa di sapere come fosse giunto sin lì. Lei era venuta a piedi dal bosco dove viveva, prendendo solo stradine secondarie per evitare di essere intercettata e fermata. -Per ora non ho notato nulla di singolare, ma la notte è ancora giovane. - continuò, facendogli poi cenno con il capo di seguirla verso uno dei piccoli fuochi che erano stati accesi per rischiarare la notte. -Non so. C’è qualcosa che non mi convince, ho una strana sensazione. - mormorò, per poi sospirare. Forse era solo la preoccupazione, forse era solo il fatto che avrebbe tanto voluto godersi quella festa in compagnia di qualcun altro. -Andiamo, cerchiamo di unirci alla folla o non scopriremo nulla. - disse ancora, riprendendo a muoversi verso la spiaggia. Aveva sentito qualcuno mormorare che era lì che il meglio sarebbe accaduto a fine serata e non voleva certo perdersi l’evento più importante del giorno. Terminò il contenuto del suo bicchiere e lo buttò nel cestino dandogli una piccola spinta con la sua particolarità. Un vento leggero aleggiava nella notte, le solleticava la pelle trasportando una certa elettricità. Doveva essere la gioia delle persone, la felicità di trovarsi di nuovo tutti insieme, come se quell’anno e tutto quello che aveva portato con sé si potesse cancellare con un veloce colpo di spugna, sostituendo i brutti ricordi con altri, ben più felici. Sollevò lo sguardo per osservare il cielo, era così limpido che la luna sembrava incredibilmente grande e vicina.
    La luce delle fiaccole sembrava individuare un percorso sicuro verso la spiaggia dove un buon numero di persone aveva giù trovato posto. Qualcuno si era seduto intorno a degli asciugami a cantare e ballare, altri erano in piedi con i piedi sul bagnasciuga, altri ancora componevano piccoli gruppi vicino ai fuochi. Forse si era davvero sbagliata. Forse era davvero una serata come tante e lei aveva perso il suo sesto senso. Eppure continuava a provare quella strana sensazione, come se qualcosa di oscuro si agitasse nell’aria rendendola quasi affilata.
    Con la coda dell’occhio notò una figura con il volto tinto di verde muoversi in mezzo alla folla. Corrucciò le labbra e con la punta del gomito cercò di attirare l’attenzione di Lars, che sembrava guardare altrove. -Hai notato quello strano tipo? No, aspetta, ce ne sono altri. - disse, notando il gruppetto vestito di pelli o protetto con delle armature, che avanzavano verso il grande falò. Un uomo uscì dal gruppo, muovendosi con passi lenti ma decisi, attese qualche istante prima di rivelare i propri chiarissimi e la testa dai capelli corti. Ogni cosa parve fermarsi in quell’istante, persino la musica e il chiacchiericcio delle persone. Tutti si erano voltati nella sua direzione, come spiazzati da una forza indistinta, impossibile da comprendere. Sam sentì l’aria incresparsi di nuovo, farsi più calda, mentre una barriera luminosa chiudeva ogni possibile via di fuga alle loro spalle. L’uomo sorrise. Sentì l’aria incresparsi più forte, come attratta da quella figura. L’uomo sollevò le mani verso l’alto e tutt’a un tratto l’aria si fece silenziosa. Un brivido le persone la pelle mentre si guardava velocemente a destra e a sinistra, preoccupata. Cercò di richiamare di nuovo l’aria a sé, senza riuscirci e allora sgranò gli occhi, cercando lo sguardo di Lars senza fiatare. Erano caduti in una trappola. Provò per una seconda volta ad attirare l’aria, mentre l’uomo iniziava a parlare, invitando le persone a liberarsi e a divenire un tutt’uno con lui. Si muoveva davanti alla folla, come un leone che osserva la sua preda, come un serpente insidioso in grado di insinuarsi nelle menti. Il battito accelerato del suo cuore attutì qualunque altro suono per qualche momento. La sua particolarità non c’era pi, era sparita. Fu quello a stordirla e a destabilizzarla. Era stata con lei da che aveva memoria, era stata un pensiero ricorrente, una compagnia fidata a cui sapeva di potersi sempre rivolgere in caso ne avesse avuto bisogno, e invece quello stronzo gliel’aveva appena portata via e ora si ergeva a paladino delle masse invitandoli a unirsi a lei e accettare passivamente le sue scelte.
    Un primo rifiuto arrivò dalle labbra di un ragazzo che venne incenerito da una palla di fuoco che, una volta spenta, lasciò soltanto della sabbia nera lì dove un tempo c’era stato qualcuno. Per un attimo le mancò il fiato mentre osservava quella scena, immobile, incapace di muoversi. Strinse la mano di Lars, che si trovava ancora accanto a lei. Cercò in quel contatto amichevole la forza per tenersi salda sulle gambe, per non vacillare. Sentiva la paura scorrerle nelle vene ma sentiva anche qualcosa di diverso. Non voleva unirsi a lui, non voleva accettare di piegarsi a un pazzo e a un assassino. Se quello era il suo ultimo giorno di vita allora voleva viverlo davvero, voleva arrivare sino alla fine compiendo le sue scelte ed essendo se stessa. Non si sarebbe unita alla causa, non ne aveva alcuna intenzione. Anzi, sentì di nuovo quel moto di rabbia e orgoglio risvegliarsi e risalire dal basso andando a pizzicarle la lingua. Osservò Naavke Evjen, il curatore del museo, avanzare verso quell’uomo, seguito da Nikolaj Mordersønn. Non riusciva a credere che qualcuno potesse davvero decidere di accettare. -Liberarci? - chiese, la voce che suonò quasi come un ringhio rabbioso mentre altre persone continuavano ad avanzare e stringere la sua mano, lasciandosi cambiare d’abito per unirsi ai suoi adepti. Lasciò andare la mano di Lars e si mosse di un passo, la schiena ben dritta e gli occhi puntati su quelli azzurri dell’uomo, esattamente come aveva sempre fatto da ragazzina quando aveva fronteggiato i bulli della scuola. -Non c’è alcuna libertà in questa scelta che poni, non c’è alcuna libertà accanto a te. - continuò, serrando i pugni lungo i fianchi per cercare di contenere la rabbia e l’agitazione. -Voglio essere libera di scegliere per me stessa e non divenire parte di qualcuno. - disse ancora, ben ferma nelle sue convinzioni. Alcuni intorno a lei cercavano di scappare, senza tuttavia riuscirci. -La verità è che sei solo un codardo! Ci privi delle particolarità perché questo è l’unico modo che hai per sconfiggerci! - urlò quasi, esasperata da tutti quei pensieri. Fece per aprire di nuovo le labbra e aggiungere qualcosa ma si sentì afferrare e tirare indietro, lontana dalla prima linea che aveva tenuto sino a quel momento. Si voltò, spaventata di trovarsi di fronte il volto di un’altra delle persone a cui voleva bene, qualcuno che non doveva essere alla festa e che invece era venuto comunque. Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che non si trattava di nessuno di loro. Pregò affinchè gli altri a casa, al sicuro, si cullò nello stolto pensiero che chiunque non fosse in quella spiaggia si sarebbe salvato ben sapendo che, una volta finito con loro, quell’uomo avrebbe volto il suo sguardo altrove. Solo allora notò la figura altera della giudice Drakos, dalla stessa parte della sua barricata, e quella di un uomo con una pistola. Altri avevano fatto la loro stessa coraggiosa scelta.
    L’unica speranza che avevano era quella di restare uniti.
     
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    «Dovete permettere che accada.» disse la voce alle sue spalle, s’infiltrò fra un rombo e l’altro, le mani di Sibylla strette intorno al calcio di una pistola. Non aveva paura. Non aveva paura da molto, da quando il volto di Rem era sparito dal riflesso nello specchio, una statura due volte più grande della propria, la spalla destra che nascondeva un terzo del corpo di suo marito. All’inizio si erano sorrisi l’un l’altra guardandosi attraverso un mondo parallelo che forse l’imitava solamente. Lo avevano saputo, quei due riflessi, che avrebbero provato a strozzarsi? «Lasciare che le prede diventino vittime?» chiese Sibylla, più che altro in maniera retorica, mentre premeva il grilletto per l’ennesima volta. Il proiettile sfrecciava via dalla canna nera pesante che stringeva fra le dita e si andava ad abbattere nella figura di cartone a forma di uomo: un buco nel centro del cranio, un buco nel centro del petto, direzione cuore, organi.
    I passi dietro di lei si fecero più vicini, poi cessarono e la voce le sembrò venire da dentro, tanto era vicina. «Dottoressa Greseth… è tutto parte di un piano molto più grande e più profondo di quello che prevede chi siano le prede o le vittime. Un sovraccarico dell’uso della sua… delle sue particolarità potrebbe giocare a nostro favore. Giocherà a nostro favore. Capisce che intendo? Voglio quell'uomo e lo voglio morto, ma questo non sarà possibile finché non perde ciò che lo rende vivo.» fu quasi un sussurro, la mano dell’uomo si posò sulla spalla di Sibylla per un momento e tutto divenne scuro, prese il colore della notte per poi trasformarsi in arancio, vedeva il rosso per terra e i granelli di sabbia spostarsi come sabbie mobili ad ogni singolo passo, il silenzio e il boato di un’esplosione, forse.
    Si sfilò dalla presa dell’altro voltandosi verso di lui mentre riapriva gli occhi e fissava le iridi cervoni dentro quelle chiare di lui. A labbra schiuse, Sibylla respirava profondamente ma a fatica, come se fosse appena rinsavita da un incubo, il cuore un battito unico, continuo, come se sapesse di non avere così tanto tempo ancora.
    Annuì, drizzando la schiena, mentre tornava ad abbassare lo sguardo sull’arma da fuoco che teneva in una delle mani, stretto contro il palmo il calcio era ormai diventato tiepido, la pelle bruciava. Era sempre riuscita a distinguere il bene dal male, la vittoria dal fallimento, eppure in quel momento c'era una debolezza insidiosa che grattava la superficie dello stomaco. Fu un solo, brevissimo, attimo di umanità che a volte dimenticava facesse parte di lei. La mente, la psicologia che la costruiva e la caratterizzava, però, la spinsero a sollevare quasi immediatamente di nuovo lo sguardo sull'altro, le sopracciglia corrucciate, fiamme argentee dentro il nero pece delle pupille corniciate di verde e marrone. «E’ per questo che sono qui.» sussurrò decisa, annuendo, per poi tornare a voltarsi. Doveva concentrarsi. Non c'era più tempo e non c'erano molte altre scelte da compiere, non quella sera.

