"Y cuando cae la noche baja a bailar a la tasca"

Fae & Anastasia

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    Fae Lynae Olsen
    Una sigaretta e torno aveva detto a Dough. Ma dopo la prima c'era stata la seconda e poi anche la terza. E quella terza si era trasformata in una quarta, ed era quella che stringeva fra le dita quando la voce del ragazzo la raggiunse dall'interno. «Fae? Dove sei? Fae?» Detestava quando qualcuno le stava così appresso come i tentacoli di un polipo intorno alla propria preda. Il problema era che Dough sembrava essere più disgustoso di un polipo e lei di certo non era la sua preda -avrebbe potuto solo sognarselo. Lavoravano insieme da un paio di mesi; lui con i computer e tutta la roba informatica ci sapeva fare: Besaid gli aveva regalato uno strano dono, al suo arrivo. Aveva la capacità di parlare, per farla semplice, con qualsiasi tipo di aggeggio elettronico. Questo le era bastato a cancellare l'idea di fare un corso di informatica per aggiornarsi sugli ultimi software e ad assumere uno sprovveduto straniero apparso da chissà dove e per chissà quale ragione. Non gli aveva chiesto molto, le era bastato sapere che lui si sarebbe occupato di tutta la parte tecnica e tecnologica del suo lavoro. Col passare del tempo, i momenti di libertà erano diminuiti e questo l'aveva portata a necessitare di qualcuno che l'affiancasse e l'aiutasse a livello informatico, sebbene se la fosse cavata da sola fino a quel momento. Ma Dough era piombato dal nulla e lei aveva deciso che sarebbe stato utile al suo scopo. Gli aveva promesso uno stipendio niente male, una scrivania nel caos del suo piccolo studio e un sorriso stirato almeno una volta al giorno. Questo era bastato al giovane informatico per accettare e decidere di rimanere al fianco della ragazza arcobaleno. Fae aveva pensato che, probabilmente, Dough non avesse mai avuto chissà quali esperienze a livello sessuale, o più superficialmente, con il sesso femminile in generale. Aveva giocato la carta da seduttrice, ma quella era bastata al loro primo incontro e poi non era più servita, poiché il ragazzo si era rivelato costante e a tratti ambizioso. Le era piaciuto lavorativamente parlando, ma non si era aperta a lui lodandolo poiché aveva avuto il timore che questo potesse intendere male il tutto e alla fine provarci con lei. «Arrivo, Dough, calma!» aveva gridato lei di rimando, premendo istintivamente con le dita il filtro della sigaretta nel posacenere, cercando di spegnerla. La lasciò cadere al suo interno, sulla montagnetta di filtri mezzi bruciati che già ne coprivano il fondo, e poi si sollevò dalla sedia in metallo ricoperta di polvere per raggiungere la portafinestra che dava sul cortile interno della Discoteca. Si addentrò nel corridoio lungo e bianco che portava alle scale per il suo studio al piano superiore e alla porta che dava nel vero e proprio Bolgen Discoclub, all'interno del quale si addentrò per poter iniziare con i preparativi di quella sera: aveva organizzato una festa a tema Latino America con l'aiuto di Miguel, un Colombiano che aveva conosciuto tre settimane prima in un pub e con cui alla fine vi era finita a letto. Un tipo molto diverso da tutti loro, incredibilmente affascinante e un ottimo amante. Sprigionava passione e calore da qualsiasi poro, insinuandosi nei pensieri di Fae ormai fin troppo spesso. Insieme avevano deciso che quella sarebbe stata una nottata indimenticabile per chiunque vi avesse partecipato. Ci avevano impiegato solo due settimane ad organizzare la locandina dell'evento e a pubblicizzarlo con volantini cartacei e manifesti online. Fae aveva messo tutta se stessa in quella serata e per la prima volta dopo tanto tempo aveva quasi il timore che potesse avere un riscontro del tutto negativo da parte dei suoi clienti e ospiti.
