Spillover

Jonah & Rei

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    Dove guardare quando non si hanno risposte? Mentre in molti rivolgevano lo sguardo al cielo a mani giunte, sperando nell'arrivo di qualche consolazione dall'alto, Rei aveva sempre preferito chinare la testa per poter guardare attraverso l'oculare del microscopio: le risposte esistevano ma sapevano nascondersi bene. Sebbene le fossero ben chiari i motivi che l'avessero spinta a partecipare alla formazione di un'equipe medica e di ricerca nata proprio in seguito agli ultimi singolari eventi che avevano avuto luogo in Besaid, Rei non credeva di aver accettato il suo coinvolgimento emotivo nell'intera faccenda. Aveva passato l'ultimo periodo all'interno dell'ospedale di Besaid, ai piedi di quello che si sarebbe potuto trasformare nel capezzale della figlia che non aveva mai conosciuto. Credeva che quell'esperienza, più della notte caotica che aveva speso in spiaggia, dove si era spiegata davanti a lei una realtà che non era stata in grado di decifrare fino all'ultimo, l'aveva cambiata radicalmente. Non poteva predire come il loro rapporto si sarebbe evoluto dopo essersi finalmente incontrate una seconda volta e sperava che Eira fosse abbastanza buona - o cieca - da accettare la presenza di Rei al suo fianco. Eira si era svegliata ma l'incubo non sembrava essere terminato - non del tutto, per lo meno.
    Quando il governo locale mandò l'allarme per il ritrovamento di quattro scalatori e si iniziò a sentire l'odore pungente di crisi, venne avvertita la necessità di unire le forze: le migliori menti vennero chiamate a raccolta, a prescindere dalle loro affiliazioni, affinché si trovasse una soluzione a quel problema. Generalmente si sarebbe fatta da parte così da farsi scavalcare da colleghi o colleghe meno esperte e brillanti di lei: non per motivarli o per falsa umiltà, ma perché fino a quel momento Rei credeva di non avere alcun interesse a ricoprire il ruolo dell'eroina. Svolgeva il suo lavoro, sapeva di farlo meglio di qualsiasi altra persona all'interno e all'esterno del Mordersønn, ma non si era di certo avvicinata a quell'ambito per migliorare la vita o l'esistenza delle persone. Al contrario, durante gli anni aveva distribuito condanne e dolori. Il petto era blasonato dai volti dei pazienti che si erano avvicendati in Omega e sotto il camice si chiedeva se battesse ancora un cuore umano. Se aveva fatto suo il terribile dono del padre, Rei non era intenzionata a delegare a nessun'altro il destino da boia: la sua malattia, la sua particolarità, ticchettava armoniosamente, sottraendole un po' di energia ogni giorno che passava. Prima o poi il suo organismo si sarebbe fermato e forse con esso anche i rimorsi avrebbero conosciuto un grande silenzio. Nonostante il suo passato, Rei nutriva una flebile speranza nel futuro. Aveva accettato quell'incarico perché sapeva che se non se ne fosse occupata in prima persona non avrebbe avuto la certezza di aver fatto di tutto per rendere la vita della figlia meno spiacevole. Probabilmente era Eira ad averla spinta a dire di "sì", ad impegnarsi.
    Non sarebbe stato difficile leggere sulla sua espressione l'afflizione generata da quei pensieri e rimuginamenti. Solo dopo pochi secondi avvertì un paio di occhi posarsi sul suo viso. Rei e altre due persone stavano condividendo i sedili posteriori di un abitacolo - la vettura era guidata da un agente del governo locale. «Dottoressa Kobayashi, sei con noi?» La voce quasi severa della dottoressa Bolstad, primaria del reparto di malattie infettive dell'Ospedale di Besaid, la raggiunse. Rei alzò lo sguardo e annuì una sola volta. Non riportò gli occhi a terra o in un punto indefinito, ma scrutò brevemente Losnedahl. Fin dai primi incontri dell'equipe, Rei aveva creduto di conoscerlo, eppure aveva ascritto quella sensazione ad una strana forma di deja-vu. Sarebbe stato impossibile determinare con esattezza cosa distinguesse Losnedahl dal resto della popolazione norvegese. «Spero sia tutto chiaro. È necessario che non vengano fatti errori, non sappiamo che cosa potremmo trovare.» La dottoressa Bolstad aveva approfittato del