That's bait

Ruscello - Vilhelm - Prima mattina

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    In passato si è sempre definito come uno "sfigato della spesa". Avete presente quando state camminando tra gli scaffali e continuate a depennare dalla lista gli acquisti che via via gettate nel carrello e ve ne restano giusto un paio. L'occhio viene calamitato verso le casse per preparare l'animo alla fila kilometrica. Ed invece ecco la cassa numero 7, quella con la cassiera un po' tracagnotta dal sorriso molle, come il seno, che sfreccia codici alla velocità della luce. Allora ecco che affretti il passo per velocizzare l'ultimo acquisto, rigorosamente la carta igienica sempre dispersa negli scaffali più strambi e lontani, e scatti verso la numero 7.
    Apocalisse.
    Non sono più casse, ma è una bolgia di vecchiette disperse, fanciulli pronti alla sbronza serale, intere nidiate di famiglie e figli al seguito che saccheggiano le caramelle disposte non più ordinatamente vicino le casse. E sospiri, attendendo ere che il rapido tocco della cassiera numero 7 possa esserti lieve in questa giornata.
    Da quando si è trasferito a Besaid, però, tutto è cambiato. Quando arriva alle casse davanti a sè la fila si apre come un novello Mar Rosso. La signora sbadata dai capelli rossi, maledicendosi, si ricorda di dover andare a prendere il merluzzo panato. L'incartapecorito proprietario dell'edicola ricorda di non aver preso i croccantini del gatto. Ed anche la cassiera, non la numero 7 con le sue mani di fata, ma quella svogliata della cassa 2, incrociando il tuo sguardo, muove rapidamente le giunture logorate dall'artrite per mandarti via il più rapidamente possibile. Tutto orchestrato dal tocco invisibile della tua particolarità, della tua più profonda volontà.
    Ti diverti così, Klaus?
    Quella voce sibillina si insinua, mentre l'ennesimo quartetto di birre in lattine evoca un sonoro beep verdastro.
    Anneghi nella routine il tuo dovere, sei arrivato qui con uno scopo ed ora guardati, dopo mesi e mesi cosa hai ottenuto?
    Abbassa lo sguardo mentre si massaggia la tempia, ormai sta imparando a convivere quello sciame nefasto di voci. Quella di oggi, per quanto tagliente è una di quelle innocue, perchè non la confonde con i suoi pensieri, riesce a distinguerla. E' solo un giudice inclemente che gli fa il rendiconto di tutti i suoi fallimenti. Un malevolo ragioniere che tira le somme degli ultimi mesi della sua vita. E' vero che è venuto a Besaid per scoprire cosa fosse accaduto ad Amelia, è vero che ha stretto un pugno di mosche, ma è pur vero che ha dovuto affrontare grandi cambiarti. La sua particolarità, le voci, un nuovo lavoro e così via. Non si sente così nullità, ma la voce continua come il rombo di tempesta a tuonargli nei pensieri ogni sua sconfitta, facendo un rendiconto minuzioso e dettagliato al giorno.
    Otto giorni fa hai dormito un'ora più del previsto, invece di andare a cercare il cugino di Amelia
    Stringe gli occhi a disegnare una ragnatela di rughe di fianco gli occhi pronto ad esplodere.
    Fanno diciotto e cinquanta.
    La cassiera numero 2 subentra e lo salva dalla detonazione. Tremante paga e si getta nella sua jeep.
    Domani ha bisogno di andare a pescare. Lontano dal mondo e da tutti.