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    Dall'altro lato, oltre i festeggiamenti, oltre il buio dei vicoli, oltre il visibile, le bottiglie di vetro intatte o in frantumi per terra; oltre i gridolini di chi non riusciva a spiegarsi l'adrenalina di una serata all'apparenza come le altre, oltre la sensazione di trasporto e la brezza marina che giungeva da sud; oltre la quotidianità di una professoressa o criminologa, Sibylla si rivelava in maniera meccanica, addestrata, la parte di un nucleo militare che svolgeva i propri interessi nascondendosi dietro la facciata di chi, invece, voleva l'interesse del popolo.
    «La città sembra essersi svegliata malvagia. Non hai la stessa sensazione?» constatò mentre, camminando al fianco di Theo, avanzavano lungo un vicolo semi illuminato dalla luce naturale di un cassonetto in fiamme. Vedeva la sporcizia, la infastidiva sapere che il suo ordine sembrava essere svanito come se avesse ceduto nel silenzio il proprio spazio al caos. Eppure, l'ordine di Sibylla era quello che si adagiava sulla linea retta della propria morale, un telo sotto al quale si nascondevano le cose che non le piacevano, una polvere sottilissima che non aveva alcun posto al di sopra della stoffa, illuminata dalla luce. Dietro quelle parole, nascosto tra i pensieri, si celava però un altro tipo di idea: un caos che, dopo esser svanito, avrebbe potuto lasciare spazio ad un altro tipo di assestamento e, questo, Sibylla lo sapeva alla perfezione: per creare ordine, ci voleva la tempesta.
    Dopo qualche ore di pattuglia in cui avevano fermato un paio di gruppetti, più che altro per ingannare il tempo, tutte le pattuglie del governo posizionate in città erano state sollecitate a dirigersi verso la spiaggia per raggiungere le altre quattro che, dal pomeriggio prima, erano state posizionate sui confini. Il divieto dei festeggiamenti era stata solo una mossa di figura, lo sapevano bene un po' tutti fra quelle fila, dirlo a voce alta però avrebbe fatto di qualcuno di loro solo un ipocrita.
    Giunti sul confine nord della spiaggia e raggiunta una delle pattuglie, Sibylla si espose per osservare le immagini che le si presentare dinanzi senza però riuscire a vedere ciò che realmente aveva davanti. Agli occhi di coloro i quali se ne stavano nel pieno dei festeggiamenti senza pensare a cosa realmente stesse accadendo, quello era il modo di sgusciare via alle costrizioni di una vita che li voleva tutti uguali, tutti meccanici, robot mossi dai poteri alti, gli stessi che dicevano cosa fare e cosa non. Loro, lì con i piedi danzanti nella sabbia morbida, non vedevano ciò che dai confini della spiaggia giungeva col vento, con le onde del mare ora nero pece, con il movimento delle foglie che si tramutava in voce dal bosco: un pericolo.
    «E' ora.» la voce di Theo, dietro di lei, diede l'allerta al loro gruppo. Sibylla si voltò a guardarlo per seguirne lo sguardo attento dall'altro lato della spiaggia: un gruppo di uomini incappucciati si faceva spazio verso il centro della spiaggia per fermarsi di fronte al grande falò che illuminava tutto il circondario. «Se ne usciamo vivi, domani ti offro una birra.» sussurrò Sibylla in direzione di Theo senza però voltarsi a guardarlo, ipnotizzata dai movimenti statici e coordinati degli incappucciati. Immaginò fossero un tutt'uno, ebbe come l'impressione che si trattasse di un ragno gigante fatto di carne umana, un'unica mente in grado di pensare per dieci, venti, trenta. Compì un passo in avanti, poi due, si ritrovò dietro le figure di alcuni uomini e donne il cui interesse, proprio come quello di Sibylla, sembrava esser stato catturato dal centro della spiaggia e da quel volto - ora scoperto - ricoperto di vernice verde fosforescente. Dello stesso colore fu la barriera che, da un momento all'altro, apparve intorno alla spiaggia e la separò dal resto del gruppo di agenti. In qualche modo, però, sembrò importare poco in quel momento. Venne investita, per pochissimo tempo, da una strana consapevolezza: si trovava nel momento giusto al momento giusto, comprendeva la ricerca del potere, aveva quasi l'onore di esser parte di un momento storico che, non capiva come esattamente, si protraesse dal passato al presente al futuro. Come poteva un uomo, tanto umano come lei, spargere un'idea di quella maestosità? Non era davvero uomo. E quella consapevolezza, giuntale come uno schiaffo in faccia, le scivolò via dalla mente nello stesso momento in cui la mano del ricercato si fu sollevata nella direzione di coloro che gli stavano intorno, entro la barriera. Schiuse le labbra, la sensazione di sconfitta le fece chinare le spalle mentre si portava una mano alla fronte per massaggiare le tempie ora in fiamme. «Sibylla!» la chiamò Theo ma, quando lei si voltò, il verde della barriera l'accecò e costrinse a darle nuovamente le spalle. Con una mano sugli occhi, sollevò l'altra in direzione del collega, dita ben stirate e palmo visibile. «E' tutto ok, non perdete la concentrazione!» disse rivolta agli altri. Poi, abbassando le braccia lungo i propri fianchi, andò a posare una delle mani sul calcio della pistola ferma nella cinta dei pantaloni neri che indossava, il distintivo del governo ancora nascosto sotto la maglietta scura e a collo alto che indossava. Avanzò tra la folla, restando in disparte ma senza perdere di vista ciò che stava accadendo. Sentiva il sangue ribollirle nelle vene, il sangue si miscelava ad un ideale che non sapeva quale direzione prendere, conosceva solo il punto d'arrivo. Lo voleva morto, così come aveva voluto morto Rem per i suoi ideali o per l'aver esercitato la propria forza su di lei per farla tacere, per cancellare quello che con la sua idea di vita non avrebbe potuto sposarsi. Sibylla voleva quell'essere morto e non perché il governo pensava fosse giusto. Sibylla lo voleva freddo, muto, debole perché il suo ideale cozzava con il proprio, e questo bastava.
    Vide alcuni degli esponenti della città farsi avanti, reagire assecondandolo o distaccandosi da lui, l'odore di carne bruciata aveva raggiunto anche le sue narici e comprendeva la paura, il terrore di non vedere il sole un'altra volta, non sapere più che sapore avrebbe avuto bere un bicchiere di vino, annusare un indumento pulito e piegarlo per riporlo al proprio posto in un cassetto. Ma no, Sibylla non comprendeva la codardia, la stessa che, immaginava, aveva spinto uno come Naavke Evjen o Nikolaj Mordersoon ad unirsi. C'erano atteggiamenti che andavano corretti e, qui, la dottoressa e la professoressa non avevano quasi mai fallito.
    Si fece avanti, consapevole del pericolo, consapevole dei possibili scenari, anche quelli che, al contrario di ciò che lei avrebbe desiderato, vedevano lei morta. Ma non importava. Alla fine, lo sapeva, vinceva la violenza più tempestosa, più spericolata, più crudele, bisognava solo combattere, il migliore avrebbe vinto. Il governo lo voleva morto, lo voleva in sovraccarico, lo voleva debole. E se per un momento dovette considerare l'opzione che avrebbe facilitato quella condizione, il secondo seguente le fu chiaro che, sì, l'ideale del governo era anche una linea guida, ma non era fatto della sostanza di cui era fatta lei, non aveva la morale di Sibylla, non aveva il credo in un Dio che, un tempo, sua madre le aveva insegnato a rispettare. Avrebbe dovuto unirsi, lo sapeva. Avrebbe dovuto cedere la propria forza a lui, sapeva anche questo. Eppure, quella forza, quella macchina d'ingranaggi che le permetteva di comprendere gli altri l'aveva persa poco prima, cosa le restava? Una. Sola. Cosa.

    «Mi piegherò quando la tua violenza vincerà la mia
     
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    Sarebbe stato lì. Lo aveva deciso già dal primo momento in cui aveva ricoperto quella storia, la prima pagina di giornale che aveva scritto che recitava le parole di un male che non si conosceva, e lui si approcciava inclemente ed incerto in un territorio mai esplorato, qualcosa di mai scritto, timoroso che avesse il potere di spiazzare le menti più sapienti indirizzando un tema complicato, perché terribilmente sconosciuto a tutti. La ricezione agli articoli sul Sykdom al loro inizio era stata sofferta, temuta, aspettata, come solo chi si avvicinava ad un nuovo lavoro, un incarico mai toccato prima, poteva percepire, il peso psicologico dell'informazione da consegnare, e la bellezza di qualcosa vissuto per la prima indimenticabile volta, di aver avuto paura di cadere nel baratro dell'ignoranza piuttosto che raggiungere la vetta, senza aver prima imparato sapientemente a scalare la montagna di conoscenza. Lars così si approcciava, stoicamente, eppure senza sapere nulla a riguardo, a qualcosa di immancabilmente nuovo, e per quanto devastante per il suo animo fosse coprire pagine e pagine di articoli e doverosi resoconti di cronaca, che non poteva verificare con la dovizia che era riconosciuta ai suoi compiti, così nel suo intimo si riscopriva interessato a percepire qualcosa di mai davvero sentito così forte come allora. Il peso della verità aveva toccato la sua vita da sempre, da quando aveva scoperto di avere il potere di chiedere agli altri con gentilezza, senza pretendere con forza, di poter sapere qualunque cosa purché fosse reale, nulla di grigio tra le parole di chi riversava la propria fiducia trascinato dal potere di Lars a raccontare lui ogni cosa, solo bianco o nero, e nulla in bilico tra di essi che non potesse essere davvero trasparente. Così, anche a confronto della più vera delle verità che Lars aveva chiesto e bramato quando utilizzava il suo potere, allora in quella sera si manifestava in tutta la sua interezza qualcosa che per mesi non aveva saputo mai che a lui fosse interessato, ma così era sempre stato. La verità dietro il perché le loro particolarità esistessero e il culmine stesso dell'essenza della loro cittadina lo colpì appieno quando era arrivato a quell'ultima pagina, e si era reso conto che non avrebbe potuto esimersi dal procedere. Lars doveva sapere.
    L'ultima pagina era stata voltata, prima di scorgere quale fosse la fine della storia.
    E l'ultimo atto si compiva in quella serata antica quanto il mondo.