    Una volta addentratasi nella sala, una visione del tutto comica si presentò dinnanzi i suoi occhi: Miguel e Dough che provavano a ballare a ritmo di una salsa. Più che altro, il colombiano provava ad insegnare alcuni movimenti all'altro, ma ovviamente con scarsissimi risultati.«E... uno, due tre, quattro, piedi indietr-- no, Dug, verso di te, e poi verso di me. Riprova, uno, due, tr... Dios Mios, te lo he dicho que no es asì que se hace, madre de Dios, ascoltame Dug. Ahora te lo faccio vedere di nuovo y probiamo insieme. Ok?» la pronuncia del tutto sbagliata di Miguel le fece scappare una risata fragorosa, che andò a rimbombare nella sala nonostante il basso tono della musica latina di sottofondo. «Guarda, guarda. Voi sì che siete uno spettacolo. L'entrata la pagherei solamente per voi, stasera.» esordì Fae con un applauso, avvicinandosi poi alla console e interrompendo la musica. Miguel si voltò di scatto con aria contrariata. Allargò le braccia e scosse appena il capo, senza distogliere il proprio sguardo da Fae. «Fae, No c'è tiempo, Dug necesita di qualche lecione, se ha intenzione di remorchiare stasera!» si lamentò il colombiano, avvicinandosi di qualche passo alla postazione in cui si trovava l'amica. «Mi dispiace, Miguel. Ma Dough in questo momento ha altro da fare.» disse Fae con un tono che non avrebbe ammesso alcuna replica, ma in contrasto con il sorriso divertito che aveva ormai stampato in faccia. «Per esempio, appendere quelle dannate ghirlande un po' ovunque, cosa che gli avevo esplicitamente detto di fare circa...» s'interruppe per portare il polso all'altezza del naso e guardare le lancette dell'orologio che indossava. «...sì, un'ora fa.» continuò Fae, scendendo dal palchetto sul quale era posizionata la console e raggiungendo la catasta di decorazioni che ancora avrebbero dovuto essere appese e sistemate un po' per tutto il club. La pista da ballo era abbastanza grande, suddivisa dalla zona divanetti da quattro colonne, ognuna disposta parallelamente ad ognuno dei quattro angoli della sala. Alcune delle ghirlande erano state già appese alle estremità delle pareti a specchio che circondavano il perimetro del club, mentre sui tavolini, oltre ai volantini che pubblicizzavano la serata, c'erano i menu a tema -con una vasta offerta di cocktails e long drinks tipici latini- e bracciali di stoffa colorati. Per terra, avevano sbrogliato un grande tappetto arancione, il quale andava a sposarsi perfettamente con le ghirlande appese per metà e dei tendaggi aggiuntivi che coprivano la vernice nera delle quattro grandi colonne. Il club aveva preso colore, dimenticandosi per una volta delle solite serate da discoteca che ospitava di solito. Guardandosi intorno, Fae non fece altro che immaginare cosa potesse significare per lei andare via da Besaid e raggiungere un posto in cui quell'atmosfera fosse reale. L'idea di andare via dalla propria città la terrorizzava: non avrebbe mai voluto perdere se stessa, dimenticarsi di sua sorella, di sua zia, dei suoi genitori, di Anja, Jude e di tutti quelli a cui voleva e aveva voluto bene. Loro erano, in un certo senso, imprigionati lì dentro. Ne era consapevole, e questo le faceva male, ma aveva saputo conviverci, accettando ciò che il destino aveva deciso per tutti loro, senza neanche chiedere un parere. Per un breve secondo, poi, il pensiero di sua madre e della sua perdita della memoria, riaffiorò appena svegliandosi dal coma nel quale sottostava nella mente della ragazza. Il cuore fece un balzo, rammentandole che la donna aveva scelto liberamente di dimenticarsi di lei e di sua sorella, della vita e l'amore avuti insieme con il suo ormai defunto marito. E ogni qualvolta quei pensieri riaffioravano, Fae si sentiva stranamente confusa, debole, come se non fosse mai stata abbastanza per sua madre, come se in qualsiasi caso, lei non avrebbe mai potuto fare nulla affinché la donna scegliesse di rimanerle accanto.
    «Fae, mi flaca, è tutto ok?» una voce alle sue spalle la raggiunse, mentre la mano del giovane Miguel si posava leggermente sulla spalla di lei. Si scostò istintivamente, balzando via dai pensieri sui quali era scivolata e ritornando al mondo reale. Anja sarebbe arrivata da un momento all'altro e finalmente qualcuno si sarebbe impegnato seriamente nel portare a termine con lei tutti quei preparativi. «Sì, Miguel, è tutto ok, grazie. Stavo solo pensando a dove potremmo mettere lo stand degli energy drink. Ci sponsorizzano, stasera, quindi credo dovremo liberare quell'angolo e spostare i tavoli un po' più a destra. Potresti farlo, per cortesia?» gli chiese, cercando di immedesimarsi nella donna dalle mille risorse che era di solito, lasciando andare quella dalle mille preoccupazioni. Miguel annuì, facendole l'occhiolino e affrettandosi ad eseguire ciò che fae gli aveva chiesto cortesemente, facendosi aiutare da Dough, ancora in preda al ritmo latino e a quelli che, invece di movimenti del bacino, sembravano spasmi. Si allontanò dei due per avvicinarsi al grande frigo dietro il bancone del bar, aprendolo e tirandone fuori una limonata fresca. Quella sera ci sarebbe stato da ridere, ne era certa, e quel pensiero le strappò il primo sorriso più che sincero.
