~ Clara ~
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Le frequenti scosse al veicolo, arrancante ma deciso sul terreno fangoso, eran anche più evidenti – e fastidiose – dal sedile posteriore sul quale Jonah sedeva, orecchie catturate dal ripetitivo discorso e l’incessante motore, ma cuore rapito dalla natura che presto avrebbe potuto ammirare: alla domanda sulla sua partecipazione alla spedizione, aveva quasi accettato solo per potersi beare dell’aria pura e dispiegare lo sguardo sull’incontaminato mare di alberi visibile dall’imminente vetta. Tuttavia, ovviamente, l’apposizione della firma sulle importanti scartoffie, richieste dall’università di Besaid, fu principalmente dovuta ad un suo tarlo precedente, spuntato quando era venuto a conoscenza dei primissimi casi della malattia che stava lentamente reclamando i cittadini in stanze d’ospedale. Devoto all’altruismo, avrebbe ammesso apertamente d’essere disposto a tutto pur di trovare lui stesso una soluzione, così da permettere alle vittime di tornare alle proprie vite, realtà abbandonate a favore di chissà quale agente oscuro infiltratosi nella loro tranquillità – eppure, morsi sul labbro non avrebbero mai trattenuto abbastanza il seme della curiosità germinato dal medesimo tragico evento, una verità capace di scalfire la sua integrità morale ed al contempo alimentare la consapevolezza della propria passione. D’altronde, se non avesse provato interesse per tutto quello – virus, animali & co – di certo non si sarebbe costretto a trascorrere lunghe ore in compagnia di perfetti sconosciuti nel mezzo del nulla, elevata probabilità d’incorrere in pericoli soffocata dal desiderio di venir a capo non solo del responsabile dell’attacco alle particolarità, ma forse (soprattutto?) della causa biologica di queste stesse, domanda stampata nella sua mente dal secondo in cui aveva recuperato la propria. Tuttavia, per poter finalmente varcare la soglia del laboratorio, necessariamente doveva affrontare tutto ciò che lo precedeva: il recupero di libri dalla biblioteca (disapprovato solo dalle sue braccia), il tragitto che li avrebbe condotti al possibile punto d’infezione dei pazienti zero e, ovviamente, l’incontro con gli altri membri dell’equipe. Ovviamente. E comunque era la parte che meno apprezzava; per fortuna, l’altra studiosa lì presente sembrava del medesimo avviso e si tenne sulle sue durante la maggior parte del tragitto, permettendogli d’evitare di interagire il più possibile se non per quanto concernente lo svolgimento delle ricerche, gli avvisamenti del guardiacaccia, responsabile del ritrovamento, e flora e fauna locali. Tra l’altro, la sua mente era soprattutto rapita dagli intrecci tra le possibili metodologie da applicare – non indossava un camice da un po’, aveva bisogno di riscaldamento – ma un sorriso scivolò inconsapevole sulle sue labbra alla battuta di Rei Kobayashi sulla possibilità di trovare escrementi nella caverna verso la quale erano diretti: certamente, avrebbe voluto dirle, ed anzi, speriamo ve ne sia tanta, così un virus del tratto digerente sarebbe stato più semplice da scovare. Non vocalizzò i suoi pensieri, un po’ per stare sulle proprie, annuendo o accennando sorrisi alla povera dottoressa Bolstad, costretta a lavorare con due soggetti chiaramente poco loquaci, ma anche per… un’indecifrabile sensazione di tensione sbocciata all’inizio di quel viaggio, difficilmente attribuibile ai suoi soliti problemi comunicativi. V’era altro che non riusciva ad afferrare, una volontà d’allontanarsi dalla donna al suo fianco come se l’avesse già incontrata, e non l’avesse solamente conosciuta qualche giorno prima mediante rapida ricerca sul suo Samsung malandato.
