An eternal blue sun to illuminate old wounds I wish my blood would slow down

Runa & Ann

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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: Descrizione o discussione estesa di comportamenti di autolesionismo, come suicidio, ferite auto-inferte da autolesionismo e disturbi dell'alimentazione. Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.

    Annelyse amava correre quand'era nervosa, il che accadeva spesso, e quindi correva di frequente. Il rumore ritmico dei suoi passi spezzava il silenzio della notte e mentre continuava a sfrecciare agilmente sui sentieri del parco il pensiero di essere completamente sola non sembrava turbarla. Quanto tempo prima aveva incrociato per strada un altro corridore o un'altra atleta? Il parco era desolato, nemmeno gli uccelli notturni o il frinire dei grilli restituivano un po' di vita a quello spazio verde apparentemente immobile e svuotato. Deve esserci un evento da qualche parte... Correre da sola non l'infastidiva, al contrario era contenta di non dover avvertire l'odore pungente di qualche scia di sudore, ma non riusciva a scacciare quel pensiero. La festa... si parlava di una festa non autorizzata... Il ricordo di qualche chiacchiera di corridoio in Università le illuminò i pensieri, nonostante la testa fosse occupata dal pulsare sempre più incessante delle tempie. Sorrise, soddisfatta per via dell'aver afferrato la soluzione dell'enigma, anche se non si rendeva conto che da lì a poco quell'espressione orgogliosa si sarebbe tramutata in una esanime e pallida. Avvertiva vicino a sé, come se la stesse rincorrendo, l'attimo in cui le gambe le avrebbero ceduto. Allora gettò uno sguardo veloce allo schermo dell'orologio legato al polso, che si illuminò fornendo ad Annelyse una sfilza di informazioni piuttosto preoccupanti: i battiti cardiaci erano ben sopra la media e stava chiaramente correndo ormai da troppo tempo. Se non avesse arrestato lei la corsa, sarebbe stato lo sforzo prolungato ed eccessivo a mettere un punto ad ogni suo movimento. Sebbene ancora recalcitrante a fermarsi, Annelyse iniziò gradualmente a rallentare fino a fermarsi del tutto, appoggiando il palmo di una mano ad un albero. Non sentiva più la testa sulle spalle e una stranissima illusione visiva le aveva reso molto difficile distinguere le forme che la circondavano: era abituata a guardare il mondo in modo differente, e per questo Annelyse non fece caso a quella densa nebbia che occupò lo spazio che circondava. L'aria si era fatta tutto ad un tratto molto più difficile da respirare. Doveva essere la fatica. Ora piegata su di sé, Annelyse aveva stretto gli occhi cercando di fermare la testa che le girava e l'affanno che continuava a farsi sempre più grave. Mi viene da vomitare. Arricciò le dita contro la corteccia dell'albero fino ad avvertire alcuni pezzetti di legno infilarsi sotto le sue unghie: quel dirottamento di sensazioni verso un'altra parte del suo corpo parve farla riprendere, almeno in parte.
    «Sei qua tutta da sola?» Annelyse trattenne un singulto spaventato e gli occhi infossati si alzarono dal manto erboso dopo svariati secondi. Non aveva sentito nessuno avvicinarsi eppure una voce da ragazzina, stridula e terribilmente vicina, sembrava essere indirizzata proprio a lei. Puntò gli occhi sul volto della giovane mentre una smorfia confusa le piegava il volto. Non aveva abbastanza pazienza in corpo per rispondere in modo educato a quella ragazzina, apparentemente una perfetta sconosciuta, di cui non avrebbe potuto nemmeno riconoscere i tratti del volto. «Perché ti sei fermata? Eh? Perché ti sei fermata? Eh? Perché ti sei fermata? Eh?» La ragazzina sembrava intenzionata ad infastidirla all'infinito e Annelyse, confusa e tramortita da quella domanda che non smetteva di ripetersi, si alzò di scatto, ignorando le proteste del suo corpo. «Ma che vuoi?!» Morse all'improvviso, intenzionata a spingere la ragazzina quanto più lontana da sé. Le mani si mossero velocemente verso il corpo della sconosciuta, pronte a scontrarsi contro il petto dell'altra ma le intenzioni di Annelyse non vennero accontentate. La donna sgranò gli occhi, impallidendo: aveva appena attraversato il corpo della ragazzina e questa aveva ridacchiatoo, come se Annelyse l'avesse solleticata per scherzo. «Oh... putain Convinta che dovesse trattarsi di uno stupido gioco dovuto alla stanchezza, o di qualche cittadina stramba di quella città assurda, Annelyse continuò a spingerla, e continuò ad attraversare il corpo della ragazzina. Le risa crebbero sempre di più, fino a diventare insopportabili e solo allora Annelyse si arrestò, iniziando a fare qualche passo indietro. «Ihih... non ho più un corpo! Non ho più una vita! L'ho persa buttandomi di sotto, dal tetto della scuola. Ho fatto un bel tuffo, eh? Mi sono spiaccicata sul cemento... il mio cervello era ovunque! C'era sangue ovunque! Ti ricordi?»
