There must be lights burning brighter somewhere

Alexander x libero

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    La matita grattò sul foglio, mentre Let Me Put My Love Into You risuonava nelle sue orecchie, coprendo il rumore del mare.
    Nonostante l’autunno si stesse ormai avvicinando a grandi passi, lasciando che le temperature si raffreddassero, Alexander trovava estremamente rilassante solo sedersi davanti all’Oceano e disegnare.
    Era stato un anno estremamente duro, per lui. Sapere di potersi permettere ancora qualche momento di relax, immerso nella propria arte, era così gratificante: Alexander non avrebbe mai smesso di ringraziare la sola idea di poter essere vivo.
    Anche se c’erano delle volte..
    Li sognava, i suoi genitori. Alle volte, erano sogni dolci come zucchero, che camminavano insieme a Morfeo, lasciandogli una sensazione di dolcissima malinconia al risveglio: spesso, però, erano incubi che si mischiavano al respiro sudato e al cuore che batteva veloce, quando Alexander si svegliava, di soprassalto.
    La sua vita mancava di equilibrio; e sarebbe sembrato davvero poco saggio, sottolinearlo, forse scontato, ma se la morte di qualcuno ti porta via un pezzo di te, due persone così importanti che venivano a mancare, in modo così tragico e misterioso, ti lasciava una ferita sanguinante che – forse- solo conoscendo la verità, Alexander avrebbe potuto ambire a curare.
    E poi, c’era Eddie.
    Non ricordava nemmeno come si fosse reso conto di essersi preso una cotta per quel ragazzo, anche se probabilmente alla terza volta in cui finiva per cadere in modo stupido dopo averlo salutato, qualcosa era scattato a prescindere nella sua testa, ma si era trovato a disegnarlo spesso, nel proprio inseparabile album da disegno. Gli aveva dato equilibrio, per un po'.
    Eddie era dolce come le caramelle al miele che sua madre aveva sempre tenuto per casa. Innamorarsi di lui era quasi.. naturale. Come respirare, come desiderare di vedere un tramonto, come..
    Fermò la matita.
    Il profilo di Eddie era stato tracciato sul foglio, il sorriso timido, rughe d’espressione intorno agli occhi e quell’aria quasi sfuggente, come se avesse preferito sparire sotto terra che rimanere lì a farsi guardare.
    Arricciò le labbra in una smorfia triste.
    Eddie non rispondeva alle sue chiamate e ai suoi messaggi: non che lo stalkerasse, santo dio, non erano nemmeno amici nel senso stretto del termine, ma ogni tanto un meme era obbligatorio, considerando che per cellulare evitava di fare figure pessime, la maggior parte delle volte.
    «Dove sei?» sussurrò, poggiando la fronte contro quel disegno, nemmeno come se fosse il ragazzo in carne ed ossa.
    No, con Eddie davanti non sarebbe stato affatto spavaldo. Anzi. Avrebbe sicuramente finito col balbettare qualcosa di imbarazzante e cadere. Tanto per cambiare
    Il mare fu l’unico ad accogliere quella domanda. Sbuffò, alzandosi dalla sabbia, spolverandosi i pantaloni.
    Si allontanò dalla spiaggia, sovrappensiero. Era strano, anche da parte di una persona riservata come Eddie, sparire di punto in bianco: Alexander stava iniziando ad accarezzare la possibilità di presentarsi a casa del ragazzo, bussare, fare domande ai vicini.
    Di certo, Besaid era una cittadina in cui tutti mormoravano. La sua cotta non era di certo sfuggita a nessuno. Forse quel comportamento sarebbe stato preso per quello di un innamorato senza speranze che insegue un sogno d’amore impossibile.
    Ma era davvero preoccupato e per natura, Alexander era una persona estremamente incapace di starsene fermo: si muoveva, come un Bianconiglio che osserva l’ora, nervoso ed agitato.
