Glory

Athena x Jonah | Primo mattino

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    The Fourteenth of the Hill.

    Group
    Cittadini
    Posts
    10,037
    Reputation
    +355
    Location
    The Matrix.

    Status
    Offline

    Athena Astra Drakos
    ❝39 y.o. , paladin of Justice, chained bird.
    I am no mother. I am no bride. I am king.
    Per Aspera Ad Astrasheet


    Il fruscio e l'ombra fresca delle fronde alle sue spalle si aprì, lasciando spazio ad Athena di respirare.
    Gonfiò il petto quanto più poté, cullata dalla solitudine.
    L'aria fredda le bruciò i polmoni per un istante prima di donarle un benessere ancestrale, qualcosa che sentiva di rado e solo a contatto con la natura, elemento a lei completamente alieno se non fosse stato per quei momenti di pace e volontario isolamento.
    Si sentì confortevole a sufficienza da chiudere gli occhi di ghiaccio, ritrovando la propria essenza in quel gelo piacevole di primo mattino.
    Era già trascorso un paio d'ore dall'inizio della sua passeggiata con Thyelas nel bosco.
    Athena aveva portato Pantheras con sé, il suo fidato falco addestrato meticolosamente per sei anni oramai. Era stato un dono di suo padre, con cui aveva condiviso la passione della falconeria sin da bambina.
    Il suo primo uccello era stato un gheppio femmina, Danae, meravigliosa nella sua indole feroce per quanto fosse minuta. Era stato un uccello difficile, il cui peso ed allenamento erano stati misurati con estrema cura per garantirle una vita lunga, serena e performante.
    Athena non si era mai ritenuta poi così diversa da quelle stesse creature di cui si prendeva cura: aveva bisogno di tenersi in costante esercizio mentale e fisico, ribellandosi al ristagno che la noia le avrebbe potuto propinare.
    La sua routine, il suo lavoro e la sua essenza non erano fatti per star fermi: un nuovo rompicapo da risolvere, una sentenza da ponderare, un allenamento da superare, una nuova sfida da superare.
    La realtà era che nella sua perfetta immobilità esteriore, Athena aveva sempre fatto fatica a ritrovare una quiete interiore.
    Pavida, Athena Drakos preferiva evitare di fermarsi.
    Chissà cosa sarebbe successo poi se si fosse concessa di sentire.
    La giudice fischiò, Pantheras spiccò il volo dal suo braccio e s'immerse in quel mare smeraldo d'alta erba ed erica. Notò una lepre affrettarsi a cercare un rifugio dal predatore che adesso le viaggiava alle calcagna ma Athena non si preoccupò. Gran parte delle battute di caccia dei rapaci erano infruttuose.
    Per evitare che il suo falco ne risentisse psicologicamente tirò fuori da una cinta a cui erano allacciati numerosi astucci dei pezzi di carne.
    Thyelas le camminava a fianco, aurea, perlacea, fiera esattamente come la sua creatrice. Gli occhi erano i medesimi, in un disturbante specchio che chiunque avrebbe potuto ritrovare simile in modo inquietante.
    «Sgranchisciti le ali, va'» l'esortò Athena, vedendo la creatura spiegare le sue splendide piume.
    Thyelas accennò col capo, cinguettò maestosa e cominciò una corsa bellissima e terribile come la carica d'un cavallo da guerra.
    Athena sorrise e la vide spiccare il volo con grazia, dominando i cieli sopra di lei.
    Nel mentre, in quella piacevole alienazione, la giudice cominciò a pensare alla sua realtà quotidiana in quell'ultimo, bizzarro periodo: Besaid era velata d'una strana patina di paura e tensione da quando Sykdom aveva iniziato ad imperversare. L'incontro presso l'università non aveva reso alcunché più semplice denotando strane alleanze, instabile clima politico, schieramenti e sotterfugi di cui lei si sentiva sfortunatamente non messa a parte.
    Dall'alto di una sua innata superbia, Athena credeva che ben poche menti avrebbero potuto eguagliarla. Quel nugolo era stato accuratamente selezionato per l'occasione e, fra loro, dei Campioni avrebbero potuto tenerle testa.
    Primo fra tutti Naavke Evjen, creatura pericolosa e discreta di cui Athena non riusciva a fidarsi.
    Ne rispettava l'intelletto, la forza d'animo e l'innegabile, sinistra oscurità che aveva rintracciato.
    Non riuscire a prevedere le mosse di tutte le pedine sulla scacchiera l'impensieriva.
    La professoressa Greseth, Lars Berg, Iago Torres, Ares.
    Già, Ares. Era arrivato in città da qualche mese e già aveva sparso caos ovunque avesse messo piede, al vita di Athena compresa.
    Quella variabile non era stata calcolata, catalogata, analizzata. Aveva aggiunto ai dubbi già presenti nella mente del giudice anche delle tensioni emotive che aveva sperato d'evitare sino all'ultimo.
    Stranamente, a seguito delle loro conversazioni e reciproci, ardenti errori, qualcosa le suggerì che i fili aurei dei loro destini erano ancora collegati, che non era finita lì.
    Pantheras cantò, annunciando il proprio ritorno da una caccia infruttuosa.
    Athena, osservando i suoi artigli vuoti ed il suo becco pulito, soppesò un dado di carne cruda né troppo consistente, né magro. Pantheras le atterrò sul braccio privo di guanto, affondando le unghie nella pelle della sua padrona.
    La giudice, abituata a quel dolore, nutrì il suo volatile e notò, allora, di non essere sola in quell'ampio prato.
    Da quanto?
    «Heylà, tutto bene?» domadò ad alta voce, tonante mentre Thyelas atterrava poderosa, in guardia verso quella figura longilinea ancora abbastanza distante. Schioccò il becco due volte, aggressiva mentre un'ala abbracciava Athena quasi in tutta la sua slanciata interezza.
     