tragitto in macchina per ripetere i passaggi dell'operazione, l'importanza dei dispositivi di sicurezza, e le avvertenze di sorta. Erano anni che Rei non si recava in un luogo come quello, il punto d'origine presupposto della dispersione di una contaminazione e, se doveva essere sincera, non ne era entusiasta. «Probabilmente della merda, dottoressa Bolstad. Molta merda.» Rei non andava forte nel lavoro di squadra e Losnedahl e Bolstad non dovevano aver impiegato molto tempo per capirlo, tuttavia cercò di regolare l'espressione, in modo da dare l'impressione di star ascoltando qualsiasi eventuale conversazione fosse proseguita fra i due.
    Besaid era una città alquanto piccola, per lo meno in confronto alle grandi metropoli norvegesi, eppure per raggiungere il punto in montagna dove il gruppo di scalatori era entrato in contatto con qualche (possibile) agente contaminante sarebbe stato necessario addentrarsi per più di un'ora. Lasciata la macchina ai piedi del sentiero, alla piccola equipe si aggiunsero anche il capo dei pompieri Runa Reyen e due dei suoi: loro avrebbero fornito il supporto necessario per calarsi in tutta sicurezza nella spelunca che avevano individuato come meta della loro ricerca. Mentre i due uomini camminavano alle spalle del gruppo, chiudendolo, la dottoressa Bolstad e Reyen erano in cima. Rei avrebbe continuato l'intera escursione in silenzio ma alla fine, fra una tirata di fumo e l'altra che avrebbe sicuramente scontato nel tragitto, si fece più vicina al collega. «Losnedahl... tu sei più giovane di me, o sbaglio? Quanti anni hai?» Domandò diretta e di punto in bianco, scrutandone con attenzione l'espressione. Sulle spalle avevano entrambi degli zaini che contenevano tutto il necessario per raccogliere dei campioni di tessuti una volta arrivati a destinazione. L'obiettivo era trovare degli anticorpi fra il materiale prelevato, così da poterlo coltivare in vitro una volta tornati in laboratorio. La loro ipotesi era quella di spillover, il salto di specie. «Hai sempre vissuto a Besaid?» Conosceva alla perfezione il curriculum di Losnedahl ma non aveva idea di chi fosse la persona con cui si trovava in squadra. Si era stupita di trovare nell'equipe anche degli accademici. «Io sono nata qua... ed è la prima volta che si verifica una cosa del genere. Sei mai stato parte di una missione simile?»
    Nella scienza non esistono tabù. Da sempre i virus vengono manipolati in laboratorio: studiati, modificati geneticamente, potenziati. Era lecito considerarle delle ricerche controverse, così come ricerche molto utili. In fondo, conosce il "nemico" permetteva di giocare d'anticipo, sviluppando le difese biologiche necessarie per contrastarne gli attacchi. Rei abitava da molto tempo quell'area grigia e lei stessa faceva ricerca e lavorava per dar vita ad armi di una natura non molto diversa, anche se portate avanti su organismi ben più complessi. Se la maggior parte delle malattie che si verificavano a Besaid avevano come effetto collaterale quello di indebolire anche le particolarità per via dell'indebolimento generale dell'organismo, nessuna patologia sembrava nutrire un interesse particolare proprio per l'elemento che rendeva speciali i cittadini e le cittadine di Besaid. «Se trovassimo le risposte che cerchiamo in quella grotta, ciò significherebbe che abbiamo molto più in comune con gli animali che la abitano di quanto pensavamo... è possibile che gli animali posseggano le particolarità? Cosa ne pensi tu, Losnedahl?» La salita si era fatta più ripida ma il gruppo continuava a muoversi: sembravano tutti spinti da una forza invisibile e trascinatrice, come se la grotta li stesse chiamando a loro. «Molte delle particolarità, in fondo, ricordano forme animali...»
    Quando arrivarono talmente in alto da non scorgere più l'inizio del sentiero, tutti i componenti del gruppo si spinsero in avanti verso la bocca della caverna che si apriva in parte anche sotto il loro sguardo. Dalla feritoia nel terreno si alzava una brezza fredda e, da quello che sapevano, si sarebbero dovuti calare per un salto di diversi metri. Rei spense l'ultima sigaretta e conservò il mozzicone.

