Quest V : Sykdom Apocalypse

Quest nr. 5 | Besaid

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  1. wanderer.
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    Sarebbe stato lì. Lo aveva deciso già dal primo momento in cui aveva ricoperto quella storia, la prima pagina di giornale che aveva scritto che recitava le parole di un male che non si conosceva, e lui si approcciava inclemente ed incerto in un territorio mai esplorato, qualcosa di mai scritto, timoroso che avesse il potere di spiazzare le menti più sapienti indirizzando un tema complicato, perché terribilmente sconosciuto a tutti. La ricezione agli articoli sul Sykdom al loro inizio era stata sofferta, temuta, aspettata, come solo chi si avvicinava ad un nuovo lavoro, un incarico mai toccato prima, poteva percepire, il peso psicologico dell'informazione da consegnare, e la bellezza di qualcosa vissuto per la prima indimenticabile volta, di aver avuto paura di cadere nel baratro dell'ignoranza piuttosto che raggiungere la vetta, senza aver prima imparato sapientemente a scalare la montagna di conoscenza. Lars così si approcciava, stoicamente, eppure senza sapere nulla a riguardo, a qualcosa di immancabilmente nuovo, e per quanto devastante per il suo animo fosse coprire pagine e pagine di articoli e doverosi resoconti di cronaca, che non poteva verificare con la dovizia che era riconosciuta ai suoi compiti, così nel suo intimo si riscopriva interessato a percepire qualcosa di mai davvero sentito così forte come allora. Il peso della verità aveva toccato la sua vita da sempre, da quando aveva scoperto di avere il potere di chiedere agli altri con gentilezza, senza pretendere con forza, di poter sapere qualunque cosa purché fosse reale, nulla di grigio tra le parole di chi riversava la propria fiducia trascinato dal potere di Lars a raccontare lui ogni cosa, solo bianco o nero, e nulla in bilico tra di essi che non potesse essere davvero trasparente. Così, anche a confronto della più vera delle verità che Lars aveva chiesto e bramato quando utilizzava il suo potere, allora in quella sera si manifestava in tutta la sua interezza qualcosa che per mesi non aveva saputo mai che a lui fosse interessato, ma così era sempre stato. La verità dietro il perché le loro particolarità esistessero e il culmine stesso dell'essenza della loro cittadina lo colpì appieno quando era arrivato a quell'ultima pagina, e si era reso conto che non avrebbe potuto esimersi dal procedere. Lars doveva sapere.
    L'ultima pagina era stata voltata, prima di scorgere quale fosse la fine della storia.
    E l'ultimo atto si compiva in quella serata antica quanto il mondo.


    ---


    Non era la prima notte del capodanno Besaidiano a cui partecipava. Sempre calmo e rassicurante sembrava per lui il passaggio del giorno alla notte, lo sfilare dei carri festivi, la preparazione degli abiti nordici, lo sfoderare di armi non affilate, gli equipaggiamenti tribali, segno di appartenenza ad una stirpe lontana, del sangue che scorreva in ognuno degli abitanti originari di Besaid, e l'aria di festa, il fermento e la ribellione, la voglia di riprendersi, di riappropriarsi di ciò che era andato perduto, la propria libertà e la voglia di trovare il tempo per sé, lo spirito di affiliazione che faceva sentire tutti in cuor loro come se gli altri fossero propri fratelli, e ognuno parte di qualcuno.
    Sapeva bene quanto tempo era passato dall'ultima sera in cui aveva scoperto che molte delle informazioni che gli erano state recapitate, e quelle che aveva cercato e perseguito a fatica, erano state confermate e si erano rivelate veritiere, e allo stesso modo, quante di molte di quelle che erano state sue certezze erano andate confuse, perdute.
