Quest V : Sykdom Apocalypse

Quest nr. 5 | Besaid

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    ARES MALEROS
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    “Ehi idiota, guarda un po’ dove vai!”.
    Il capo di Ares Maleros si incurvò leggermente di lato nel sentire quell’esclamazione da parte di uno dei passanti, subito dopo che questo gli ebbe urtato prepotentemente la spalla con un braccio.
    Abbassò lo sguardo nella direzione del proprio petto, fasciato da una semplice t-shirt nera, non esattamente un capolavoro di colori e sfumature da spiaggia, e le sue labbra si incurvarono in una smorfia irritata nel notare la macchia umida causata dal liquido spillato dal bicchiere del suo interlocutore.
    Quest’ultimo continuò a imprecargli contro per qualche minuto, probabilmente troppo ubriaco per rendersi conto che il greco lo superava in altezza di almeno venti centimetri e aveva delle braccia grandi quasi quanto la sua testa.
    Anche senza utilizzare la sua particolarità, il potere che aveva acquisito al suo arrivo in quella strana e peculiare cittadina, Ares aveva un’aria imponente, autoritaria, e ben presto anche quel ragazzo se ne sarebbe reso conto.
    « O forse tu dovresti bere quanto puoi reggere, coglione » soffiò inferocito Maleros, la sua espressione più minacciosa stampata in volto mentre squadrava dall’alto in basso il suo opponente. Gracilino, sicuramente più giovane di lui, un alone di codardia nascosto dietro la sua facciata di prepotenza derivata dall’abuso di alcol: tutto fumo e niente arrosto, come molti altri che Ares aveva conosciuto e che si era divertito a rimettere apposto a modo suo.
    Era pronto a lanciarsi in una sana e agognata rissa, giusto per movimentare un po’ le cose e dare un senso all’atmosfera vichinga che permeava l’aria, quando i bisbigli di altre persone gli giunsero alle orecchie.
    ” Oh cazzo, ma quella è… la giudice Drakos? Porca puttana, ehi bro, girati, girati cazzo, non guardarla… Ma che cazzo ti indichi con il dito, vieni giù! ” uno dei ragazzi lì vicino, probabilmente arrivato lì insieme a colui che aveva rovesciato il suo drink addosso ad Ares, si accucciò improvvisamente per terra, barcollando a causa di chissà cosa si era fumato e cercando di affondare la testa nella sabbia — e non in maniera metaforica, ma piuttosto letterale. La stava quasi mangiando.
    ” La Drakos? Quella che ti ha messo ai domiciliari? “ chiese un altro, abbassandosi vicino all’amico e lanciando qualche rapida occhiata nella direzione della donna.
    Uno sbuffo divertito abbandonò le labbra di Ares nell’origliare quella conversazione, tuttavia i suoi occhi vennero immediatamente calamitati nella direzione della donna che negli ultimi tempi aveva completamente invaso i suoi pensieri.
    Passare una notte di passione insieme a lei non era stata la migliore delle sue decisioni, e ciò era tutto dire visto che Ares poteva vantare un immenso ventaglio di cattive decisioni, eppure il greco non riusciva proprio a pentirsene. Forse una parte di sé l’aveva sempre voluta, fin da quando erano giovani, e adesso che l’aveva avuta era incredibilmente difficile trattenersi dal volerne ancora, di più, nonostante vivessero in due mondi completamente opposti, paralleli.
    Prima ancora di rendersi conto di ciò che stava facendo, i suoi piedi si ritrovarono a muoversi nella direzione di Athena Drakos…
    E poi il caos si scatenò sulla spiaggia.
    Una barriera verdognola si innalzò attorno alla spiaggia, intrappolando i festanti in una circonferenza piuttosto ridotta e Ares poté avvertire una strana sensazione di debolezza, uno sgonfiarsi della forza racchiusa nella propria essenza più profonda: la sua particolarità era scomparsa.
    Figure incappucciate di nero spuntarono dal nulla, all’apparenza partoriti dalle stesse ombre della notte, e quando un uomo si erse al centro di tutto e iniziò a parlare, Ares ebbe una strana sensazione di déjà-vu.
    Durante una delle sue missioni come mercenario, quando era stato assoldato per una spedizione nella Foresta Amazzonica alla ricerca di un antico manufatto che si supponeva potesse donare l’immortalità, Ares si era ritrovato ad ascoltare un discorso molto simile a quello: a cosa servivano lo status, il denaro, persino la salute, quando non si aveva il vero e proprio potere?
    Lazarevic era stato pronto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo e, nel momento in cui aveva puntato la pistola contro uno dei suoi stessi uomini in preda alla convinzione che un qualche rituale di sangue fosse necessario a proseguire nella sua folle missione, Ares aveva capito che quell’uomo gli avrebbe fruttato più grane che denaro — e gli aveva ficcato una pallottola nel cervello.
    ”Ti unirai alla causa?”.
    ”Sei uno spostato”.

