Quest V : Sykdom Apocalypse

Quest nr. 5 | Besaid

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [omicidio, immagini disturbanti (sanguinamento), somministrazione di droghe,].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche relative a: [maternità, lutto].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.



    He holds my body in his arms
    He didn't mean to do no harm
    And he holds me tight
    He did it all to spare me from the awful things in life that comes
    And he cries and cries
    I know, he knows that he's killing me for mercy

    Non sapeva esattamente quando le lacrime avevano iniziato a scivolargli giù dalle rime degli occhi, eppure permise loro di farlo, curvandosi lungo il suo profilo sino ad insinuarglisi sul palato. Naavke conosceva quanto salato e squisito potesse essere il dolore, ma nel lasciar correre la lingua tra le labbra non avvertì che ribrezzo. Quando si era presentato davanti a Calypso, adorata figlia che portava il nome dell'indomita dea del mare, Naavke si era esposto per ciò che era: aperto, crudo, sanguinante, forte, baciato dal fulmine e dalla tempesta. Si era fermato di fronte a lei e ne aveva sondato le iridi azzurre come pietre preziose da ammirare nel più raro degli scrigni. Non le aveva mai nascosto la sua vera natura, eppure crescendo, i figli conoscono i loro genitori prima come tali che come persone a tutto tondo - si rivela troppa storia, troppo peso nel mostrarsi immediatamente e completamente, in ogni tipo di relazione. Naavke lo sapeva, sapeva che Coco non l'aveva mai guardato come in quel momento, ma era anche consapevole del fatto che lei, in quanto sangue del suo sangue, l'avrebbe visto, capito. Aveva toccato il pavimento liscio e fresco del corridoio con le piante dei piedi ed aveva immediatamente compreso il motivo della propria visita, o meglio dire, apparizione: tutto si sarebbe presto frantumato in un'esplosione cosmica, stelle spente e pianeti scuri e silenziosi. Naavke si era ritrovato all'uscio della stanza della figlia, e proprio come si era impressa nella sua memoria l'espressione di Calypso all'orfanotrofio la prima volta che le loro iridi si furono incrociate, anche allora quel volto di bambina tornava a lui, ricalcato da forme ormai adulte - la prima volta, in cui l'aveva osservata ed accolta con sè, ed ora l'ultima, in cui imprimeva sulle retine il suo volto colmo di vita ed in salute prima di lasciarla andare.
    Tuttavia adesso, dalle palpebre socchiuse, Coco avrebbe scorto l'uomo ed il padre che era sempre stato, nella forma in cui sua figlia lo avrebbe potuto più facilmente riconoscere, fasciato da abiti eleganti e con lo sguardo bagnato di tristezza. Non aveva smesso di lottare, e sulle prime non si era neanche accorto di abitare ancora la sua furia, eppure strappato via al fragore della spiaggia, si sarebbe adattato alle insopportabili circostanze del momento. Avrebbe continuato nella sua resistenza, ma l'avrebbe fatto proseguendo come gli era stato imposto, garantendo così a sè ed alla sua famiglia più tempo. In quel singolare tormento mai provato prima, Naavke identificò anche una strana forma di sollievo: sarebbe stato lui a condannare sua figlia, nessun altro. L'avrebbe fatto visceralmente, onorando il peso che quell'azione avrebbe portato con sè. L'aveva capito immediatamente, non appena lo sguardo ceruleo della figlia si fu specchiato nel suo: la forca che pendeva dal patibolo avrebbe accolto un solo collo ma ben due vite. Crudelmente pratica, la mente del curatore si concentrò su un solo punto: avrebbe potuto salvarne una.

    Non oggi, ma tu mi sopravviverai. Anche questa è una promessa.

    Quando si era avvicinato a Calypso, un passo alla volta, Naavke smise di guardarla negli occhi. Lasciò scivolare le iridi in basso, verso le mani racchiuse della figlia, oltre i suoi palmi là dove sapeva che si celasse qualcosa di molto più miracoloso del potere dell'Unico e di tutta Besaid: una vita, formata giorno dopo giorno, coltivata con il lavoro metodico e protettivo del corpo di donna che aveva di fronte a sè. La storia per Coco si ripeteva, ed in uno scherzo impietoso del destino, si sarebbe compiuta per mano di suo padre. Non le aveva spiegato il motivo della sua visita, cercare di razionalizzare ciò che stava accadendo avrebbe richiesto troppo tempo, e come spesso succede in questi casi, ciò che ora chiedeva a sua figlia era un atto di fede. Ti ricordi quando mi hai chiesto di cercare per te? Scavare e sapere di più su di lui? Le domandò pacatamente, portandosi una mano alle labbra ancora insanguinate, appena arrivato. Lo conosci, in realtà. Una risposta puntuale, eppure ancora criptica. Phobos Schneider, l'hai visto un paio di volte per via di Libra. Lui ancora non lo sa. Ti dirò come cercarlo e ti spiegherò tutto, ma ora devi fidarti di me anche se farà molto male, puoi farlo Coco? Una vita per una vita, un legame per un legame. Coco stava per perderne uno, e Naavke sperò che nel rivelarle quelle informazioni, che in realtà aveva sempre saputo, le avrebbe dato una forma diluita e lenta di conforto, almeno per ricongiungersi a suo fratello ora che sapeva i tempi per loro sarebbero diventati bui e difficili. Solo dopo che Calypso ebbe accettato questo patto ineludibile e mortale, così come suo padre esattamente per ciò che era, Naavke tornò ad indossare il suo tanto sofisticato abito da essere umano dirigendosi nella sua stanza, per poi tornare poco dopo senza più alcuna traccia della precedente lotta da Coco, con in mano un bicchiere colmo d'acqua e due pillole sul palmo dell'altra. Per tutto il tempo, i guanti erano spariti, lasciando le mani straordinariamente scoperte. Solo allora Naavke si permise di valicare l'uscio della stanza della figlia, ben consapevole del sacrificio che stava per compiere. Mi dispiace tanto. Per la sua adorata famiglia, per la relazione che Coco e Roy faticosamente avevano intessuto negli anni, e soprattutto per Calpyso stessa, a cui era stata strappata con violenza una scelta vitale sul suo corpo e su sul futuro. Farò in modo che non lo sentiate. Te lo prometto. Soffiò Naavke, come se stesse confessando a sua figlia un terribile segreto ma anche un solenne giuramento. Le sue promesse erano voti infrangibili e si compivano esattamente come da lui descritte.

    Erano ormai lontanissimi la sabbia ed i ciottoli insanguinati della spiaggia, il soffio del proiettile tirato alle spalle di Sibylla Greseth, lo striscio lacerante nella carne, l'arrivo della donna in rosso ed il conseguente recupero dell'Unico. Un distorto San Tommaso, l'Unico che scavava nella carne di Naavke non tanto per incredulità ma per puro compiacimento, cavando un gemito di dolore che sbuffò in una risata sommessa. I tuoi complimenti. Toccava gli altri esseri umani e lasciava che essi rantolassero sotto di lui, eppure lo sguardo di Naavke era tornato dritto alla sua schiena. «Sono il frutto della vostra curiosità, di quella dei vostri genitori, dei vostri nonni. Se non fosse per voi e la vostra sete di potere, io non sarei neanche qui. Quindi, grazie.» Il figlio della Terra. Le parole di Nikolaj Mordersonn erano state chiare - era nato da una donna, esattamente come tutte le altre persone lì a Besaid, e come tutti, possedeva una particolarità. Non c'era niente di speciale in lui. Figli e figlie della terra, Besaidiani e Besaidiane, ogni singolo individuo che era lì su quella maledetta spiaggia. Che fosse stato un prodotto deviato di un esperimento del Mordersonn Institute o una creatura plasmata ad immagine e somiglianza degli dei norreni a poco sarebbe servito - Naavke sapeva che questo falso Dio, quest'uomo, era identico a lui. Gli si oscurò ben presto lo sguardo, non prima di aver fiatato, subodorando il disastro imminente. Chi ti salverà quando cadrai in pasto ai tuoi zelanti fedeli?

    L'effetto dei narcotici si manifestò dopo pochi minuti, e col cedere delle gambe di Calypso, Naavke si fece avanti, sorreggendola con prontezza come aveva sempre fatto sin da quando era bambina. La strinse in un abbraccio e la posò sul suo letto, e nel voltarsi notò striature di marmo, aliene e bianchissime, tutt'intorno nelle pareti della stanza in cui si trovavano. Vilhelm. Era iniziato anche per lui, dunque. In qualche strano modo lo confortava sapere che anche lui si sarebbe ammalato per mano di qualcuno che amava. Non ricordo l'ultima volta in cui ti ho presa per mano senza guanti. Era mai accaduto? L'unica cosa che importava ora era che la mano di Coco fosse nella propria, e mentre il respiro della ragazza rallentava e si faceva profondo, Naavke posò la mano libera di Calypso sul suo ventre, forse per tentare di offrirle un'ultima consolazione, un ultimo saluto. Lei avrebbe perso la sua possibiltà di diventare madre per la seconda volta, Naavke invece, sua figlia. Ti avevo spiegato tanti anni fa che essere una Evjen significa essere diversa da tutti gli altri e che significa non scappare. Ricordava perfettamente il momento in cui Calypso si era raggomitolata tra le sue braccia nel temere il suo terribile e magnifico potere, e Naavke sapeva che sotto la paura, le insicurezze ed i timori in sua figlia non vi fosse altro che fierezza e potenza, una forza degna delle onde che erano rimaste incastonate nei suoi capelli e nel suo nome. Questa è l'unica volta in cui avrei voluto che tu avessi potuto farlo. Almeno tu. Lo vedeva fuori dalla finestra della stanza - il cielo stellato, il prato ordinatamente tagliato, le lapidi di Lisbeth e Kjetil, il dono della presenza di Vilhelm - il proprio divenire ed atto finale. Lo porterò a te, e sarai tu a decidere il suo fato così come oggi lui ha fatto con te. La vendetta per ciò che era appena avvenuto non apparteneva a Naavke, ma a Coco, se l'avesse desiderata. Quello sarebbe stato il piano, e la brutalità con cui si sarebbe dispiegato era nella mente del curatore solo una questione di tempo.
    Mantenendo il contatto con il palmo rilassato della figlia, Naavke tuffò l'altro in una tasca, trovandovi il motivo per cui all'inizio si era allontanato, assieme alle pericolosissime pillole. Una lama, di quelle piccole, comuni per i rasoi tradizionali che spesso usava, gli scivolava tra le dita. Ed ora, seduto al fianco della sua adorata Coco e nel portare le sue braccia ai lati dei fianchi, si preparava all'inevitabile. Segui la mia voce, non ti preoccupare di nulla e conta con me. Cinque, quattro, tre... Fu il pianto pesante e silenzioso della figlia a velare gli occhi di Naavke: il suo dolore la trapassava da parte a parte, arrivando a trafiggere anche lui. ...Due, uno. Allo scatto dello zero, con gocce calde che gli rigavano le guance, Naavke non esitò nel tracciare due lunghi solchi verticali, simmetrici, perfetti, ed a squarciare i polsi della figlia con la lama che reggeva in mano. Non oggi, ma tu mi sopravviverai. Anche questa è una promessa. Affermò a bassa voce, appena il sangue prese a sbocciare fuori dalle vene recise ed a privare Coco della sua linfa vitale. Quali erano i pensieri che si susseguivano nella sua mente, i ricordi che sgorgavano fuori dalla sua memoria? Emozione, bellezza, significato - arte, questo era anche nella morte il dipinto che Calypso aveva fatto della sua vita agli occhi di suo padre, e non v'era altro che lui venerasse maggiormente. Aveva dato anche lui l'ultima pennellata, e nel farlo aveva tinto la pelle della sua bambina di cremisi, ora che la vita scivolava fuori da lei in una visione letterale del dono che Besaid aveva fatto a Coco tanti anni prima. Pelle contro pelle, sangue contro sangue, nel lasciare andare la lama Naavke aveva tagliato anche se stesso sul palmo della mano - non avrebbe lasciato sola sua figlia in quel momento di grande violenza. Restò in preghiera, in silenzio, con la mano di Calypso nella propria finchè non la vide addormentarsi e spirare. Gli si spezzò il cuore allora, ed avvertì la profondità del taglio di tutti quegli addii, proprio mentre le mani, sempre scoperte, iniziarono a pulsare luce con lo stesso ritmo in cui il sangue lasciava il corpo di Calypso.

