Eat your young

2022 / Sibylla, Deborah & Vilhelm / Scena del crimine

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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: discussione estesa di immagini disturbanti (gore). Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico. Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.


    I'm starving, darling

    6:40 PM - Scena del crimine
    Ho fame. Ho una fame terribile. Le strade non sono più sicure e non posso ottenere quello che desidero: è troppo pericoloso, non posso rischiare così, non posso entrare in contatto con la malattia. Besaid mi sta facendo del male. Eppure sono stato bravo: ho sempre fatto quello che la città voleva. Mi sono arricchito delle particolarità degli altri, ho raccolto con riverenza i frutti che Besaid mi ha offerto. Ora ora c'è qualcosa che mi sta minacciando. C'è stato qualche errore da parte mia? Ho fatto mancare qualcosa a Besaid?

    Un odore dolce e vanigliato inondava l'intero ambiente. Innumerevoli crisantemi bianchissimi circondavano l'unico elemento di mobilio presente nella casa, un tavolo dove era stato disposto e ritrovato il cadavere. Il sangue, assente dalla scena che si spiegava davanti gli occhi di Vilhelm, sembrava essere scivolato via dal corpo della giovane vittima per concentrarsi nel mezzo dei petali di altri fiori, presenti in numero minore rispetto ai crisantemi, in una manifestazione di bellezza purpurea e satura. Si trattava di garofani del poeta. Davanti a sé giaceva il cadavere di Hjørdis Ruud, appena ventenne, di cui aveva osservato per la prima volta il viso in una foto che la professoressa Greseth gli aveva mostrato in centrale di polizia, qualche minuto prima. Gli occhi chiarissimi, ora chiusi, non erano più circondati dai capelli lunghi e biondi. Mancava, infatti, parte della testa dalla fronte in su, così come non sarebbe stato possibile trovare il cervello là dove risiedeva normalmente.

    So che troverò la porta aperta ad aspettarmi. Non ho bisogno di agire con violenza: non voglio che il mio sacrificio possa venir toccato dal dolore. Voglio che partecipi alla sua morte: è un passaggio molto importante e deve farne parte anche lui. L'anestesia lo calmerà a sufficienza ma rimarrà vigile. Gli apro il cranio ed estraggo parte del cervello. Ora Hjørdis dorme, ma anche lui verrà salvato... perché riceverà una porzione del suo cervello. Gli apro il ventre e inserisco una sezione delle otto parti. Asporto il cuore e richiudo tutto.

    L'immaginazione di Vilhelm non aveva mai sfiorato visioni tanto vivide e sembrava aver scoperto un nuovo appetito: il galoppare selvaggio di cavalli gli attraversava le ossa cave, scalfendo con gli zoccoli duri la sua stabilità. Poteva sentire sotto le piante dei piedi il freddo delle scale che l'avrebbero condotto giù, fino all'abisso. Scendeva con cautela, non sapendo di essere stato trasportato in ambienti inesplorati e cupi. Credeva di conoscere la via d'uscita dal labirinto, aveva fiducia nella luce che vedeva di fronte a sé e che stava seguendo, lasciandosi alle spalle una scia cremisi e trasportando fra le mani ciò che aveva estratto dalla testa di Hjørdis Ruud. Stava credendo di abbracciare la salvezza mentre si calava fra fauci umide, seguendo la luce fattasi esca e occhi scintillanti.

    È salvo. Siamo tutti salvi.
    Risparmiami, Besaid. Io ti proteggerò.


