Three clicks and I'm home

Beat x Lys / 8:30 am

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    Three clicks and I'm home

    Il muretto era duro e umidiccio, la rugiada sottilissima cercava di attraversare la trama dei jeans schiacciati mentre Beat sedeva nei pressi di uno degli ingressi del piccolo cimitero, il corpo lì a infreddolirsi e la mente da qualche parte in Germania.
    Le gambe ondeggiavano appena come mosse dalla brezza e invece era solo l'istinto, la memoria corporea di un gesto infantile fatto milioni di volte su milioni di muri, palazzi, balconi alti dodici metri; su un cavalcavia di Naukölln, Berlino, aspettando le sei e trentatré per dare le suole al treno e immaginare di camminarci sopra. Un milione di anni prima. Almeno così sembrava perché Janis gli era vicino, le vecchie Etnics così malridotte da rischiare sempre di sgretolarsi e cadere sulle rotaie, i calzini adidas del fratello due taglie più grandi, i pantaloni della tuta grigi con le impronte delle dita unte dell'ennesimo kebab. Jan c'era e gli respirava vicino. A voltarsi ora l'avrebbe visto, Beat? Allungandosi, avrebbero le mani stretto un ginocchio tutto ossa, il lembo di una giacca blu? Un milione di anni fa. Con gli occhi puntanti a terra Beat cercava di scorgere il tetto del treno, lì lì per fare la pazzia e saltare senza avere il coraggio di guardarsi al fianco per riscoprirsi a mezzo metro dal selciato e senza locomotive, senza l'altro paio di gambe a penzoloni vicino, senza le macchie d'unto, senza l'odore di cannabis, senza Jannis. Solo. Così l'aveva lasciato tutti gli anni passati a evitare quel posto da brividi per lui peggio degli ospedali, peggio dei laghi neri, peggio delle cabine e il filo dei loro telefoni. ≪Was für ein beschissener freundChe amico di merda. Pronunciò a bassa voce continuando a guardarsi la punta delle scarpe. Una merda in generale, in realtà, e un po' con tutti. Sperò davvero che Jan potesse leggergli nella mente - era una roba da fantasmi, no? - perché non era convinto di farcela a parlare. Uno spostamento d'aria e si immaginò la giacca blu di Jan frusciare. Di lì a poco una canna sarebbe entrata planando nel suo campo visivo per atterrare nel palmo o chissà, incastrarsi fra le labbra magari. Magari poter tornare indietro, alle ore lente passate a trovare qualcosa da fare prima di scoprire quanto scalmanata e piena potesse essere la Berlino notturna, prima delle pillole, delle ragazze e dei ragazzi, prima della sterzata dopo cui tutto si era incrinato e Beat aveva preso a camminare a testa in giù senza neanche provare a raddrizzare le cose. A cosa serviva a fare prendersi quel disturbo. Sottosopra, quello il suo modo di andare avanti. Ora sapeva che non andava bene, ora cominciava a vederne le falle ma prima no, non gli era stato mai spiegato come reagire a un male così immenso da non riuscire a contenerlo neanche con l'abbraccio di mille persone. C'era voluta una decade per avvicinarcisi. C'era voluta l'insistenza di Lys, che aveva lottato per tutto quel tempo mentre lui continuava a scappare restando pur sempre inchiodato. Dove sarebbe potuto andare? Non c'era niente per lui se non quel posto, niente se non i Bryne, Paul, Fae, Elise, Debs, James, Eira, Nora e il Bolgen tutto. Meno di zero senza il suo sole. Era talmente stronzo da essersi privato di Jan ancora di più rifiutandosi di entrare in quel cazzo di cimitero. Ne aveva così paura da essere riuscito a evitare anche solo di passarci davanti per caso, cosa sorprendente in più di dieci anni passati a vivere quella città. Era stato quasi semplice non pensarci, imbottirsi di roba fino a stare male aveva aiutato, la tecno aveva aiutato. Semplice addossarle la colpa fintanto che il sole non sorgeva nella sua parte di mondo, l'emisfero intermittente di Beat. Era stato al buio per anni, i neon del Bolgen come unica fonte di luce a scandire il giorno dalla notte ma al contrario rispetto agli altri. La giornata finiva quando si spegnevano, tempo di tornare a casa e dormire mentre intorno a lui il resto del mondo invece si stava appena svegliando. Era andato bene per un sacco di tempo, poi il sole era esploso come una supernova e l'aveva accecato senza dargli tempo di abituare gli occhi. Che poi, a guardare Lys da vicino non ci avrebbe mai fatto davvero l'abitudine. Aveva dovuto rubarne i raggi per scaldarsi senza essere visto. A volte gli era riuscito meglio e a volte la voglia di bruciarsi era stata così tanta da non potersi nascondere. E si erano scottati spesso quei due, nell'ultimo anno e mezzo. Ogni sguardo più prolungato del solito lasciava una piccola ustione, ogni volta che le punta delle dita si sfioravano; quando guardando un film gli sedeva addosso e lui con la mano sulla gamba non osava muoversi, ogni volta che si salutavano con un abbraccio e sostavano lì sempre un po' più a lungo degli altri.
    Un altro fruscio e stavolta Beat sollevò la testa pronto ad affrontare il vuoto di Jan trovandosi invece inondato dal sole che, per la prima volta da dieci anni, gli era forse lecito guardare. Sarebbe davvero sorto per lui e basta? Quasi. Avrebbero dovuto parlare con Paul ma già lo sentiva, era vicinissimo a potersi scaldare senza doversi bruciare. ≪Sonnenschein.≫ Sollievo palpabile. Una mano volò ad abbassare il cappuccio mentre la salutava, le labbra che già prendevano la piega di un sorriso prima piccolissimo e poi più grande non appena arrivò a una distanza tale da poter essere riempita da un braccio teso.