    Tanto tempo prima, non sapendo cosa dover perseguire, la stampa stessa aveva deciso eccezionalmente di chiamare ciò che non conosceva con il nome di malattia, e l'ipotesi che un virus potesse colpire le persone dotate di particolarità non sembrò tanto eccezionale, ma quasi un concetto estretamente primitivo, perché classificabile come normale: i popoli di ogni dove erano stati decimati e rimpolpati nei loro numeri a seguito di grandi epidemie, che derivavano da situazioni e criteri estremamente diversi, ma pur sempre erano stati quelli che avevano portato al numero di abitanti complessivi sulla terra, assieme all'operato spregiudicato dell'essere umano che si era decimato da solo con la violenza. Così quando le informazioni che avevano raccolto erano diventate ovvie agli occhi di chi poteva anche attribuire che non potesse essere vero, proprio perché evidentemente normale, Lars aveva sentito di aver fallito. Aveva giurato sulla propria professione che non avrebbe mai detto una bugia, che sarebbe sempre stato dalla parte della verità. Il fatto di aver dichiarato e firmato con il suo nome che un virus avesse potuto scombussolare l'ordine delle cose quando invece la colpa ultima del malessere che li aveva colpiti era stata scatenata da un uomo comune e dai suoi seguaci gli aveva fatto mangiare la sua stessa bile. Erano mesi che se ne sentiva disgustato, ma su una cosa il governo aveva avuto ragione: l'idea che fosse una malattia la causa dietro tutti quegli eventi insoliti aveva calmato, inutile a dirlo, l'ordine generale, placato le menti e gli istinti folli, recuperato tutte le persone che potevano pensare di dover soffrire, sì, di un malessere più o meno grave, ma che i brillanti medici dei reparti d'emergenza dell'ospedale di Besaid assieme al lavoro delle equipe chiamate dal governo avrebbero potuto risolvere, studiando con attenzione come fare per riportare la situazione alla normalità. Tutti erano stati d'accordo affinché il concetto che fosse un uomo con la propria particolarità il responsabile di ogni cosa venisse nascosto, sepolto, archiviato, e Lars aveva firmato con la piena facoltà di intendere e di volere, seppur arrabbiato e come sempre particolarmente segnato dal brontolio del suo farneticare, una deliberatoria in cui affermava di aver dovuto eseguire l'operato di qualcuno di più grande di lui nel rilasciare una informazione non esatta. D'altronde era questo a cui si era ridotto: la stampa libera doveva valere come cardine e fondamento dei suoi princìpi, ma in favore di un bene più grande, quel suo grande desiderio poteva essere ristretto, proprio per il bene superiore?
    Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli, che aveva fatto crescere, lunghi sotto le orecchie, scarmigliati, un'immagine molto diversa dal Lars che aveva conosciuto lui stesso tutta una vita, sempre con i capelli corti dritti e ordinati, pettinati, l'unica ribellione nella sua immagine rappresentata dal ciuffo di capelli in una frangia disordinata - adesso la fronte era ben visibile, i capelli portati all'indietro. Si era vestito molto diversamente dal solito, camicia di jeans, pantaloni scuri e sneakers bianche, eppure non aveva dimenticato la sua attenzione ai dettagli, la precisione non lo aveva ancora affatto abbandonato, seppur qualcosa trapelasse da quella scelta di non curare l'estetica come aveva fatto fino a quell'anno di vita compiuto, in virtù del grande cambiamento che gli era capitato e che aveva cambiato davvero tutto di lui: la sua percezione sull'etica lavorativa, così come la vita sentimentale e la storia d'amore che aveva concluso, aveva definitivamente lasciato un capitolo di vita conosciuto dietro di sé, difficilmente Lars sarebbe tornato indietro. Quella sera comunque era fondamentale che non venisse riconosciuto, e non avrebbe ceduto a conformarsi a nessuna immagine personale a cui si era saldamente ancorato fino ad allora.