    .
  2.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Clara ~

    Group
    Cittadini
    Posts
    31
    Reputation
    +117
    Location
    🌙⭐☀️☄️

    Status
    Offline
    Bastò bearsi labbra e narici d’aria pura perché i suoi piedi – spogli come un mantra – potessero tornare a godere della fresca sensazione d’umidità e morbidezza del terreno, purtroppo oramai condivisa anche dai suoi abiti sporchi di fango. Jonah si scrollò di dosso l’eccesso per l’ennesima volta, pregando un lavaggio avrebbe perlomeno riportato un minimo di dignità alla solita maglietta grigia, camicia a quadri abbandonata su un ramo basso in un tentativo di salvataggio; tuttavia, era ben conscio avrebbe presto dovuto sottoporsi ad una delle peggiori torture umane (a detta sua): fare compere per se stessi. Era inevitabile, si sarebbe nuovamente ritrovato nella sezione sbagliata – Anniken priorità assoluta – e, anzi, forse sarebbe stato anche così stupido da provare ad incorrere nell’ira funesta di Liss pur di far esplorare alla piccola la nuova cittadina, rifugio dagli unici ricordi a lui accessibili. Incapace di trattenere un sorriso dallo sbocciare su labbra rovinate, mangiucchiate dal nervosismo maturato dalla sconvolgente esplorazione della sua nuova abilità, dovette ammettere che la sola idea di familiarità contrastava così nettamente con la realtà di quelle ultime settimane. In poco tempo, un semplice professore si era ritrovato in un mondo a lui completamente estraneo ed al contempo estremamente familiare, tanto da convincerlo di continuo a tentare nuovi approcci nei confronti del potere inaspettatamente sopito in lui.