    Riaprendo gli occhi ancora umidi, Naavke tornò a sentire ogni ferita, che con severità gli ricordava ciò che era appena accaduto. Il palmo raccoglieva ancora il solco del taglio autoinferto ed il calore di quello di Vilhelm. Ancora una volta, amore e violenza erano indissolubilmente legate, spose nella vita di Naavke come di chiunque lo circondasse. Che l'Unico bruciasse, che lo facesse l'intera spiaggia, l'intera città. Non ci sarebbe stato più spazio per altro se non per il proseguimento del gioco. Che l'Unico fosse in piedi, vigile, potente, al momento era l'informazione meno rilevante per Naavke, che faticosamente si rimise in piedi, lanciando un unico mortale sguardo alla figura di Sibylla Greseth per raggiungere zoppicante il corpo steso di Vilhelm, premendo forte le mani sul suo addome con il respiro spezzato di Calypso ancora echeggiante all'udito. Cinque, quattro, tre, due, uno.
     
    .
  2.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    16,567
    Reputation
    +2,797
    Location
    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

    Status
    Anonymes!
    Posò la fronte contro il petto di Lars, stringendosi a lui per qualche istante alla ricerca del coraggio necessario per rimettersi in piedi. Di nuovo senza poteri, si sentì pervadere dalla stanchezza. Sollevò lo sguardo, spaventata, nel momento in cui un colpo di pistola squarciò l’aria, andando a colpire il padre di Coco e quel folle, che cadde a terra privo di sensi. Trattenne il respiro, sperando per un istante che tutto fosse finalmente finito, che l’incubo che stavano vivendo potesse arrivare alla sua conclusione. -Lars? Dobbiamo cercare di andare via da qui. - disse ancora, cercando di aiutarlo a rimettersi in piedi. Nonostante il silenzio c’era qualcosa dentro di lei, una sorta di piccolo tarlo, che spingeva per dirle che non era al sicuro, che non era ancora tempo di tirare un sospiro di sollievo. Una donna incappucciata si mosse verso il suo leader, con passo lento ma cadenzato. Sam si soffermò a osservarla per qualche istante mentre si chiedeva perché fosse lì, perché non cercasse di andare via, ora che l’uomo era a terra, privo di sensi. Avevano perso, ma perché questo non la spaventava? Non le passò per la testa neppure per un istante che, al contrario di tutti quanti loro, quella donna potesse aver preservato la sua particolarità e che quindi quello non fosse che l’intermezzo di qualcosa di ancora più terribile. La osservò muoversi quasi ipnotizzata, come se il mondo attorno a loro si fosse fermato, in attesa dell’ultimo atto. Si inginocchiò a terra, accanto al corpo immobile e sanguinante dell’Ultimo e lasciò cadere un po’ del suo sangue su di lui. Sam sgranò gli occhi quando, pochi minuti dopo, il folle fu di nuovo in piedi, prendendo il posto della sua adepta, che cadde esanime al suolo. -No. - sussurrò, impietrita davanti a quella follia che si faceva ancora più vivida. Quell’incubo sembrava non avere fine. Possibile che non ci fosse davvero nulla in grado di sconfiggere quel mostro?
    Provò l’istinto di urlare, di lasciare andare il corpo di Lars e correre contro quel folle per fare qualcosa, ma cosa mai avrebbe potuto fare lei? Un esile alito di vento che si infrangeva contro una montagna senza neppure scalfirla. Serrò la mascella e rimase in silenzio, immobile, combattendo contro la rabbia e la disperazione. Guardò Lars, ancora una volta, senza più cercare di mascherare la paura e l’orrore. Era finita. Avrebbe preso le loro vite, tutto quanto, e loro non avevano alcun mezzo per fermarlo. Cercò nello sguardo di Lars un guizzo in grado di scuoterla, di dirle che c’era ancora qualcosa che potevano fare, che non era il momento di arrendersi. Provò ad alzarsi, a mettere l’orgoglio davanti a ogni cosa, ma si sentì di nuovo come intrappolata in un corpo che non era più il suo e che non rispondeva ai suoi comandi. Solo gli occhi sembrarono in grado di trasmettere tutto l’odio e il disprezzo di cui non credeva neppure di essere capace. Lo vide muoversi, quasi fluttuando, spostandosi da uno all’altro di loro, avvicinando una mano a coprire i suoi occhi, forse infastidito dalla furia che serpeggiava dietro il suo sguardo azzurro. Non aveva mai desiderato fare del male a qualcuno prima d’allora nella sua vita, ma in quel momento, se soltanto avesse avuto il controllo del suo corpo, sapeva che non avrebbe esitato nel cercare di ferirlo, forse persino di ucciderlo, ben sapendo di non avere alcuna speranza di riuscita. Provò l’istinto di vomitare davanti alle sue parole, alla fermezza e alla tranquillità con cui si muoveva, addossando ad altri le colpe delle sue azioni, continuando a fregiarsi di titoli che non meritava di possedere e che si era dato da solo. Credeva di essere un Dio, un salvatore, l’unica speranza per quella città ormai spenta e corrotta, non si rendeva conto invece di essere parte di quello stesso marciume.
    Puntò lo sguardo a terra per qualche momento, mentre lui continuava a muoversi, beandosi della riuscita del suo piano. Non aveva pensato neppure per un istante che persino la loro ribellione fosse stata contemplata in anticipo, che si fosse servito anche del loro dolore e della loro disperazione per divenire ancora più forte. Aveva organizzato tutto da chissà quanto tempo e loro non erano che attori su un palcoscenico, marionette che non aveva neppure il controllo di loro stesse. Poi, d’un tratto, le sue parole si accesero di una nuova fiamma e allora, con una certa paura, lo sguardo della ragazza tornò prepotente a cercarlo. Era stanca di agire per aiutare un folle, di essere in balia di desideri non suoi. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, mentre nella sua mente un pensiero rese subito chiaro che cosa avrebbe dovuto fare e chi avrebbe dovuto colpire. Si sforzò di scacciarlo, di reprimerlo, di cercare qualcuno di diverso, ma purtroppo sembrava impossibile nascondergli qualcosa. La stretta dei suoi pugni si fece più lenta mentre la schiena si piegò di lato, facendola finire a terra. Di nuovo nel buio.

    Il rosso, il rosa e l’arancione coloravano il cielo nell’ora del tramonto.
    Osservò in alto, cercando in quello spazio sconfinato un appiglio per non guardare in basso. Aveva paura di scoprire dove fosse finita in quel momento, non voleva sapere, non voleva continuare a vivere in quell’incubo. Chiuse gli occhi al suono di un singhiozzo, serrando le labbra l’una contro l’altra. Riconobbe il suono di quella voce, anche se si trattava soltanto di un borbottio sommesso. Tremò al pensiero di ritrovarli proprio lei davanti agli occhi, ma dopo qualche istante trovò il coraggio di guardarla. Una piccola Fae sedeva su un gradino, fuori dalla casa della zia Rory. Piangeva, si sentiva sola ora che i suoi genitori non c’erano più. Era questo che le aveva detto sua madre, quando due nuove bambine erano arrivate nel loro quartiere, di punto in bianco. Avrebbe voluto correre verso di lei e abbracciarla, cercare di rassicurarla, ma qualcosa la tenne ancorata su quei pochi centimetri d’erba. Abbassò lo sguardo e vide una piccola Sam camminare piano nella sua direzione con in mano un pacchetto di caramelle.
    Si sforzò di allontanare quel ricordo dalla mente, ma anche dopo aver chiuso e riaperto gli occhi più volte, le due bimbe rimasero lì, di fronte a lei. Per quale strano scherzo del destino era costretta a rivivere il loro primo incontro proprio in quel momento? La piccola Sam avvicinò il pacchetto di caramelle alla piccola Fae, biondissima in quel periodo. Era strano rivederla così, visto quante volte l’aveva vista cambiare colori di capelli, fino a raggiungere il suo stadio finale. Si assomigliavano un po’ in quel momento, qualcuno in passato aveva persino creduto che fossero sorelle ed era così che lei l’aveva sempre percepita, come la sorella maggiore che non aveva mai avuto, il suo scudo contro il mondo, la sua personalissima roccia.
    La rivedeva ora, bambina, mentre cercava di nascondere le lacrime e prendeva una caramella, un’offerta di amicizia che avrebbe accolto con lo stesso calore con cui Sam gliel’aveva porta. Era strano vedersi di nuovo così. Piccole eppure già grandi, consapevoli che la vita non fosse fatta solo di cose belle. -Starai qui per un po’?- domandò la piccola se stessa, anche se sua madre le aveva già dato quell’informazione. L’altra annuì, senza parlare. Una leggera folata di vento le scosse i capelli, spettinandola e Sam si affrettò a rimetterli al loro posto, senza toccarla, muovendo un secondo rivolo d’aria, sorridendo. Stava ancora imparando a usare la sua particolarità e si divertiva a utilizzarla per quelle piccole cose, agendo senza che le persone capissero che era lei a farlo. -Posso sedermi qui con te? - chiese ancora, aspettando il suo permesso prima di raggiungerla, sullo stesso gradino, giusto a qualche centimetro da lei. Fae appoggiò la testa contro la sua spalla, lasciandosi andare per un momento.
    La Sam adulta dovette sollevare la mano per asciugare una lacrima dal suo volto. Era bastato così poco per diventare amiche, così vicine da non avere neppure bisogno di parole per capirsi. Sarebbe bastato così poco anche per distruggere tutto?