     
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    La puzza di stantio che si respirava nel pullman era ai limiti del sopportabile e le provocò un vago senso di nausea, alimentato anche dalla pessima guida del conducente, che frenava troppo tardi ad un semaforo rosso o inchiodava dimenticando le dovute precedenze.
    Era stata costretta a recarsi in università quella mattina per completare un progetto di gruppo da consegnare al termine della settimana al professore referente. Niente di più faticoso, considerando che la sua equipe era composta da perfetti imbranati: Abigail aveva trascorso ore a tormentarli con foto e selfie, Thomas aveva dimenticato le squadre –forse un giorno avrebbe dimenticato anche la testa- e l’unico membro valido, Liam, era a letto con l’influenza. Perciò l’icnografia di una ipotetica e immaginaria pasticceria era stata portata a termine solo da lei che, ammettiamolo, era una frana con il disegno tecnico.
    Al termine del lavoro avevano deciso di consegnarlo già al professore, essendo nel suo studio, che, soddisfatto, aveva affidato loro un altro progetto, un plastico di un quartiere da bonificare. I due scansafatiche avevano montato su scuse da oscar per scrollarsi di dosso l’incarico che era ricaduto esclusivamente su Anja. Sapendo che accettare comportava maggiori crediti e quindi la possibilità di conseguire la laurea con il massimo dei voti, aveva acconsentito, lasciandosi sfuggire un sospiro di sconforto.
    Lavoro. Lavoro e ancora lavoro. Non ne poteva più. Per fortuna avrebbe trascorso il pomeriggio con Fae e si sarebbe distratta un po’. La sua stravagante amica era impegnata con l’organizzazione di una serata a tema latino- americano e lei l’avrebbe aiutata in queste operazioni, sia per passare un po’ di tempo con lei, sia per imparare il suo mestiere –dato che ancora covava il desiderio di diventare una gallerista- , sia perché era divertente. Conosceva un sacco di gente strana ed unica, come Miguel, il ballerino spagnolo, dal fisico prestante e dal sorriso luminoso, che aveva catturato l’interesse di Fae una sera in un pub. Ciò che era accaduto tra i due dopo che Anja si fu congedata era immaginabile.
    Aveva progettato di arrivare al Bolgen per l’ora di pranzo e di portare qualcosa da mangiare a tutti, un dolce magari, ma il treno delle dodici era partito senza di lei costringendola a prendere il pullman che, da Bergen, impiegava almeno quaranta minuti per raggiungere Besaid, traffico permettendo.
    Arrivò in città all’una e mezza e fu parecchio difficile scendere dal mezzo con lo zaino sulla spalla sinistra, il tubo portadisegni su quella destra e i dieci centimetri di neve a ricoprire le strade. Riuscì a raggiungere il Bolgen incolume e quando entrò fu subito accolta dal sorriso di un tecnico che trasportava un pacco pieno di cavi elettrici. «Fae?» domandò, scrollandosi di dosso i fiocchi di neve scesi dal cielo durante il tragitto. L’uomo indicò con un cenno del capo la porta che dava alla sala interna.
    La voce di Miguel la introdusse in un quadretto alquanto bizzarro: lui che insegnava a Dough i passi di salsa. Si morse il labbro inferiore per non scoppiare a ridere: prometteva bene quel pomeriggio. «Anja?» Dough percepì la sua risatina sommessa e si voltò a guardarla, le mani a mezz’aria e il bacino leggermente inclinato verso sinistra. «Non volevo disturbare la lezione» scherzò, richiudendo la pesante porta alle sue spalle. Dough, la nuova recluta di Fae, un po’ lo compativa: il classico ragazzo inesperto, che sogna la storia d’amore con il capo ed è stato assunto solo per le sue capacità. In particolare, nel suo caso, l’abilità di poter comunicare con i computer che permetteva a Fae di non arrovellarsi troppo con l’informatica.
    Individuò la sua amica arcobaleno dietro il bancone del bar, a sorseggiare una aranciata ghiacciata. «Sono arrivata sana e salva» la raggiunse alzando un pugno in aria in segno di trionfo. Si liberò dello zaino e del cilindro in plastica, buttandoli malamente a terra, e poi del cappotto, restando in jeans e in maglioncino blu elettronico intrecciato. «Come procede? Dough ha deciso di sedurti con la danza latina?» la pungolò con leggere gomitate, affiancandola dietro il bancone. Salutò con un cenno della mano anche Miguel. «Hola amica de Fae» esclamò con quell’allegria di cui solo il sangue latino è dotato. Un po’ invidiava quei popoli. A differenza degli uomini del nord erano sempre sorridenti, calorosi, accoglienti. Non come i russi, freddi, scostanti, diffidenti e alcuni dalla pessima battuta. Detestava ragionare per stereotipi ma spesso erano confermati dalla realtà. Non poteva negare l’evidenza.