    Jonah aveva trascorso giorni e notti con i piedi nel fango o nella sabbia ad osservare il mondo attorno a lui, sia a Bergen che a Besaid, ma in quest’ultima aveva potuto esserne parte come mai prima: aveva sentito i fili d’erba bagnati di rugiada con le zampe d’una lepre, l’acqua dolce di un fiumiciattolo con la pelle d’una rana, la leggerezza del vento attorno a sé con le ali d’un uccello. Soprattutto questo, innumerevoli volte, quasi ad aggrapparsi disperatamente alla silenziosa nostalgia accompagnante quella sensazione, una libertà pagata dalla consapevolezza di non sapere perché quel breve innalzarsi del suo corpo sopra il terreno – spesso terminante, appunto, in rovinose cadute e non pochi lividi – rappresentasse così tanto per la sua vecchia vita. Volare, librarsi anche solo per un secondo, la stessa fiducia innata di avere in sé quanto basta per poter solcare i cieli, lo rilassava forse anche più d’un respiro a pieni polmoni, quasi l’aria di cui necessitasse non fosse la stessa respirata dagli altri esseri umani (se si potessero definire tali lui e gli altri abitanti), bensì solo quella rarefatta, motore originale delle nuvole. Quante cose aveva potuto scoprire ed imparare un semplice biologo in quel poco tempo, su sé e sul mondo, anche solo mediante piccoli test mai superati per paura d’avvicinarsi sempre più a quanto cominciava ad intuire fosse una perdita di coscienza; si rifiutava ancora di farvi i conti, eppur si convinceva sempre a meditare dopo ogni sua segreta sessione, soluzione a cui non ricordava d’aver mai lavorato. Quanto avrebbe dovuto elaborare, invece, sarebbe stato almeno una risposta sui recenti avvenimenti nella cittadina, una stranezza non intrinseca ad essa: ora che era stato reso partecipe della verità dietro il virus, anzi, dell’uomo dietro la terribile pandemia, l’unico tassello che era caduto al suo posto era il mancato ritrovamento di prove nella spedizione sulle montagne, alla quale aveva preso parte con altri colleghi solo poco tempo prima. Il resto era, purtroppo, anche più indecifrabile, a cominciare dalle motivazioni del figuro, di cui aveva provato a memorizzare i tratti somatici nella speranza che osservare il mondo con occhi animali avrebbe condotto a risultati differenti, agli ulteriori dubbi che scaturivano sulla natura di quella linfa che scorreva nelle vene dei concittadini, una benedizione che piano piano cominciava a sembrargli una condanna a morte. Da quando si era concluso l’incontro con le poche sconosciute personalità di Besaid, pensieri simili lo tartassavano tanto da rendergli difficile trovar pace persino nella sua amata natura, che sempre cullava il suo cuore dal più rapido dei battiti; eppure, in piedi fra le frasche, il chiaro sguardo perso nel cielo terso, oltre al fango non riusciva a scrollarsi di dosso neppure la sensazione di star inesorabilmente finendo in trappola, lasciandosi coinvolgere personalmente in qualcosa di molto più grande di lui.