    Chiuse di nuovo gli occhi e quando li riaprì non ci fu altro che il buio attorno a lei.
    Sentì dei passi poco distanti e allora le luci dei lampioni rischiararono quello stesso giardino in cui si erano ritrovate più volte da bambine e poi durante l’adolescenza. Pianse nel ritrovarsi davanti la figura di Fae, la sua Fae, con la faccia stanca di chi doveva aver appena concluso con lungo turno di lavoro. Serrò i pugni lungo i fianchi, cercando di restare immobile nella sua posizione e di non attirare l’attenzione, ma bastò un fruscio perché l’altra la notasse. -Sam? - domandò, preoccupata, voltandosi verso di lei prima di muovere dei passi affrettati nella sua direzione per raggiungerla. -Stai bene? Che cosa ti è successo? - domandò ancora, posando le mani contro le sue braccia ancora piene di tagli. Solo allora si osservò, notando di essere vestita come quella maledetta sera e di avere ancora sulla pelle tutti i segni della battaglia. -E’.. complicato. - mormorò, puntando lo sguardo verso il basso e cercando di scappare dagli occhi chiari e preoccupati dell’amica. -Quando mai qualcosa è stato semplice? - disse, con l’ombra di una risata cristallina sulle labbra che le strappò un sorriso involontario. Possibile che, anche in un momento come quello, Fae riuscisse comunque a farla sentire al sicuro?
    Abbassò il capo, mentre le lacrime riprendevano a scendere copiose sul suo volto. -Fae io non.. non… - provò a mugugnare, senza riuscire ad andare oltre. Che cos’era che non poteva fare? Spiegarle che cosa fosse accaduto? Spiegarle che cosa stava per fare? Che cosa non avrebbe mai voluto fare? Le braccia esili dell’amica la strinsero, in silenzio, lasciandole il tempo di calmarsi mentre il suo corpo iniziava a tremare e le unghie continuavano a spingere contro la pelle dei palmi lasciando dei solchi sempre più profondi. Quelle poche parole erano state solo la conferma di qualcosa che Fae doveva aver già capito a un primo sguardo. Sam non stava bene, qualcosa era successo, qualcosa di terribile. Non sarebbero bastate le parole per spiegare e per farle comprendere quanto ancora avrebbero dovuto soffrire da quella notte in avanti.
    Con le mani ancora strette a pugno cinse anche lei la schiena dell’amica in un abbraccio che sapeva di scuse, di disperazione, di rabbia. -Tu sai quanto ti voglio bene. - mormorò, con la voce spezzata dai singhiozzi e le lacrime che andavano a bagnare la stoffa della sua maglietta. Lo disse come se quella fosse stata la sua colpa più grande, qualcosa di imperdonabile da cui non si poteva tornare indietro. Possibile che quel folle dovesse portare via loro anche l’amore? L’affetto per le altre persone? Sentì Fae annuire piano e poi trattenere il fiato, in attesa. Sempre pronta al peggio, sempre pronta al dolore, lei che per tutta la vita non aveva fatto altro che riparare le sue ferite, quelle fisiche, quelle che chiunque avrebbe potuto vedere, trattenendo dentro di sé quelle dell’animo, nascondendole a volte pur di mostrarsi forte e sempre sorridente. Che cosa avrebbe fatto da quel momento in avanti per mascherare il suo dolore? Come avrebbe fatto ad andare avanti? No. Non voleva e non poteva accettarlo. La allontanò piano, con delicatezza, muovendo un passo indietro, nella speranza di andare via, anche se sapeva di non poterlo fare. -Vorrei che questo fosse soltanto un incubo, sia per me che per te, ma purtroppo non è così. - disse, sentendo ora tutto il peso delle sue scelte. Perché era andata a quella maledetta festa? Un articolo valeva davvero quello che aveva vissuto e quello che l’avrebbe tormentata da quel momento fino a che avrebbe avuto fiato in corpo? Strinse di nuovo i pugni, troppo forte, scavando dei piccoli solchi nella carne. Sentì il sangue sporcarle le mani e rimase a fissarlo quasi ipnotizzata. Sentì Fae preoccuparsi, dire qualcosa, ma la sua voce arrivava ovattata, distante, ora che un nuovo pensiero, ancora più terribile forse, aveva iniziato a serpeggiare nella sua mente. -Forse così potrei salvarti. - mormorò, osservando il sangue e cercando qualcosa di più affiliato con cui potersi ferire. Se lei fosse morta, forse, Far sarebbe stata risparmiata. L’altra dovette intuire che cosa stava pensando perché le arrivò uno schiaffo in pieno volto anche solo per averlo creduto per un momento. sorrise, tra le lacrime, guardando il volto furioso dell’altra.
    -Sono qui per la tua particolarità, mi hanno mandata per questo. - spiegò e vide la rabbia trasformarsi in confusione, come se avesse temuto in qualcosa di molto peggio. -La malattia, il morbo.. non ho abbastanza tempo per spiegare. - continuò, tra le lacrime. Sentiva di dover fare in fretta, come se la sua trovata precedente, quel pensiero suicida, le avesse tolto del tempo prezioso. -Fallo. - la voce spezzata ma sicura dell’altra arrivò così decisa da farla quasi sobbalzare. -No. Starai male, sarai vulnerabile. Fragile. - disse, incapace di pensare davvero a una Fae che non fosse indistruttibile e sempre in grado di ripararsi. L’altra scosse il capo, avvicinandosi di nuovo e Sam non riuscì a muoversi.
    Prese un lungo respiro, trattenendo il fiato per un istante prima di buttare di nuovo fuori l’aria. -Ti prometto che sarò con te in ogni istante e che farò tutto quello che posso per restituirti ciò che ti appartiene. - disse, avvinandosi di un altro passo e portandosi dritta di fronte a lei, senza più lacrime da versare. Era arrabbiata, spaventata e provata, ma sapeva di non potersi tirare indietro, non più. -Ti voglio bene. Ti prego. Ti prego, perdonami. - disse, posando le mani sulle sue spalle, sporcando appena la sua maglietta di sangue, prima di stringerla forte a sé. Percepì la sua particolarità fluire nel suo corpo per un istante, fatta di tante piccole luci scintillanti. Ne percepì il calore per un istante, prima che una forza ancora maggiore lo strappasse via.

    Si risvegliò sulla riva, con il volto rigato di lacrime e la consapevolezza di non aver sognato. Urlò, scaricando parte di quella rabbia per poi risollevarsi appena. Cercò con lo sguardo il mostro che le aveva fatto quello e giurò a se stessa che avrebbe fatto qualunque cosa per cercare di fargli provare anche soltanto la metà del dolore che le opprimeva il petto.
     
    .
  3.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I love you, it's ruining my life

    Group
    Elfo magico
    Posts
    737
    Reputation
    +978
    Location
    Middle-earth.