    Si guardò intorno, il gusto impeccabile di Fae aveva colpito ancora. La stanza, in origine spoglia e grigia, era un tripudio di colori ben legati tra loro: arancio, rosa, rosso erano i predominanti. Quanto avrebbe voluto un giorno possedere il suo stesso stile e svolgere il suo stesso lavoro. Un po’ la invidiava ma era un sentimento sano, pregno di affetto e ammirazione. La sua migliore amica era felice del suo lavoro così come nel complesso, se si escludono quei problemi privati che, in fin dei conti, ha ciascuno di noi.
    «Mancano ghirlande giusto?» scrutando ogni angolo notò dei buchi e presto individuò la pila di ghirlande che avrebbero dovuto colmarli. La guardò un attimo, percependo la sua allegria trattenuta da chissà quale pensiero. Le diede una pacca amichevole sulla schiena «Tranquilla Fae, sai come mi chiamavano in Russia? “Appendi ghirlande» epiteto decisamente inventato in quel momento.
    Raccolse i capelli in uno chignon basso e disordinato e si rimboccò le maniche, entrambi gesti che annunciavano che si sarebbe messa all’opera. «Dough, la scala» richiamò l’attenzione dell’informatico con uno schiocco di dita. Questi sbuffò appena, forse seccato dal non poter svolgere in pace la sua lezione di salsa, e recuperò la scala poggiata al muro, accanto alla porta di ingresso.
    Anja raccolse una ghirlanda dal mucchio e trattenne un sospiro. Non aveva mai amato granché le altezze. Sebbene la sua testa fosse sempre tra le nuvole e i suoi pensieri rivolti al futuro, a cose ancora inesistenti ma per lei realizzabili, preferiva avere i piedi ben ancorati sul pavimento. Raramente saliva su una ruota panoramica e sceglieva sempre mezzi con le ruote –treni, autobus- anziché con le ali. Essere rinchiusa in un aereo le trasmetteva un forte senso di insicurezza.
    Pensando a quanto elaborate fossero le ghirlande riuscì a raggiungere l’ultimo gradino e l’apice della colonna. Si era anche munita di una piccola punes e un batter d’occhio l’ornamento fu agganciato. Sorrise soddisfatta «Cosa ne pensi Fae?» domandò, iniziando piano a scendere. «Io credo sia perfetto! Non lo pensi anche tu Dough? Forza , forza, abbiamo altre.. cinque colonne da agghindare» .
    Era grata a questi momenti, parentesi allegre e spensierate in cui niente aveva importanza che aiutare Fae ad organizzare il suo evento. Era anche un suo modo per vivere parzialmente quel sogno custodito nel cassetto che mai si sarebbe realizzato.

    Perdona se ho scritto poco ç.ç
     
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    Fae Lynae Olsen
    Una volta, ai tempi del liceo, Fae aveva avuto un'amica. Il suo nome era Wanda Wallace, e Fae ricordava perfettamente dei suoi voluminosi capelli ricci del colore del rame. Wanda era stata -dal primo liceo- particolarmente legata a Fae, la quale aveva pensato di aver trovato finalmente qualcuno che potesse capirla e condividere con lei quella sofferenza nei confronti del prossimo, smettendo finalmente di sentirsi l'unica incompresa della sua generazione. Wanda aveva avuto lo stesso carattere ribelle di Fae, e forse era stato proprio questo a separarle successivamente. L'amicizia era durata fino all'ultimo anno di studi, terminando poi con l'arrivo dell'estate che le avrebbe definite poi finalmente adulte. Fae aveva provato a cercarla, contattarla, ma Wanda era cambiata nel giro di una sola calda stagione, evitando le sue chiamate e i messaggi. Non aveva mai capito il perché, ma da quel momento c'era stata un altro breve periodo di insoddisfazione nella vita di Fae, nel quale aveva continuato a chiedersi come mai avrebbe dovuto continuare ad accettare tutto quello che le accadeva per poi prenderlo con filosofia -come diceva sua sorella Meggy, ben più malleabile di Fae. Ma la ragazza aveva promesso a se stessa che non avrebbe mai più rincorso nessuno, a meno che non si fosse trattato di lavoro. E poi era arrivata Anja, la sua passione per l'arte e l'intelligenza con cui aveva condito i discorsi che le avevano viste impegnate in una conversazione. Certo, inizialmente l'aveva considerata come una semplice conoscenza, ma il tempo le aveva unite sempre di più, convincendo Fae a mostrarsi ancora una volta aperta a nuove esperienze, nuove conoscenze, malgrado ci fosse un grande dirupo di differenze a dividerle: l'amica sembrava avere i piedi costantemente fissati al pavimento, mentre Fae non sapeva neanche dove fossero i propri, di piedi. Quando qualcuno le incontrava per strada o aveva modo di conoscerle per la prima volta, pensava sicuramente a quale potesse mai essere il motivo per il quale le due fossero così intime e vicine l'una all'altra. A volte, era una domanda che anche Fae stessa si poneva. Adorava Anja, ma era perfettamente consapevole di quanto la ragazza fosse diversa da lei, e forse era proprio per quel motivo che aveva deciso di starle accanto e divenire sua amica. Sebbene Fae fosse circondata ogni giorno ormai da diversi e numerosi volti conosciuti, in realtà, sotto quelle figure familiari si celava l'ignoto. Con Anja prendeva tutto una piega diversa, più intima. Era forse l'unica vera amica che aveva a Besaid, l'unica che potesse ritenere sincera e leale nei propri confronti. Non le aveva mai sentito dire pesanti cattiverie su di lei o altri, e non perché fossero amiche, ma Fae aveva avuto la fortuna di aver conosciuto anche i suoi lati peggiori, scoprendo che le opinioni della ragazza erano nate da esperienze e ragionamenti ben studiati. Anastasia disponeva di un cervello, e la cosa migliore era che sapesse fortunatamente anche usarlo.