    Ora decisamente più spaventata, Annelyse tremò sul posto, e così anche la sua voce si fece un sussurro. «Hilde...?» Per qualche manciata di secondi la mente lucida e razionale di Annelyse volle schiaffeggiare la parte in preda al panico, ma non riuscì a riprendere il totale controllo di sé: com'era possibile che davanti a sé avesse il fantasma di una stupida ragazzina del liceo che aveva convinto a buttarsi di sotto? Accusò lo stress, la stanchezza, l'aver saltato il pranzo quel giorno, ma no, non riusciva a convincersi di quello che sentiva e, parzialmente, vedeva. Quella situazione era reale. Più che i sensi di colpa, che mai aveva provato prima per l'esistenza spezzata di Hilde, fu un glaciale terrore a piantare i suoi piedi a terra. Credeva di aver già vissuto questo momento ma l'adrenalina non le permise di decifrarlo analiticamente. «Ihih... Sì! Ti ricordi, ti ricordi! Ah, è arrivato il momento di rompere la tua testa!» Canticchiò Hilde battendo le mani. E poi, terribilmente più bassa e ancestrale, la voce della ragazzina attraversò Annelyse da parte a parte. «Io scapperei.» Una vibrazione profonda scosse Annelyse dalla testa ai piedi, strappandole dai polmoni un urlo acuto ed altissimo. Hilde sembrò gradire, dato che una risata subdola scivolò in modo inquietante dalla sua faccia deformata. Avrebbe voluto che un senso di colpa profondo e immenso si impadronisse di lei e invece l'istinto di sopravvivenza la calciò in avanti, spingendola a riprendere la corsa che aveva interrotto.
    "Non è possibile... non è reale." I pensieri iniziarono ad accavallarsi frenetici come i suoi passi veloci e, nonostante le gambe pesanti e la stanchezza, Annelyse non arrestò la sua corsa. Annelyse si sforzò di ricordare come fosse morta Hilde, quella insulsa ragazzina che ora le era riapparsa davanti come uno spettro del passato. La donna sapeva di essere coinvolta nel tragico evento che aveva portato Hilde a conoscere la sua fine troppo presto: non era stata lei a spingerla a suicidarsi, ma non era possibile ignorare la sua influenza. L'eco delle parole malevole, delle risate crudeli, delle azioni cattive di sé stessa da ragazza le affollarono la mente. "Stronzate! Sono forse impazzita?" Annelyse non si era accorta di aver iniziato a piangere, ma sarebbe stato difficile dividere le lacrime dal sudore che le grondava dal viso sempre più pallido. Anche se non più seguita dallo spettro di Hilde, Annelyse non fermò la sua corsa: la poteva sentire ancora dietro di sé, mentre ridacchiava nell'ombra, rinfacciandole la sua triste fine per darle ogni colpa. Solo quando si accorse di avere sotto i piedi non più la pavimentazione dei sentieri del parco ma l'asfalto, Annelyse si allarmò ancora di più e arrestò ogni movimento. Come richiamata da una voce lontanissima, girò la testa per venire investita dalla luce dei fendinebbia di un veicolo che si stava avvicinando sempre più rapidamente a lei. Trasformata in un cerbiatto nel mezzo della carreggiata, incapace per una seconda volta di muovere le proprie gambe, Annelyse si accucciò, stringendo forte la propria testa, iniziando a pregare come non faceva da tempo.
    Sentì una brezza gelida sfiorarla mentre la moto le sfrecciava accanto, mancandola per un soffio. Il vento del passaggio fece sventolare i suoi capelli bagnati e le fece rabbrividire, mentre una dozzina di piume lunghe e bianchissime le si posavano intorno. Annelyse strinse gli occhi, cercando di riprendere il controllo sulla propria mente e sul proprio corpo, un turbine di emozioni e paure. «Merde... merde! MERDE! MERDE!» Singhiozzò fino ad urlare le imprecazioni, scaricando la tensione accumulata fino a quel momento. Solo allora si pulì il viso con i polsi e si rialzò lentamente, tramortita ma decisamente più combattiva. «Ehi? EHI! Merde... mi senti? Come cazzo guidi!?» Urlò, alzando le braccia in aria per dimostrare tutta la sua contrarietà. Tagliò la distanza che la divideva dalla motociclista con passo deciso e più si avvicinava, più dettagli si rivelavano alla sua vista parzialmente appannata. «Con tutta questa nebbia... mi hai quasi presa sotto!» La attaccò di nuovo, aspettando di poter guardare dritta in faccia la persona che l'aveva quasi ammazzata per maledirla in modo più risoluto. Quando la sconosciuta si sfilò il casco tuttavia Annelyse rimase senza parole, venendo folgorata dall'assurda consapevolezza di conoscere quella persona, perché l'aveva cercata da sempre. «Chi... sei?» Una fiamma brillante e meravigliosa circondava il capo biondo della donna di fronte ad Annelyse. Sebbene fosse abituata a certe manifestazioni della sua particolarità, mai aveva assistito ad uno spettacolo così glorioso. Mentre il mondo attorno a lei si faceva sempre più buio, nella sua visione non rimaneva che quel fuoco poderoso che, con la sua luce intensa e coraggiosa, illuminò parte della stanza delle sue memorie come una torcia avvicinata ad un antichissimo mosaico. Il disegno che le era stato mostrato anni prima era stato scomposto, ma Annelyse credeva di riconoscerlo e, ne era convinta, anche grazie proprio a quella donna sarebbe stata in grado di decifrarlo.
    Annelyse tornò in sé per pochi secondi, come se l'avessero spinta sotto un getto d'acqua gelida e, preso a fatica un respiro, svenne. "Inizia una nuova era per Besaid, un nuovo paradigma - di connessione, di unione. Nessuno potrà più separarci." Stranissimi messaggi accompagnarono il suo sonno, mentre immagini spaventose ne occupavano la mente, tramutandosi in sogni terribili e rivelatori.
     
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