    Grazie per la pazienza :rosa: E soprattutto se ho detto castronerie......... fai finta di niente


    Edited by Kagura` - 12/8/2023, 22:58
     
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    Le frequenti scosse al veicolo, arrancante ma deciso sul terreno fangoso, eran anche più evidenti – e fastidiose – dal sedile posteriore sul quale Jonah sedeva, orecchie catturate dal ripetitivo discorso e l’incessante motore, ma cuore rapito dalla natura che presto avrebbe potuto ammirare: alla domanda sulla sua partecipazione alla spedizione, aveva quasi accettato solo per potersi beare dell’aria pura e dispiegare lo sguardo sull’incontaminato mare di alberi visibile dall’imminente vetta. Tuttavia, ovviamente, l’apposizione della firma sulle importanti scartoffie, richieste dall’università di Besaid, fu principalmente dovuta ad un suo tarlo precedente, spuntato quando era venuto a conoscenza dei primissimi casi della malattia che stava lentamente reclamando i cittadini in stanze d’ospedale. Devoto all’altruismo, avrebbe ammesso apertamente d’essere disposto a tutto pur di trovare lui stesso una soluzione, così da permettere alle vittime di tornare alle proprie vite, realtà abbandonate a favore di chissà quale agente oscuro infiltratosi nella loro tranquillità – eppure, morsi sul labbro non avrebbero mai trattenuto abbastanza il seme della curiosità germinato dal medesimo tragico evento, una verità capace di scalfire la sua integrità morale ed al contempo alimentare la consapevolezza della propria passione. D’altronde, se non avesse provato interesse per tutto quello – virus, animali & co – di certo non si sarebbe costretto a trascorrere lunghe ore in compagnia di perfetti sconosciuti nel mezzo del nulla, elevata probabilità d’incorrere in pericoli soffocata dal desiderio di venir a capo non solo del responsabile dell’attacco alle particolarità, ma forse (soprattutto?) della causa biologica di queste stesse, domanda stampata nella sua mente dal secondo in cui aveva recuperato la propria. Tuttavia, per poter finalmente varcare la soglia del laboratorio, necessariamente doveva affrontare tutto ciò che lo precedeva: il recupero di libri dalla biblioteca (disapprovato solo dalle sue braccia), il tragitto che li avrebbe condotti al possibile punto d’infezione dei pazienti zero e, ovviamente, l’incontro con gli altri membri dell’equipe. Ovviamente. E comunque era la parte che meno apprezzava; per fortuna, l’altra studiosa lì presente sembrava del medesimo avviso e si tenne sulle sue durante la maggior parte del tragitto, permettendogli d’evitare di interagire il più possibile se non per quanto concernente lo svolgimento delle ricerche, gli avvisamenti del guardiacaccia, responsabile del ritrovamento, e flora e fauna locali. Tra l’altro, la sua mente era soprattutto rapita dagli intrecci tra le possibili metodologie da applicare – non indossava un camice da un po’, aveva bisogno di riscaldamento – ma un sorriso scivolò inconsapevole sulle sue labbra alla battuta di Rei Kobayashi sulla possibilità di trovare escrementi nella caverna verso la quale erano diretti: certamente, avrebbe voluto dirle, ed anzi, speriamo ve ne sia tanta, così un virus del tratto digerente sarebbe stato più semplice da scovare. Non vocalizzò i suoi pensieri, un po’ per stare sulle proprie, annuendo o accennando sorrisi alla povera dottoressa Bolstad, costretta a lavorare con due soggetti chiaramente poco loquaci, ma anche per… un’indecifrabile sensazione di tensione sbocciata all’inizio di quel viaggio, difficilmente attribuibile ai suoi soliti problemi comunicativi. V’era altro che non riusciva ad afferrare, una volontà d’allontanarsi dalla donna al suo fianco come se l’avesse già incontrata, e non l’avesse solamente conosciuta qualche giorno prima mediante rapida ricerca sul suo Samsung malandato.