    Sbatté le palpebre: un rapido movimento nell’azzurro limpido aveva catturato la sua attenzione, quasi fosse preda di tale creatura, che alla seconda occhiata riconobbe essere un falco – seppur non fosse sicuro appartenesse alle specie da lui solitamente ammirate in quella zona della Norvegia, innumerevoli appunti sul birdwatching abbandonati negli scatoloni ancora chiusi. Soppesò brevemente quale fosse la soluzione migliore alla neonata curiosità mentre ne seguiva rapito il volo, sicuramente una battuta di caccia, e concluse che, prima o poi, avrebbe dovuto raccogliere a due mani quel poco coraggio che la sua breve vita conosciuta gli aveva permesso di costruire e dar il via libera alla propria particolarità, così da scoprire verità ancora arcane su quei limiti da lui stesso imposti. Prese un altro profondo respiro e, senza scrollar gli occhi di dosso alla creatura, si disse d’esser pronto, che o la va o la spacca, che faceva ancora in tempo a fermarsi prima di serrare la visuale e pensare, pensare ma questa volta alla forma ed alla funzione ed al meccanismo degli occhi del rapace e dar forma e funzione e meccanismo medesimi ai propri. Tuttavia, quanto desiderato tardò ad arrivare quando un fruscio alle spalle spezzò la sua delicata concentrazione; presto si ritrovò spaesato, incapace di riacciuffare con lo sguardo la coda del falco finché non si fu voltato completamente, i raggi di sole filtrati dalle fronde quasi mascheranti il volo basso, forse promessa d’una miglior visuale priva d’ulteriori tentativi infruttuosi. Lasciò le gambe seguire i propri pensieri, la sensazione ed il suono dell’erba sotto ai piedi scivolare in secondo piano pur di focalizzarsi sulla vista, ritrovandosi presto a riempirla d’una radura svuotata d’alberi e persone, unico punto focale una donna, in piedi al centro d’essa, con il braccio alzato in attesa proprio di quanto lui stesso cercava. Jonah non tardò a realizzare si trattasse di falconeria, seppur si soffermò soprattutto sulla bellezza del rapace piuttosto che sulla persona al suo fianco, finché quell’ovvia realizzazione non si palesò all’arrivo d’una creatura anche più meravigliosa della precedente, una che aveva avuto occasione di conoscere solo qualche giorno prima e di cui non poteva certamente dimenticarsi.

    Maestosa, non sapeva bene come altro definire tale creatura, una grifone sicuramente, fonte di curiosità infinita tanto da spingerlo quasi ad avvicinarsi a lei nonostante la palese (e comprensibile) avversità nei propri confronti sbocciata dalla necessità di proteggere la propria padrona, come se fosse sua simile. È lì che, finalmente, scrollò dalla testa le innumerevoli domande per ritornare alla realtà, mettendo a fuoco il volto della donna le cui parole eran giunte quasi ovattate alle sue orecchie: «Heylà, tutto bene?» lei chiese e, per quanto le labbra fossero schiuse, lui non seppe bene cosa farvi uscire. Più che la sua misantropia innata, la paura stessa dell’altro molto spesso tratteneva le sue parole, le strappava una ad una dalla frase strutturata nella sua mente e vi lasciava due spicci, quasi la sua voce non valesse la pena d’essere ascoltata – tuttavia, in quel momento aveva del carburante inaspettato a convincerlo a farsi avanti comunque, portandolo ad alzare la mano in segno di saluto con il fare impacciato di chi è conscio d’esser scalzo e sporco di fango. «E-ehi, uhm, tutto bene, e lei?» sorrise lievemente, avanzando solo di qualche passo onde evitare di spaventare la grifone: in primis, era proprio lei a convincerlo, la semplice idea di poter dissetare la propria curiosità l'avrebbe convinto anche alla peggiore delle torture, ed in fondo i convenevoli non sono proprio questo? «Lei… Lei è la giudice Drakos, se non erro» proprio lei era, in realtà, la seconda ragione per la quale aveva raccolto abbastanza coraggio da continuare a parlare: breve era stato l’incontro al quale entrambi avevano preso parte, eppure qualcosa nella sua stoica persona e forte determinazione lo informavano che, probabilmente, la loro morale coincideva, che entrambi vedevano il mondo con il desiderio di proteggerlo. E questo significava molto per Jonah. «Sono Jonah Losnedahl, il professore di biologia – non so se si ricorda di me» accennò un sorriso, portando la mano ormai alzata dietro al capo con fare imbarazzato, ma il suo sguardo poco sostò sulla sua interlocutrice prima di tornare sulla creatura che tanto aveva catturato la sua attenzione. «È sua? È meravigliosa…»
     
    .
  3.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    The Fourteenth of the Hill.

    Group
    Cittadini
    Posts
    10,037
    Reputation
    +355
    Location
    The Matrix.