    6:00 PM - Università di Besaid
    Conosceva la professoressa Greseth, anche se non abbastanza da dire di poterla conoscere come Sibylla: le discipline che insegnavano avevano sicuramente delle affinità, ma la curiosità intellettuale non era abbastanza da spingerlo verso una conoscenza più umana. Per questo motivo, quando la vide entrare nell'aula dove aveva appena concluso una lezione, Vilhelm la salutò distrattamente, immaginando che la professoressa Greseth avesse raggiunto lo spazio in vista di una lezione. Tuttavia quando lo fermò sui suoi passi, cosa che Vilhelm trovò alquanto sconveniente, l'uomo pensò che l'altra fosse proprio interessata a raccoglierne l'attenzione.
    «Essere d'aiuto per delle indagini?» Confuso da quell'invasione di campo, la fronte di Vilhelm si aggrottò non appena riuscì a sintetizzare le parole della professoressa. Aveva parlato con chiarezza e senza mancare di determinazione, come se Vilhelm non avesse potuto rispondere che "sì" a quella proposta che gli sembrava azzardata, se non totalmente assurda. «Ah, posso essere utile per via delle mie conoscenze e... il mio modo particolare di vedere le cose?» Rispose più sarcastico, mentre rideva in una sfiatata di naso. «Ci sono state molte discussioni sul mio modo particolare di vedere le cose?» Parlò più piano e ruvidamente, senza davvero voler ascoltare la risposta della professoressa: non era un mistero che gran parte dell'Ateneo lo trovasse strambo, a maggior ragione per l'interesse che aveva nutrito fin da studente nei confronti di certi argomenti reputati proibiti. L'antropofagia non era in vetta alla lista di possibili argomenti di conversazione fra gli uffici dell'Ateneo. «Mi sta per caso profilando, professoressa Greseth?»
    Eppure lo scetticismo iniziale venne sostituito da una strana forma di convinzione e la professoressa Greseth riuscì ad ottenere ciò che era venuta a chiedere: l'alleanza di Vilhelm. «E quando sarebbe stato scoperto il corpo?» Le parole catturarono qualche occhiata confusa di un gruppetto di studenti la cui strada andava in direzione opposta alla loro. Ben presto si lasciarono alle spalle l'Università.

    6:55 PM - Scena del crimine
    Rinvenuto dal flusso morboso di pensieri, Vilhelm sembrò tornare alla realtà con lentezza, non riuscendo a svincolarsi dalla sensazione di essere ancora calato nella mente di chi aveva fatto trovare alla Polizia quella scena. Solo quando aprì gli occhi avvertì un dolore impossibile da ignorare alle tempie e, nel cercare con lo sguardo la detective Hagen, senza sfiorarne il volto con gli occhi, decise che avrebbe avuto bisogno di prendere un po' d'aria. «Ha un'aspirina?» Parlò, incredibilmente stanco, rivolgendosi alla detective. Dopo essersi conosciuti in centrale tramite la professoressa Greseth non si erano scambiati molte parole. Prima di analizzare le tracce lasciate sulla scena del crimine attraverso la sua particolarità, Vilhelm le aveva preannunciato che sarebbe stato irraggiungibile per svariati secondi e che, anche se gli avesse rivolto parola, non avrebbe potuto risponderle. Immaginava, tuttavia, che la professoressa Greseth dovesse aver parlato con la detective Hagen prima di portare un profano nel bel mezzo di una scena del crimine come quella.
    Rimase in disparte per svariati minuti, pregando affinché la febbre che gli aveva incendiato il cervello potesse acquietarsi. Tutte le sinapsi sembravano infuocate, vibranti di immagini che continuavano a sbattere contro la visione di Vilhelm, materializzandosi in ripetuti frammenti di fronte a lui. Cercava di captare i ragionamenti della professoressa Greseth e della detective Hagen, mentre ciò che stava emergendo dalla scena grazie alle analisi della forense. Avevano ritrovato un pezzo di cervello nello stomaco ma non c'era traccia del cuore. «C'è del rimpianto. Quello che ha perso, che ha sacrificato, era importante.» Si era spostato fuori dalla scena, nel tentativo di allontanarsi da sussurri che lo inquietavano. «Non deve essere la prima volta che ha ucciso... ma è sicuramente la prima volta che apre la scena allo sguardo degli altri. È un messaggio che voleva essere trovato, una preghiera per ricevere assistenza o protezione.» Sembrava stesse parlando da solo, visto che il tono era basso, ma si stava riferendo a Sibylla e Deborah, cercando di comunicare loro, nel modo più chiaro possibile, quello che aveva visto quando si era immerso nella scena.
    «C'è qualcosa che lo disturba, una situazione che lo preoccupa. Si sente alle strette... e allora è disposto a sacrificare ciò che è più importante. Ruud deve essere un parente, o un figlio, o qualcuno che appartiene alla cerchia dell'assassino.» Le tempie continuavano a pulsare in modo incessante: era sicuro di essere salito in superficie? «Altrimenti non avrebbe fatto tutto questo, per lui. Non l'avrebbe ucciso con grazia, desiderando di salutarlo nella bellezza.» Il tono di voce si fece più incerto, come se in prima persona Vilhelm stesse provando ad aprire gli occhi della professoressa e della detective: non riuscivano a vedere la delicatezza, la passione, l'affetto in quell'ultimo saluto? «Ha qualcosa che l'assassino non ha, ma l'assassino vuole che parte di questo rimanga anche con Ruud. Ne ha tolto solo una parte sperando di ottenere per sé una... immunità.» Il collegamento con specifici casi studio affrontati in passato fu immediato: in certe comunità, per compiangere i defunti, si ricorreva al consumo di alcune parti dei deceduti. In determinate condizioni, il consumo del cervello aveva portato allo sviluppo di malattie in certi individui, ma aveva anche fatto emergere la resistenza alla stessa patologia in altri appartenenti alla medesima comunità. «Ha mangiato il resto del cervello e ha assorbito la sua energia. L'assassino è in lutto.»
     