    ---


    Non era la prima notte del capodanno Besaidiano a cui partecipava. Sempre calmo e rassicurante sembrava per lui il passaggio del giorno alla notte, lo sfilare dei carri festivi, la preparazione degli abiti nordici, lo sfoderare di armi non affilate, gli equipaggiamenti tribali, segno di appartenenza ad una stirpe lontana, del sangue che scorreva in ognuno degli abitanti originari di Besaid, e l'aria di festa, il fermento e la ribellione, la voglia di riprendersi, di riappropriarsi di ciò che era andato perduto, la propria libertà e la voglia di trovare il tempo per sé, lo spirito di affiliazione che faceva sentire tutti in cuor loro come se gli altri fossero propri fratelli, e ognuno parte di qualcuno.
    Sapeva bene quanto tempo era passato dall'ultima sera in cui aveva scoperto che molte delle informazioni che gli erano state recapitate, e quelle che aveva cercato e perseguito a fatica, erano state confermate e si erano rivelate veritiere, e allo stesso modo, quante di molte di quelle che erano state sue certezze erano andate confuse, perdute.
    Tanto tempo prima, non sapendo cosa dover perseguire, la stampa stessa aveva deciso eccezionalmente di chiamare ciò che non conosceva con il nome di malattia, e l'ipotesi che un virus potesse colpire le persone dotate di particolarità non sembrò tanto eccezionale, ma quasi un concetto estretamente primitivo, perché classificabile come normale: i popoli di ogni dove erano stati decimati e rimpolpati nei loro numeri a seguito di grandi epidemie, che derivavano da situazioni e criteri estremamente diversi, ma pur sempre erano stati quelli che avevano portato al numero di abitanti complessivi sulla terra, assieme all'operato spregiudicato dell'essere umano che si era decimato da solo con la violenza. Così quando le informazioni che avevano raccolto erano diventate ovvie agli occhi di chi poteva anche attribuire che non potesse essere vero, proprio perché evidentemente normale, Lars aveva sentito di aver fallito. Aveva giurato sulla propria professione che non avrebbe mai detto una bugia, che sarebbe sempre stato dalla parte della verità. Il fatto di aver dichiarato e firmato con il suo nome che un virus avesse potuto scombussolare l'ordine delle cose quando invece la colpa ultima del malessere che li aveva colpiti era stata scatenata da un uomo comune e dai suoi seguaci gli aveva fatto mangiare la sua stessa bile. Erano mesi che se ne sentiva disgustato, ma su una cosa il governo aveva avuto ragione: l'idea che fosse una malattia la causa dietro tutti quegli eventi insoliti aveva calmato, inutile a dirlo, l'ordine generale, placato le menti e gli istinti folli, recuperato tutte le persone che potevano pensare di dover soffrire, sì, di un malessere più o meno grave, ma che i brillanti medici dei reparti d'emergenza dell'ospedale di Besaid assieme al lavoro delle equipe chiamate dal governo avrebbero potuto risolvere, studiando con attenzione come fare per riportare la situazione alla normalità. Tutti erano stati d'accordo affinché il concetto che fosse un uomo con la propria particolarità il responsabile di ogni cosa venisse nascosto, sepolto, archiviato, e Lars aveva firmato con la piena facoltà di intendere e di volere, seppur arrabbiato e come sempre particolarmente segnato dal brontolio del suo farneticare, una deliberatoria in cui affermava di aver dovuto eseguire l'operato di qualcuno di più grande di lui nel rilasciare una informazione non esatta. D'altronde era questo a cui si era ridotto: la stampa libera doveva valere come cardine e fondamento dei suoi princìpi, ma in favore di un bene più grande, quel suo grande desiderio poteva essere ristretto, proprio per il bene superiore?
    Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli, che aveva fatto crescere, lunghi sotto le orecchie, scarmigliati, un'immagine molto diversa dal Lars che aveva conosciuto lui stesso tutta una vita, sempre con i capelli corti dritti e ordinati, pettinati, l'unica ribellione nella sua immagine rappresentata dal ciuffo di capelli in una frangia disordinata - adesso la fronte era ben visibile, i capelli portati all'indietro. Si era vestito molto diversamente dal solito, camicia di jeans, pantaloni scuri e sneakers bianche, eppure non aveva dimenticato la sua attenzione ai dettagli, la precisione non lo aveva ancora affatto abbandonato, seppur qualcosa trapelasse da quella scelta di non curare l'estetica come aveva fatto fino a quell'anno di vita compiuto, in virtù del grande cambiamento che gli era capitato e che aveva cambiato davvero tutto di lui: la sua percezione sull'etica lavorativa, così come la vita sentimentale e la storia d'amore che aveva concluso, aveva definitivamente lasciato un capitolo di vita conosciuto dietro di sé, difficilmente Lars sarebbe tornato indietro. Quella sera comunque era fondamentale che non venisse riconosciuto, e non avrebbe ceduto a conformarsi a nessuna immagine personale a cui si era saldamente ancorato fino ad allora.
    Era uscito dall'auto, sempre la sua inconfondibile Carrera bianca sull'asfalto che limitava la fine della strada percorribile dalle auto all'ingresso della zona pedonale, lì dove cominciava il percorso non più scandito dai soliti chioschi che aveva conosciuto lungo tutta la sua vita. Anche Besaid cambiava, e quello che era stato da sempre suo conforto quell'anno era diventato un rischio, il proibito, l'illecito. Le persone che passeggiavano velocemente lungo la via andavano in direzione della spiaggia, che era stato il punto ultimo di ritrovo alle feste collettive del passaggio al nuovo anno, e che adesso erano diventate l'unica ribellione possibile per le persone che volevano esserci, dimenticando tutto quello che non era più possibile, perché quell'anno sanciva qualcosa di nuovo e diverso. Alzò gli occhi al cielo terso, non più la luna di sangue a far capolino come l'anno prima, eppure l'aria era carica di quello che Lars sapeva poteva essere solo un'ottima occasione per quel male di manifestarsi, perché non era un presentimento, era così e basta, e tutto puntava a quella notte, nessun sesto senso che tenesse. Qualunque matto che avesse potuto partecipare alla task force che avevano indetto mesi prima nel B-6D sapeva esattamente che quella notte tutto sarebbe accaduto. Lui era lì perché doveva vederlo con i propri occhi, raccontarlo e scriverlo come faceva sempre sul proprio giornale, servitore della verità fino alla fine, pur sapendo che quello che poteva accadere poteva non avere nessun precedente mai visto prima.
    Si infilò il cappello con la visiera sul capo, visiera schiacciata lungo il profilo del naso, occhi bassi per camminare sulla via a passo veloce, con le scarpe comode che potevano permettergli di correre. Aveva pensato a lungo se fosse il caso o no di coinvolgere Samantha in quella notte, eppure, sapeva di non poterla più vedere come la stagista che si era presentata a lui nel primo articolo che le aveva affidato, all'intervista ad un esponente economico in prima linea posto come statista dei maggiori governi europei. Sam era diventata a tutti gli effetti una redattrice, e oltre che sua collega, aveva oramai passato la confidenza che gli permetteva di definirla amica. Tutti gli ultimi articoli di cui si erano occupati avevano anche recitato il suo nome, oltre la riga firmata dal capo redattore, e lui sapeva che non avrebbe potuto esimerla con la scusa che la serata sarebbe stata troppo pericolosa. Avrebbe voluto fortemente includerla in qualsiasi missione che fosse stata meno pericolosa, eppure ci era caduto dentro con tutte le scarpe con lei, impossibile escluderla. Ci erano dentro entrambi.
    La vide lungo il percorso, incontrandola al punto di incontro stabilito e riconoscendo la sua figura tra tutte, un bicchiere in mano, uno che porse a Lars che bevve un unico lungo sorso prima di sbarazzarsi del suo contenitore mentre parlava con Sam senza cercare di farle vedere quanto fosse teso, e smussando con quell'unico sorso la sua preoccupazione, con l'unica razione di alcool che avrebbe saggiato in quella serata. I suoi riflessi non erano quelli di sua sorella Liv, che con la sua particolarità possedeva sicuramente più agilità della sua, eppure si era preparato adeguatamente a non abbassare la guardia un solo istante, gli occhi a scattare da ogni parte nel campo visivo finché non sarebbero arrivati alla spiaggia, punto di incontro ultimo di quella festa vietata alla cittadina a cui sembrava, quasi nessuno aveva voluto rinunciare. Nella tasca interna dei pantaloni, nascosta sotto la giacca lunga di jeans, giaceva la sua pistola, detenuta ovviamente legalmente, che difficilmente avrebbe usato ma che sapeva potesse anche rappresentare un'unica possibilità di far la differenza tra vita e morte per un individuo come lui, che aveva una particolarità psicologica e non poteva manifestare dimostrazioni di particolarità distruttive. «Strada laterale, ho parcheggiato la macchina vicino all'Anthemis, se mi avessero fermato avrei giocato la carta del proprietario.» Rispose a Sam e sorrise a labbra strette, in quel sorriso tipico di Lars appena accennato, non saccente però, che confermava come fosse riuscito a piazzarsi così vicino in direzione dei festeggiamenti, proprio perché aveva lasciato la macchina vicino alla pasticceria storica di sua nonna gestita da sua sorella, e che nessuno avrebbe potuto sbarrargli l'accesso perché sua proprietà.
    Si incamminarono insieme, passo dopo passo, aveva solo annuito quando Sam gli aveva detto di andare più vicino per vedere cosa sarebbe accaduto. Erano giunti sulla sabbia, ed ogni passo cominciò a diventare lento, Lars affondava sulla superficie e si guardava ripetutamente intorno, e solo quando furono nei dintorni della folla più nutrita cominciò a scorgere i visi conosciuti che riconosceva bene, oltre che dei cittadini comuni suoi conoscenti di sempre anche quelli delle persone influenti che erano state chiamate all'università di Besaid, Nikolaj e Naavke, che tanto bene e affatto conosceva da anni, spiccarono in punti diversi della spiaggia, così come gli altri volti che aveva conosciuto recentemente e i nuovi esponenti della società cittadina.
    Sperò fino all'ultimo che la sua fosse soltanto una congettura costruita troppo bene per funzionare, e che nulla sarebbe successo ad un ritrovo così su larga scala come ci si attendeva ma non si sperava ad alta voce, e che come l'ordinanza pubblica aveva sancito solo in pochi si sarebbero spinti lì sulla spiaggia. La voce di Sam lo distrasse dal guardare il profilo che riconobbe essere della giudice Drakos e qualche metro più avanti del professore Losnedahl che aveva parlato durante la notte all'università, e si soffermò sul gruppo di persone incappucciate che lentamente invasero lo spazio circostante e a grandi falcate sulla spiaggia si librarono lì tra di loro.
    Per ultimo vide nel suo campo visivo l'immagine del falò che da sempre si accendeva tradizionalmente sulla sabbia, a troneggiare al centro dell'ambiente dove sorgeva l'ultimo baluardo tra cose conosciute e sconosciute.