    Status
    Offline

    Athena Astra Drakos
    ❝39 y.o. , paladin of Justice, chained bird.
    I am no mother. I am no bride. I am king.
    Per Aspera Ad Astrasheet


    Athena riconobbe all'istante l'uomo che le si stagliò dinanzi: inconsapevolmente elegante e slanciato, le parve uno snello airone sperduto fra l'erba alta ed i cinguettii gentili di Pantheras sul proprio braccio.
    Timido e coraggioso al tempo stesso, il professore si avvicinò a lei mentre Thyelas ne difendeva il corpo e lo spirito, schioccando il becco come minaccioso avvertimento.
    Aveva visto Jonah Losnedahl durante quella sospetta riunione all'università di Besaid.
    Athena aveva cercato di ricordare e registrare quante più informazioni su tutti i presenti a quel bizzarro incontro e poi, risoluta, era tornata a lavoro.
    Aveva domandato ad uno dei suoi segretari di svoglere ogni ricerca del caso: chi realmente fossero quelle maschere ch'ella aveva visto, dove vivessero, cosa facessero nella vita, quali legami conosciuti avessero con la città ed in città.
    Fra loro, stelo d'avorio in un mare d'oscurità e misteri, era balzato il professor Losnedahl.
    Promettente nel suo campo, divorziato e con una bambina era stato forse uno dei più ordinari agli occhi glauchi ed attenti di Athena.
    A tal proposito, la giudice comprese immediatamente d'avere dinanzi un'occasione d'oro: parlare avrebbe potuto presentare l'opportunità di capire come Jonah avesse visto l'intera vicenda a cui entrambi avevano presenziato, quali fossero i suoi pareri ed intuire sin da subito se egli sarebbe potuto essere un valido alleato, magari una risorsa.
    La schacchiera era aperta, immacolata dinanzi ad Athena.
    Si stagliava infinita e troppe delle pedine le erano ancora oscure.
    «Certo che mi ricordo di Lei, professore» replicò Athena con elegante cortesia mentre Thyelas si quietava, adesso assumendo il medesimo fraseggio corporeo della sua Creatrice.
    Astra e quella creatura erano uno e due al tempo stesso e quella simbiosi era inquietante, pericolosa, affascinante.
    «Thyelas è il più grande dono che la mia particolarità mi abbia concesso sino ad ora» spiegò la giudice mentre la grifone si avvicinava maestosa a Jonah.
    Era grande quanto un giovane destriero ed il volto d'aquila portava incastonati i medesimi occhi di Athena. La creatura cominciò ad osservare predatrice ogni dettaglio di quella nuova compagnia.
    Fece un passo avanti e si scrollò appena le ali, richiudendole ordinatamente come a fare eco alla raffinatezza della donna che aveva a fianco.
    «Può avvicinarsi, se desidera» elargì lei con l'accenno di un cauto sorriso mentre, dritta e composta, esortava Pantheras a muoversi di nuovo per un fresco turno di caccia.
    La sua poiana voltò la testolina piumata in uno scatto e spiccò il volo, abbandonando la pelle calda di Athena sotto di sé.
    «E' un piacere conoscerla» asserì lei che allungò la propria mano verso quella del professore.
    I lunghi capelli bruni e lucenti erano acconciati in una spessa treccia simile ad un sinuoso serpente aggrappato alle sue spalle bianchissime, coperte da un costoso cappotto che nascondeva in parte gli abiti al disotto.
    «Qui per un po' di solitudine?» domandò come a voler cominciare ad intavolare in qualche tipo di conversazione, non certo disinvolta come avrebbe voluto. Sembrò fredda e distante, come una curiosa specie di statua parlante.
    «Spesso mi ritiro da queste parti per allenare i miei falchi o pensare senza ulteriore eco, se capisce cosa intendo» aggiunse. «Piacevole reclusione» e sollevò il capo per osservare il suo volatile più in alto: oltre tutti gli enigmi ed i problemi, oltre la morte che ultimamente stava strisciando a Besaid.
    Athena si domandò se la figlia del professore vivesse con lui a Besaid, a quanto egli sarebbe potuto essere in pensiero per la sua incolumità ora che il virus era in circolo.
    Di recente non ricordava quanti mandati ella avesse firmato per perquisire e fermare incontri clandestini che ancora solevano tenersi nonostante le restrizioni ed il coprifuoco.
    Infilò così una mano in tasca ed ascoltò placida il fruscio gentile delle chiome smeraldo alle loro spalle.
    Era una pace piacevole, aiutava a conciliare la sua mente sempre in movimento.