    Ha scoperto quel riuscello da qualche mese. Oasi di pace quando le voci affollano la sua mente ed ha bisogno di un ritrovo sicuro e silenzioso.
    Ha recuperato un piccolo contenitore frigo per le birre e per le esche vive. Ha caricato il necessario sul retro della jeep ancora prima dell'alba ed inforcati un paio di comodissimi stivaloni di gomma si è diretto verso il celebre ruscello della serenità.
    Abbandonata la macchina alle pendici del bosco si è caricato il necessario (una sediolina portatile, il contenitore frigo ed un borsone con canne da pesco e quanto necessario per la piccola scampagnata) e si è diretto lungo il sentiero lasciando che il gelo del mattino gli pizzicasse la faccia irta dalla barbaccia di un paio di giorni. Poggia la mano guantata contro un albero per darsi la spinta a procedere oltre lungo il sentiero in leggera pendenza. La fronte madida per lo sforzo lascia che la camicia a quadri rossi e blu si appiccica sul petto. A completare il suo outfit un pantalaccio verde abbinato ad un giubotto smanicato pieno di tasche e taschini in cui ha riposto parte della sua attrezzatura.
    Ha riscoperto questa passione solitaria da quando si trova qui a Besaid. Hobby che gli ha permesso anche di incontrare un paio di persone quasi piacevoli. Silenziose, schive e probabilmente serial killer lì ad espiare le proprie colpe. Ma lui non è certo lì per giudicare.
    Circumnaviga un grosso abete rosso lasciandosi guidare dallo scroscio cristallino dell'acqua. Il riuscello è ormai lì a due passi, ma è meno incontaminato di quello che aveva previsto. C'è qualcuno. Sospira. Voleva un po' di pace, ma il destino ha deciso che non lo merita. Riconosce infatti un cliente del ruscello che ha avuto modo di incontrare già diverse volte. Non si danno appuntamento, ovviamente, ma deve ammettere che tra i frequentatori abituali è uno di quelli che preferisce. Così, a pelle. Almeno è uno tranquillo, non come quel Jhon che ogni volta cerca di fargli assaggiare il panino con l'aringa che mette in salamoia con le sue mani o cerca di cooptarlo nella sua squadra di bowling o accasarlo con la sua secondogenita.
    Lo vede già immerso nella preparazione pre-pesca e si avvicina salutandolo semplicemente con un cenno del capo. Vera conversazione tra veri uomini. Massimo 10 parole al minuto. Niente convenevoli. Niente sentimenti. Molto sport.
    E' da un po'
    Laconico, una mera costatazione. Non che stia lì a contare i giorni o chissà cosa. Un semplice commento, un dato di fatto, come che oggi il cielo è terso e sereno. Lascia cadere il borsone, la sedia ripiegata e tutte le vettovaglie del caso. Lo sguardo limpido poi osserva meglio cosa sta facendo il collega pescatore. Apprezza quello che vede.
    Quella si che è un'esca
    10 parole nette. Il suo minuto finisce qui.
     
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    Vilhelm credeva di essere ben distante dalla descrizione che fornivano di lui le pagine di giornale locali, succhiando avidamente come parassiti le vene fresche ed esposte, ronzando attorno ai perimetri dell'istituto psichiatrico per nutrirsi di indiscrezioni provenienti proprio da coloro che avrebbero dovuto difenderlo. "Privi di gusto". Se avesse avuto più potere, Vilhelm avrebbe esposto le inadempienze dello staff da cui era seguito per via della sentenza, poiché si erano dimostrati dei gran chiacchieroni. Tuttavia, ora che era stato scagionato e che le attenzioni dei giornali si erano dirette altrove, le preoccupazioni di Vilhelm si erano spostate ben oltre la difesa della propria reputazione - ormai ridotta da tempo in brandelli.
    Da quando era stato definito non colpevole (tardava a definirsi innocente), a riempire la sua testa non erano più esclusivamente i volti delle vittime o le modalità atroci in cui avrebbe posto fine alla loro vita, ma innumerevoli dubbi. Quanto era successo gli sembrava impossibile da risolvere eppure credeva che esistesse una soluzione e che, piuttosto che nascondersi, questa facesse del perseguitarlo in maniera ossessiva il suo divertimento. La vedeva sparire sul fondo del piccolo ruscello per poi risalire per minacciarlo, senza mai ferirlo, rendendo la promessa di trascinarlo via con sé la sua unica forza. Tuttavia, Vilhelm era un ottimo pescatore e credeva che ogni preda sarebbe stata stanata con la giusta esca.
    "Dai all'amo il nome di una persona che ti è cara. Se la persona a cui hai dato il nome ti è cara, come dice la superstizione, prenderai il pesce." Ricordava le parole del padre, da cui aveva imparato ogni segreto e tecnica della pesca, con cui aveva sollevato più volte vittorioso dei pesci grossi e combattivi. Sentiva la loro patina viscida sulle mani, l'odore salmastro, la vitalità convulsa con cui si muovevano fra le sue braccia prima di essere tramortiti. Alle volte ricordavano dei cervelli umani. Quei pesci sarebbero diventati parte di un brodo di pesce o forse filetti arrostiti. Come avrebbe chiamato la sua esca? Vilhelm era convinto che proferire quel nome, paragonabile ad una parola magica, gli avrebbe aperto gli occhi sull'intera questione. Eppure era consapevole del rischio: nominarlo avrebbe significato trovarsi di nuovo di fronte al baratro, senza più via di fuga, ed essere di nuovo disposti a passeggiare accanto al Demonio. Quella danza cadenzata a ritmo di zoccoli l'aveva sedotto in gioventù ma non credeva di essere più adatto a reggerne il ritmo. La sua psiche era scheggiata e indebolita: il rischio di passare da predatore a preda era altissimo.
    «È da un po'.» L'espressione più cupa di Vilhelm parve schiarirsi per qualche secondo, nel riconoscere una voce umana familiare, e indirizzò l'attenzione verso l'origine di quel saluto. Se i passi di Klaus erano stati intercettati dall'orecchio vigile di Winston, erano di certo passati inosservati per quello di Vilhelm. Credeva che Klaus, dopo averlo visto, avrebbe preferito cambiare i suoi piani per spostarsi altrove. Eppure sembrò intenzionato a rimanere. A quel punto Vilhelm accennò un segno di saluto simile a quello ricevuto, e richiamò con un paio di schiocchi Winston, così che il meticcio non finisse con le zampe sull'addome dell'uomo nel giro di pochi secondi. Sebbene Klaus non fosse in compagnia di nessun altro, Vilhelm non lo credeva mai del tutto solo. Ormai era certo di poter riconoscere chi si rivolgesse alla natura per trovare un po' di pace, per abbassare il rumore dei pensieri.
    «Quella si che è un'esca.» Mentre Winston sembrava molto curioso di annusare tutto ciò che Klaus aveva portato con sé, Vilhelm era tornato con l'attenzione sull'esca di cui stava ultimando la preparazione. Sorrise al complimento, l'espressione era soddisfatta ma punteggiata da una naturale forma di timidezza: le sue esche non erano solo funzionali ed efficaci, ma anche graziose a tratti, oltre ad essere autoprodotte in tutte le loro componenti. Passò le dita su una piuma dalle sfumature rosse e nere che decorava quella che aveva fra le dita.
    «Mi è sfuggito una volta.» Giustificò in quel modo l'attenzione rivolta a quella sessione di pesca che si accinse ad iniziare, portando con sé la canna da pesca fino ad immergersi quanto bastasse nel ruscello. La calma delle prime ore dell'alba si rifletteva sullo scorrere dell'acqua, alla cui direzione di corrente Vilhelm aveva dato le spalle. Con una certa naturalità dei gesti si portò la canna dietro la testa e poi gettò in avanti l'esca, giocando con la lenza come se fosse estensione delle sue stesse dita. «Non può succedere di nuovo.»