    Status
    Anonymes!
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: - Descrizione o discussione estesa di immagini disturbanti (gore), violente o contenuti sensibili (ferite, percosse, pestaggi e simili); --- Descrizione o discussione estesa di morte di un personaggio o del personaggio principale;
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    Nel suo stato di trance, e dopo il sonno imposto dal potere di Nikolaj risvegliato dal combattimento contro l'Unico, e con il successivo logoramento dei suoi ricordi recenti, Lars si era perso molte cose della battaglia che era avvenuta. Si era accasciato nel cratere che era stato creato a sua volta dal potere di Athena e non aveva realizzato dove fosse per molto tempo, a lungo non aveva sentito assolutamente nulla. I sensi completamente ovattati, non erano riusciti a risvegliare in lui nell'udito o la vista la percezione che qualcosa stesse accadendo. Con gli occhi sbarrati e la mente nell'etere, si era perduto per molto tempo quando era stato attaccato a sua volta nella sua mente, e il fisico aveva risentito parzialmente delle esplosioni dei poteri altrui attorno, perché tra il cratere che gli aveva fatto scudo e Sam al suo fianco, fisicamente, non aveva davvero riportato ferite visibili oltre quelle nella sua mente.
    Eppure era stato proprio per quel motivo che era giunto lì in quella serata, e non aveva saputo dire di no a Sam, che aveva scelto di andare alla festa di fondazione nonostante tutti i divieti imposti dal Sindaco e dall'amministrazione della cittadina. Lui voleva essere lì per dovere del senso di cronaca, per confermare con chiarezza quanto stesse accadendo e allertare come desiderava i suoi concittadini per mezzo della sua arma più sapiente, la sua scrittura, il suo verbo, di dire finalmente la verità fuori dalla censura che era stata a lui imposta. Ma c'erano tantissime cose che non sapeva, non comprendeva, e non avendo preso parte diretta alla battaglia non avrebbe ancora conosciuto.
    Aveva saputo rifiutare poco prima, l'idea che le cose potessero mettersi così male da rovinare tutti loro, e che nonostante tutto, nonostante loro fossero Besaid, proprio come aveva reclamato poco prima dell'inizio del combattimento all'Unico con spavalderia, che aveva dovuto attingere fuori assieme al suo latente coraggio, non c'era nessuna via di fuga.
    Fu Sam con la sua voce a reclamarlo alla veglia. «Lars? Dobbiamo cercare di andare via da qui..» E lui la sentì, e fu proprio quello a farlo riemergere dal totale oblio. Immediatamente, aprì gli occhi di scatto e mise a fuoco il viso di Sam. Aveva il viso rigato di lacrime, qualcosa che lo rendeva sporco, macchiato, qualcosa che doveva essere schizzato con ferocia su di esso. Il viso di Sam non gli era mai sembrato così puro prima di allora. Chinata come era sul suo petto, Lars raggiunse la sua mano, man mano che riacquistava fiducia nei suoi sensi e prendeva coscienza del suo corpo lì in mezzo a tutti gli scontri che erano avvenuti e alla sabbia circostante, recuperava forza e lucidità. Sbatté le palpebre più volte, prima di ricordarsi davvero dove fossero tutti loro. «Andiamo via.» Sussurrò, la bocca impastata, si voltò e sputò un grumo scuro, una mistura di sabbia e quello che altro non poteva che essere sangue. Doveva essere stato ridotto molto male nello scontro in ogni caso, ma era ancora tutto molto oscuro per lui per rendersi conto di cosa fosse accaduto al suo corpo.
    Con fatica si risollevò in piedi, accompagnato da Sam che cercò di reggere l'equilibrio di Lars, ma che se avesse oscillato non avrebbe potuto tenere in piedi l'uomo da sola. Volevano allontanarsi entrambi, ma non fecero mai in tempo a risollevarsi per sfuggire via da nessun posto.
    Videro davanti ai loro occhi l'Unico recuperare forza e riprendere possesso del suo corpo in maniera rinnovata, dopo il sacrificio compiuto da una delle persone che erano accanto a lui, una donna che aveva deciso di donare la sua vita per salvare quella dell'uomo. Fecero in tempo a voltarsi l'uno verso l'altro e a guardarsi, Sam e Lars, rendendosi conto che non avrebbero potuto vincere una battaglia impossibile verso una figura che non conoscevano davvero, e a discapito della favola che lui aveva raccontato loro, evidentemente, era nato da qualcosa che era diverso, superiore a loro tutti. Forse fu la loro rassegnazione a muovere il suo intento e a cambiare il corso delle azioni dell'Unico, che dopo aver ripreso forza si voltò verso tutte le persone che lo avevano attaccato e cominciò a muovere i passi tra loro. Lo sguardo fiero e arrabbiato di Sam ebbe effetto proprio sull'uomo che sembrava non potesse essere sconfitto e fece offuscare volutamente lo sguardo di Sam per qualche secondo quando passò anche accanto a loro due. Si voltarono tutti, vincitori e vinti, improvvisamente consci che nessuno di loro aveva avuto la meglio in azione e che tutti sarebbero arrivati alla fine inesorabile delle loro vite. Lars sostenne lo sguardo vitreo di Sam stringendole la mano, un gesto che non avevano mai fatto prima e che improvvisamente aveva accomunato l'uomo alla donna, i due giornalisti, il capo del team alla sua stagista un tempo e ora entrambi redattori assieme al giornale. «Grazie, Sam, per tutto.» Le disse, biascicando appena, un saluto insolito per un Lars che riconosceva improvvisamente tutto. I momenti, i sorrisi, i loro caffé infiniti al giornale. Avrebbe voluto dire grazie a tutti i componenti a tutte le persone che avevano lavorato con lui e avevano reso la loro quotidianità rinnovata, sempre più bella, sempre fondamentale, ogni giorno migliore del precedente, ogni incarico portato a termine infine una vittoria. Era un saluto plenario che rivolse a Sam, come se avesse potuto dirlo a tutti, ma non volle pensare nella sua mente a nessuno in particolare, se non a tutto quello che aveva svolto fino ad allora.
    Ma non aveva potuto prevedere niente Lars, perché anche se l'Unico aveva preso forza e parlato come se fosse arrivata la loro fine, ciò non era ancora accaduto. Perché, se lo era chiesto da quel momento, e dal momento in cui si sarebbe risvegliato, ma non l'avrebbe saputo per lungo tempo.
    Così come tutti loro Lars perse nuovamente i sensi, e fu chiaro in quel momento che l'agonia di quello scontro si sarebbe protratta a lungo nei loro cuori rendendo le sue notti insonni per molto tempo a venire, con una missione ben stampata in mente da adempiere al risveglio.


    ---


    We can plant a memory garden
    Say a solemn prayer, place a poppy in my hair
    There's no morning glory, it was war, it wasn't fair

    Lars aprì gli occhi, il calore e la luce del pomeriggio invase il suo campo visivo, illuminò lo sguardo e colorò la sua visuale. Mise a fuoco il verde del bosco di Besaid, sentì il rumore del vento e la carezza sul viso, lo stridore delle cicale nel suono improvviso, nel periodo più caldo dell'anno norvegese e in quel solo mese di torpore in cui vessava la cittadina, prima che il sole scomparisse prima dell'autunno e decidesse di risvegliarsi molto dopo.
    La casa sull'albero di Lars, Liv, Elias e Maeve, da sempre i quattro moschettieri, le due coppie di fratelli cresciuti insieme tutta la vita a Besaid, era sempre stata il loro rifugio sicuro. Si stagliò di fronte a lui con prepotenza, la loro casa in legno, che i 'grandi' avevano costruito per loro, perché nessuno di loro aveva un potere utile a costruire qualcosa di pesante, e tutti e quattro erano riusciti a trasportare solo piccole cose per sistemare qualcosa senza poter fare poi molto altro, finché le assi non erano state riposte e piantate tutte insieme.
    Non erano gli unici bambini di Besaid che erano riusciti a costruire un bellissimo ritrovo tutto per loro, lì nascosto ma neanche così tanto tra gli alberi possenti e le fronde del bosco della loro incantevole cittadina. Ma per loro era la casa sull'albero più bella di tutte, tanto che non faceva concorrenza con nessuna, era indiscutibilmente la migliore.
    Lars si ritrovò ai piedi della scaletta in legno che avevano costruito intrecciando corde ed assi, e legando il tutto saldamente con l'aiuto dei propri genitori, quando ancora i suoi genitori stavano assieme.
    Sapeva che doveva salirci sù. Era nel corpo di un suo se stesso più giovane, appena ragazzo, poco più che bambino, e si ritrovò con il suo corpo snello ed enormemente più esile a risalire la grande scala su per i pioli fino a raggiungere infine la cima, passo dopo passo, dopo essersi issato prontamente lungo l'ultima trave utile per l'appiglio finale. Lì immediatamente incrociò la figura della ragazza che adorava, Maeve Jensen, a quel tempo aveva il nome da nubile, la sua sorella acquisita, che lo guardava seduta a gambe incrociate a pochi passi da lui, sullo sfondo dell'unica finestra che avevano sistemato nella loro casetta, un piccolo pannello di vetro rattoppato in alcuni punti perché si potesse sbirciare da sù senza appendersi dall'apertura sulla scaletta.
    «Ciao, liten sommerfugl*.» Era stata sempre così bella Mae ai suoi occhi, glielo aveva sempre detto. Lars non era mai stato dolce con nessuna donna che avesse frequentato, a onor del vero era spesso burbero e indisponente a qualsiasi frase rivolta lui che esacerbasse troppe moine da parte di chicchessia. Probabilmente le persone che aveva trattato con maggior riguardo, e con celata cura ed utilizzo delle sue parole in maniera sempre misurata, erano state sua nonna Amarantha e proprio Mae, con una piccola eccezione nella sua parentesi amorosa con Gracelyn finché il loro rapporto sembrava decollare.
    Senza alcuna remora si erano sempre detti, almeno finché erano ragazzini, che se non avessero trovato l'amore della propria vita avrebbero potuto tranquillamente fidanzarsi loro due assieme, che tanto andavano sempre d'amore e d'accordo e non avevano bisogno di nessuno, si bastavano a vicenda. Ma la vita li aveva fatti crescere e cambiare, e diventare uomo e donna che avevano effettivamente bisogno di altro che non solo di un esclusivo rapporto platonico di amore ed affetto reciproco più forte di quello tra un fratello e una sorella, un viscerale legame che li teneva insieme come se fossero stati l'uno l'anima gemella dell'altro, ma che avevano bisogno di trovare quegli incastri perfetti per combinarsi diversamente da come sarebbero mai riusciti a fare tra loro. A volte ancora sentiva la mancanza di quel tempo passato a pensare in maniera più semplice, come se non dipendesse l'esito del mondo da nessuna azione, e le loro vite erano spensierate perché immensamente comuni.
    Ma tutto era cambiato, dapprima con la nascita di Malia, e poi a seguire i traguardi personali dei due giovani che crescevano diventando, da soli, qualcuno. Tutto era diverso, se non la consapevolezza che l'uno per l'altro ci sarebbe sempre stato, o stata.
    «Lars devo assolutamente raccontarti di cosa è successo oggi...» Aveva cominciato la ragazza, come se stesse parlando esattamente nel suo tempo, nel suo arco di vita, in un ricordo realmente vissuto da Lars e Mae, e come sempre la giovane con la parlantina impossibile da frenare era lì lì per parlare e raccontargli e dirgli tante cose, perché a lui voleva dire e narrare delle allora incredibili avventure vissute nelle loro vicende, nei confronti tra ragazzi, amori sospirati e qualche altra cosa di incredibile che si manifestava nelle situazioni scolastiche, dei giorni che avevano davvero vissuto. Non ce la fece Lars, non poté permettersi di prolungare per quel tempo il ricordo di Mae mentre parlava a lui con dolcezza, nel suo golfino azzurro e i jeans strappati, corti sulle ginocchia, le sneakers sporche di terra e fango che aveva impiastricciato per giungere fin lì su.
    Lars si avvicinò a lei, a gambe incrociate, si sedette accovacciato per guardarla da vicino, gli occhi verde azzurri più chiari dei suoi, Lars con i suoi occhi verdi e le pagliuzze scure incrinò la voce nel risponderle, le prese le mani per interromperla, tutto d'un fiato cacciò fuori la sua implorazione. «Mi dispiace Mae.» Lei lo guardò con occhi interrogativi. «Cosa c'è che non va?» Gli mise una mano sulla fronte, come se volesse controllare la sua temperatura, ricambiò la stretta della sua mano, si avvicinò per dargli una pacca sulla spalla, un abbraccio iniziato che Lars interruppe per guardarla in viso. «Voglio dirti tante cose, mi devi ascoltare.» Proruppe lui, sapendo che la ragazza come sempre non l'avrebbe fatto finire, perché avrebbe iniziato a chiedergli se non stesse bene, da brava infermiera e da precoce mamma quando ancora sua figlia non era immaginabile all'orizzonte. «Sarai una persona straordinaria. Riuscirai a concludere tutto quello che ti prefisserai. Tutti i tuoi obiettivi..» Si morse la lingua quando si rese conto che voleva parlare di Malia ad un ricordo di una ragazza che non sapeva quanto avrebbe sofferto per amore, nel suo ricordo intonso della Mae perfetta, quando era ancora imperfetta, il bruco che non sapeva ancora quando e se sarebbe diventato farfalla. Lui l'aveva sempre saputo. «Non stai bene, avrai la febbre e stai delirando.» Rise, Maeve, nel suo ricordo, i capelli castani chiari ondeggiarono con il suo viso mentre si voltava e rideva scuotendo la testa. Sarai mamma, e infermiera, ti prenderai cura dei tuoi pazienti e di tutte le persone a te care. Ripeté Lars nella sua testa senza avere il coraggio di dirglielo, affatto, per una volta si rese conto che il silenzio avrebbe lenito una reazione incontrollabile che non aveva modo di arginare.
    Incontrerai momenti difficili, perderai Elias e poi lo ritroverai. Perderai l'amore ma tornerà da te. Riavvolse in quel momento l'arco dei momenti salienti della vita di Maeve, ricordandola bambina e donna, per poi raffigurare e mettere a fuoco la ragazza di quel momento che viveva. Conoscerai tua figlia, e io diventerò uno zio improvvisato che potrà fare molto poco, ma mi prenderò cura di Malia quando non ci sarai più. E lì cedette, anche se sapeva che non avrebbe potuto dirle affatto nulla. «Te lo prometto.» Disse Lars, le lacrime a quel punto non poté più trattenerle, rotolarono solcando la cornea grosse e copiose fino ad attraversare il volto e fin giù fino alla fine, fino a scendere dal suo volto e a cadere sulle assi di legno, a bagnare la superficie colorandola e rendendola più scura.
    «Oh Lars ma che succede, smettila dai fai piangere anche me.» Continuò Mae, cominciando a preoccuparsi, preoccupata per lui. Vinse in quel momento Lars quello che doveva dirle, la cosa più importante di tutte.
    «Ti prometto che troverò il modo di rimediare.» Si stropicciò le mani sul viso, sentì che il tempo che aveva avuto per parlare stava arrivando alla fine, e che quello scadere del tempo significava soltanto che a momenti non avrebbe più potuto controllarsi. Mae vinse nella sua innocenza, nel suo non sapere affatto cosa stesse accadendo, la forza di Lars, e riuscì ad abbracciarlo, con il viso sereno, come se da mamma che ancora non era sentiva nel suo istinto che doveva aiutare il ragazzo inconsolabile che doveva aver fatto qualche stupidaggine che non aveva il coraggio di confessarle.
    Il tempo era scaduto, infine. Lars non riuscì ad aiutarsi e ad aiutarla. La abbracciò di rimando, dopo che si era buttata nella sua stretta, e nella stretta contro il suo corpo si sporse con lei lungo l'apertura della casa sull'albero e si avvicinò verso quel baratro che aveva risalito con le scalette a pioli della loro infanzia, che avevano costruito insieme, lei, lui e gli altri due moschettieri, e quel luogo speciale sarebbe stato spettacolo dello scempio più blasfemo che Lars avrebbe mai potuto immaginare. Non riuscì a rilasciare la stretta, con forza cercò di spingersi indietro mentre qualcosa lo spingeva a spingerla verso l'esterno, e nel mentre la ragazza si tirava indietro e lottava, finalmente conscia di cosa Lars stesse avendo intenzione di fare. «Aspetta, attento!» Nell'innocenza del ricordo con cui ricordava e immaginava Mae lei non aveva compreso quello che Lars stesse davvero facendo, o che almeno lo stesse facendo per gioco, per spaventarla. Lars cercò con tutte le sue forze di non sprecare altre parole, e di concentrarsi nel tirarsi indietro, nel ributtare indietro tutto quello che la sua mente cercava di non fargli credere, finché in quel tiro con la corda invisibile Mae cominciò a piangere e lui immaginò di farle male nel strattonarla verso l'uscita quando lei si ributtava verso di lui. «Ti prometto che tornerai, torneremo.» Disse Lars alla fine, quando si rese conto che non sarebbe riuscito a fare quello che l'Unico non voleva, ed essendo molto più forte della leggerissima Maeve spinse il suo corpo dalle spalle, giù dalla casa sull'albero.
    La scarpa destra di Mae nello slancio ritornò indietro, rotolò lungo le assi e rimase lì dove era sempre stato il ricordo felice di Lars nella casa sull'albero.
    Il corpo straziato di Mae lo guardò steso dal suolo, sotto la casa sull'albero, il corpo esanime lasciò una chiazza di sangue sul prato verdissimo del bosco norvegese limitrofo a Besaid, e il braccio della ragazza ricadde sgraziato piegato in una forma non sua, oltre il corpo lesionato dalla caduta.
    La sua Mae che ancora non era farfalla, in quel ricordo, sarebbe rimasta crisalide informe mai trasformata.