    Fortunatamente, presto si trovò con gli scarponi nel fango e l’animo libero d’esplorare, seppur le spalle furono appesantite dallo zaino (teoricamente confortevole, praticamente riempito da qualche libro di troppo): una volta giunti abbastanza in alto, i membri dell’equipe cominciarono ad affaticarsi lungo la montagna, percorrendo scenari che subito catturarono il suo cuore, sguardo prima schivo ora addolcito dalle pennellate d’azzurro del cielo, i manti verdi delle colline sottostanti ed i musicali suoni della fauna circostante. Al solo respirare quella piacevole aria, Jonah si calò nel suo elemento, tornando tutt’un tratto sereno e desideroso d’affrontare qualsiasi sentiero, seppur lungo, pur di proseguire nella propria ricerca e nella cattura d’infiniti spettacoli con la sua indole osservatrice; essendosi trasferito da soli pochi mesi, non era ancora sicuro di cosa provasse nei confronti della cittadina, oltre lo stupore dovuto alla scoperta dello straordinario potere che vi si celava, ma in momenti simili si riscopriva grato della propria scelta, come se avesse ancora tanto di cui meravigliarsi, ancora molto da scoprire. A maggior ragione, proprio perché Besaid lo aveva accolto così facilmente come suo vecchio e nuovo abitante, era sollevato di poter contribuire a tale bellezza con le conoscenze costruite nel corso degli anni: non era sicuro avrebbero effettivamente trovato qualcosa, considerato il tempo trascorso e la difficoltà della questione, ma se anche una sola mano avesse potuto fare la differenza, avrebbe offerto volentieri entrambe le proprie. Quasi conscia della sua conversazione interiore, la dottoressa Kobayashi gli si avvicinò, ponendogli domande sulla sua provenienza e sulla sua esperienza – e, insomma, ora che era all’aperto avrebbe conversato più volentieri, ma era proprio necessaria la sigaretta? Trattenne la reazione di spontaneo disgusto all’improvviso fumo nelle narici, volendosi mostrare cordiale alla persona con cui avrebbe trascorso più tempo tra tutti i presenti (seppur, doveva ammettere, la trovasse meno approcciabile del simpatico capo dei pompieri con la quale aveva scambiato solo qualche parola), e le rivolse un piccolo sorriso, titubante sulla risposta. «Ah… ammetto di non essere certo della sua età…» farfugliò, memoria impermeabile alle informazioni meno rilevanti sul curriculum della genetista, ma zelante ai moniti di sua moglie sul domandare l’età di una donna, seppur ancora confuso sul perché fosse un problema. «Io ho 33 anni e sì, sono nato e cresciuto a Besaid. Ne ho perso i ricordi, però,» ammise, e lo sguardo s’abbassò naturalmente, come a cercar nel terreno quanto perduto, «ho studiato e vissuto a Bergen per molto tempo». Si giustificò in modo semplice, per poi tornare ad ascoltarla, curioso di risolvere almeno un po’ l’enigma dietro la sua persona e quella sensazione che camminava con lui; quindi, rispose sincero, sicurezza nel discorso favorita dal ruolo rivestito e l’importante compito a cui adempire. «Mh, devo ammettere che, anche nel mio caso, vedo e partecipo a questa esperienza per la prima volta, infatti i miei studi hanno poco di pratico… Tuttavia, sono contento di poter aiutare i medici ad avere un’idea migliore della situazione attuale». Pensò il discorso fosse concluso, invece la donna dallo sguardo imperscrutabile lo sorprese nuovamente offrendogli un argomento del quale avrebbe potuto disquisire per giorni, ed infatti si dovette mordere il labbro quando i propri occhi chiari, sgranandosi, ben rivelarono l’entusiasmo appena fomentato, costretti poi a dimensioni consone alla semplice chiacchierata tra colleghi onde evitare di sentirsi in imbarazzo e, conseguentemente, straparlare. «Beh, siccome io stesso ho una particolarità legata agli animali, questa domanda mi affascina da molto tempo – e se fosse un gene in comune a permettermi di utilizzarla? Che anche loro posseggano abilità simili ma opposte?» parlò della propria esperienza con lo sguardo rivolto verso la natura, sua compagna, fonte di forza in circostanze sconosciute. «L’idea stessa di un gene, anzi, un operone – e immagino lei possa concordare – sembra la soluzione più sensata alle origini biologiche di queste… capacità. E tuttavia, a quando risalirebbe nella scala evolutiva? E dunque, vi sarebbe un virus così adattabile da essere capace di attaccare quella funzionalità precisa in molteplici specie, nonostante probabilmente la manifestino diversamente?» Si schiarì la voce, improvvisamente conscio d’aver forse allungato la propria risposta. «V-vi sono numerose questioni irrisolte – o-o forse lo sono per me, ma onestamente non ho trovato paper o spunti a riguardo, online o nei libri. Mi chiedo se avremo la fortuna d’essere i primi a capirci qualcosa…»

    Una volta giunti in cima, schiena già dolorante ma passione negli occhi, si disse che sarebbe stato meglio abbandonare l’argomento, soprattutto considerate la discesa che s’apprestavano ad affrontare e la caratteristica rilevanza del silenzio negli habitat da cui sarebbero stati avvolti – e tuttavia, mentre i pompieri s’occupavano di preparare i presenti, non riuscì a trattenersi dal parlare almeno un’ultima volta, affrettato dal desiderio di conoscenza. «Lei... avendo vissuto qui più di me, sicuramente avrà avuto modo di avvicinarsi al fenomeno da un punto di vista scientifico,» provò a cominciare, incerto se si sentisse restio per le preoccupazioni legate al compito da svolgere o la precedentemente flebile tensione, ora palpabile, quasi si stesse affacciando su traversate pericolanti. «Di certo avrebbe i suoi buoni motivi per tenersi tali informazioni – però, se volesse condividere qualcosa su quanto scoperto, nel caso vi fosse, sarei ben contento di mettere le mie conoscenze a sua disposizione. Forse potrebbe aiutarci nella risoluzione di questo problema… non crede?». Ecco, aveva lasciato la sua curiosità straripare nonostante non fosse un ambiente sicuro, nonostante lo sguardo che finora aveva cercato d’evitare avrebbe potuto giudicarlo come molti altri prima di lui – ma era la sua vita. Catapultato in un mondo a lui completamente sconosciuto, l’animo da biologo di Jonah non poté far altro se non insistere, ponendo incessantemente domande alle quali, forse, sarebbe stato meglio non ricevere risposta.
     
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