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    Un momento prima si tenevano la mano, quello dopo l'arto a mezz'aria era tutto ciò che restava di quel legame. Non avrebbe mai dimenticato quella scena, Beat, osservata dall'alto del piano superiore del Bolgen, la parte che dava sulla sala principale. Chissà perché quei due si erano separati e fatti vividi ai suoi occhi come in ricalco sulla folla confusa che ballava sotto i suoi piedi.
    Aveva strizzato gli occhi dando la colpa alla metanfetamina, poi però la ragazza aveva gridato o meglio, aveva aperto la bocca in quello che immaginava essere un urlo ingoiato senza rimorso dai bassi della musica sparata a tutto volume. La nausea prese a farsi strada nel suo stomaco mentre muoveva uno o due passi traballanti verso le scale, senza però riuscire a smettere di guardare la ragazza che continuava a urlare muta. C'era qualcosa di profondamente sbagliato e tragico in quella visione. Altri vuoti presero a crearsi, rancori, amori, amicizie sparivano senza lasciare traccia e Beat continuava a sbattere le palpebre forsennatamente. Chiuse gli occhi quando la spiaggia, le bestie, la pistola, il cappio, il coma gli mitragliarono il cervello. Aveva visto, lui sapeva. Ma era davvero così? Beat! Beat! Beat, Beat, Beat, Beatbeatbeatbeatbeatbeatbeatbeat. Spalancò gli occhi. ≪Lys?≫ E finalmente iniziarono le urla. Caracollò dalle scale per farsi ingurgitare dalla folla che impazzita premeva ovunque per uscire. Come se davvero credesse di trovare salvezza al di fuori di lì. Più spingeva persone che non erano lei, più la paura invadeva la gabbia toracica e tutti i tessuti principali. In quei secondi non riusciva a pensare ad altro che a voler allungare la mano e trovare la sua in mezzo a quella dozzina di altre. Intimava a qualsiasi persona conosciuta che incrociava urlava di andare sul retro, si sarebbero fatti ammazzare dalla calca se avessero provato a raggiungere le uscite. Controcorrente, cercava di scorgerla sopra le teste degli altri e a ogni paio di occhi non suoi il cuore perdeva forza, come affievolendosi. Non poteva succedere, non così. Non ora. Non poteva sparire senza averle parlato. Perché non l'aveva fatto prima? Erano passati tre giorni da quella notte. Settantadue ore da quando le aveva detto di amarla. E quattromilatrecentoventi minuti di niente. ≪LYS!Ti prego ti prego ti prego. Non l'avrebbe più lasciata andare, se fossero rimasti lo giurava: non avrebbe più aspettato neanche un secondo. Non aveva paura di sparire, di affrontare qualsiasi cosa ci fosse di là; lo terrorizzava dover attraversare di nuovo quella terra al buio senza di lei. Sapeva che non ce l'avrebbe fatta una seconda volta, non ne sarebbe sopravvissuto. Quando la piccola mano si fece strada a forza nella sua, Beat l'aveva già riconosciuta avvertendone il calore tra migliaia di corpi. E aveva teso il braccio per raggiungerla.