    ---


    Lars non fece un suono al suo risveglio. Non urlò, non ricompose il suo dolore in un sussulto, non inveì contro la triste morale di quella cittadina ingrata che aveva i suoi natali ed era convinto di amare. Lars rimase con gli occhi sbarrati e ricordare e ricordarsi gli occhi della sua Mae quando lo avevano guardato increduli dell'azione che stava compiendo, e la testa di Mae era rimasta a fissarlo con sguardo ferito fin da laggiù, mentre lassù Lars era rimasto senza fiato in un dolore che non poteva essere spiegato.
    La sua Mae era stata condannata, e lui aveva promesso qualcosa che non sapeva come avrebbe dovuto risolvere.


    *piccola farfalla
     
    .
  4.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Sindaco
    Posts
    82
    Reputation
    +513

    Status
    Anonymes!

    gFr4inM


    Riaprite gli occhi, ed il peso di ciò che avete appena fatto e subito vi schiaccia. Non c'è modo di vincere, non adesso almeno. L'Unico sorride sangue e capite che ha avuto esattamente ciò che voleva: la perdizione ineludibile di Naavke, la forza esplosiva di Ares, l'incanto metodico di Athena, la resilienza terapeutica di Fae, l'intuizione affilata di Sibylla, il sollievo dal passato di Maeve, l'influenza magnetica di Bella, la luce purissima di Anniken, il terrore nero di Milo - tutto. Non solo le particolarità ma anche la vita stessa di coloro a cui ha privato i poteri, in una danza macabra conclusasi con il suo inchino, l'Unico rimasto sul palco e pronto a calare il sipario. Ma ancora una volta chiede di più, ancora di più di quanto lui, voi e Besaid possiate contenere, ma stavolta è precisamente ciò che vuole. Il vostro è stato uno sforzo disperato, una frattura tra ciò che eravate e ciò che sarete non ancora possibile da colmare, ed una incrinatura anche nella realtà stessa. Visto? Non è stato poi così difficile. Un colpo e via. Lo dicevo, avete davvero dato il meglio di voi stanotte. Una forma profonda di soddisfazione occupa ogni parola dell'Unico, e lo fa con supponenza, con alterigia, come ci si immagina che potrebbe reagire un gigante nel vedere delle piccolissime formiche schiacciate sotto la sua suola. Lui ora sente lo strazio che le persone colpite portano con sè, la loro linfa vitale battergli nei palmi delle mani come se avesse strappato loro il cuore dal petto. Inizia una nuova era per Besaid, un nuovo paradigma - di connessione, di unione. Nessuno potrà più separarci. Besaid risponde, respira, pulsa, e con lei la sofferenza dei suoi figli e delle sue figlie, tanto che gli strappi che fluttuano nel cielo si allargano sempre di più, squarciando il buio dell'eclissi e dell'alba, per aprirsi e generare una luce così forte da ferire lo sguardo in un raggio accecante. Si tratta di un solo attimo, ma mentre gli strappi si ingrandiscono più persone si radunano attorno all'Unico sempre di più, sempre più strette, sino a che lui non scompare tra il tessuto delle loro tuniche, diventa una massa di corpi, e nell'attimo della scintilla non si avvicina alla enorme tasca di luce. L'Unico è sparito, lo avete visto coi vostri occhi, ammantato di bagliori, brina e foschia. Prima di farlo guarda dritto davanti a sè, proprio dove siete voi, e giunge le mani in preghiera, chiude gli occhi, ed appena li riapre schiude i palmi, aprendoli sino al carpo in modo da formare una lettera U, un messaggio che vi consegna sorridendo prima di svanire con la promessa di tornare per compiere il suo destino, come il nuovo Messia venuto a portare l'ora del giudizio. Attende, ed ha portato con sè la progenie di Besaid. Per quell'eterno secondo, l'Unico si è espanso in tutta la città, ed infine si è tuffato all'indietro, senza paura, dall'altra parte.

    #recap:
    • Avendo utilizzato insieme ed in una volta il potere dell'Unico nell'andare dalle persone care e privarle delle loro particolarità con tanta disperazione, appena vi risveglierete gli strappi che vedete nel cielo si allargheranno sino ad illuminarsi ed accecarvi.
    • Nel frattempo, l'Unico raccoglierà i suoi adepti e si avvicinerà ad uno strappo, ormai enorme, per saltarci dentro assieme agli alleati.
    • Nel momento in cui questo accade e il cielo diventerà accecante, in un battito di ciglia innumerevoli altre tasche si apriranno in tutta la città per concludere il compimento dell'Apocalisse Besaidiana: tante altre persone verranno risucchiate dall'altra parte. Voi non sapete che ciò è accaduto, non ancora.
    • Tutto ciò avverrà in un solo attimo, lì per lì non ve ne accorgete neanche, colpiti e colpite dalla luce.
    • A quel punto tutto sarà finito e sulla spiaggia regnerà il silenzio. Potrete, se lo vorrete, ricorrere ai soccorsi.

    #indicazioni:.
    -- La spiaggia non è più animata dalla festa clandestina, ed il campo di forza che vi costringeva al suo interno si è dissolto con la sparizione dell'Unico.
    -- Come descritto nel masterpost, vedrete gli strappi nel cielo aumentare e poi di colpo sparire, li scorgete per un attimo pervadere ovunque, poi più nulla.
    -- Restate con le stesse ferite, indumenti e condizione fisica in cui avete terminato la battaglia.
    -- Chi non è stato colpito dalla malattia ed è in spiaggia ora recupera la propria particolarità.
    -- Col dissolversi del campo di forza potrete tornare anche ad usare i cellulari se li avete indosso.
    -- Coloro che hanno perso la particolarità sanno di essere preda della malattia ora, sapete di non avere più le vostre particolarità e consequentemente di essere stati condannati.
    -- Siete libere di descrivere ogni sensazione che i vostri pg possono provare, ma anche di descrivere un qualsiasi tipo di conseguenza di questo avvenimento che ritenete utile condividere con noi in questo contesto.