    ---


    tumblr_nbhm896V3p1rk9eb1o1_500

    Flashes of the battle come back to me in a blur
    All that bloodshed, crimson clover, sweet dream was over
    My hand was the one you reached for
    All throughout the Great War

    Dominik si tolse il cappuccio, e fu immediato il riconoscimento dell'immagine che era stata passata e condivisa dalla dottoressa Greseth Nilsen dell'uomo misterioso, causa e principio di tutto quello che accadde di lì a poco e che da tempo stava preparando la sua missione. Tutti attorno a loro si fermarono, si voltarono, su guardarono intorno, i festeggiamenti furono interrotti bruscamente. Dominik, o quale che fosse il suo vero nome, si mostrò ai cittadini come un suadente, perfido messia, cominciando a spiegare loro quale fosse la differenza tra quel giusto e sbagliato che vedeva lui, e quale fosse il prezzo da pagare per rimanere con lui o restarne fuori. Sam gli strinse la mano, e lui ricambiò la stretta, sentendosi lo stomaco tirare giù lungo il suo corpo, il cuore aumentò le pulsazioni nella concentrazione difficile che provò a forzare in quel momento, combattuto tra il sentimento di umana paura che cominciò a provare, e la sua solita calma da manuale, la stasi che derivava dalla preparazione di ogni passo che faceva, da tutto ciò che compiva. La preparazione era potere, e Lars si era preparato in vista di tutto, anche ricorrendo alle lezioni di tiro al poligono e all'acquisto di un'arma, allo studio di qualcosa che potesse portarlo inesorabilmente in vantaggio. Ma prepararsi quando non sapeva che mano gli sarebbe capitata era stato per lui impossibile.
    Sentì le sue mani fremere, la mano destra scattare in un movimento brusco, un tic dimenticato da tempo, una frenesia che sapeva essere dovuta al culmine di tutto ciò che lo aveva portato a quel momento.
    Se lo disse, se lo ripeté a lungo, guardando l'uomo cominciare ad avanzare sicuro, al centro della folla, chiamando a sé tutti coloro che volevano passare dalla sua parte, in vista di quel futuro migliore che prometteva, dell'uno a cui tutti dovevano convergere, dimenticando ogni cosa e diventando forse un nuovo individuo, forse diventando solo parti di quell'uomo. Ma chi era questo Dominik davvero? A cosa doveva piegarsi rendendosi carne di qualcosa a cui non sentiva appartenenza, proprio come sentiva di appartenere a Sam e a tutti gli altri abitanti di Besaid?
    Le strinse la mano, e quando lei sfuggì alla sua presa cercò di tirarla indietro. «Non andare!» Sibilò a denti stretti, ma Sam si mosse accecata dalla propria rabbia, spinta dalla volontà che sentiva di dover dire la sua. Lars indietreggiò, rendendosi conto di essere stato guardato da Dominik, accanto a Sam, un ragazzo che aveva provato ad esporsi si era dissolto nel nulla lasciando dietro di sé solo l'impronta di una cenere. Che destino avrebbero fatto tutti loro se avessero invece provato a rifiutarsi di raggiungerlo? Si guardò intorno, solo per accorgersi che fiamme verdi alimentavano una barriera verso cui gli altri abitanti di Besaid avevano provato a rivolgersi per oltrepassare, per poi rimanere scossi dall'impossibilità di sfuggire. Se ne accorse, anche lui, che la sua particolarità era svanita, per quanto essa non avesse alcuna manifestazione di nulla che fosse fisico, ma una percezione della mente gli fece intuire che la sua persuasione, la particolarità che era sempre stata sua fin da bambino, era svanita.
    Nel culmine di quel momento tremendo anche i membri del governo cominciarono a palesarsi, puntando armi da fuoco contro la figura, e comparve anche alla sua destra la figura della dottoressa Sibylla. Ci pensò, ci ragionò, in quel momento, valutò quella possibilità che gli si poneva davanti, e quell'etica che aveva messo in discussione in quell'anno arrivò dritta a lui, ferendolo nelle sue convinzioni. Avanzò di due passi, Lars, si sentì spinto da quello che aveva visto, dalle figure che avevano raggiunto Dominik chiedendosi quanto sarebbe valso un sacrificio se avesse scelto la strada che lo avrebbe portato a dire no. Altre persone si esposero e puntarono le proprie armi nei confronti dell'uomo con il viso dipinto di vernice fluorescente, ed in quel momento anche Sam si espose a rispondergli. Le parole dell'uomo risuonarono velocemente nella mente di Lars, in cui quando provò ad immaginarsi di avanzare per poggiare la mano sulla spalla di Dominik sentì dentro se stesso qualcosa di terribilmente sbagliato, e prima che potesse fare un altro passo in avanti alzò le braccia ai lati del suo corpo. «La nuova Besaid?» Rispose, chiedendo a voce alta. Si fece forza, si guardò intorno, puntò con gli occhi le persone accanto, sguardi vacui e sguardi sicuri. Forse non avrebbe più vissuto un altro giorno, e forse tante cose che avrebbe voluto conoscere non le avrebbe mai potute sapere. Per un uomo per cui il sapere era una chiamata costante della sua vita era una grande sconfitta. Eppure le parole che gli vennero alle labbra gli suonarono come una perfetta resa dei conti, anche verso se stesso. «Questa è Besaid. Tutti noi che la abitiamo. Noi siamo Besaid Puntò gli occhi verso Dominik Sykvold, o il nome che di lui conosceva. Non poteva sapere comunque conoscenza più grande di essere fedele alla propria mente, al proprio cuore, al proprio istinto che non poteva proprio sbagliarsi, non era da lui fallire così miseramente. Se ne convinse. «Nessuno di noi vuol fare l'eroe. Questo è solo ciò che è dovuto da ognuno di noi.» Disse, per poi premere le dita contro la pistola che aveva in tasca, chiudere la mano contro la superficie liscia del metallo, e sollevando anche lui l'arma come molti di quelli che avevano opposto la loro voce alla setta sconosciuta. Quella era la città che a loro apparteneva, non sarebbero scappati. Non tutti.
    «Ci siete voi, e chi lo sa saprà riconoscersi.» Sorrise beffardo, l'adrenalina gli aveva permesso straordinariamente di far tacere lo stomaco, la bile, la voce che nella sua mente gli diceva di fuggire, dicendo a se stesso che avrebbe potuto vivere mille volte e mai come allora avrebbe potuto dire di aver rigirato qualcosa che aveva pronunciato tempo prima chiedendo di nuovo ai cittadini di avere fede nella loro voce, nella sua, quando aveva pronunciato la volontà di non correre rischi e di fare del proprio meglio, anche quando ancora pensava di avere anche lui a che fare con qualcosa di lontanamente diverso da quella che stavano affrontando tutti insieme.
    Era pronto, non avrebbe vacillato.
     
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    Uno scroscio di reazioni, assensi e dissensi accompagna la processione silenziosa di colui che ancora non si è annunciato, uno sconosciuto che impone la sua volontà - perchè lui è l'Unico, la Magia, il Potere. Si fa strada tra la folla, sente il miele denso e spesso che custodisce le particolarità appena sottratte scorrergli nelle vene, lo custodisce in sè geloso come una terribile creatura mitologica con il suo tesoro. C'è chi si assoggetta alla sua volontà, chi resiste, ed ora che la scelta è stata compiuta sopraggiungono le conseguenze. Guarda ogni singola persona negli occhi, fratelli e sorelle di una città che ha generato potenzialità straordinarie ed orribili terrori. «Molto bene.» Ora i suoi seguaci sono tra le sue fila e lui si fa indietro, raggiunge i suoi discepoli ed allarga le braccia, pronto ad elargire il suo generoso e tremendo dono. «O siete con me, con Besaid, o verrete distrutti. Ripensate a coloro che amate, a coloro a cui avete regalato le vostre patetiche vite, i vostri miseri cuori. Non preoccupatevi però. Sapranno che è stato l'Unico, Sykdom, ad annientarvi. E poi, l'intera città vivrà con me, sarà me. Un solo uomo, una sola Besaid, un solo illimitato Potere.» Un cenno del capo, e davanti ai presenti, tra l'uomo sconosciuto e gli sfortunati avventori compare una pedana in legno, lunga, ornata di fiori e grano, simboli di fertilità e ricchezza. «Voi che non potete capire la grandezza di questa città sarete i primi a cadere.» La sua voce è ferma nel tono di una promessa, una minaccia che incombe e che si realizza, tanto che i corpi dei ribelli si fermano, come legati da una corda invisibile e vengono trascinati sulla pedana, in ginocchio, per prostrarsi davanti all'Unico. Poi vengono voltati, il viso verso l'orizzonte ed il mare oscuro, ormai pronto a sanguinare nelle prime luci dell'alba. «Proprio come i primi Besaidiani, sarete voi a chiamare gli dei come testimoni di questa vittoria assoluta.» Ride l'Unico, ordinando ai suoi di farsi avanti, coloro che appena pochi minuti prima si sono sottomessi saggiamente al suo potere. Fratelli, nel sangue Besaidiano, dei sacrificati. «Uccideteli.» Una parola, un taglio netto, daghe luminose appaiono tra le mani dei seguaci neofiti, chiamati a compiere il loro primo atto di fede.
    Appena la lama fredda sfiora la pelle sottile della gola però lo Yggdrasil raggiunge Besaid, con le sue lunghe radici che spaccano la terra e superano la sabbia ed il mare, spegnendo il fuoco e lasciando ogni cosa nel buio. Besaid pulsa sotto ai piedi dei suoi abitanti, la sentono nel loro respiro e nei loro cuori, ogni singola persona. L'eclissi rivela agli occhi umani la vita di Besaid, che onnipresente ed eterna li avvolge ogni giorno delle loro piccole ma indispensabili esistenze. Raggiunge tra le radici dell'Albero della Vita i suoi figli, ancora legati, e li libera, portandoli con sè per qualche minuto nelle sue stanze infinite, in una visione in cui ogni singolo ribelle incontra la città. L'Unico è a terra, confuso ma non scoraggiato. Besaid non lo ha punito, la sua enorme potenza è ancora tra le sue mani. Si aggrappa ad una delle radici nere e brillanti dell'Albero e poi si rivolge ai suoi seguaci. «È degli dei che lei vuole, e così sia.» Ed ecco che si formano due gruppi, potentissimi, infiniti, infiammati da nuova grandezza. L'Unico continua, divertito, a sputare sangue, e si rialza senza difficoltà, rigenerando le proprie ferite all'istante per poi affiancare ciascuno dei suoi seguaci e regalare loro i doni che ha sottratto allo Yggdrasil. Inizia la battaglia tra gli Æsir e Vanir. L'Unico resta poi indietro, inizia a tracciare rune ormai da molto tempo dimenticate nella sabbia e poi nella sua stessa pelle, le conosce come se da tempo immemore fossero sempre state sue, piega la magia di Besaid al suo scopo e frenetico continua a comporre il suo messaggio di morte ora che tutti e tutte all'interno della città diventeranno Uno. D'improvviso le rune si illuminano d'oro, esplodono nel caos tutt'attorno, si fanno colonne di luce e l'Unico si solleva oltre il suolo su cui i suoi piedi posano, ergendosi al di sopra di ogni altra cosa, fluttuando nel vento. Quando riapre gli occhi essi sono bianchi, pieni di luce, fermissimi ed allora inizia - assorbe, assorbe, assorbe e renderà l'intera Besaid un sepolcro per coloro che la abitano, un Messia di discepoli defunti, un re di un territorio esanime. Si sente potente, un nugolo di energia imbattibile, e in preda all'euforia più ampia grida, percepisce ogni singola particolarità diventare sua, così come la linfa vitale che di ogni persona sul suolo besaidiano. Un solo limite lo colpisce, all'improvviso, nel picco della sua conquista: la sua umanità. L'Unico è un uomo, limitato, finito, capace di sovraccaricarsi - e così accade, si accorge che il suo cranio, il suo cuore, i suoi polmoni, il suo intelletto, per quanto potenziati, non riescono a contenere ogni particolarità.