    Quando l'amica fece il proprio ingresso nella grande sala del Bolgen -ancora ben lontana dall'essere terminata e pronta per la serata latina- Fae si voltò immediatamente in sua direzione regalandole un sorriso del tutto divertito e quasi sollevato, mentre le sopracciglia si inarcarono andando a formare la linea di un arco sulla sua fronte chiara. «Finalmente qualcuno con cui io possa interagire in maniera del tutto sensata!» aggiunse, chinando appena il capo da un lato. Posò il proprio bicchiere di limonata sul bancone dinnanzi a sé per voltarsi e aprire nuovamente il frigo. Ne tirò fuori una cola fresca e la servì in un bicchiere di vetro, il quale andò successivamente a posare accanto al proprio. «Bevi una Cola, avrai bisogno di zuccheri per stare dietro a questi due.» disse a voce alta portando il braccio in direzione di Miguel e Dough, ancora in preda agli spasmi dovuti alla salsa. Inarcò nuovamente le sopracciglia nell'udire l'affermazione scherzosa di Anja, la quale sospettava che Dough volesse provarci con lei servendosi di splendidi passi di danza. Sorrise appena, chiedendosi come ancora avesse fatto a non notare il fatto che Dough sbavasse per lei. «Anja, tesoro, devo per caso spiegarti come gira il mondo? Dough non è certo su di me che vuole fare colpo, non so se mi spiego.» constatò, cingendo le spalle dell'amica con il proprio braccio sinistro e cercando di farla voltare su se stessa in direzione del giovane Dough. «Potresti anche farci un pensierino, non credi?» le disse, sollevando appena le spalle. Un'espressione del tutto colpevole sul viso di Fae, mentre si avvicinò appena di più all'orecchio dell'amica accanto a lei. «Sai, potresti essere la prima a scovare la sensazionale passione che si nasconde dentro quei sexy pantaloni del dopoguerra.» le sussurrò ad un orecchio. Nel mentre, aveva cercato di soffocare una risatina del tutto divertita, immaginando anche solo la reazione di Anja nell'udire quella proposta. Sapeva perfettamente che non ci sarebbe mai stato niente fra i due, ma era anche al corrente di quanto Dough fosse vergine e di quanto si emozionasse quando una ragazza -una qualsiasi- si soffermasse anche per sbaglio a fissarlo. Il giovane informatico si accorse che le due stavano alludendo a qualcosa di particolare e che lui fosse sicuramente nel mezzo del discorso, per cui decise di voltarsi immediatamente, cercando di nascondere in malo modo l'innocente rossore in viso, allontanandosi anche da Miguel e andando a prendere una bottiglia di acqua liscia che aveva posato poco prima sul pavimento accanto ad una delle colonne ancora prive di decorazioni per la serata. Nel frattempo, Fae liberò Anja dalla propria presa intorno alle spalle, convenendo sul fatto che ancora c'era abbastanza lavoro da svolgere prima dell'inizio della serata. Era quello che le piaceva di Anja: se c'era qualcosa da fare, lei sapeva sempre e perfettamente da dove e come iniziare. Era come se nella mente della ragazza si creasse un organigramma immaginario, impeccabilmente strutturato, all'interno del quale vi fossero tutte le informazioni ed istruzioni necessarie a percorrere ogni casella di esso, passo per passo, con lo scopo di arrivare in tempo al raggiungimento dell'obiettivo. «Mi serviva proprio la tua carica, lo ammetto.» le disse, quasi sottovoce, con un tono che non lasciava trasparire altro che gratitudine. Non sapeva per quale ragione, ma quella non era esattamente una buona giornata, si sentiva demotivata, come se avesse perso tutto l'entusiasmo mettendo il primo piede fuori dal letto quella mattina. Non era stata una giornata facile neanche per Anja, lo leggeva sul suo viso. Sapeva perfettamente quanto lo studio la sfinisse, e sebbene volesse provare ad aiutarla, non sapeva esattamente da dove iniziare, specialmente perché Fae non aveva neanche idea di come degli esami di Università fossero strutturati. Meggy le aveva suggerito di iscrivercisi, subito dopo aver terminato il liceo, ma Fae stava passando un periodo instabile, nel quale l'iscrizione ad un'Accademia o semplicemente all'Università, non avrebbe fatto altro che portar via del denaro senza promettenti risultati. Allora aveva scelto una strada alternativa, cercando di trasformare ciò per cui sembrava essere portata, in un lavoro. Da lì c'era voluto del tempo, ma piano piano era riuscita a tirar su una rete che avesse il suo nome nel mezzo.