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    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

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    C'erano cose che le erano state insegnate, cose che aveva imparato, cose che aveva compreso da sola. C'erano però tante altre cose che ancora non conosceva, non aveva imparato; cose di cui ancora non sapeva neanche dell'esistenza. Ciò che le si era presentato dinanzi gli occhi color nocciola quel giorno non faceva parte di nessuna di quelle categorie. La parte più attiva del suo cervello - che fosse inteso come umano, spirituale, emozionale - l'avrebbe però portata ad immergersi in un luogo e in un significato che, altrimenti, qualcun altro avrebbe evitato con estrema attenzione e cautela. Dopotutto, per poter esser chi fosse e poter agire come agisse, diverso tempo prima aveva dovuto affrontare la paura dell'aver paura, il terrore di chi non vuole accettare che, al mondo, non tutto brilla, che la luce purtroppo illumina solo lì dove riesce ad arrivare. E dunque Sibylla era stata capace di trasformare quel terrore in disgusto, l'orrore in disprezzo, la fobia in rabbia.
    Il tessuto in pelle nera degli stivaletti le abbracciavano dolcemente le caviglie sottili, accompagnando ogni passo con un leggero e flebile fruscio che, nel silenzio della casa spoglia, risuonava quasi come un'aggressione, eppure non sembrava stonare troppo nel contesto generale. I crisantemi circondavano un tavolo sul quale il corpo snaturato di un ragazzo giaceva supino, privato della sua luce, privo di quegli stessi ingranaggi che, custoditi dentro il cranio della criminologa, ora, l'aiutavano ad essere ciò che fosse. L'espressione di disgusto e rabbia si appropriò del suo viso, la portò a curvare le labbra serrate verso il basso, le sopracciglia incrinate in un'onda quasi del tutto statica che scivolava verso il basso, là dove il naso dritto iniziava a sporgersi verso l'esterno. In piedi di fianco al tavolo, dal lato del viso del cadavere, Sibylla rimase immobile per diversi minuti, dietro le sue spalle i passi del professore e della detective. Contemplò il corpo di Hjørdis Ruud in un sacro silenzio che durò qualche minuto, almeno finché non fu il professor Bjerke-Petersen ad interrompere quell'equilibrio fragilissimo chiedendo un'aspirina. Si era domandata, solo qualche ora prima, se quella d'invitarlo sul luogo del delitto fosse poi davvero una buona idea. Sibylla era perfettamente consapevole del fatto che non tutti avessero lo stomaco per affrontare una tale situazione e di certo non aveva potuto prevedere come Vilhelm avesse reagito, eppure eccolo lì, sulla scena del delitto, a puntare gli occhi sul cadavere di un ventenne che non aveva conosciuto prima. Probabilmente anche lui si stava domandando se fosse normale considerare quello scempio quasi poesia: i fiori, il tavolo posto nel centro della stanza come il sole al centro di un campo magnetico che lascia i pianeti orbitargli intorno senza mai avvicinarsi o allontanarsi troppo, un sistema solare a sé stante. Senza muovere neanche un piede, Sibylla si curvò in direzione del viso e chinò appena il capo da un lato per permettersi di osservare meglio l'intruglio spettrale che quella testa ora rappresentava. «Disgustosamente preciso.» sussurrò solamente appena prima di risollevarsi e compiere qualche passo indietro per allontanarsi dal tavolo. Quando si voltò, puntò lo sguardo du Deborah e scosse appena il capo. «E' un rito, l'apertura di un passaggio, forse il percorso estremo per raggiungere un luogo altrettanto estremo. Estremo l'essere che compie un simile atto, vuole fare scena, vuole attenzione. Non è così?» constatò lasciando che lo sguardo passasse dal viso serioso di Deborah a quello ora esausto di Vilhelm e soffermandosi su di esso per qualche secondo ancora, curiosa. «Vuole esser studiato.» aggiunse, sollevando appena il mento in direzione del professore. «Dopotutto, c'è chi queste cose le studia, le impara, le insegna.» aggiunse, sollevando piano un sopracciglio prima di