    Come si fa a contenere qualcosa che viene magnetizzata a proprio piacimento da luna, sole e universo intero?
    Come si fa a contenere qualcosa il cui richiamo viene dal sottosuolo e s'infila sotto pelle e freme per scivolar via dai polpastrelli sottoforma di potere?

    Non si contiene.


    E così, un raggio di luce sgorga fuori da lui, esplode all'esterno, frantuma ciò che è attorno a lui.
    L'Unico cade sulla sabbia, e sopraffatto dal suo stesso potere, non si accorge degli strappi nel cielo e nel suolo.
    È arrivata la rivelazione di ciò che è sempre stato nascosto, l'Apocalisse.

    #recap azioni & info utili:
    • Ormai la vostra decisione è presa, Sykdom di cui ancora non sapete il nome vero è deciso a fala pagare a coloro che hanno detto NO e ad accogliere tra le sue fila in modo despotico coloro che hanno detto SI;
    • L'Unico si prepara ad inscenare ancora una volta il rituale di sangue che ha dato vita alla città di Besaid.
    • Coloro che hanno detto di NO saranno legati da una delle tante particolarità dell'Unico e riportati sulla pedana - chi reggerà delle armi le perderà dalle mani.
    • Coloro che hanno detto di SI sono ormai vestiti di tunica proprio come il resto dei discepoli e comparirà nel loro palmo una daga - avete il compito di uccidere le persone in pedana, tagliando loro la gola.
    • Vedete tutti il suolo spaccarsi in un tremore della terra, e da esso emergere le radici nere e brillanti dello Yggdrasil, l'Albero della Vita.

    Coloro che hanno detto NO
    • La città di Besaid è accorsa in vostro aiuto! Non appena notate le radici dello Yggdrasil avrete una visione, trasportati in una dimensione di sogno in cui la città, incarnata come preferite, vi affiderà i poteri degli Æsir, dei del pantheon norreno.
    • Ricevere questi nuovi poteri vi renderà combattivi e combattive, dovete fermare l'Unico, ma per farlo dovrete prima mettere KO i suoi seguaci.

    Coloro che hanno detto SI
    • L'Unico vi supporta. Avendo toccato lo Yggdrasil, l'Unico ha catturato per voi i poteri dei Vanir, altri dei del pntheon norreno, che vi donerà.
    • Ricevere questi nuovi poteri vi renderà combattivi, dovete dimostrare lealtà all'Unico, ma per farlo dovrete prima mettere KO i ribelli.

    • Segue una lotta violenta. Più informazioni qui in basso in "#indicazioni".
    • Nel mentre l'Unico traccia rune nella sabbia e su se stesso finchè esse non iniziano ad illuminarsi.
    • Dominik/Sykdom/l'Unico fa ciò che aveva promesso - inizia ad assorbire le particolarità dell'intera città.
    • Va in sovraccarico, cade dalla sua levitazione, resta per terra. Vedete il cielo e la terra che si squarciano. Qui termina il turno.

    #indicazioni:.
    -- Nel vostro secondo post dovrete descrivere le conseguenze delle vostre scelte, e la lotta che sopraggiunge con la fazione opposta. Good to know: il campo di energia che circonda quella sezione della spiaggia è ancora attivo e lo sarà per tutto il turno. All'inizio del turno NESSUN PG ha una particolarità.
    -- Se avete bisogno di più informazioni sul rituale della città, specialmente per le nuove utenti ma anche per rinfrescare la memoria alle più veterane, vi preghiamo di leggere i masterpost della quest precedente.
    -- Nel momento in cui siete in pedana per rievocare gli eventi del sacrificio originale di Besaid, ogni persona che ha detto SI dovra' iniziare l'esecuzione di uno o due individui che hanno detto NO:
    !Ordine Sacrificio:
    Poison:
    - Athena
    - Sam

    Niko:
    - Sibylla
    - Sirius

    Naavke:
    - Lars
    - Vilhelm

    Jonah:
    - Ares

    -- Coloro che hanno detto NO: Vilhelm, Athena, Ares, Sam, Sibylla, Lars, Sirius
    -- Avete libera scelta nel descrivere le vostre reazioni a ciò che accade, in qualsiasi maniera i pg saranno influenzati dagli eventi saremo ben felici di leggere! Potete descrivere liberamente la vostra visione e l'incarnazione che per voi ha città: potrete essere ovunque e Besaid può essere qualsiasi cosa, entità, persona voi desideriate. Ciò che significa Besaid per voi.
    -- La città vi affida i poteri degli Dei che le hanno garantito la sua natura magica. Fate parte degli Æsir adesso.

    Vilhelm:: Ti è stata affidata la potenza di Thrud, dea delle tempeste, della bellezza e delle battaglie. Ti liberi di ogni limitazione e diventi impetuoso come la forte dea, figlia di Thor e Sif, amata e temuta ad Asgard per la sua natura indomabile e fiera. Come Thrud, avrai il controllo sulle tempeste, potrai crearle e disfarle, e sarai protetto da qualsiasi particolarità che controlla le forze atmosferiche. Il tuo potere si attiverà con il liberarsi delle tue emozioni - più saranno intense, più sarai in grado di utilizzare i tuoi poteri per danneggiare i tuoi avversari.
    Athena: La città ti regala la grande potenza del dio Hodr, anche conosciuto come "Il dio cieco", che domina l'oscurità e l'inverno. Perderai di colpo la vista, sostituita però dal potere di avere una visione assoluta di ciò che accade attorno a te nelle ombre: puoi notare la scia che i tuoi avversari lasciano e per questo anticiparne le mosse, e sarai in grado di manipolare le ombre, l'assenza di luce ed il freddo come più ti aggrada. Sarai subito a tuo agio con questa nuova condizione, e potrai muoverti come un tutt'uno con la notte.
    Ares: La città ti ha affidato un dono - i poteri del dio Ve. Lui è il dio creatore, fratello di Odino. Ha creato i primi esseri mortali e la sua potenza è immensa. Incarnandone i poteri, sarai un creatore di mondi: potrai, infatti, trasportare i tuoi avversari in mondi da te creati completamente dipendenti dalla tua immaginazione, in cui tu potrai avere vantaggio in battaglia - selezioni uno o più avversari e per un periodo totale di 3 minuti (brevi scontri) alla volta potrai portarli in dei mondi da te creati per combatterli. Una volta terminato il minuto, potrai recuperare altri avversari e fare lo stesso con loro.
    Sam: Besaid ti affida i poteri della dea Eir, "aiuto" o "pietà", la dea delle arti curative. Eir è un membro delle sacre Valchirie, possenti dee guerriere. Capace di influenzare la medicina e di guarire dalle ferite, sei in grado di rigenerare ogni tua ferita e di indurre malattie negli organismi / peggiorare le ferite dei tuoi avversari. Più grande sarà la ferita (tua o di un avversario), più tempo impiegherai per farla guarire. Puoi peggiorare le ferite che già hanno i tuoi avversari, ed indurre nel loro organismo qualsiasi malattia.
    Sibylla: Oggi incarnerai la potenza di Loki, il dio mutaforma della magia e dell'inganno. Fratellastro di Odino e dio dalle mille sfaccettature, Loki è una figura centrale del Pantheon norreno ed un abile incantatore. Sarai infatti in grado di mutare forma in qualsiasi persona o desideri, sia tra i presenti che di qualsiasi altro essere umano che tu conosci direttamente o indirettamente. Che si tratti di tua madre oppure di una celebrità, hai modo di mutare forma a tuo piacimento e di sfruttare i vantaggi delle menti e dei corpi di coloro che incarni al momento. Puoi cambiare forma quante volte vorrai.
    Lars: Besaid ti ha affidato i poteri di Saga, la dea della storia, della poesia e delle storie ben raccontate. Ben voluta tra gli dei e specialmente da Odino e Frigga, Saga è una dea conciliatrice e di grande persuasione. Essendo Saga la dea della saggezza, sarai in grado di conoscere immediatamente i punti deboli dei tuoi avversari in modo da colpirli efficacemente e provocare grandi danni. Potrai anche utilizzare le parole per convincere i tuoi avversari ad obbedirti. Attenzione però, il tuo mestiere di giornalista ti sarà utile: più convincente sarà il tuo ordine nel modo in cui è articolato, più è probabile che il tuo avversario lo seguirà, non importa quanto pericoloso sia.
    Sirius: Besaid ti affida la potenza lucente del dio Hoenir. "Colui che è Silente", Hoenir è il dell'onore, della santità e della sacralità. Fratello minore di Odino, Hoenir è un dio enigmatico, grande guerriero noto per aver dotato l'umanità della sua capacità di giudizio. Incarnandolo, sarai in grado di amplificare la tua vocazione, annientando gli attacchi di coloro che cercheranno di ferirti ed irradiando luce dal tuo corpo per accecarli momentaneamente, dimostrando così la loro fede ed abilità. Attenzione però, mentre i tuoi avversari sono ciechi, potranno attaccarti.

    Coloro che hanno detto SI - Naakve, Nikolaj, Jonah, Poison
    -- Avete libera scelta nel descrivere le vostre reazioni a ciò che accade, in qualsiasi maniera i pg saranno influenzati dagli eventi saremo ben felici di leggere! È l'Unico a donarvi i poteri, e li sentite scorrere dentro di voi non appena lui ve li affiderà dopo aver toccato le radici dello Yggdrasil.
    -- Dominik/Sykdom/l'Unico vi affida i poteri degli Dei che le hanno garantito la sua natura magica. Fate parte dei Vanir adesso.

    Naavke: l'Unico ti affida con generosità le abilità di Freyr, gemello di Freya, dio Vanir dell'amore, della fertilità, della caccia, della virilità e del raccolto. Freyr ha in sè tutte le particolarità della sua gemella e ne incarna il corrispettivo maschile. Ha profonde radici nella terra, nel suolo, tra gli alberi e nei campi, e Freyr è portatore d'abbondanza. In virtù del tuo legame con la natura, sarai in grado con i tuoi nuovi poteri di cacciare i tuoi avversari al meglio: i tuoi sensi saranno più acuti, i riflessi più pronti, e saprai come attirarli a te per provare ad annientarli.
    Niko: sei stato graziato anche tu dai potenti doni dello Yggdrasil. L'Unico ti ha donato ed affidato i poteri di Odr, marito di Freya, padre di Hnoss and Gersemi. Nella sua grande potenza, Odr è stata una figura ambigua tra Aesir e Vanir, tuttavia la sua sfera d'influenza è nota: la frenesia e la pazzia. Sarai dunque, in grado di manipolare le menti dei tuoi avversari, mandandoli nel delirio più totale. Che sia per mezzo di visioni, allucinazioni, sensazioni, trance, estasi, poco importerà perchè sarai tu a poter porre inizio e fine alle loro sofferenze.
    Jonah: L'Unico è misericordioso, e ti ha affidato i poteri sacri del possente Vanir Njörðr, ricevuto come ostaggio dalla fazione degli Æsir per siglare la pace tra le due fazioni dopo la conclusione del conflitto che le divideva. Dio del mare, del vento, delle perturbazioni, della fecondità e della ricchezza, elargitore di fortune e sfortune ai marinai e ai pescatori. Sei in grado, infatti, di controllare il mare, le acque, e tutte le loro creature.
    Poison: L'Unico ti affida le immense abilità di Gullveig, dea Vanir della magia. Colei che è stata bruciata tre volte e che è rinata altrettante volte, ed è stata proprio la sua presenza ad innescare la guerra tra gli Aesir ed i Vanir. Il suo grande potere e la sua affinità con la stregoneria furono contesi da entrambe le fazioni. Potrai, infatti, essere invulnerabile al caldo ed al fuoco, e sarai in grado di utilizzare rune ed incantesimi per eliminare i tuoi avversari.