    Ma forse quei pensieri lo avevano avviluppato un po' troppo, nelle proprie spire, perché si rese conto di aver urtato la spalla di qualcuno troppo tardi: sussultò, i fogli che si spargevano sul legno.
    Li raccolse, le guance rosse di imbarazzo mentre realizzava che ci fosse lo stesso volto ovunque, in quella carta, prima di rivolgere un sorriso colmo di imbarazzo verso la persona contro cui era andato.
    «Scusami, non.. Stavo pensando ad altro. Non ti ho fatto male, vero?»
    Nonostante tutto, Alexander Hamilton era ancora un ragazzo dolce e tranquillo, che si preoccupava per il prossimo: la vita non era stata affatto generosa con lui, su tutto non ultimamente, ma quello non avrebbe cambiato affatto il suo modo di essere e rapportarsi al prossimo. Non si riteneva un essere superiore agli altri, ma sicuramente era consapevole del fatto che un po' di gentilezza, nel mondo, potesse non guastare.
    «Scusami davvero. Se non hai da fare, posso offrirti qualcosa? Giusto per scusarmi, visto che sono stato un vero e proprio idiota..» aggiunse, portandosi una mano dietro la nuca, con un sorriso timido ed imbarazzato insieme.
     
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    Come ogni good boy che si rispetta, Joon non avrebbe sprecato una soleggiata giornata autunnale all'interno di casa sua. Il sole e le temperature frizzanti lo stavano richiamando all'esterno e per questo, con la sola compagnia della sua immancabile tote bag (piena di oggetti più o meno inutili) e un beanie per non congelare le estremità delle orecchie decise di abbandonare il comfort e la sicurezza di casa sua per godersi una lunga passeggiata. Molto sembrava essere cambiato nella città in quell'ultimo periodo e Joon non mancava all'appello delle persone inquietate e spaventate dagli ultimi eventi. Besaid è piena di sorprese. Un tempo avrebbe pensato in modo ingenuo che si trattasse di una delle tante magie che caratterizzavano la città. Tuttavia, essendo stato anche lui raggiunto dalla violenza che accompagnava l'incanto della città, gli ultimi eventi avevano risvegliato in lui incubi che non lo sfioravano da tempo. Prima di ricorrere all'isolamento paranoico, Joon aveva contattato la rete che lo circondava, assicurandosi che tutte le persone che conosceva, amici più o meno stretti, stessero bene. Aveva raccolto le testimonianze di molti e, interrogandosi sulle loro parole, aveva sospettato l'esistenza di un denominatore comune. Ma quale? Le risposte forse non sarebbero mai arrivate, eppure Joon non aveva smesso di chiedersi cos'avesse portato via da Besaid un numero di persone che sarebbe stato difficile da ignorare. Fra questi c'era anche Søren, antico maestro e amico ritrovato, che tanto avrebbe voluto contattare per poter fare chiarezza non solo nella sua mente, ma anche nel suo animo inquieto. Era certo che Søren, grazie alla sua conoscenza e all'infinita saggezza, sarebbe stato in grado di fornire un aiuto prezioso ai suoi pensieri, eppure per Joon fu impossibile raggiungere il maestro. Come molti altri, Søren sembrava essersi smaterializzato nel nulla. Fu inutile provare a contattare la famiglia, o la sorella Naom. Nessuno volle rispondere alle sue domande e Naomi lo rifiutò bruscamente, impedendo a Joon di instaurare ogni forma di conversazione.