    Era uscito dall'auto, sempre la sua inconfondibile Carrera bianca sull'asfalto che limitava la fine della strada percorribile dalle auto all'ingresso della zona pedonale, lì dove cominciava il percorso non più scandito dai soliti chioschi che aveva conosciuto lungo tutta la sua vita. Anche Besaid cambiava, e quello che era stato da sempre suo conforto quell'anno era diventato un rischio, il proibito, l'illecito. Le persone che passeggiavano velocemente lungo la via andavano in direzione della spiaggia, che era stato il punto ultimo di ritrovo alle feste collettive del passaggio al nuovo anno, e che adesso erano diventate l'unica ribellione possibile per le persone che volevano esserci, dimenticando tutto quello che non era più possibile, perché quell'anno sanciva qualcosa di nuovo e diverso. Alzò gli occhi al cielo terso, non più la luna di sangue a far capolino come l'anno prima, eppure l'aria era carica di quello che Lars sapeva poteva essere solo un'ottima occasione per quel male di manifestarsi, perché non era un presentimento, era così e basta, e tutto puntava a quella notte, nessun sesto senso che tenesse. Qualunque matto che avesse potuto partecipare alla task force che avevano indetto mesi prima nel B-6D sapeva esattamente che quella notte tutto sarebbe accaduto. Lui era lì perché doveva vederlo con i propri occhi, raccontarlo e scriverlo come faceva sempre sul proprio giornale, servitore della verità fino alla fine, pur sapendo che quello che poteva accadere poteva non avere nessun precedente mai visto prima.
    Si infilò il cappello con la visiera sul capo, visiera schiacciata lungo il profilo del naso, occhi bassi per camminare sulla via a passo veloce, con le scarpe comode che potevano permettergli di correre. Aveva pensato a lungo se fosse il caso o no di coinvolgere Samantha in quella notte, eppure, sapeva di non poterla più vedere come la stagista che si era presentata a lui nel primo articolo che le aveva affidato, all'intervista ad un esponente economico in prima linea posto come statista dei maggiori governi europei. Sam era diventata a tutti gli effetti una redattrice, e oltre che sua collega, aveva oramai passato la confidenza che gli permetteva di definirla amica. Tutti gli ultimi articoli di cui si erano occupati avevano anche recitato il suo nome, oltre la riga firmata dal capo redattore, e lui sapeva che non avrebbe potuto esimerla con la scusa che la serata sarebbe stata troppo pericolosa. Avrebbe voluto fortemente includerla in qualsiasi missione che fosse stata meno pericolosa, eppure ci era caduto dentro con tutte le scarpe con lei, impossibile escluderla. Ci erano dentro entrambi.
    La vide lungo il percorso, incontrandola al punto di incontro stabilito e riconoscendo la sua figura tra tutte, un bicchiere in mano, uno che porse a Lars che bevve un unico lungo sorso prima di sbarazzarsi del suo contenitore mentre parlava con Sam senza cercare di farle vedere quanto fosse teso, e smussando con quell'unico sorso la sua preoccupazione, con l'unica razione di alcool che avrebbe saggiato in quella serata. I suoi riflessi non erano quelli di sua sorella Liv, che con la sua particolarità possedeva sicuramente più agilità della sua, eppure si era preparato adeguatamente a non abbassare la guardia un solo istante, gli occhi a scattare da ogni parte nel campo visivo finché non sarebbero arrivati alla spiaggia, punto di incontro ultimo di quella festa vietata alla cittadina a cui sembrava, quasi nessuno aveva voluto rinunciare. Nella tasca interna dei pantaloni, nascosta sotto la giacca lunga di jeans, giaceva la sua pistola, detenuta ovviamente legalmente, che difficilmente avrebbe usato ma che sapeva potesse anche rappresentare un'unica possibilità di far la differenza tra vita e morte per un individuo come lui, che aveva una particolarità psicologica e non poteva manifestare dimostrazioni di particolarità distruttive. «Strada laterale, ho parcheggiato la macchina vicino all'Anthemis, se mi avessero fermato avrei giocato la carta del proprietario.» Rispose a Sam e sorrise a labbra strette, in quel sorriso tipico di Lars appena accennato, non saccente però, che confermava come fosse riuscito a piazzarsi così vicino in direzione dei festeggiamenti, proprio perché aveva lasciato la macchina vicino alla pasticceria storica di sua nonna gestita da sua sorella, e che nessuno avrebbe potuto sbarrargli l'accesso perché sua proprietà.