    #turni & info utilli:.
    -- Quest'ultimo post è facoltativo.
    -- Turni: questo turno è opzionale e non ha turni prestabiliti. L'importante è postare entro i 30 giorni prima della chiusura della role, e cioè entro il 12 settembre, incluso.
    Qualsiasi dubbio o domanda riguardante la Quest potete porgerla in questo topic.
    -- !!ATTENZIONE: Che cos'è l'altra parte? Troverete, delle info preliminari e necessarie in questa nuova sezione.
    -- Potrete decidere, se lo vorrete, di far cadere o "scomparire" anche i pg che avete scelto di portare in quest dall'altra parte, così come qualsiasi altro vostro pg. Per saperne di più, guardate nella nuova sezione. In ogni caso, se deciderete di far "passare" il vostro pg dall'altra parte, siete libere di descriverlo in questo turno se lo vorrete.
    -- Cosa accade ora, con la malattia? Non si tratta di un malanno fulminante: per ora vi è stata strappata del tutto la particolarità. La malattia dura più o meno un anno. L'altra parte si nutre delle particolarità, e nel far ciò, il corpo di chi è stato colpito dell'Unico perde la propria linfa vitale, quindi i malcapitati saranno fisicamente più stanchi del solito. A partire dal quarto fino all'ottavo mese di incubazione, assieme alla graduale riduzione delle forze si manifesterà una lieve forma di disorientamento e confusione mentale, difficoltà a concentrarsi e processo più lungo per formulare pensieri. Negli ultimi mesi, infine, la situazione si aggraverà senza speranze, le perderete del tutto le forze e nelle ultime settimane scivolerete in un coma che culmina con la morte al termine dei dodici mesi o poco più.

    Edited by ‹Alucard† - 12/8/2023, 14:33
     
    .
  5.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar

    The Fourteenth of the Hill.

    Group
    Cittadini
    Posts
    10,037
    Reputation
    +355
    Location
    The Matrix.

    Status
    Offline
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [descrizione di un attacco di panico].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.





    Athena Astra Drakos
    ❝39 y.o. , paladin of Justice, chained bird.
    I am no mother. I am no bride. I am king.
    Per Aspera Ad Astrasheet



    Quando Athena emerse dal proprio abisso scattò a sedere, affannata come se le avessero spinto la testa nelle acque del mare vicino, costringendola a soffocare. La lunga treccia corvina era pesante, bagnata d'acqua salata e spolverata di sabbia, ogni respiro una condanna a morte.
    Capì d'essere caduta preda di un attacco di panico non appena le sue membra la strapparono forzatamente da ciò che aveva appena vissuto.
    Le gridarono di scappare, di morire, di allontanarsi da ogni cosa.
    E' finita, sto morendo, è finita
    Quel pensiero incombente, irrazionale, scolpito come una glaciale certezza, le martellò il cuore nel torace scosso da spasmi che non le concessero tregua.
    Si afferrò la carne fra i seni, esattamente dove Ares aveva affondato la sua mano non più di qualche attimo ( od ora? minuto? ) prima, mentre l'Unico blaterava oltre lei.
    Più s'incitava a riprendersi, a scagliarsi contro quella creatura infima e caotica, più il suo corpo la spingeva a terra, il respiro le mancava, la mente la convinceva a soccombere.
    Passò qualche minuto prima che potesse calmarsi, vano ogni tentativo di governare i propri istinti e respiri come le era stato insegnato da suo padre.
    Ancora non aveva neppure iniziato a processare il nuovo orrore appena compiutosi: l'Unico, sparito.
    I suoi seguaci, quasi tutti svaniti nel nulla.
    I confini che li tenevano in prigione, caduti.
    I cielo si ruppe, ricompose, ricucì come un vestito rammendato dal Tempo stesso.
    In quell'arco di tempo il suo cuore tornò a ricordarle che era viva, che il peggio era passato e che, senza di lei, quel marasma non avrebbe avuto una possibilità di risanarsi.
    Il campo di battaglia aveva stravolto la battigia con immensi crateri aperti ovunque sino al confine con la foresta. I falò erano niente più che tizzoni ardenti sepolti nel manto sabbioso, il silenzio divenne sfumato da una sensazione di lutto che le gelò il sangue nelle vene.
    Vide alcuni coraggiosi alzarsi, soccorrere loro compagni e compagne nel disperato tentativo di ritrovare calore e vicinanza. Vide sconosciuti darsi alla fuga, privi di senno dopo il caos creatosi. Vide alcuni dei suoi agenti ricomporsi nonostante quell'avventura fosse giunta ad esigere prezzi ben più alti del loro addestramento.
    E dire che quella sera sarebbe dovuta essere niente più che una retata come tante.
    Alcuni riuscirono ancora ad usare i loro poteri od a chiamare i soccorsi, altri scoppiarono in pianti di sollievo e grida di cordoglio.
    Athena volse lentamente se stessa verso i corpi a lei più vicini e non riuscì nemmeno a guardare Ares in faccia.
    Sei stata tu, come Telathe. Sei stata tu.
    Si passò una mano tremante sul viso scarno, pallido come avorio ove gli occhi celestissimi spiccavano come frammenti di cristallo, inquietanti e desolati, spenti e colmi di terrore.
    Abbracciato al corpo privo di coscienza di Ares, Athena vide quello più sottile e slanciato di Telathe, i suoi ricci scuri mescolarsi a quelli di lui come se passato e presente si fossero fusi in una dilaniante visione.
    Athena si allontanò da Ares come se la sola vista dell'amato fosse impensabile e velenosa e, fortuna volle, ch'ella riuscì ad incrociare immediatamente le membra sottili ed aggraziate di Jonah.
    «Professore...» riuscì a dire, fradicia di acqua, sangue proprio, di Ares e chissà chi altro. «mi aiuti» asserì Athena prima di sollevare il torace del compagno per spingerlo sulla sabbia, fuori dal sale e dal mare che lo accarezzava.
    «Cerchi di recuperare un telefono, ho.. dovrebbero esserci dei poliziotti, lì» disse lei, indicando col mento una coppia di donne che avevano iniziato, in lontananza, a soccorrere altri feriti.
    «Vede, lì, una donna bionda e la bruna al suo fianco, sulla quarantina. Fanno parte della mia squadra..» aggiunse, per la prima volta a corto di parole, di ordini da dispensare, di saggi consigli mentre il suo cervello elaborava indefesso ogni dettaglio. Martellata dalla presenza costante d'un lacerante senso di colpa per ciò che sapeva di aver fatto poco prima, Athena cercò invano di sembrare granitica, giunonica com'era sempre stata.
    Così come si era sentita morire, soffocare, così Ares doveva essersi sentito quando le proprie mani si erano chiuse su di lui e lo avevano stretto sempre più forte, come spire di un serpente mortale.
    Quanto tempo avrebbero avuto?
    Non rintracciò Naavke o Sibylla, la giovane curatrice o Vilhelm se non per un breve attimo che catalizzò nuove scintille nella sua testa.
    Vide Jonah allontanarsi ed espirò, esausta.
    Thyelas era morta e non avrebbe potuto riportarla da sé.
    Lei, lei stessa sarebbe morta da lì ad una manciata di mesi.
    Accennò un sorriso amaro fuori dal tempo e dallo spazio, acre, crudele nella sua realtà sconcertante.
    Al momento, non ci sarebbe stato nulla da fare.
    «Non avresti mai dovuto mettere piede qui» asserì Athena che, distratta, affondò una mano fra i capelli bagnati di ares per toglierglieli dalla fronte, posandogli il capo sul proprio grembo accogliente ma freddo.
    «Non avresti dovuto cercarmi» gli sibilò, trattenendo a stento le lacrime in quel momento di solitudine che le parve essere fra le più assolute mai provate in tutta la sua vita, pressando due dita sul collo ancora caldo del suo amante.
    Vi percepì un pulsare leggero e regolare, lento e preoccupante.
    «Aνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε»* sussurrò, guardando il mare con lui in una bolla di affranta intimità come aveva fatto innumerevoli volte quando erano stati ragazzi, insieme, in Attica.
    Le lacrime che scivolarono poi, Athena le conservò gelosamente per tutta la vita.
    Sola ed inerme in quel pianto addolorato, gli baciò la fronte, pressando le labbra sulla sabbia ed il sale, la pelle ed i ricci scuri di Ares.
    Gli stava dicendo addio.
    Si alzò immediatamente quando percepì movimento alle sue spalle, come per evitare d'essere colta sul fatto.
    Si sfilò la giacca, la posò sotto il capo dell'amante e raggiunse in fretta il suo gruppo con Jonah al seguito, stravolto come tutti gli altri, se non oltre.
    V'era una cupezza nel suo volto che lei non comprese, una profondità che non ebbe la forza di sondare allora.
    «Chiami pure i suoi cari, Professore» asserì Athena senza alcuna esitazione prima di voltarsi verso Freya, una delle agenti superstiti che avevano raggiunto con lei la spiaggia alcune ore prima.
    «Formiamo un perimetro» aggiunse, re-infilando la maschera che soleva indossare ogni giorno.
    «Freya, fa' una cernita dei feriti che siano di un lato o dell'altro. Cerca di comprendere quanti sono quelli gravi mentre io comincio a coordinare i soccorsi. Chiamerò anche il distretto per sorvegliare questa zona, grazie» concluse Athena mentre la poliziotta scattava come risvegliata dalla risoluzione della giudice dinanzi a sé.
    La maschera sostava viva in lei, su di lei, aderendo al suo animo ferito per proteggerne l'essenza.
    La difese come una corazza, un'egida indistruttibile mentre chiamava ambulanze, coordinava i soccorsi, si premurava che ognuno, da una parte o l'altra del campo di battaglia, fosse riportato alla realtà ed alla vita, per quanta essa ne fosse rimasta.
    Non vide più Ares quella notte.
    Si premurò di affidarlo ai migliori specialisti senza badare a spese, ponendolo in una posizione di completo privilegio a scapito d'altre vite senza farsi alcuno scrupolo.
    Tornò a casa sola, senza la presenza familiare della sua grifone al suo fianco.
    Pianse, cercò e desistette all'idea di chiamare suo padre.
    Pensò a ciò che aveva vissuto, si spogliò e si guardò allo specchio, sicura di vedere cicatrici che invece non c'erano.
    Notò solo immensa desolazione, ematomi sporadici ed un tipo di tristezza che conosceva bene poichè altre volte, in passato, le era capitato di guardarla dritta negli occhi.
    Si scrutarono grazie al suo riflesso nudo e meditabondo, lei e quella Bestia che sentiva lacerarla dall'nterno.
    Non lottò, non si oppose alla sua presenza ma scelse di lasciarsene avvolgere.
    Tenebra e senso di colpa, furia e dolore che, in quel momento, comprese di dover vivere pur di emergere, pur di vincere.
    Il filo rosso che aveva visto in quell'incubo ancora sembrava tirare invisibile oltre sé, in un cuore diverso, una carne sua e non sua.
    Non lo avvertì rompersi e capì, in qualche modo, ch'egli doveva essere sopravvissuto.
    Dopotutto era Ares, fuoco e distruzione, avrebbe preso a pugni la Morte stessa se avesse deciso che sarebbe stato troppo presto per andare.
    Athena passò la mattina successiva completamente insonne, segnandosi nomi e cognomi, ricostruendo la scena con gli inquirenti, suggerendo chi interrogare, firmando mandati per arresti che sarebbero prima o poi piovuti come lapilli d'un'eruzione appena iniziata.
    Il filo continuava a tirare.
    La scacchiera era pronta per una nuova partita.