    Così, mentre Anja iniziava a darsi da fare nell'appendere le ghirlande e nel tenere Dough al suo cospetto quasi come uno schiavo -lui neanche osava lamentarsi-, Miguel prese a spostare alcuni dei tavoli da un lato all'altro della sala per fare spazio nel punto in cui ci sarebbe stato lo stand della vendita degli Energy drink. Fae invece prese dei pennarelli fosforescenti comprati qualche giorno prima e li usò per andare a scarabocchiare sugli specchi fissi alle colonne. Si posizionò di fianco alla scala sulla quale era Anja, iniziando a rappresentare dei piccoli soli, dei pesci, o bicchieri da cocktails molto esotici. Avevano l'aspetto molto infantile, ma era l'idea che avrebbe voluto dare. Poi, nel mezzo dell'ondata di vena artistica, si voltò verso Anja. «Fra due settimane dovrei esporre dei lavori in una galleria d'arte a Bergen. Non ho ben capito chi, un certo Sig. Burke, qualcuno della direzione di lì, credo, è regolarmente a Besaid e due settimane fa è venuto alla mostra di fotografie in bianco e nero che ho allestito, ricordi? Allora mi ha contattata e chiesto se voglio esporre anche lì alla Lyedgalleriet. Espongono lavori artistici esclusivamente legati al suono. Ancora non mi è ben chiaro, ma credo sia una bella sfida, quindi ho accettato e volevo chiederti se ti andava di passarmi qualcosa di tuo, magari posso esporlo insieme ad altro.» disse, sollevando appena le spalle. Sperava di avere la sua approvazione, anche perché i suoi lavori erano sempre ben apprezzati. Era raro che esponesse qualcosa di proprio, preferendo far luce sempre sui lavori degli artisti che sceglieva, ma ogni tanto anche Fae si apriva al pubblico. Quella sarebbe stata l'occasione giusta affinché il suo nome giungesse anche al di fuori della prigione che era Besaid.
     
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    Anja ordinò a Dough di spostare la scala a ridosso di una delle cinque colonne ancora spoglie, mentre lei si rinfrescò con un sorso di Cola che Fae le aveva versato. Si morse il labbro inferiore e osservò il liquido scuro, roteando il bicchiere ad altezza viso, pensierosa «Fae, credo sia necessario anche assaggiare i drink di stasera» mormorò in tono serio, come se si trattasse di un gravoso incarico da portare a termine. Posando il bicchiere, affiancò la ragazza arcobaleno, che osservava Miguel spostare i tavoli, e le cinse le spalle «Sarebbe di vitale importanza, non vorrai certo offrire ai tuoi ospiti acqua sporca? » domandò ma era del tutto retorica. Sapeva che i gusti di Fae fossero ottimi non solo a livello estetico ma anche culinario: lei sceglieva stuzzichini e drink e non commetteva mai errori. Inoltre il suo spirito di inventiva si riversava anche nelle bevande, creando mix non solo buoni ma anche belli. Perciò era curiosa di scoprire in anteprima cosa avrebbe proposto per la serata latino-americana.
    Schioccò la lingua e la liberò dalla presa quando notò che Dough aveva spostato la scala e l’attendeva con una ghirlanda stretta in mano, tra lo spazientito –perché voleva occuparsi d’altro- e sfinito –perché spostare l’arnese gli era costato una gran fatica-.
    Si apprestò a salire in cima come già fatto, munendosi di punes e raccomandando l’informatico di tener ferma la scala, per evitare di cadere e finire in ospedale –o, peggio, all’obitorio-. Non voleva certo morire al Bolgen, appendendo una ghirlanda. Cosa avrebbero detto di lei, al suo funerale? E , peggio, cosa avrebbero scritto sulla sua lapide? “Morì appendendo ornamenti”. Scosse appena la testolina cercando di svuotare la mente da quei macabri e fin troppo prematuri pensieri e riuscì a decorare anche la seconda colonna.