    -- Queste particolarità vi sono state affidate per difendervi ed attaccare a vostra volta. Ricordate che, nonostante possiate inferire anche forti danni ai vostri avversari, non potrete ucciderli.
    -- Anche se non sono queste le particolarità a cui siete abituate ed abituati, sarete presto nel vostro elemento. Non incarnerete il dio o la dea a voi affidata fisicamente, ne assorbirete il potere e l'affinità con l'elemento o gli elementi a cui le divinità sono associate. Manterrete, infatti, i vostri ricordi, la vostra personalità, ed i vostri indumenti. Gli dei sono dentro di voi, ma non ne siete soggiogati - piuttosto, loro vi supportano ed aiutano con la loro grande forza.
    -- Avete assolutamente carta bianca nel modo in cui penserete i vostri attacchi e manifesterete le vostre nuove particolarità. Avete libertà creativa completa!
    -- Perderete tutti le particolarità degli dei una volta che l'Unico sarà caduto a terra. Perderete ogni particolarità quando questo accadrà, giacchè l'ordine sarà stato nuovamente ripristinato con il suo indebolimento.
    -- Il vostro obbiettivo ora sono i seguaci delle fazioni opposte. Non potrete, in battaglia, attaccare l'Unico, giacchè è ancora troppo potente. Se vorrete, potrete farlo però alla fine del turno, quando lui cadrà a terra. Potrete infatti colpirlo come più preferite, ma dovrete farlo con le vostre mani.
    -- Vi invitiamo ad iscrivervi alla discussione per non perdere nessun post.
    -- Potrete attaccare chi vorrete in battaglia, non ci sono limiti - se vorrete un solo avversario o più di uno sarà totalmente una vostra scelta.
    !Importante
    -- Lo stato psicologico dei vostri personaggi sarà totalmente vostro da descrivere, ovviamente rispettando dei canoni realistici: se avete appena subito un attacco psichico, anche se siete particolarmente resistenti, ne subirete dei danni.
    -- Non saranno nè staff nè utenti a decidere l'entità dei danni fisici che voi subirete entro la fine del turno, ma i dadi! Qui sotto verranno riportati per ogni personaggio gli esiti di un tiro di dado 20.
    1-7: danni molto gravi, quasi arrivati alla morte - tagli molto profondi, contusioni, danneggiamenti seri ad ossa e tessuti, emorragie, stanchezza estrema.
    8-14: danni di media entità, compromettono la vostra mobilità ma non siete in pericolo di vita - tagli mediamente profondi, contusioni, dolori alle ossa ed ai muscoli, stanchezza notevole ma non estrema.
    15-20: danni di lieve entità, non compromettono la vostra mobilità - tagli più o meno superficiali, graffi, lividi, tremore, affaticamento.
    #risultati:
    - Athena 16 - lieve
    - Lars 2 - grave
    - Nikolaj 3- grave
    - Jonah 14 - media
    - Naavke 16 - lieve
    - Sirius 12 - media
    - Vilhelm 10- media
    - Poison 2 - grave
    - Sam 14 - media
    - Sibylla 8 - media
    - Ares 7 - grave
    !Importante
    -- A prescindere dal vostro turno, potete mettervi d'accordo tra voi per coordinare gli attacchi o se avete uno o più target di cui volete che la/le player avversarie sappiano, oppure potete fare attacchi a sorpresa, dipende da voi!
    -- Non preoccupatevi se verrete attaccate da un'altra player DOPO il vostro turno, potrete (vi invitiamo) a rispondere nel turno successivo (tenendo a mente ovviamente l'esito dei dadi).
    -- Il punteggio che avrete totalizzato con il dado è la condizione fisica con cui dovrete arrivare ALLA FINE del turno. Dunque, potete giocarvi con altre player o inventarvi qualsiasi cosa durante il turno, l'importante è che voi arriviate alla fine con quell'esito. Avete forte libertà creativa nel concepire ed usare le vostre particolarità, quindi dovrebbe essere un gioco di immaginazione hehe! In ogni caso, per qualsiasi dubbio o domanda siamo qui per aiutarvi!
    -- Il tipo di entità di danni associati al numero che potreste ricevere col dado - non è una descrizione esaustiva di tutti i danni o obbligatoria, ma per favore procedete il più realisticamente possibile in questi range ❤️


    #turni: (ATTENZIONE: per necessità di gioco, è molto probabile che questi cambieranno radicalmente di volta in volta)
    - Athena
    - Lars
    - Nikolaj
    - Jonah
    - Naavke
    - Sirius
    - Vilhelm
    - Poison
    - Sam
    - Sibylla
    - Ares

    !Importante
    -- Se qualcuno vi attacca nel turno seguente al vostro la player può rispondere a tale attacco anche nel prossimo turno, quindi non preoccupatevi!
    -- Dovrete postare entro 4 giorni completi a partire dalla mezzanotte di lunedì 19.06 Chi non avrà postato entro la fine del suo turno lo salterà automaticamente.

    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic, dove troverete anche i link alle quest precedenti. - Qui invece il link al Besaid Journal con gli ultimi articoli riguardanti il "virus" e qui il link alla Pre Quest, nel caso in cui qualcuno se la sia persa.

    Edited by ‹Alucard† - 21/6/2023, 18:15
     
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    Athena Astra Drakos
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    I am no mother. I am no bride. I am king.
    Per Aspera Ad Astrasheet

    I walk alone, beside myself / Nowhere to go
    This bleeding heart that's in my hands, I fell apart
    My flesh and bone
    This part of me / The seeds I've sewn