voltarsi a guardare nuovamente Deborah e, successivamente, il cadavere. Lo sapeva per esperienza personale, perché quella curiosità che aveva dentro la vedeva riflessa anche nello sguardo vispo e attento di Deborah e in quello pensante ed emotivo di Vilhelm. «C'è del rimpianto. Quello che ha perso, che ha sacrificato, era importante. Non deve essere la prima volta che ha ucciso... ma è sicuramente la prima volta che apre la scena allo sguardo degli altri. È un messaggio che voleva essere trovato, una preghiera per ricevere assistenza o protezione.» la voce di Vilhelm si fa lieve, quasi un sussurro fra quelle pareti che, se solo potessero parlare, forse direbbero si pronuncerebbero allo stesso identico modo. Si voltò nuovamente, Sibylla, e cercò la figura del professore. Lo vide allontanarsi piano, di qualche passo, e dare le spalle al cadavere ancora disteso sul tavolo. Incuriosita di quel movimento e di quella postura, Sibylla gli regalò la sua più profonda ed interessata attenzione. «C'è qualcosa che lo disturba, una situazione che lo preoccupa. Si sente alle strette... e allora è disposto a sacrificare ciò che è più importante. Ruud deve essere un parente, o un figlio, o qualcuno che appartiene alla cerchia dell'assassino.» continuò l'altro a voce bassa. Incrociò le braccia al petto, Sibylla, inspirando piano mentre si voltava verso Deborah. «Abbiamo nomi, numeri, qualcosa? Chi ha avuto l'onore di scoprire il cadavere, Detective Hagen?» chiese quindi, interessata, in direzione dell'altra. «Altrimenti non avrebbe fatto tutto questo, per lui. Non l'avrebbe ucciso con grazia, desiderando di salutarlo nella bellezza.» continuò Vilhelm dal suo angolo buio, dentro e fuori. Sciolse la presa delle mani avvolte da guanti in lattice sulle proprie braccia, mentre avanzava nella direzione del professore per fermarsi ad un metro da lui. Afferrò il bordo dei guanti bianchi per tirarlo su, fino a scoprire le dita magre. Accartocciò il rifiuto di plastica per poi gettarlo in un cestino di metallo. «Grazia? Bellezza?» si ritrovò a ripetere Sibylla, soffocando una risata dal tono amaro, l'avvertì morirle nella gola, un peso che venne fuori solo dopo, un veleno che si sciolse tra le parole, sembravano risalirle su dalle profondità dello stomaco umano. «Fare qualcosa, qualcuno, a pezzi per poi nascondere questi come in una caccia al tesoro? Professor Bjerke-Petersen... Vilhelm, lei davvero ha un'ottima capacità d'interpretazione o dovrei forse chiamarla immersione? Strabiliante.» affermò Sibylla, annuendo piano con il capo puramente affascinata dalla scelta e dall'uso delle parole del professore. Comprese immediatamente quanto a fondo l'uomo fosse capace di andare, spingersi, tuffarsi per immergersi nell'io di qualcosa o qualcuno che, probabilmente, in quel momento era addirittura lontano metri, forse chilometri, forse si celava nel buio dall'altro lato della città. Era, però, tutto merito di quella che lei sapeva fosse la sua particolarità? Oppure si celava lì sotto, da qualche parte, un'empatia che veniva confusa con sapienza di per sé? Si sentì costretta a scacciare via il pensiero, almeno in quel frangente. «Ha qualcosa che l'assassino non ha, ma l'assassino vuole che parte di questo rimanga anche con Ruud. Ne ha tolto solo una parte sperando di ottenere per sé una... immunità. Ha mangiato il resto del cervello e ha assorbito la sua energia. L'assassino è in lutto.» concluse Vilhelm, dunque. «Un essere umano in lutto. Un essere umano che prova vergogna e paura, che disseziona altri esseri umani, li fa sparire senza però dimenticarsi di lasciare a noi briciole di quei corpi. Un essere umano che, evidentemente, ora ha così tanta paura da non preoccuparsi più della sua più grande vergogna.» sussurra allora Sibylla ragionando ad alta voce. «Tempi difficili ci attendono.» constatò infine, scuotendo pianissimo il capo mentre tornava a posare gli occhi sulla sagoma inerme del ragazzo.
    Il quinto pezzo di un puzzle da rimettere insieme.
     
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