    *L'uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo / errò dopo ch'ebbe distrutto la rocca sacra di Troia;
     
    .
  6.     +5   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    mads-mikkelsen

    Take what you need, say your goodbyes
    it's a beautiful crime

    C'è sempre da confrontarsi con le macerie quando la guerra finisce. La polvere si posa al suolo e si contano i morti. Naavke poteva annoverarsi tra essi. Lo aveva sempre confortato il pensiero della morte, e ricordava con quanta decisione Nikolaj Mordersonn gli avesse mentito nel dirgli che fosse un'idea così lontana da lui da non contemplarla. Eppure, la consapevolezza di avere una data di scadenza, vicina, troppo vicina, per se stesso e soprattutto per Calypso cambiava radicalmente le sue prospettive. Non temeva la propria morte, ma era consapevole dell'impatto devastante di quella di sua figlia - aveva desiderato cambiarla, ma non in questo modo, non fuori dal proprio controllo, non con qualcosa a cui non avrebbe potuto porre rimedio. Aveva ucciso non solo lei, ma anche il germoglio di un essere umano e la sua maternità. Da Coco Naavke aveva preso la vita stessa, ed a Vilhelm invece aveva dato tutto. "Hai provato ad uccidermi una volta, ora è arrivato il mio turno. Non ho mai cercato vendetta, per quanto ho desiderato di ucciderti con le mie mani. Tutto sommato... avrei preferito non arrivare a vivere fino a questo assurdo giorno." Amore provato non è mai amore sprecato, e Naavke ritrovava quel detto nello sguardo di Vilhelm, quando si incrociò nel proprio e tra le sue parole sulla strada verso il sepolcro che l'avrebbe ospitato. Erano passati così tanti anni dal loro ultimo incontro, fatto di sangue e foglie, nella foresta di Besaid, ed ora nuovamente le sue mani si sporcavano di rosso vivo. La pugnalata che egli stesso aveva inferto a Vilhelm gli rubava attimi di vita, che sgorgava via come il tempo che ormai rimaneva limitatamente a Naavke e Coco.
    Avrebbe trasformato la tragedia in una benedizione: l'orologio ticchettava per ogni essere umano, Naavke aveva solo avuto il privilegio di sapere quando gli ingranaggi avrebbero smesso di scattare. Quando l'Unico era scivolato, assieme alle particolarità di tutte le sue vittime, all'interno di quella frattura nell'aria, Naavke tentò di registrare ogni minimo dettaglio: si trattava forse di teletrasporto, o di un mondo da lui creato? Una dimensione alternativa? La disperazione e la mancanza di controllo motivavano Naavke ad assorbirle completamente nelle sue macchinazioni, nel cercare una risposta che, per presunzione e per brutalità, passava inesorabilmente da una vendetta violenta che era certo sarebbe andata a buon fine. Aveva fatto una promessa a sua figlia: le avrebbe servito l'Unico sul banchetto più prelibato e sanguinoso che fosse riuscito ad allestire per lei. Il momento era arrivato di lasciare a Besaid una eredità che Cassandra avrebbe apprezzato e che lei avrebbe divorato completamente: la vendetta sull'Unico si sarebbe intrecciata ad una nuova fase per Libra, un progetto per cui Sibylla Greseth, Athena Drakos, Nikolaj Mordersonn e coloro che ostacolavano l'operato dell'organizzazione avrebbero rimpianto. Ciò che sobbolliva all'interno di Naavke non dava spazio ad altre emozioni se non a furia fredda ed incandescente, almeno non finchè il cielo non si illuminò, squarciandosi del tutto, per un solo secondo, richiudendosi in un battito di ciglia e segnando così una nuova era per Besaid. Luce sinistra, accecante, aveva pervaso ogni centimetro del cielo e della terra, e così come era arrivata era sparita, lasciando un'impronta indelebile dietro le palpebre di tutti sulla spiaggia ed in città, come una visione terrificante per cui si teme anche solo di chiudere gli occhi.
    La vita però pulsava ancora sotto ai palmi scoperti di Naavke, in ogni singulto e respiro di Vilhelm, e questo nessuno glielo avrebbe potuto portare via. Gli aveva regalato una chiusura, incontrare Lisbeth e Kjetil un'ultima volta per soppesare le loro morti dall'esterno, non più come esecutore, nè come un figlio indifeso, nella più completa accettazione del passato. Vilhelm gli aveva regalato pace, prospettiva, un finale per la parte più dolorosa della sua storia a cui quasi nessuno aveva avuto accesso; si trattava di doni impagabili che Naavke non avrebbe sprecato. Non appena il chiarore dell'alba prese a sanguinare nel mare all'orizzonte, Naavke tornò a respirare profondamente ed a vedere chiaramente se stesso e le persone attorno a sè. Sarebbe tornato alla sua vita, alla sua famiglia ed ai suoi avversari, che ora proprio come lui non erano che semplici esseri umani - feriti, stanchi, spezzati. Era arrivato il momento di ritirarsi e guarire. Spostando i palmi dalla ferita di Vilhelm, Naavke non proferì parola e gli circondò le gambe e le spalle con le braccia. Sentiva ancora l'impronta cruda dei palchi sulla schiena, il pungiglione doloroso del proiettile di Sibylla Greseth e la traccia del peso che d'ora in avanti avrebbe gravato su di lui sino ad ucciderlo. Quantomeno, era stato Vilhelm a consegnarglielo. Si rimise così in piedi, e portando Vilhelm con sè Naavke lasciò la spiaggia, percorrendo la costa a piedi nudi sino a scomparire tra le pendici rocciose di Besaid.
     
    .
  7.     +4   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Clara ~

    Group
    Cittadini
    Posts
    31
    Reputation
    +117
    Location
    🌙⭐☀️☄️

    Status
    Offline
    Un’altra volta, ancora un’altra, e lo scarpone – stravolto da sangue, sale e sabbia – si sollevò ancora una volta ed impose pesante la propria impronta sul terreno: Jonah si sollevò finalmente in piedi, nuova determinazione nelle vene tenacemente trasportata da un’emozione della quale mai avrebbe pensato di potersi nutrire. Nel mentre le parole dell’Unico affollavano la barriera delle menzogne sulle quali si ergeva tronfio, odio e disgusto si mescolavano prepotenti nelle budella del giovane, travolgenti quasi come l’onda da lui stesso creata prima, una furia tenuta a bada solamente dal minimo raziocinio rimasto ed il traballante equilibrio appena raggiunto, mano tremante avvolta attorno ad una ferita per fortuna non più altrettanto sanguinante. Non aveva forze, lo sapeva bene, e così era per tutte le altre povere vittime del potere d’un crudele dio – no, d’un superbo uomo – lì spiaggiate, probabilmente come lui alla ricerca d’una soluzione, se non già completamente arresesi alla propria tragedia, scelta assolutamente non biasimabile alla quale lui stesso avrebbe ceduto se l’amore per Anniken non fosse stato scossa di vita per lo stanco corpo. Fu proprio lei a costellare i suoi pensieri quando la vista gli fu d’un tratto strappata dall’immensa luce del cielo, per un attimo confusa con l’alba, in realtà solo quella di una nuova era alla quale lui non aveva mai desiderato assistere – non se avesse significato ferirla, non se avesse significato perderla, dio o qualsiasi altra cosa sia lì sopra, per favore, scegli me al posto suo.