    Quando scese, Fae si portò al suo fianco, intenta a disegnare dei pesci con pennarelli fluo sugli specchi. Non poté far a meno di pensare a quanto geniale fosse l’idea –anche se semplice- e, ancora una volta, ad ammirare la creatività dell’amica. Forse , anzi, sicuramente era stata proprio questa sua caratteristica a catturare la sua attenzione.
    Una sera, durante una mostra fotografica, aveva visto aggirarsi tra pannelli e poster in bianco e nero, nel grigiore di lunghi abiti da sera, una chioma arcobaleno. L’esplosione di colore l’aveva attirata come può farlo il miele con le api, tuttavia non credeva che avrebbe mai effettivamente conosciuto quella ragazza. Insomma, come attaccare bottone? Commentando la sua chioma variopinta? Temeva di essere indiscreta e anche stramba. Beh, strana l’avevano spesso definita, dato che i suoi interessi non erano comuni tra le sue coetanee: l’amore per l’arte e la totale disattenzione per la moda; conoscere l’ultimo quadro di quel pittore o lo scatto di quel fotografo invece che essere informata sulla vita delle star americane; discutere circa la prospettiva e la tecnica usata da Monet, piuttosto che commentare il comportamento da stronzo del ragazzo di turno. Certo, chiacchierava anche di questo con le sue amiche ma non era avida di pettegolezzi. Perciò, pur essendo una persona spigliata ed estroversa, proprio non sapeva che conversazione intavolare con una sconosciuta, senza inoltre passare per una stalker. Avrebbe potuto sfruttare la sua particolarità e casualmente definire la loro conoscenza ma per Anja non sarebbe stato naturale né corretto. Da romanticona, le relazioni – di qualsiasi natura esse fossero- non potevano essere pianificate. Dovevano nascere spontaneamente. Questo distingueva un onesto e sano rapporto da uno occasionale e d’interesse.
    Tuttavia l’amicizia con Fae sembrava essere proprio scritta nel destino. Contemplando insieme una foto scattata ad una bambina di spalle ad una donna anziana, si erano ritrovate d’accordo su molte caratteristiche. E, proprio come succede quando si incontra la famosa anima gemella, un argomento aveva tirato l’altro, un caffè l’altro, una mostra l’altra, ed erano diventate inseparabili. La biondina e la ragazza arcobaleno, l’artista e l’organizzatrice di mostre ed eventi.
    Ascoltò la sua proposta e sgranò appena gli occhi, sorpresa e lusingata perché, ancora una volta, Fae aveva pensato di esporre alcuni suoi lavori. «Il suono dici?» ripeté assorta, inclinando appena la testolina e impuntando un pugno sotto la guancia. Come poter rappresentare il suono? Non ci aveva mai pensato. In realtà non aveva mai raffigurato cose astratte come , per esempio, i sentimenti. Non aveva mai pensato a quale forma potesse avere l’amore o la paura, per lei erano racchiudibili in espressioni o atteggiamenti, tutti diversi in base al carattere del soggetto che le prova. Anastasia raffigurava paesaggi, anche inesistenti, ma, soprattutto, riportava su carta i volti di estranei e dei suoi amici più fidati. Aveva un blocco dedicato esclusivamente ai ritratti di Fae, Zoe, Lynch, Levi e Dimitrij. Spesso chiedeva loro di posare. Anzi, per essere più corretti, li costringeva a farlo, beccandosi svariate lamentele, tutte accettabili e giustificate. Insomma, chi ha piacere nello stare impalato minuti interi a far niente? Il primo a protestare era suo fratello che, per sua sfortuna, era anche un modello molto frequente. Eppure per lei ogni suo amico rappresentava un sentimento: Fae l’amicizia infantile, onesta, pulita, trasparente; Zoe il piacere dell’imprevisto, di ciò che non ti aspetti, bello o brutto che sia; Lynch la fiducia, lo scrigno dei suoi segreti; Levi il coraggio, la forza di superare le proprie paure e non porsi mai limiti; Dimitrij, beh, Dimitrij la sua intera esistenza.
    La perplessità iniziale fu presto sostituita da grinta e voglia di mettersi in gioco. «D’accordo Fae, farò qualcosa» annuì con decisione «E grazie» l’abbracciò improvvisamente, stritolandola forte.
    Poi schioccò uno sguardo a Dough che, libero da incarichi, si era portato accanto a Miguel per riprendere la sua lezione di ballo.