    Si incamminarono insieme, passo dopo passo, aveva solo annuito quando Sam gli aveva detto di andare più vicino per vedere cosa sarebbe accaduto. Erano giunti sulla sabbia, ed ogni passo cominciò a diventare lento, Lars affondava sulla superficie e si guardava ripetutamente intorno, e solo quando furono nei dintorni della folla più nutrita cominciò a scorgere i visi conosciuti che riconosceva bene, oltre che dei cittadini comuni suoi conoscenti di sempre anche quelli delle persone influenti che erano state chiamate all'università di Besaid, Nikolaj e Naavke, che tanto bene e affatto conosceva da anni, spiccarono in punti diversi della spiaggia, così come gli altri volti che aveva conosciuto recentemente e i nuovi esponenti della società cittadina.
    Sperò fino all'ultimo che la sua fosse soltanto una congettura costruita troppo bene per funzionare, e che nulla sarebbe successo ad un ritrovo così su larga scala come ci si attendeva ma non si sperava ad alta voce, e che come l'ordinanza pubblica aveva sancito solo in pochi si sarebbero spinti lì sulla spiaggia. La voce di Sam lo distrasse dal guardare il profilo che riconobbe essere della giudice Drakos e qualche metro più avanti del professore Losnedahl che aveva parlato durante la notte all'università, e si soffermò sul gruppo di persone incappucciate che lentamente invasero lo spazio circostante e a grandi falcate sulla spiaggia si librarono lì tra di loro.
    Per ultimo vide nel suo campo visivo l'immagine del falò che da sempre si accendeva tradizionalmente sulla sabbia, a troneggiare al centro dell'ambiente dove sorgeva l'ultimo baluardo tra cose conosciute e sconosciute.


    ---


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    Flashes of the battle come back to me in a blur
    All that bloodshed, crimson clover, sweet dream was over
    My hand was the one you reached for
    All throughout the Great War

    Dominik si tolse il cappuccio, e fu immediato il riconoscimento dell'immagine che era stata passata e condivisa dalla dottoressa Greseth Nilsen dell'uomo misterioso, causa e principio di tutto quello che accadde di lì a poco e che da tempo stava preparando la sua missione. Tutti attorno a loro si fermarono, si voltarono, su guardarono intorno, i festeggiamenti furono interrotti bruscamente. Dominik, o quale che fosse il suo vero nome, si mostrò ai cittadini come un suadente, perfido messia, cominciando a spiegare loro quale fosse la differenza tra quel giusto e sbagliato che vedeva lui, e quale fosse il prezzo da pagare per rimanere con lui o restarne fuori. Sam gli strinse la mano, e lui ricambiò la stretta, sentendosi lo stomaco tirare giù lungo il suo corpo, il cuore aumentò le pulsazioni nella concentrazione difficile che provò a forzare in quel momento, combattuto tra il sentimento di umana paura che cominciò a provare, e la sua solita calma da manuale, la stasi che derivava dalla preparazione di ogni passo che faceva, da tutto ciò che compiva. La preparazione era potere, e Lars si era preparato in vista di tutto, anche ricorrendo alle lezioni di tiro al poligono e all'acquisto di un'arma, allo studio di qualcosa che potesse portarlo inesorabilmente in vantaggio. Ma prepararsi quando non sapeva che mano gli sarebbe capitata era stato per lui impossibile.
    Sentì le sue mani fremere, la mano destra scattare in un movimento brusco, un tic dimenticato da tempo, una frenesia che sapeva essere dovuta al culmine di tutto ciò che lo aveva portato a quel momento.
    Se lo disse, se lo ripeté a lungo, guardando l'uomo cominciare ad avanzare sicuro, al centro della folla, chiamando a sé tutti coloro che volevano passare dalla sua parte, in vista di quel futuro migliore che prometteva, dell'uno a cui tutti dovevano convergere, dimenticando ogni cosa e diventando forse un nuovo individuo, forse diventando solo parti di quell'uomo. Ma chi era questo Dominik davvero? A cosa doveva piegarsi rendendosi carne di qualcosa a cui non sentiva appartenenza, proprio come sentiva di appartenere a Sam e a tutti gli altri abitanti di Besaid?