    Edited by Kagura` - 17/8/2023, 11:11
     
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    Non è molto prati della mondanità. Non legge molto i giornali. Non ha molti amici. Ha un certo giro con la Setta, ma per lo più è fuori dai circoli di chiacchiericcio e di taglio e cucito. Insomma, questo per dire che di Vilhelm e delle sue vicende, in realtà, non sa proprio nulla. Per quel che gli riguarda Vilhelm fuori da quel boschetto potrebbe essere un efferato serial killer, così come un badante di vecchiette attempate. Qualsisasi cosa e francamente la cosa nemmeno gli interessa.
    Un paio di passi indietro per evitare che il meticcio lo stenda al suolo mentre poi comincia a sistemare le sue cose, giusto in tempo per liberare una mano e poter coccolare adeguatamente Winston. Passa la mano sul capo squadrato ed affonda al suo interno. Dovrebbe valutare qualche nuovo animale domestico. Ricerca di una stabilità di cui ha sempre più bisogno.
    Silenziosamente si limita ad aprire una sedia pieghevole, inforcando profondamente il suolo umido nei pressi del ruscello. Poggia di lato una piccola borsa frigo e poi dietro il borsone con quanto necessario per la pesca. Apre la zip ed estrae la canna da pesca e quando necessario. Inizia così a montare la canna, passa alla lenza ed al mulinello infine.
    Annuisce ascoltando le parole del collega pescatore. A quanto pare c'è una questione personale per creare un'esca così sopraffina. Si ferma a riflettere su quale tip odi pesce possa preferire Vilhelm. Arriccia le labbra carnose pensieroso. Si lascia trascinare dal ragionamento che porta ad una serie di immagini bizzarre e forse anche disturbanti. Scaccia rapidamente il pensiero tornando alle sue operazioni. Non vuole disturbare il collega dalla sua sessione, quindi per ora si limita a preparare la sua di esca, ma non pescherà. Poggia la canna, recupera l'amo ed il galleggiante, prepara tutto ed apre la borsa frigo da cui recupera un contenitore di vermi scuri e vivissimi. Lascia l'amo a mezz'aria e vi incastra il millepiedi in preda a mille spasmi. Lo lascia lì, danzante, e contorto, ad abituarsi a quella ferita letale che gli ha inflitto. Attende il suo turno per proseguire.
    Quale preda preferisci?
    Ora...se conoscesse Vilhelm così bene, probabilmente non avrebbe mai scelto quelle parole. Peccato che non lo conosca così. E quindi sorridente con le mani insozzate dai vermi si avvicina alla riva del ruscello. Mani poggiate ai fianchi e lo sguardo fiero con un sorrisetto tagliato sul viso a guardare il collega.
    Caparbietà o questione personale?
    Domanda curioso, in attesa di poter procedere alla sua sessione di pesca.
    In ogni caso, 7 parole, le mancanti 3 le mettiamo da parte per i momenti di crisi, così come le discussioni sul tempo.
     