    Edited by Annie` - 20/11/2023, 16:34
     
    .
  4.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    ~ Clara ~

    Group
    Cittadini
    Posts
    31
    Reputation
    +117
    Location
    🌙⭐☀️☄️

    Status
    Offline
    Fu un gioco di sguardi quello fra Jonah e la creatura dinnanzi a sé – seppur la distanza poco concedesse all’irrefrenabile curiosità, sgambetto d’una mente già persa su scale tassonomiche ormai frequentemente percorse alla ricerca di riferimenti, dettagli specie specifici capaci d’incanalarlo nella direzione corretta, condurlo all’oggetto d’interesse. Proprio per questo, ivi si soffermò, sguardo nello sguardo, umano in animale – seppur non fosse solamente tale, persino dalla sua posizione era già ben chiaro un mistero vi si nascondesse: il comportamento così simile alla donna al suo fianco silenziosamente palesava il collegamento, uno che persino l’addestramento (trattamento riservato, invece, al falco) non avrebbe potuto giustificare. Severa eleganza e maestosità, autorità e perfetta postura, le due figure al di là dell’erba alta – nella quale il professore aveva celato il proprio imbarazzo a favore del desiderio di conoscenza – erano specchio l’una dell’altra, tant’è che arrivò a domandarsi, nel turbine di domande in cui era solito vagare, se non esistessero persino i famigli nello straordinario mondo che Besaid s’era rivelata essere. Vita nata per accompagnarne un’altra: alla fine, la propria intuizione non si rivelò troppo lontana dalla realtà, e quando realizzò il dono che Thyelas rappresentava per Athena, ne fu inevitabilmente affascinato anche più.

    Fu per questo che, nonostante l’abituale desiderio d’esser mondo a parte rispetto all’altrui esistenza, nonostante la natura fosse suo ritiro spirituale nel quale mai avrebbe pensato di includere un’altra persona (esclusa consanguinea), accolse volentieri la proposta d’avvicinarsi: lasciò dunque le gambe si distendessero, l’erba sfiorasse i polpacci fasciati da scoloriti jeans per solo qualche passo, non abbastanza da raggiungere la donna in sé, bensì per porsi dall’altra parte d’una fedele creatura disposta a tutto pur di proteggerla. Parole di ringraziamento inciamparono sulla sua lingua, s’accavallarono all’intenta osservazione ed alle istintive deduzioni, perdendosi in un sommesso suono d’approvazione a malapena udibile; una voce di fondo voleva convincerlo a riservare attenzioni anche ad Athena, ad offrire un minimo d’interesse alla conversazione da lei intavolata così facilmente, probabile abitudine intrinseca alla sua stessa professione. Articoli di giornali e rapide ricerche online letti nelle giornate precedenti fecero persino capolino sul retro dei chiari occhi ora intenti in ben altro, così illuminati dalla viva curiosità in essi da non desiderare certo d’essere incupiti da banali convenevoli, vuote conversazioni ormai relegate alla propria vita precedente, a Bergen, al noioso gruppo d’amici che Liss aveva intessuto dalle amicizie dei propri genitori quasi come tradizione, più che per interesse. Tale fu la reazione, almeno, alla prima domanda: quando poi, invece, la giudice s’attardò nello spiegare come a sua volta trovasse pace nell’ambiente naturale, un battito di palpebre accompagnò il volo delle pupille, finalmente decise a perdere la gara di sguardi a favore d’una punta di stupore differente. “Allora era vero,” pensò semplicemente, raddrizzando un po’ il corpo per rivolgersi alla padrona, e si rallegrò nel ravvivare la tenue fiammella di speranza, sbocciata in pancia, d’aver riconosciuto un animo a sé affine; seppur quell’incontro fosse ago per la bolla di solitudine nel quale era solito rinchiudersi con piacere, forse avrebbe potuto sacrificarsi, almeno una volta, al contatto umano, pur solo per accontentare la propria sete di conoscenza.