    Ares rimase a guardare mentre quel povero ragazzo si tramutava in cenere sotto i suoi occhi e dentro di sé si fece largo la convinzione che quella domanda fosse mera formalità, un inganno, l’illusione di una scelta: se non in preda alle fiamme, sarebbero morti più tardi, in una macabra unione con colui che stava parlando di salvezza e predestinazione.
    Il greco non aveva mai disdegnato il caos, ma amava esserne fautore e non vittima.
    ”Ti unirai alla causa?” Una sfilza di facce familiari cominciò a sfilare davanti ai suoi occhi, uomini che Ares aveva visto per la prima volta tra i banchi dell’università di Besaid e che adesso si stavano lasciando avvolgere in quell’abbraccio oscuro, pronti a cadere nel baratro.
    Avrebbe riso, Ares, se non fosse stato per la drammaticità della situazione. Coloro che tanto si erano affannati per cercare di catturare quell’uomo, adesso si stavano piegando al suo volere in uno schioccare di dita.
    Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Jonah, frequentatore assiduo della sua palestra, Ares non si stupì più di tanto nel sentirlo pronunciare parole di consenso.
    Paura, terrore, glielo si poteva leggere negli occhi.
    Ares continuò la sua avanzata verso Athena, silenzioso e rapido, ed esaminò rapidamente il suo viso nel tentativo di capire se si fosse ripresa da quel malessere che l’aveva colta nel momento in cui i poteri di tutti erano stati risucchiati via.
    Per ciò che riguardava la sua risposta alla domanda dell’uomo, Ares sapeva già cosa avrebbe risposto, ancora prima che ella potesse aprire bocca.
    No, non si sarebbe piegata, e neanche lui l’avrebbe fatto.
    L’una a servizio della giustizia, l’altro a servizio di una più anarchica libertà.
    La mano di Ares scivolò dietro la schiena, sotto il tessuto della maglietta dalla quale si poteva intravedere il calcio di una pistola semiautomatica: nonostante in Norvegia non si potesse circolare liberamente con le armi come negli Stati Uniti, Ares usciva raramente disarmato, soprattutto quando si immergeva in ambienti e raduni “criminali” come quello.
    ”No” pronunciò Atena, fiera e impavida come al solito, e in quel momento Ares decise di tirare un calcio ad un tavolino di legno nelle vicinanze, rovesciando bottiglie di birra e piattini di carta arrangiati che vi erano posati sopra.
    Si accovacciò per nascondersi completamente dietro il legno, soltanto le braccia a spuntare sul davanti mentre puntava la pistola contro quell’uomo.
    Sapeva che un tavolino non avrebbe certo fatto molto contro una palla di fuoco, ma se poteva offrire anche solo un minimo di protezione ad Athena, lo avrebbe fatto.
    « Mi dispiace, figlio di puttana, ma non sei proprio il mio tipo… Chiedilo a tua madre di diventare un tutt’uno con te ».
     
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