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    Gli sembrava ormai inevitabile che quella sessione solitaria di pesca si sarebbe presto trasformata in un'improvvisata riunione con Klaus. Sebbene avesse preferito abbandonare i pensieri alla corrente in completa solitudine immaginò che non avrebbe sofferto troppo la presenza dell'altro pescatore: perfino Winston parve apprezzare le carezze ricevute dalla manona di Klaus.
    Un'occhiata meno controllata raggiunse la figura di Klaus, cogliendolo nell'atto di perforare il corpo di un insetto danzante con l'amo. Vilhelm si chiese cosa nascondesse quella domanda - nonostante si trattasse di un quesito del tutto normale, perfino lecito viste le circostanze. Di tanto in tanto poteva dimostrarsi paranoico e, evidentemente, aveva letto molto più nella domanda di quello che Klaus intendeva. In fondo, l'espressione dell'altro uomo non era mutata "È venuto fino a qua per intervistarmi?" Pensò continuando a concentrarsi sulla pesca, capendo che non si nascondevano seconde intenzioni sotto le parole di Klaus. «La trota.» Rispose semplicemente all'innocente domanda. Nel guardarlo una seconda volta lo colse mentre sorrideva, soddisfatto e beato, e Vilhelm ebbe la sua conferma: non dovevano esserci molti pensieri oscuri che abitavano quella testa. "Davvero non ne sai niente?"
    Di nuovo con lo sguardo sulla sua canna da pesca, Vilhelm stava facendo ballare l'esca sulla superficie calma dell'acqua con abilità millimetrica, avvertendo l'iniziale tensione dissolversi gradualmente. Si sarebbe fatto assorbire dalla monotonia rilassante della pesca molto volentieri. «Difficile a dirsi, forse è ossessione.» L'idea di avere delle questioni irrisolte con una trota gli sembrò alquanto ridicolo e quasi spontaneamente un'ombra di un sorriso si disegnò sul volto serio di Vilhelm.
    Doveva concederglielo, Klaus gli aveva permesso di visualizzare tanti dei fantasmi che animavano la sua testa sotto forma di pesci che sarebbe stato in grado non solo di catturare, ma anche di divorare interamente. Ora che il suo palato aveva conosciuto determinati sapori Vilhelm non sembrava nemmeno intenzionato a privarsi di soddisfare quella fame. Socchiuse gli occhi abbandonandosi a quella stranissima immagine capace di provocargli perfino piacere: il corpo di polizia, i suoi agenti e investigatori, la giudice Athena Drakos, e infine chi l'aveva incastrato in quella assurda situazione. Se avesse dato il nome di Naavke Evjen alla sua esca sarebbe stato in grado di catturarlo?
    Il suono placido dell'acqua scorreva in sottofondo, creando una sinfonia naturale che avvolgeva i due pescatori. Vilhelm non sembrava aver prestato molta attenzione al lungo periodo di silenzio che si era esteso fra le sue ultime parole e la domanda che, infine, rivolse a Klaus. «E tu? Stai cercando qualcosa in particolare?» Gli domandò senza cercarlo con lo sguardo. Non poteva dire di conoscere molto della vita di Klaus: non erano di certo due chiacchieroni e, in fondo, molte volte era meglio non investigare troppo sulle vite di chi attraversava Besaid.
    Tuttavia un'inflessione nel modo di parlare di Klaus aveva rivelato a Vilhelm che l'altro non era un nativo di quelle zone e, forse, nemmeno di Besaid. Certo, non poteva affermare con sicurezza di conoscere tutte e tutti gli abitanti di Besaid, ma essendo nato e cresciuto là credeva di avere più o meno presenti le persone che erano solo di passaggio e chi aveva delle radici là. «Devo ancora incontrare qualcuno che non voglia qualcosa da Besaid...»

    Grazie per la pazienza!
     
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3 replies since 25/6/2023, 20:02   50 views
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