    Fu un battito e, rivalutate le proprie opinioni alla luce del caldo sole confortevole, Jonah sorrise comprensivo, con lo sguardo dolce di chi attende compagnia per una conversazione concreta ed il tono sommesso di chi non è abituato a trovarne: «Oh, ben comprendo, la natura…» lasciò la sua visuale danzasse su quella che li circondava, beandosi dello spettacolo a loro offerto, «la natura è l’unica a permetterci di pensare, di respirare. Il mondo, le persone, è tutto così caotico,» commentò con un sospiro, voltandosi nuovamente verso Athena per ricercarvi un’espressione solidale nonostante la fredda voce, non tanto per studiarla come con la sua guardia del corpo, quanto per capirla, «anche solo respirare diventa difficile. Penso ormai sia possibile solamente all’ombra degli alberi…» concluse d’esporre il proprio amaro punto di vista, tornando a ricambiare la paziente osservazione della grifone, volendole dimostrare d’essere persona di fiducia. E fu lì che nacque un’idea, figlia d’una curiosità che saltò a piè pari il buonsenso e qualsivoglia ragionamento; da sé scelse di rendersi concreta, palesandosi nella chiusura delle palpebre dalle corte ciglia, seppur le labbra si sciogliessero ancora in discorsi da tempo desiderosi d’essere pronunciati, figli di pensierose matasse mai condivise. Non che fosse certo la donna avrebbe accolto volentieri tali parole e gesti, o che fosse una buona idea menzionare l’evento artefice del loro incontro considerata la gravità della situazione, eppur la mente era già così catturata dall’esperimento in corso, così concentrata nel risalire le scale precedentemente tratteggiate, da essere incapace (anche più del solito) di discernere il corretto comportamento umano. Per tanto, «Piacevole reclusione, dice bene» concluse a sua volta, piegando di nuovo il corpo verso Thyelas, un approccio più proattivo propulsore della sua mano, a lei lentamente avvicinata quasi ad imitare il personaggio di uno dei film d’animazione preferiti di Anniken (ed anche di suo padre, draghi creature affascinanti), «preferirei mille volte una gabbia dorata piuttosto che metter piede nel casino là fuori, qualsiasi cosa stia accadendo». Detto ciò, le palpebre si risollevarono – e dello sguardo azzurro illuminato di meraviglia non rimase più nulla. Al suo posto, migliaia di cellule s’erano ritirate e riformate, inciampate fra di loro fino a restituire, allo sguardo del capo d’aquila di fronte a sé, uno suo simile, occhi di rapace incastonate in volto umano visione destabilizzante e naturale al contempo; difficile era mantenere a lungo una trasformazione, ma si sarebbe sforzato fino a sentir bruciare le molteplici cicatrici sul proprio corpo pur di sfruttare al massimo quell’occasione, nella speranza il proprio gesto sarebbe stato colto come segno di fiducia, piuttosto che altro. «Sarà deformazione professionale, ma preferisco esplorare la gabbia e conoscerne gli inquilini» aggiunse in spiegazione (o forse giustifica del suo gesto), e nonostante la precisione nella manifestazione, l’impegno nel realismo e nell’osservazione, triste fu ammettere d’esser certo della mancata realizzazione d’una perfetta replica: d’altronde, ancora doveva imparare come convogliare emozione umana in altri sguardi.
     
    .
3 replies since 5/6/2023, 22:02   83 views
  Share  
.
Top
Top