    La sensazione d'impotenza che colse Athena nel momento in cui quell'uomo scoprì le sue carte fu impossibile da ignorare. Niente avrebbe scalfito quel potere, specialmente ora che non ve n'erano altri ad opporsi al suo.
    A scapito d'ogni volontà, il nemico stava avendo la meglio.
    Le iridi chiarissime della giudice si svuotarono progressivamente di luce, riempiendosi di un inquietante sfumatura d’annientamento che la spinse a ricalcolare forzatamente i suoi passi.
    Ogni suo errore, ogni passo, ogni mossa falsa presente e passata. Telathe, suo padre, i suoi fratelli, il suo lavoro, Ares.
    «Voi che non potete capire la grandezza di questa città sarete i primi a cadere.»
    Sentì il proprio corpo irrigidirsi, preda d'un'influenza esterna ed il suo primo istinto fu di muoversi e tentare di trovare una via d'uscita. Ogni sforzo fu vano e ciò la rese ancor più inquieta, risvegliando in lei oscuri campanelli di allarme mai dimenticati, figli di traumi passati.
    La sua lunga treccia pesante e scura dondolò quasi a lambire il pavimento della pedana quando Athena fu costretta, assieme agli altri dissidenti, ad inginocchiarsi come un agnello sacrificale nei pressi di quel falso dio intento a parlare.
    Irradiava sicurezza, follia, una sorta di zelo distorto che la giudice trovò ancor più disturbante ora che era avviluppata in spire di panico simili ad acciaio ardente contro la pelle.
    Percepì la propria fronte madida di sudore freddo, il cuore martellare nel petto.
    Aveva visto suoi commilitoni morire per mano nemica, aveva assistito a crudeltà, barbarie, tirannia e provato alcune di quelle sensazioni sulla propria pelle in passato.
    Era stata un soldato eppure alcun addestramento avrebbe potuto prepararla a quella tensione sovrannaturale, aspra ed appuntita che permeava quel momento.
    «Uccideteli.»
    Athena esalò con vuota, densa sconfitta mentre abbracciava lo scenario meno auspicabile e più concreto fra quelli a cui aveva pensato. Inspirò di nuovo, tentando di regolare il suo corpo tremante di rabbia ed agitazione che si ribellava a quelle costrizioni con ogni fibra di sé.
    Si guardò attorno e, curiosamente, notò solo allora d'essere fra Vilhelm ed Ares.
    Tormento e fuoco, entrambi astri del suo passato ancora presenti nella sua costellazione presente. Nel bene e nel male, erano stati entrambi memento del suo percorso di vita sino a quel drammatico momento.
    Sentì qualcuno avvicinarsi alle sue spalle e si dimenò in un'ultima istintiva e disperata protesta.
    Scorse Sibylla Greseth oltre le spalle di Ares; a seguire, una giovane donna dallo sguardo di cristallo ed una sorta di velata, gentile innocenza che le ricordò Telathe e le strinse il cuore.
    Ad infoltire il gruppo sacrificale, anche Lars Berg ed il prelato che Athena aveva scorto in università durante il loro ultimo incontro.
    Ogni sagoma divenne meno importante quando infine riconobbe Jonah, incombente alle spalle di Ares.
    Lo scorse, esile come un elegante giunco, avvicinarsi al suo amante. Brandiva un coltello scintillante fra dita affusolate quando Athena riconobbe panico assoluto nel proprio animo.
    «Jonah... no. So che queste non sono le tue intenzioni, capisco la paura» disse infine, gli occhi glauchi volti quanto più possibile a quella presenza conosciuta in un appello che aveva tanto i chiaroscuri d'una preghiera.
    «Lotta. Ribellati» l'incitò, sperando nell'utopia che la fine di Ares sarebbe potuta essere risparmiata. Avrebbe voluto concedergli tempo, trovare un modo per liberarsi, uno spiraglio di luce.
    Per un momento la sua mente si volse a loro da ragazzini, ridere in una delle tante turchesi spiagge della loro Grecia.
    Per un momento, la gola di Athena si strinse d'un'amarezza così tesa ed incredibilmente triste da ferirla. Rimpianse tutto ciò che non aveva osato dire od ammettere a se stessa sino a quel momento, ogni verità celata a favore d'un'illusoria sicurezza.
    La verità era che era sempre stata una vigliacca e non avrebbero potuto ammetterlo altri se non lei.
    Alle sue spalle, l'ombra armata si allungò e lei capì fosse arrivato anche il suo momento.
    La mano che vide avvicinarsi era giovane, d'un ragazzo forse non più grande di suo fratello Lander.
    Athena espirò e scosse piano il capo, scrollando quell'abissale tristezza di dosso ed ammettendo sconfitta forse per la prima volta nella sua vita.
    Incapace di parlare, la giudice raddrizzò le spalle e sollevò il mento, aggrappandosi solo al suo inespugnabile orgoglio per non crollare e non concedere ad alcuno il privilegio di vederla sgretolarsi preda d'un doloroso rimorso.
    Il suo pensiero volò a suo padre che tanto amava, ai suoi fratelli e sorelle, a Telathe e la sua vita sottratta prematuramente.
    Ogni affetto ch'ella avesse mai avuto parve salutarla un'ultima volta, concedendole addii invisibili ch'ella serbò nel suo cuore pressoché inaccessibile.
    Volse lo sguardo ad Ares. I suoi intensi occhi di ghiaccio s'incatenarono a quelli di lui ed al mare velato di raggi albeggianti alle sue spalle.
    Gli concesse riconoscenza senza parole per averla riportata indietro nel tempo con la sua presenza ed il suo calore, per averle donato un po' della sua libertà ed impeto. Gli concesse di scorgere un affetto che forse non sarebbe riuscita ad esprimere apertamente, fredda e fiera come sempre mentre sentiva la lama premere contro la pelle.
    Abbracciando il proprio destino, Athena ci mise un istante ad acclimatarsi al caos che seguì.
    Sentì uno scricchiolio, parole arcane dell'Unico ed un roboare di tuono.
    Il cielo ed il mare, la sabbia e la terra si schiusero come crisalidi e serpeggianti radici invasero la spiaggia. La sfera di contenimento non vacillò ma il resto, attorno a sé, tremò come se Poseidone stesso avesse parlato.
    La figura di Sykdom si lacerò di luce ed il resto divenne buio. Una delle sue forti mani toccò la radice di un albero immenso, alieno, inebriandosi di una nuova ed inaspettata fonte di potere.
    Quello bastò.
    Athena capì ben presto di riuscire a muoversi di nuovo, approfittando della distrazione dell'Unico sul campo di battaglia.
    Da essere un'esecuzione era divenuta una guerra e ciò la rese paradossalmente più in pace con se stessa.
    Sapeva cosa avrebbe potuto fare.
    L'istinto le diceva di correre ai ripari, l'animo di lottare. Si avvicinò a Vilhelm, tirandogli con inconscia eleganza la maglia che indossava.
    «Su, puoi muoverti» lo spinse Athena, voltandosi poi rapidamente verso la giovane donna dagli occhi chiari che aveva intravisto su quel patibolo improvvisato.
    «Corri, cerca un riparo» l'incitò con coraggio e mosse la propria attenzione ad Ares. Fu giusto sul punto di afferrarne la mano per riorganizzarsi con lui quando di colpo tutto divenne bianco.
    Athena si ritrovò fuori dal tempo e dallo spazio, baciata da una coltre nebbiosa di brina e rugiada.
    Guardinga, aguzzò le orecchie per ascoltare un qualsiasi segno di vita o della battaglia che era in procinto d'imperversare sulla spiaggia da lì a poco.
    Una sagoma si fece avanti: un uomo dagli occhi lattei, la pelle aurea come la sabbia della sua Grecia ed uno splendore inumano che lei non aveva mai visto.
    Irradiò densa calma ed autoritaria fermezza quando si mosse verso di lei, privo di vesti od una fisionomia precisa. Sebbene chiaramente cieco, egli riuscì a scorgere Athena con una profondità che lei stessa non aveva mai sperimentato su di sé.
    Si sentì posta sotto un'analisi che custodiva discriminanti segrete.
    Quell'entità dalla potenza pressoché ultraterrena era un Giudice.
    Pesante eppure incorporea, una bilancia sostava fra le dita della creatura.
    Athena comprese di non essere in pericolo o, in qualche modo, il messaggio le giunse anche se l'uomo non schiuse mai le labbra d'oro.
    «Dove sono?» domandò Astra, cauta, mentre quell'entità si mosse verso di lei con la stessa sicurezza e maestà di un dio.
    Le giunse vicina tanto ch'ella avrebbe potuto specchiarsi nei suoi occhi bianchi e splendenti come perle.
    A Besaid, Athena Drakos le comunicò la creatura, in greco e dritto nella sua mente prima di posare la propria mano su uno dei due dischi l'ossidiana della bilancia.
    Colta dal medesimo istinto o spinta da una grazia superiore, Athena imitò l'entità al suo fianco.
    Posò la mano destra sul freddo piatto della bilancia e, d'un tratto, una sensazione di profondo, viscerale sollievo l'avvolse.
    Capì essere.. Equilibrio.
    Il suo respiro cominciò a divenire più regolare, il cuore si rinforzò e ralletò progressivo ad ogni battito.
    Il terrore cessò e Dovere, Coraggio, Robustezza si scolpirono nel suo animo severo ed intransigente.
    Athena pensò per un istante d'aver ancora avuto gli occhi chiusi ma l'oscurità la stava avvolgendo completamente anche quand'ebbe ripreso coscienza di sé e dei suoi spazi, gelido velo celeste che le penetrò persino le ossa.
    Anche allora sentì quella presenza al suo fianco, aurea e scalfita dall'oscurità, seguirla con la stessa severa premura dello sguardo d'un padre su una figlia.
    Capì d'essere stata scelta, che quella voce neutra e fredda era stata Vocazione e parte di sé.
    Cosmica, infinita, abissale, potentissma, le aveva concesso un'opportunità.
    Riportata alla realtà, Athena tornò a respirare salsedine e fuoco, udire rumori di battaglia e la risata crepitante dell'Unico ora distante da lei.
    Rintracciò Ares in una posizione diversa ancor prima ch'egli avesse potuto valicarla. Jonah, il curatore Evjen, Vilhelm, Lars, il giovane che aveva avuto il compito di ucciderla, Sybilla.
    Non riusciva a vederli ma percepiva le loro scie vitali splendenti e multicolore come comete in un universo accessibile soltanto da lei.
    Sebbene incapace di scorgersi, priva d'uno sguardo paragonabile a quello d'un qualsiasi altro essere umano, Athena ritornò alla vita, a Besaid, con un manto d'ombra a lambirne il corpo asciutto e gli occhi chiarissimi divenuti cristallo. Puro, iridescente, così luminoso da essere quasi impossibile da scrutare troppo a lungo.
    Ad ogni passo fumo tenebroso e denso le baciava le caviglie, lambiva la sabbia, muovendosi attorno a lei come lingua d'un fuoco primordiale ed oscuro. Si toccò fugacemente le punte delle dita, riscoprendole coperte di brina ghiacciata così come il suo respiro.
    Dopo la distruzione del lutto d'un amore perduto in fanciullezza, essere stata dilaniata da colpe inespiabili, essere rinata oltre il trauma e la paura, Athena era divenuta qualcos'altro: aliena, potente, abbracciata da un nuovo dono in quella città prodigiosa.
    Era stata graziata dalle ombre ed era, finalmente, divenuta quell'Inverno che era sempre stata.
    Così la giudice si guardò attorno, quello sguardo paterno sempre vivo in sé, e cominciò a tessere una tela nuova.
    Ombre e brina ghiacciata formarono una trama sottilissima di trappole che cominciarono a scattare non appena ondate di opponenti presero ad infrangersi contro di lei.
    S'impose di non ucciderli se non quando strettamente necessario, spianando la strada ai suoi compagni con l'unico intento di sfoltire le fila nemiche.
    Scorse Naavke e la sua torreggiante, tenebrosa presenza muoversi con potere immenso verso Vilhelm e tentò di fermarne l'avanzata. Meteore di Notte e Gelo s'infransero come una pioggia inesorabile di stelle cadenti al terreno, logorando il campo di battaglia e cambiandone vagamente la conformazione sulla battigia.
    Grazie ai crateri formatisi, Athena fornì riparo ad i suoi per avanzare ed una nuova occasione di ribattere mentre parava colpi e ne scoccava altri con precisione, dardi di gelo ed ocurità così perfettamente incatenati da sembrare gemme di costellazioni perdute.
    Fu allora che sentì il proprio corpo martellare di dolore ad un fianco. Gemette portandosi d'istinto una mano gelata allo squarcio che le scoprì pelle e sangue, senza sapere chi fosse stato il fautore dell'attacco i quel caos inimmaginabile.
    Ringhiò sommessa a causa del pulsare incessante della ferita ch'ebbe collezionato, muovendosi sul campo di battaglia così da avere chiara visuale su Ares e Jonah alle sue spalle.
    Si lasciò ammantare dalle ombre come uno scudo alle sue spalle ed attese il momento opportuno per proteggere il suo amante. Le dita s'intrecciarono in un filo d'ombra, poi un altro ed allo stesso tempo gemme di brina vi si arrampicarono su, formando una marionetta intessuta di tenebra ed inverno nelle sue mani sottili.
    Parve così piccola, se non fosse che una nuova Thyelas, possente e regale, si era appena formata sulla sabbia, al suo fianco, e stava già correndo poderosa verso i due uomini. Le dita di Athena la tenevano in vita grazie alla marionetta, quantomeno per una manciata di secondi sufficienti a concedere ad Ares un po' di respiro.
    La sua grifone brillava, le ali di ghiaccio e buio spettrale, piuma dopo piuma intrecciate di stelle.
    L'animale, mosso da Athena e la sua scaltrezza in lontananza, cominciò a mietere vittime tanto da sfrondare le fila dell'avversario anche su quel fronte.
    Altri attacchi le giunsero ai lati, alle spalle e mantenere la concentrazione su quell'essere meraviglioso per più di qualche minuto le fu impossibile.
    Athena lo mise in conto troppo tardi.
    «NO!» gridò, tentando di avvicinarsi quando un nuovo urto la colpì nella mischia di quel caos arcano.
    Morendo per una seconda volta, Thyelas si frantumò in mille proiettili di ghiaccio che investirono senza pietà chiunque si fosse trovato nei suoi paraggi.
    Ares, Jonah inddubiamente e chissà chi altri.
    La giudice sputò sangue e volse gli occhi inumani e brillanti ai seguaci di Sykdom: che fosse stato lui stesso ad infliggerle quella serie di colpi, uno dei suoi neofiti fra cui il giovane uomo che aveva avuto il compito di ucciderla dapprincipio od Evjen, lei non riuscì ad intuisco con immediatezza.
    Fatto sta che la ferocia che provò in quel momento le dilaniò l'animo più d'ogni altra ferita avesse potuto subire.