    Nonostante fossero passati diversi mesi, quei pensieri non avevano abbandonato Joon e ne appesantivano il passo, così come lo sguardo era catturato da una sfilza di volantini affissi ai pali di Besaid. "Mi avete visto?" chiedevano a gran voce gli annunci con volti sorridenti di persone che non conosceva, e che lottavano per cogliere l'attenzione dei passanti, sperando di suscitare in loro un interesse in grado di scuoterli fuori dal terrore. La città era in subbuglio e sembrava essersi ritirata nella sua intimità per ricaricarsi, come se stesse preparando un attacco violento e definitivo contro chi l'aveva costretta a leccarsi le ferite. Ma contro chi scagliare la rabbia quando non esisteva nessuno a cui dare la colpa? Dov'era il capro espiatorio di cui Besaid aveva bisogno in momenti come quelli? Mentre i pensieri continuavano ad intasargli la mente, Joon non si accorse di essere giunto alla spiaggia, là dove era iniziato (o forse ricominciato) tutto. Lanciò una lunga occhiata al mare, sperando che le molecole che componevano la sabbia, la brezza, le onde, potessero restituire le immagini di quella notte piena di eventi e cambiamenti. Che cos'era successo, esattamente? E perché nessuno sembrava in grado di ricomporre una verità sensata e compiuta? Ha senso fidarsi ancora di quello che si dice in giro? Rifletté mentre il volto si incupiva leggermente. Poi, all'improvviso, ogni pensiero venne interrotto. Qualcuno si era appena scontrato con la sua spalla e Joon alzò le sopracciglia, preso alla sprovvista, guardando un cumulo di fogli alzarsi prima in aria e poi cadere a terra, venendo trasportati leggermente dal vento. Solo in un secondo momento focalizzò l'attenzione sul ragazzo che aveva di fronte a sé, tirandosi rapidamente sul naso il ponte degli occhiali per chinarsi a dare una mano, raccogliendo i fogli prima che venissero portati via dalla brezza.
    «No, no! Scusami tu! Anche io ero sovrappensiero. È tutto okay. Mi dispiace di averti fatto cadere le foto...» Iniziò a parlare velocemente, mentre le dita raccattavano quanti più fogli possibile, distraendosi una seconda volta per osservarne uno in particolare. Non credeva di conoscere il volto ritratto ma quelle foto gli sembravano di qualità altissima. «Oh, aspetta, ma sono disegni? Wow, hai un tratto fenomenale. Ah, scusa, non volevo... farmi i fatti tuoi, ecco.» Iniziò sorridente e sorpreso, alzando lo sguardo sullo sconosciuto per comunicare meglio tutta la sua meraviglia. Quindi terminò la frase in modo un po' più basso, restituendo i disegni che aveva raccolto al proprietario. Si tirò in piedi e continuò ad osservare il volto dell'altro. «Uh? Come dicevi, scusa? Beh, forse sono io a dovermi scusare, ti ho fatto fare un casino coi tuoi fogli. Spero non si siano rovinati!» Rispose, genuinamente sorpreso dall'offerta dell'altro.
    «Aspetta... ma ci conosciamo? Hai una faccia familiare.» Parlò mentre strizzava gli occhi, accarezzandosi il mento in maniera pensierosa e quasi un po' comica. Naturalmente si avvicinò di poco all'altro, osservandone i tratti caratteristici del volto, fino a quando l'intera espressione di Joon non s'illuminò, dato che era arrivato alla soluzione. «Lavori al negozio di antiquario qua in città, vero? Devi essere Alexander, se non sbaglio.» Gli offrì un sorriso luminoso. «Scusa, io so il tuo nome ma non credo tu sappia il mio. Sono Joon, simpatico residente di Besaid. O almeno spero...» Continuò a parlare con atteggiamento affabile, contento di aver potuto incrociare la strada di Alexander al di fuori del negozio di antiquario. Non lo frequentava spesso, ma in passato la sua famiglia aveva fatto riferimento alle conoscenze e l'abilità della famiglia Hamilton per alcune tele o oggetti d'arte. «Credo di avere qualche lavoro di tuo padre a casa. Aveva un tocco terribilmente raffinato.» Concluse, sovrappensiero.