Fortunatamente, presto si trovò con gli scarponi nel fango e l’animo libero d’esplorare, seppur le spalle furono appesantite dallo zaino (teoricamente confortevole, praticamente riempito da qualche libro di troppo): una volta giunti abbastanza in alto, i membri dell’equipe cominciarono ad affaticarsi lungo la montagna, percorrendo scenari che subito catturarono il suo cuore, sguardo prima schivo ora addolcito dalle pennellate d’azzurro del cielo, i manti verdi delle colline sottostanti ed i musicali suoni della fauna circostante. Al solo respirare quella piacevole aria, Jonah si calò nel suo elemento, tornando tutt’un tratto sereno e desideroso d’affrontare qualsiasi sentiero, seppur lungo, pur di proseguire nella propria ricerca e nella cattura d’infiniti spettacoli con la sua indole osservatrice; essendosi trasferito da soli pochi mesi, non era ancora sicuro di cosa provasse nei confronti della cittadina, oltre lo stupore dovuto alla scoperta dello straordinario potere che vi si celava, ma in momenti simili si riscopriva grato della propria scelta, come se avesse ancora tanto di cui meravigliarsi, ancora molto da scoprire. A maggior ragione, proprio perché Besaid lo aveva accolto così facilmente come suo vecchio e nuovo abitante, era sollevato di poter contribuire a tale bellezza con le conoscenze costruite nel corso degli anni: non era sicuro avrebbero effettivamente trovato qualcosa, considerato il tempo trascorso e la difficoltà della questione, ma se anche una sola mano avesse potuto fare la differenza, avrebbe offerto volentieri entrambe le proprie. Quasi conscia della sua conversazione interiore, la dottoressa Kobayashi gli si avvicinò, ponendogli domande sulla sua provenienza e sulla sua esperienza – e, insomma, ora che era all’aperto avrebbe conversato più volentieri, ma era proprio necessaria la sigaretta? Trattenne la reazione di spontaneo disgusto all’improvviso fumo nelle narici, volendosi mostrare cordiale alla persona con cui avrebbe trascorso più tempo tra tutti i presenti (seppur, doveva ammettere, la trovasse meno approcciabile del simpatico capo dei pompieri con la quale aveva scambiato solo qualche parola), e le rivolse un piccolo sorriso, titubante sulla risposta. «Ah… ammetto di non essere certo della sua età…» farfugliò, memoria impermeabile alle informazioni meno rilevanti sul curriculum della genetista, ma zelante ai moniti di sua moglie sul domandare l’età di una donna, seppur ancora confuso sul perché fosse un problema. «Io ho 33 anni e sì, sono nato e cresciuto a Besaid. Ne ho perso i ricordi, però,» ammise, e lo sguardo s’abbassò naturalmente, come a cercar nel terreno quanto perduto, «ho studiato e vissuto a Bergen per molto tempo». Si giustificò in modo semplice, per poi tornare ad ascoltarla, curioso di risolvere almeno un po’ l’enigma dietro la sua persona e quella sensazione che camminava con lui; quindi, rispose sincero, sicurezza nel discorso favorita dal ruolo rivestito e l’importante compito a cui adempire. «Mh, devo ammettere che, anche nel mio caso, vedo e partecipo a questa esperienza per la prima volta, infatti i miei studi hanno poco di pratico… Tuttavia, sono contento di poter aiutare i medici ad avere un’idea migliore della situazione attuale». Pensò il discorso fosse concluso, invece la donna dallo sguardo imperscrutabile lo sorprese nuovamente offrendogli un argomento del quale avrebbe potuto disquisire per giorni, ed infatti si dovette mordere il labbro quando i propri occhi chiari, sgranandosi, ben rivelarono l’entusiasmo appena fomentato, costretti poi a dimensioni consone alla semplice chiacchierata tra colleghi onde evitare di sentirsi in imbarazzo e, conseguentemente, straparlare. «Beh, siccome io stesso ho una particolarità legata agli animali, questa domanda mi affascina da molto tempo – e se fosse un gene in comune a permettermi di utilizzarla? Che anche loro posseggano abilità simili ma opposte?» parlò della propria esperienza con lo sguardo rivolto verso la natura, sua compagna, fonte di forza in circostanze sconosciute. «L’idea stessa di un gene, anzi, un operone – e immagino lei possa concordare – sembra la soluzione più sensata alle origini biologiche di queste… capacità. E tuttavia, a quando risalirebbe nella scala evolutiva? E dunque, vi sarebbe un virus così adattabile da essere capace di attaccare quella funzionalità precisa in molteplici specie, nonostante probabilmente la manifestino diversamente?» Si schiarì la voce, improvvisamente conscio d’aver forse allungato la propria risposta. «V-vi sono numerose questioni irrisolte – o-o forse lo sono per me, ma onestamente non ho trovato paper o spunti a riguardo, online o nei libri. Mi chiedo se avremo la fortuna d’essere i primi a capirci qualcosa…»
Una volta giunti in cima, schiena già dolorante ma passione negli occhi, si disse che sarebbe stato meglio abbandonare l’argomento, soprattutto considerate la discesa che s’apprestavano ad affrontare e la caratteristica rilevanza del silenzio negli habitat da cui sarebbero stati avvolti – e tuttavia, mentre i pompieri s’occupavano di preparare i presenti, non riuscì a trattenersi dal parlare almeno un’ultima volta, affrettato dal desiderio di conoscenza. «Lei... avendo vissuto qui più di me, sicuramente avrà avuto modo di avvicinarsi al fenomeno da un punto di vista scientifico,» provò a cominciare, incerto se si sentisse restio per le preoccupazioni legate al compito da svolgere o la precedentemente flebile tensione, ora palpabile, quasi si stesse affacciando su traversate pericolanti. «Di certo avrebbe i suoi buoni motivi per tenersi tali informazioni – però, se volesse condividere qualcosa su quanto scoperto, nel caso vi fosse, sarei ben contento di mettere le mie conoscenze a sua disposizione. Forse potrebbe aiutarci nella risoluzione di questo problema… non crede?». Ecco, aveva lasciato la sua curiosità straripare nonostante non fosse un ambiente sicuro, nonostante lo sguardo che finora aveva cercato d’evitare avrebbe potuto giudicarlo come molti altri prima di lui – ma era la sua vita. Catapultato in un mondo a lui completamente sconosciuto, l’animo da biologo di Jonah non poté far altro se non insistere, ponendo incessantemente domande alle quali, forse, sarebbe stato meglio non ricevere risposta.
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