    Le strinse la mano, e quando lei sfuggì alla sua presa cercò di tirarla indietro. «Non andare!» Sibilò a denti stretti, ma Sam si mosse accecata dalla propria rabbia, spinta dalla volontà che sentiva di dover dire la sua. Lars indietreggiò, rendendosi conto di essere stato guardato da Dominik, accanto a Sam, un ragazzo che aveva provato ad esporsi si era dissolto nel nulla lasciando dietro di sé solo l'impronta di una cenere. Che destino avrebbero fatto tutti loro se avessero invece provato a rifiutarsi di raggiungerlo? Si guardò intorno, solo per accorgersi che fiamme verdi alimentavano una barriera verso cui gli altri abitanti di Besaid avevano provato a rivolgersi per oltrepassare, per poi rimanere scossi dall'impossibilità di sfuggire. Se ne accorse, anche lui, che la sua particolarità era svanita, per quanto essa non avesse alcuna manifestazione di nulla che fosse fisico, ma una percezione della mente gli fece intuire che la sua persuasione, la particolarità che era sempre stata sua fin da bambino, era svanita.
    Nel culmine di quel momento tremendo anche i membri del governo cominciarono a palesarsi, puntando armi da fuoco contro la figura, e comparve anche alla sua destra la figura della dottoressa Sibylla. Ci pensò, ci ragionò, in quel momento, valutò quella possibilità che gli si poneva davanti, e quell'etica che aveva messo in discussione in quell'anno arrivò dritta a lui, ferendolo nelle sue convinzioni. Avanzò di due passi, Lars, si sentì spinto da quello che aveva visto, dalle figure che avevano raggiunto Dominik chiedendosi quanto sarebbe valso un sacrificio se avesse scelto la strada che lo avrebbe portato a dire no. Altre persone si esposero e puntarono le proprie armi nei confronti dell'uomo con il viso dipinto di vernice fluorescente, ed in quel momento anche Sam si espose a rispondergli. Le parole dell'uomo risuonarono velocemente nella mente di Lars, in cui quando provò ad immaginarsi di avanzare per poggiare la mano sulla spalla di Dominik sentì dentro se stesso qualcosa di terribilmente sbagliato, e prima che potesse fare un altro passo in avanti alzò le braccia ai lati del suo corpo. «La nuova Besaid?» Rispose, chiedendo a voce alta. Si fece forza, si guardò intorno, puntò con gli occhi le persone accanto, sguardi vacui e sguardi sicuri. Forse non avrebbe più vissuto un altro giorno, e forse tante cose che avrebbe voluto conoscere non le avrebbe mai potute sapere. Per un uomo per cui il sapere era una chiamata costante della sua vita era una grande sconfitta. Eppure le parole che gli vennero alle labbra gli suonarono come una perfetta resa dei conti, anche verso se stesso. «Questa è Besaid. Tutti noi che la abitiamo. Noi siamo Besaid Puntò gli occhi verso Dominik Sykvold, o il nome che di lui conosceva. Non poteva sapere comunque conoscenza più grande di essere fedele alla propria mente, al proprio cuore, al proprio istinto che non poteva proprio sbagliarsi, non era da lui fallire così miseramente. Se ne convinse. «Nessuno di noi vuol fare l'eroe. Questo è solo ciò che è dovuto da ognuno di noi.» Disse, per poi premere le dita contro la pistola che aveva in tasca, chiudere la mano contro la superficie liscia del metallo, e sollevando anche lui l'arma come molti di quelli che avevano opposto la loro voce alla setta sconosciuta. Quella era la città che a loro apparteneva, non sarebbero scappati. Non tutti.
    «Ci siete voi, e chi lo sa saprà riconoscersi.» Sorrise beffardo, l'adrenalina gli aveva permesso straordinariamente di far tacere lo stomaco, la bile, la voce che nella sua mente gli diceva di fuggire, dicendo a se stesso che avrebbe potuto vivere mille volte e mai come allora avrebbe potuto dire di aver rigirato qualcosa che aveva pronunciato tempo prima chiedendo di nuovo ai cittadini di avere fede nella loro voce, nella sua, quando aveva pronunciato la volontà di non correre rischi e di fare del proprio meglio, anche quando ancora pensava di avere anche lui a che fare con qualcosa di lontanamente diverso da quella che stavano affrontando tutti insieme.
    Era pronto, non avrebbe vacillato.
     
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