    Non più lontano di un braccio teso, così il calore era piacevole come la carezza del sole sul viso, e per un motivo inspiegabile i polmoni mangiavano più aria e nel cuore il sangue passava più facilmente, come se lontano da lei fosse sempre sul punto di andare in cortocircuito e invece nei suoi dintorni il blackout era scampato. E persino quel posto diventava meno orrendo con il sole, e quando Beat saltò a terra fu contento di non avere un treno sotto che lo avrebbe portato via da quel posto. Voleva andare dovunque andasse lei. Non era un tipo mattutino e si vedeva. Il viso era ancora stropicciato dal sonno, sembrava aver attraversato una tempesta ed esserne uscito quasi ma non del tutto indenne, con i capelli sparati in ogni dove, la felpa grigia allargata e la barba di qualche giorno. ≪Vengo dal Bolgen, probabilmente puzzo.≫ La scusa non gli impedì di fare un passo e mezzo in avanti e allargare le braccia per stringerla. Un saluto sempre più lungo del solito, gli sembrò che la pelle sfrigolasse al contatto di lei come a chiedere, disperatamente, di più. Non aveva fatto altro che pensare alla notte più brutta e più bella degli ultimi anni, alle lacrime di Lys, a quello che si erano detti; al fatto che solo una manciata di giorni prima si erano urlati contro, si erano baciati, erano stati sul punto di sparire; che le aveva detto di amarla ancora. ≪alles gut?Tutto bene? A quel punto sciolse piano l'abbraccio, infilando le mani nelle tasche e dondolando lievemente sul posto. Le aveva scritto che erano le sette e mezza di mattina, con le orecchie ancora ronzanti di tecno e in bocca il sapore di chissà cosa. Avevano passato due giorni a risistemare il locale, sembrava vi fossero esplose più bombe a distanza ravvicinata. Poi, la sera prima avevano deciso di aprire per una notte improvvisata in onore di chi non c'era più. Niente a che vedere con le solite serate ma quello era il prima, ora sarebbe cambiato tutto. Era stanco ma non fatto, eppure non gli riuscì semplice chiederle di vedersi di fronte al cimitero. Era stato sul punto di contattarla almeno tre o quattro volte al giorno, non era quello il problema. Era Jan. Entrare, vedere il luogo dove ciò che di lui restava continuava a sgretolarsi nel tempo. Jan era immobile lì mentre loro andavano avanti. Era una cosa impossibile per lui. Sarebbe stato come affrontare una volta per tutte la faccenda, non c'era mai riuscito. Osservò il volo di un piccolo uccello seguendolo, il mento e la testa alti verso destra dove alcune cappelle private gli punzecchiarono con le punte la visione periferica. Non l'aveva notato prima, ma da quando era arrivato non aveva fatto altro che girare le spalle a quel posto. Sospirò appena. ≪Cosa dice di me il fatto che non ci abbia mai messo piede?≫ Rimase per qualche secondo con gli occhi azzurri sulle cupole dei sepolcri privati che di certo Jan non si era potuto permettere. ≪Era il mio migliore amico.≫ Non sapeva perché lo disse, forse per rincarare il rimprovero inflitto a se stesso, ma abbassò ancora gli occhi nei suoi sentendosi bruciare. Non avevano ancora parlato di niente, non c'era stato modo o tempo, era tutto stato speso ad accertarsi che parenti e amici stessero bene. Che ci fossero ancora. Non era certo a che punto fossero, di cosa fossero ora, ma il semplice fatto di poter distendere le dita e toccarla lo faceva stare bene e male al contempo. Era stato a un passo così dal perderla di nuovo. A guardarla ne colse la stanchezza e la preoccupazione nelle ciglia tremolanti, nei cerchi bluastri sotto gli occhi. La trovò di una bellezza disarmante. ≪Non so cosa dirgli.≫ Sussurrò pianissimo, quasi un tutt'uno con il respiro mentre l'espressione si rabbuiava e le sopracciglia si avvicinavano in punta. Serrò i pugni nelle tasche. Come si parlava con i morti? Come poteva recuperare tutti quegli anni di silenzio?

    Edited by ƒiordaliso - 23/3/2024, 17:05
     
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