    Fra i ricordi che si accatastavano negli scaffali della sua mente come disordinatissimi libri e volumi, Joon sfiorò un vecchio articolo di giornale che riguardava proprio Alexander e la sua famiglia. Si domandò se fosse stato opportuno riportare alla luce degli eventi che, probabilmente, erano molto delicati per l'altro. «Lo sai... hanno consigliato di non girare da soli, soprattutto qua in spiaggia. Non mi ero nemmeno accorto di aver raggiunto la zona. Riflettendo mi sono inquietato da solo per certe cose... magari un po' di compagnia non sarebbe male.» Offrì, lasciando intuire con un sorriso gentile che avrebbe compreso un rifiuto da parte di Alexander. Per quanto allenato alle buone maniere, alle volte anche Joon si dimostrava goffo nelle interazioni sociali.
     
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    Nonostante ci siano solo pochi riferimenti e non sia scesa nel particolare, preferisco apporre un Trigger Warring preventivo.
    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [morte di un personaggio].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.



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    Il rossore si arrampicò lungo la nuca di Alexander, mentre si bloccava.
    Non era come se si vergognasse del proprio essere sé stesso: era un ragazzo bisessuale che aveva una cotta. Perfettamente normale, quello.
    Era forse meno normale avere una cotta per un ragazzo etero e non riuscire a toglierselo dalla testa: Eddie era penetrato nella sua arte con naturalezza, come un respiro appena svegli, al mattino. Alexander aveva iniziato a valutare i colori dei suoi occhi, quell’ambrato che diventava quasi dorato, a seconda della luce che li colpiva; disegnava il suo sorriso o il modo in cui si grattava la nuca, quando l’imbarazzo lo avviluppava nelle sue spire. Lo disegnava e disegnava e disegnava, sognando di allungare una mano e accarezzare quel viso.
    La sua arte era l’unica parte in cui ammettesse ad alta voce il proprio più intimo desiderio. Il modo in cui avrebbe voluto baciarlo, tenergli la mano, poggiare la tempia sulla sua spalla e ascoltarlo parlare per ore.
    Apprezzò onestamente il modo in cui l’altro ragazzo fece un passo indietro, nonostante – ormai- il proprio segreto fosse svelato.
    «Anzitutto, grazie per i complimenti» sorrise, sincero. Ogni artista vive la propria arte in modo diverso: Alexander amava ciò che riusciva a creare ma andava oltre, in una perenne ricerca di qualcosa che lo soddisfacesse davvero. Quei disegni erano un porto sicuro, ma era una sfida migliorare il tratto, cogliere qualcosa – nel ragazzo ritratto- che fosse diverso, catturare una scintilla nuova. «Secondariamente non ti preoccupare davvero. Penso che a non essersene reso conto sia rimasto solo lui» ammise, con una piccola risata, recuperando tutti i fogli e rizzandosi.
    Li controllò con attenzione, accarezzandoli con amore, controllando che non fossero sporchi o in qualche modo insabbiati: risultò essere il suo giorno fortunato.
    «Stai tranquillo, stanno assolutamente bene! Non hai rovinato nulla» lo rassicurò, benchè fosse convinto che sarebbe stato lui stesso il primo a doverci prestare la giusta attenzione. Diamine, uno sconosciuto era la prima persona a vedere il suo bloc notes su Eddie: avrebbe potuto facilmente diventare il suo migliore amico, per quello.
    «Io..»
    Essere riconosciuti per il proprio lavoro era qualcosa di inaspettato. Alexander sbattè le palpebre, confuso, mentre il fiume di parole lo investiva ancora.
    E poi Joon, che era davvero simpatico, per inciso, nominò suo padre.
    Nonostante tutto, nonostante gli piacesse credere di stare costruendo una via che lo portasse a sopravvivere da quella tremenda ferita, Alexander sapeva di essere solo un essere umano cui era capitato qualcosa di orribile. Ci stava provando. Era qualcosa.
    E anche Joon stava provando – probabilmente- ad entrate in contatto con lui. Alexander non riuscì ad arrabbiarsi, nonostante tutto.