    Edited by Annie` - 23/6/2023, 07:07
     
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    Non poteva dire di essere pronto a morire. Ma non aveva rimpianti.
    Aveva vissuto ogni giorno della sua vita facendo esattamente quello che pensava fosse meglio per sé, e in fondo anche se non lo voleva dare a vedere, anche per gli altri. Non era stata una persona cattiva, era stato sì un uomo saccente, altamente irritante, estremamente pignolo. Quello che aveva imparato in quella vita poteva riempirne almeno altre tre passate invece mediocremente a far molto poco, perciò non poteva arrivare a quel momento in ginocchio senza pensare cosa avesse fatto fino ad allora, e a valutarsi in maniera obiettiva sulla strada compiuta o a dove le sue scelte di percorso lo avessero portato.
    La determinazione che lo aveva spinto a schierarsi dalla parte dei giusti lo aveva condotto alla scelta inconsapevole, eppure molto probabile in prospettiva non ravvicinata, del sacrificio. Non aveva mai pensato che sarebbe morto per fare l'eroe, men che meno che potesse essere creduto tale. Era comunque un pensiero gentile che sfiorava quella consapevolezza di fronte alla tragedia imminente che si sarebbe compiuta.
    Non sapeva se le persone che avevano raggiunto l'Unico, come si faceva chiamare lui, avessero pensato invece di potersi mai trasformare in boia, per aver seguito un sì dettato sicuramente con l'idea di potersi salvare la pelle.
    Accadde tutto proprio come gli era stato descritto dalle persone che era riuscito a raggiungere nelle sue interviste, negli scoop tenuti al sicuro a debita distanza da altre testate o dalla polizia, coloro che avevano vissuto le esperienze in linea diretta alla festa di fondazione nell'anno prima. Lars chiuse gli occhi pensando razionalmente a come uscire da quella situazione, l'unica arma che aveva in mano era andata ovviamente perduta, ma sapeva che non avrebbe potuto farci affidamento in più di qualche punto di probabilità che la fortuna potesse avere la meglio su di lui. Puntò gli occhi su Dominik, l'Unico, o chi diavolo fosse per lui, si fece forza nel momento più disastroso che potesse immaginare chiedendo a se stesso quale fosse una via di fuga che potesse vedere, come potesse fare per potersi tirare fuori da quella situazione.
    Non ne vedeva. Imbrigliato come era faceva perfino fatica a vedere chi fosse assieme a lui: Sam, che aveva trascinato maledettamente a quella serata che sapeva fosse dannata in partenza, e le altre persone che avevano dichiarato di non volersi associare alle ire megalomane di un folle che si riteneva potente di poter decidere vita o morte sugli altri, di poter racchiudere tutte le particolarità e il potere e le unicità della loro città in lui. Le guardò, ci guardò per poco, con un piccolo ritaglio del suo campo visivo, cercando di comprendere le vite di ognuno di loro e immaginando come avessero fatto ad arrivare fino a lì, e perché avevano compiuto quegli stessi passi che avevano sistematicamente condotto lui lì. Aveva voluto pensare di trovare nel supporto dei suoi concittadini quel momento di appiglio per poter, insieme, sbaragliare un nemico che non avevano conosciuto fino ad allora. Il fatto che Lars stesse continuando a trovare una spiegazione logica a quello che era accaduto era già un grande e gigantesco segnale di allarme al momento che si spiegava di fronte a lui, dato che, alla fine, molto razionale quello che era accaduto, proprio non era.
    Gli sarebbe piaciuto trovare quella piccola parentesi di serenità che gli consentisse allora di dire addio a tutte le persone a cui non poteva farlo. Guardò Sam, ricordando la loro prima intervista, e il fatto che l'avesse ritenuta infinitamente ingenua e che ingenuo era stato lui ad inquadrarla senza conoscerla, e in quel momento cercò di dirsi, di guardarsi in quella prospettiva lontanissima, come se non fosse più lui, che aveva fatto bene nel dire no, che non avrebbe potuto accettare qualsiasi epilogo della storia che non avrebbe mai conosciuto.
    Salutò nella sua mente la sua sorella impiastra, i suoi amici di una vita, i suoi amori perduti, gli amori non corrisposti, i nemici che gli avevano dato filo da torcere. Poteva salutare quell'ultima pagina voltando il capitolo per dichiararne la fine.
    Vide avvicinarsi Naavke Evjen a lui, una lama nelle mani come se sapesse come usarla, cosa che a quel punto non dubitava e né escludeva, ma volle chiudere gli occhi perché non aveva voglia di vedere lui nella sua mente come ultima immagine di cosa conosciuta a quel mondo. Sorrise, pensando ricordi confusi di quelle storie irrealizzabili che non aveva potuto vivere, che non aveva potuto scrivere.
    E poi il buio.


    ---


    Quando riaprì gli occhi a Lars parve passato un tempo infinitamente lungo nel silenzio più totale. Ci mise un pò di tempo ad inquadrare e mettere a fuoco l'ambiente circostante.
    La prima cosa che balzò alla mente fu un immagine che gli parve molto simile ai vetri del suo ufficio nella stanza alla redazione del giornale, al primo piano, l'affaccio al cortile interno nella zona est limitrofa al centro di Besaid. Si voltò attorno, cercando cose conosciute in quel luogo che tutto gli comunicava fosse simile a ciò che conosceva e che allo stesso tempo era molto diverso dai contorni ricordati della sede. Non sapeva dove fosse, ma seppe subito che era dove doveva essere. E sapendo cosa potesse aspettarsi si guardò attorno finché non posò gli occhi sul viso di una bambina, seduta alla sedia della scrivania che sembrava proprio simulare la scrivania dove aveva intessuto le storie alla redazione ogni giorno ogni notte che toccasse lui lavorare. Sbatté gli occhi, Lars fece lo stesso, lo stesso gesto incontrollato che faceva quando voleva rispondere qualcosa e doveva invece tacere per non soverchiare completamente l'interlocutore con cui si ritrovava ad interagire, lei sorrise lui, e Lars invece ammutolì sapendo già cosa sarebbe accaduto, e chi fosse la bambina con gli occhi identici ai suoi, vestita in una felpa grigia ridicolosamente grande per lei, i capelli castani intrecciati e legati ai lati del capo. Non disse nulla, indicò la scrivania bianca e scrisse con la punta del suo dito, e dal suo indice non venne fuori inchiostro, non venne fuori nulla di terribile, una luce bianca più bianca della sua scrivania che tracciò una punta luminosa che andò a indicare i contorni di ciò che Lars sapeva e quello che ancora non conosceva, e con essa continuò, sollevò lo sguardo e lo riposizionò sulla scrivania. Posò entrambi i palmi delle mani su di essa e una miriade di fasci luminosi si liberarono da essi andando a tracciare su tutti i confini e i contorni della stanza, del vetro alla finestra, del pavimento e dei vestiti che indossava Lars una serie infinita di parole che si intrecciarono come radici nel sottosuolo che sanno sempre esattamente dove andare e dove attingere quello che è necessario alla loro sopravvivenza.
    Lars richiuse gli occhi quando il riflesso divenne accecante e fu sommerso da essa. Ma gli fu impossibile oscurare in qualsiasi modo quello che aveva visto.
    E poi la luce.


    ---


    fe7e0086805e0aca5f558b194f62aecd4623e662

    Always remember the burning embers
    I vowed not to fight anymore
    If we survived the Great War

    Non erano mai andati perduti. Nessuno di loro.
    Lars ritornò al centro della battaglia, libero dagli incanti che lo avevano tenuto stretto, privo di qualsiasi costrizione, l'irrazionale aveva vinto su tutto quello che non aveva potuto comprendere con la logica. Riconobbe accanto a lui tutte le persone che avevano scelto di tenere fede al proprio cuore, di schierarsi dalla parte della propria città, e che la città aveva tenuto in considerazione regalando loro quello che non avevano potuto immaginare in nessun modo, nuovi e più potenti poteri che potessero dare loro armi per contrastare l'accaduto. C'erano tutti lì, ma proprio tutti, e anche i loro avversari allo stesso modo erano stati dotati di armi con cui lottare.
    Poiché Lars era Lars, e Besaid lo sapeva, le sue parole divennero le sue armi e allora Lars cominciò a raccontare. Grazie agli incanti di Athena si posizionò all'interno del cratere che la donna aveva ricreato con il suo potere e poiché non aveva modo di farsi scudo fisicamente attraverso essi coordinò la resistenza mandando efficaci segnali telepatici, adesso che era in grado di entrare nelle menti di ciascuno, ad ognuno dei componenti della sua squadra, affinché ognuno di loro sapesse esattamente quale fosse il punto debole dell'avversario che stavano attaccando, chiedendo loro di raggiungere efficacemente la persona con cui avevano maggiori possibilità di vittoria, per limitare i danni e le ferite che avrebbero riscontrato, con l'obiettivo di poter sbaragliarli e raggiungere l'Unico. Conobbe in quel momento tutte le persone che non aveva mai incontrato nella sua vita fino ad allora, e seppe intimamente con la saggezza acquisita cosa dover fare con ognuno di essi. E così come chi manipolava gli elementi come Jonah o Poison, poteva essere sbaragliato da un elemento contrapposto efficace per essere contrastato, così come poteva essere aggirabile il potere di Naavke per poter far diventare il cacciatore preda, così sapeva che lui avrebbe dovuto affrontare Nikolaj, che già invece nella sua vita aveva ben conosciuto e che contendeva con lui il potere di parlare direttamente alle menti e manipolare la propria visione. Così come Niko era stato il burattinaio e Lars aveva avuto il potere della persuasione fino a prima dell'intervento dell'Yggdrasil e di quella sera di luna nuova, intessero una battaglia su un livello diverso sapendo che nessuno dei due potesse prevalere e che dovesse sacrificarsi.
    Lars fu portato in un territorio nuovo e rincorse Niko trascinandolo con lui, in una proiezione mentale dove la mente di entrambi aveva viaggiato velocissima e Lars puntò sul punto debole più grande e terribile di Nikolaj, raccontandogli la storia che sapeva era sempre stata in lui e che non avrebbe mai potuto sapere del gemello che aveva perduto, Jakob, e della vita che avrebbe vissuto se fosse stato al suo posto a sopravvivere. Che di tutte le cose che avrebbe creato Jakob avrebbe avuto l'amore, la cura, la dedizione, la gentilezza del pensare al contrario, e che alla fine, anche Aleksej, il loro nonno, sarebbe stato orgoglioso di quello che avrebbe costruito, nel lasciare il suo impero al gemello giusto. Quello che non era morto. Era Nikolaj che era sparito al suo posto.
    Ma anche Lars fu costretto a seguire la manipolazione di Niko, e in quello scontro nonostante fosse rimasto al sicuro nel cratere di Athena la sua mente andò perduta, e nel raccontare quella storia a Niko, anche lui lontano al di là dello scontro tra gli altri contendenti con poteri distruttivi, si scontrarono e si persero, a nulla valse l'assistenza di Sam che appena ebbe potuto si avvicinò a Lars per cercare di curarlo.
    Lars non vide che l'Unico era caduto a terra, ancora rinchiuso nella manipolazione di Nikolaj perse i sensi, perse i ricordi, non riuscì a parlare ad alta voce e guardò Sam senza vederla, bisbigliò ricadendo al suolo, senza parole nella sua mente, dopo aver detto tantissimo e aver raccontato a tutti quello che ebbe potuto improvvisamente il suo nuovo potere lo lasciò, e la saggezza e l'eterna conoscenza di Saga lo abbandonò.
    Sarebbe tornato infine in lui?
     
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    Rivedremo Nikolaj nel prossimo turno, oggi proseguiamo con Jonah.
    Buon divertimento!

     
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37 replies since 25/5/2023, 20:33   1730 views
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