    Delusione lo sommerse quando fu nuovamente consapevole delle proprie fragili membra, almeno per un secondo si dispiacque la preghiera non fosse stata udita, prima che la sua attenzione fosse strappata dalla precisione visiva appena guadagnata, una visuale sul mondo superiore a quella umana svanita al seguente battito di ciglia: la confusione era immensa, eppure una consapevolezza in quel marasma di voci indistinte, grida spaventate e sollevate, brillò preziosa e magnifica sopra le altre. Jonah aveva riacquisito la propria particolarità – non era sicuro di come e perché fosse stato graziato da quel pazzo, ma era di nuovo se stesso e non riuscì ad impedire la fuga d’un tremante sospiro dalle proprie labbra, il battito che pian piano accompagnava quel gesto rallentando, la tensione nell’aria trasformata in prontezza di spirito una volta che il respiro gli permise di concentrarsi sulla verità più importante di tutte, quella a cui più volte s’era costretto a tornare. Era lì, era presente a se stesso, era se stesso. Fu allora che i suoni del mondo attorno tornarono a farsi vividi, richieste e proposte di soccorso illuminarono l’umida sabbia tanto quanto i primi raggi d’un alba che non pensava Besaid avrebbe mai visto, una ancora intrisa di vita vera, una in cui ciascuno poteva riconoscersi in se stesso ed agire di conseguenza – e lo stesso fu per lui. Il possibile significato dell’assenza dell’Unico scivolò in secondo piano nella mente indaffarata del biologo, le cui frettolose mani scivolarono lungo il proprio corpo alla ricerca dell’infangato limite della propria veste, il guadagno un lembo abbastanza grande da poter avvolgere attorno al proprio stomaco e, conseguentemente, il tempo necessario per poter soccorrere chi ancora cercava il proprio equilibrio a seguito dell’immensa scossa all’essenza stessa della loro realtà. Seppur gli scarponi s’ostinassero svelti verso le richieste d’aiuto nei pressi della sua temuta ultima fossa (dalla quale, invece, s’era erto), i recenti avvenimenti affollavano i suoi occhi – per la prima volta veramente simili a quelli degli animali tanto amati, istinto di sopravvivenza o omicida che fosse; tali scene si susseguivano insistenti ed oscure come le ombre che pian piano andavano stagliandosi sotto di sé, ritirandosi dal buio generale che, sorprendentemente, non aveva inghiottito tutto in quella notte. Anzi, la verità s’era fatta anche più nitida, nonostante le innumerevoli insensatezze dello sconvolgente evento, ed era riuscito ad ammettere a se stesso di non esser solo nella sua seconda vita, formatasi da appena qualche mese nel suo nido d’infanzia – fu il corpo massiccio abbandonato alle onde a ricordarglielo, da lui immediatamente accorse ed al suo fianco s’inginocchiò, stoffa già stretta tra le mani e presto attorno alle ferite dell’altro. Ares, definizione di forza fisica, ora giaceva privato d’essa nel suo stesso sangue, un inaspettato gesto che però aveva posto un enorme debito sulle spalle del gracile uomo intento a stringere la garza improvvisata quasi fosse la promessa di restituire quanto dato il prima possibile; forse non avrebbe mai potuto definire l’omaccione “amico” ad alta voce, tuttavia in tal modo l’avrebbe sempre considerato, se non per il suo comportamento, anche solo per lo spirito di sacrificio che in lui ispirava, il desiderio di poter essere all’altezza della seconda possibilità ricevuta.

    L’altra persona cui spettava tale gratitudine si palesò nel medesimo istante in mani avvolte al corpo davanti a sé, complici nell’allontanarlo dall’inesorabile ritorno delle onde, ed in una voce familiare ed al contempo inaspettata: «Mi aiuti» chiese Athena, definizione di forza morale, e gli occhi chiari di Jonah saettarono su di lei, sorpresi dalla seppur flebile stanchezza colta nella sua richiesta e nel suo sguardo. Sofferta anche per lei era stata quella notte – pensò a Thyelas, al dolore inimmaginabile probabilmente provato – eppure non credette neppur per un secondo che la donna fosse capace di resa nello stesso modo in cui lui lo era stato lui in passato, non se persino in punto di morte era riuscito a recuperarlo, a ricordargli delle sue radici nel terreno e del coltello tra le sue mani, a rimproverargli delle possibilità volutamente incolte; aveva così tanto da dirle, ma soprattutto aveva molto da restituirle. Perciò, non disse nulla, lasciò il tempo necessario ad Athena, degna del suo nome, d’articolare l’ordine e ad esso semplicemente annuì, conscio fosse l’unica al momento capace di ristabilire l’ordine nei resti d’una cittadina torturata da uno dei suoi stessi figli – un’altra domanda che premeva sulle sue spalle, una torre ormai insormontabile che tuttavia non gli impedì d’alzarsi e continuare, vita che avanza nonostante la paura di esserne indegno con l’animo macchiato d’odio. Raggiunse in poco tempo le donne al seguito della giudice e, recuperato il telefono, neppur pensò di usufruirne per sé, tant’era il senso di responsabilità nei confronti delle due ombre stagliate al confine col mare; no, fu altro a convincerlo a rallentare il passo incessante, una scena alla quale forse non avrebbe dovuto assistere – per questo custodì segretamente la visione di Athena piegata su Ares, l’intimo abbraccio segno d’un profondo sentimento memore dell’urlo che aveva squarciato l’aria non molto tempo prima, e si dispiacque di non possedere il necessario per donare la pace ai loro animi, così come a quelli dei loro concittadini torturati dal meschino compito al quale mai sarebbero dovuti esser stati chiamati. La sua fragile figura, consapevole d’esserlo, avanzò solamente dopo qualche istante, riscopertasi anche consapevole della propria capacità di far del bene, e fu grato d’averla posta al servizio altrui quando, una volta riunitasi alla donna e raggiunto un gruppo di poliziotti al suo comando, lei gli disse «Chiami pure i suoi cari, professore». Semplici ed ovvie furono le parole, eppur nuovamente ricordarono al padre le proprie radici, e gli occhi azzurri prima incupiti brillarono tenui dell’umidità formatasi alla realizzazione di chi li avrebbe attesi dall’altro capo del telefono, una gioia ed una paura che si consumavano a vicenda; prima di ritirarsi in tale emozione, tuttavia, spinto dal coraggio ritrovato proprio per la sua unica ragione, inaspettatamente cercò il contatto fisico da lui sempre evitato sfiorando con la mano il braccio di Athena, un gesto di vicinanza e sostegno. Fu solo un attimo, non v’era tempo di protrarsi ulteriormente nei tragici strascichi da cui si stavano rialzando, e tuttavia sperò il proprio determinato sguardo riuscisse a trasmettere – ad occhi non dissimili dai propri in quel momento – infinite volte meglio la propria immensa gratitudine di quanto mai avrebbero potuto comunicare parole trascinate da un soffio: «La ringrazio, Athena», ed allontanandosi s’impose di dar valore concreto a quella sua seconda vita così come lo era stata la voce della donna nel turbinio di astratti pensieri dal quale l’aveva riesumato.

    Tornò a respirare solamente quando le braccia avvolsero la sua piccola, quando sentì il suo nome risuonare dolcemente a gran voce nelle strade ora affollate di volti volutamente ovattati, quando le scarpe rosa confetto (aveva insistito sul modello, voleva affrontare l’oscurità con la luce delle suole) si librarono in volo assieme ad Anniken, ora al sicuro, seppur per poco. Jonah rinvenne solamente quando sentì i loro battiti sincronizzarsi, il suo respiro addolcirsi invitando l’altro a fare lo stesso, quando la tunica – ancora sporca di sangue – si macchiò di lacrime sia sue che non, una straziante gioia finalmente divenuta realtà. Erano mesi che non la vedeva, così tanti giorni s’era tormentato sui concetti di “sicurezza” e “minaccia”, la protezione della bambina più importante del suo stesso desiderio di ricucire quel legame inevitabilmente sfilacciatosi al divorzio; superando la scelta imperdonabile eppur necessaria, null’altro importava in quel singolo istante in cui le due anime potevano essere riunite ed un padre poteva con gioia riabbracciare sua figlia, l’uccellino poteva tornare all’amato nido. O meglio, in realtà vi era altro d’altrettanta importanza, una domanda s’era affannata nel suo petto da quando, colmo di preoccupazione, aveva concluso la chiamata e disperatamente domandato ad Athena il permesso di prendere uno dei suoi per poter ritrovare la propria famiglia, a quanto pare dispersa in una città a loro sconosciuta: «Kinna, dov’è la mamma?» con ancora la propria vita in braccio, sospirò via lacrime e paura per concentrarsi sulla questione, ma la bimba non riuscì a far lo stesso. «N-non lo so!» pianse lei, sopraffatta dalla felicità, dalla paura, dalla confusione e, soprattutto, da una forte consapevolezza d’essere stata privata di una parte di sé appena conosciuta. «L-la mamma era qui… S-siamo venute a cercare pappa per-perché fuori era così spaventoso… E pappa non rispondeva, e poi- poi mamma ha...» prese fiato, insicura di come esprimere quanto visto, ma quando il suo sguardo trovò il suo preferito entrambi seppero fosse la verità, «ha cominciato a volare… Mamma non ha le ali, mamma non può- non può volare, non capisco!»

    Ci vollero ore prima che Anniken poté calmarsi, addormentandosi con guance ancora umide sul grembo di suo padre avvolta dalle sterili lenzuola dell’ospedale nel quale lo aveva costretto a cercar rifugio quando le ferite avevano richiesto attenzioni; non che sarebbero potuti andare altrove, l’ostello era stato severamente vietato da Liss e con lei era sparita anche la chiave della stanza d’albergo nel quale le due stavano alloggiando... Sospirò per l’ennesima volta, accarezzando gli sciolti capelli biondi simili ai propri per l’ennesima volta, incapace anche solo di pensare al motivo del caos dentro e fuori le pareti bianche circostanti: li aveva scorti, i volti spaventati delle persone lungo la strada, aveva sentito le urla disperate di altra gente in cerca dei propri cari, la paura insinuarsi tra le vie d’una città risvegliatasi sotto un sole diverso, incupito da una silente minaccia. La situazione era grave: la donna non si trovava da nessuna parte, avevano trascorso diverse ore a cercarla negli unici posti in cui si sarebbe mai potuta trovare, tra i quali risultava una bella casetta non lontana dalla foresta il cui contratto, fresco di firma, era stato rifilato alle sue mani ancora sporche di sangue. La sua ex moglie, fonte dei dubbi sulla sicurezza di sua figlia, proprio per compensarli ed assicurarle abbastanza tempo con suo padre, aveva acquistato un nido per i due a Besaid, uno che non aveva ancora avuto il coraggio di visitare per bene ma nel quale sapeva si sarebbe dovuto trasferire; ed ecco, ora Jonah si trovava in piedi sull’uscio d’una nuova vita, mano nella mano con la sua ragion d’essere (ora sua unica figura di riferimento nelle vicinanze), bagagli di ricordi e vestiti da organizzare e neppur la possibilità d’affidarsi alla spalla su cui per anni aveva imparato a piangere. Si sentiva perso, spaesato anche più di quando aveva appena messo piede nella cittadina; ciononostante, di una certezza non sarebbe mai riuscito a liberarsi, neppur la paura più grande l’avrebbe mai potuta scuotere. La propria promessa: avrebbe riportato Anniken a casa, l’avrebbe salvata, ne era certo. Se ne rese conto solo dopo, ma, per la prima volta in tutta la sua vita, il pensiero di scappare non lo sfiorò neanche.
     
    .
  8.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline

    Dopo aver tanto sofferto, possiamo dichiarare la quest Sykdom Apocalypse chiusa! Grazie di averci regalato dei post meravigliosi e ci rivedremo ad ottobre per un nuovo evento che vi fornirà più informazioni sulla Besaid Niflheimr! Grazie, passo e chiudooo :luv:

     
    .
37 replies since 25/5/2023, 20:33   1730 views
  Share  
.
Top
Top