    Nonostante quel velo di tristezza che gli aveva, inevitabilmente, adombrato gli occhi: stava cercando di andare oltre, di ricordare il buono, di suo padre, di sua madre, quanto di bello gli avevano insegnato e lasciato.
    Forse non avrebbe mai saputo la verità e sarebbe sempre rimasto col dubbio di quanto era successo. Forse i suoi genitori non erano esseri umani perfetti. Ma erano le persone che lo avevano amato e cresciuto.
    Poteva davvero giudicarli male sulla base di qualcosa che nemmeno aveva un contorno poco chiaro?
    «Non ti preoccupare, dico davvero.» gli disse, gentile, cogliendo la sfumatura di dubbio nella voce dell’altro. Gli sorrise. Forse stava diventando ripetitivo.
    «Ciao Joon, è un vero piacere conoscerti e sapere che conoscevi mio padre come artista mi mette un moto di orgoglio addosso indescrivibile. E’ strano che tu ti ricordi di me, comunque» provò a scherzare.
    «Puoi chiamarmi Alex, comunque, di solito i miei parenti mi chiamano ‘’Alexander’’ per rimproverarmi e se lo fa quello che spero diventi un amico, potrei accarezzare la possibilità di correre urlando per le strade cittadine. Mi mette ansia. Non riesco davvero» arricciò le labbra in un sorriso, mentre si paralizzava.
    Dirgli che ‘’non ci avesse pensato’’ lo avrebbe fatto suonare probabilmente solo più stupido. Alex ci pensò a lungo.
    Forse non era il caso.
    «Accetto! Sono abbastanza sicuro che mi serva un amico come te. Sai la parte in cui riesci a parlare» ammise, invece. Joon gli sembrava un raggio di sole e le persone come lui gli piacevano davvero tanto. «In spiaggia anche tu per pensieri?» s’informò vagamente, lasciandogli aperta la porta nel caso in cui avesse voluto o meno approfondire o cambiare discorso. Una scelta che, in ogni caso, avrebbe rispettato, nonostante ci fosse una frase a premergli sulla gola.
    Anche tu stai cercando qualcuno?
    Forse, pronunciare quella domanda e avere una risposta positiva lo avrebbe aiutato a sentirsi meno solo, nella mancanza che gli schiacciava il petto come un macigno. Forse avrebbe potuto parlare di Eddie senza paura.
    Aveva una cotta per quel ragazzo, forse se n’era innamorato e avrebbe pagato il prezzo per quel sentimento impossibile e corrodente: ma saperlo al sicuro, felice, era tutto quello che gli importasse davvero.
    Voleva Eddie al sicuro. Non era disposto a perdere altre persone, non ancora, non di nuovo: aveva il cuore già rotto.
    Un rifiuto? Avrebbe potuto sopportarlo. Andava bene. Eddie non gli doveva nulla del resto.
    Non vederlo più? Alexander non era sicuro che sarebbe sopravvissuto.
    «Mio padre diceva spesso che vivessi in un mondo tutto mio» disse. Aggrottò le sopracciglia e rise di sé stesso. «Mi rendo conto avesse ragione. Avevo bisogno di uscire e sono uscito senza pensare alle conseguenze. Meno male che ti ho incrociato e non ho incontrato chessò.. un poliziotto? Non avrei proprio bisogno di essere rimproverato. O forse sì, i miei amici dicono che somiglio a Peter Pan e che tornare al mondo reale mi farebbe bene» gli confidò, allegramente, avviandosi a camminare. «Se ti va di essere Trilli, benvenuto nell’Isola che non c’è. Ti va se ti disegno, qualche volta? Non credo tu riesca a stare fermo, da questi dieci minuti di conversazione, ma ti assicuro non sarebbe un problema» ridacchiò.
     
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2 replies since 7/10/2023, 15:35   115 views
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