    Piegò le labbra in un sorriso malizioso «Direi che possiamo imparare anche noi, no?» prese la norvegese per mano e la trascinò al centro pista, raggiungendo gli altri due. «Bene Miguel, insegnaci ogni segreto, ogni passo, questa sera dobbiamo essere impeccabili» scandì bene l’ultima parola accompagnando ogni lettera con un mezzo gesto dell’indice, come se stesse dirigendo un’orchestra. Un sorriso ampio e luminoso si stirò sul volto scuro di Miguel, mostrando una dentatura bianca e perfetta, l’entusiasmo riempì i suoi occhi castani «Benissimo!» esclamò, afferrando il telecomando dello stereo e azionando la musica. Portò il piede sinistro dietro e piede destro avanti, inclinando leggermente il bacino di un lato, raddrizzò la schiena e sollevò le braccia muscolose oltre la testa. La sua postura era sul serio impeccabile e dubitava che entrambe sarebbero riuscite a replicarla fedelmente.
    Diede una leggera gomitata all’amica «Coraggio Fae, non vedo l’ora di vederti ballare con Dough» la punzecchiò, cercando poi di mimare i passi di Miguel, trattenendo a stento una risata. Le diede un colpo d’anca leggero «Non usciremo da qui finché non avrai imparato ogni passo e avremo assaggiato ogni singolo drink che hai proposto!». Poi afferrò la mano di Miguel e tentò di seguire i suoi passi, su quella musica che di nota in nota diventava sempre più allegra. Non aveva alcuna intenzione di provarci con il ballerino, sia chiaro: il suo unico scopo era vedere Fae ballare con l'informatico. Perché si, d'accordo volerle bene e aiutarla, ma una sana amicizia si basa anche su simili cattiverie, no?
     
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    Un buon lavoro, un tetto sulla testa, del cibo in tavola, la compagnia di un'amica. La vita di Fae Olsen non era poi chissà quanto insoddisfacente. Aveva pensato per anni che, prima o poi, le cose sarebbero peggiorate per lei; che avrebbe preso una strada in controsenso e si sarebbe schiantata con gli eventi della vita, le responsabilità e le conseguenze del non averle mai prese seriamente. E poi, da un giorno all'altro, tutto sembrava esser cambiato, così come lei nel profondo della propria anima. Eppure, dopo tutto quel tempo e un'adolescenza trascorsa alla ricerca della propria strada, aveva spesso sognato di andare via, oltrepassare quelle mura astratte che circondavano la città di Besaid e tenersi lontana da loro per più di un giorno, anche più di due, come mai era avvenuto prima di allora. Aveva la voglia insistente di calpestare nuovi territori, togliersi le scarpe e camminare a piedi nudi sulle strade di luoghi sconosciuti, del tutto diversi dal posto maledetto in cui era nata e in cui sicuramente ci sarebbe anche morta. Fae voleva sentir pronunciare il proprio nome da uno straniero, così come lei stessa avrebbe voluto indossare i panni della turista, almeno per una volta. Fermare qualcuno per strada e chiedere informazioni, perdersi nelle vie di un'antica città o addirittura masticare il silenzio e la calma di un crepuscolo in riva al mare, quando ormai la spiaggia è deserta e senti di appartenere al mondo, che così grande e vasto ti afferra e cinge per le braccia, conducendoti nel più recondito dei posti dove le emozioni sono troppo forti per poter lasciarle assopire all'interno di un corpo. Aveva bisogno di assorbire la vita e vederla scorrere nelle proprie vene, così come avrebbe voluto vederla negli occhi di chi le stava intorno. Era quello in cui era più brava: riconoscere le emozioni intorno a sé e reagire ad esse in qualsiasi maniera. Era anche per questo motivo che amava la fotografia e tutto quello che essa vi raccoglieva in uno scatto. Era la descrizione di un momento, una frazione di secondo che mai più sarebbe tornato o vissuto. Era il ricordo del passato, una campanella d'allarme che avvertiva il ticchettare del tempo e il suo continuo ed inesorabile avanzare. Quando si trovava in compagnia di Anastasia, avrebbe voluto spesso avere la propria camera a portata di mano. Per lei, la ragazza era esattamente ciò che avrebbe denominato come passione e dedizione, era la rappresentazione di un sentimento che amava e che detestava al tempo stesso, poiché ne era incantata e creava una sorta di dipendenza.
    «Avevo proprio deciso di aspettare te, così avresti potuto fare da cavia. Sai, con l'acqua sporca non si può mai sapere... dovesse succedere qualcosa, -tipo avvelenarti per sbaglio- troverei in fretta un luogo in cui nascondere il cadavere e avvertirei i tuoi genitori che hai deciso di lasciare Besaid. Nessuno verrebbe a cercarti, sicuramente, altrimenti è sicuro che siete in due a non tornare.» disse, ironizzando su quella che per molti probabilmente non era ancora una situazione facile da gestire. L'idea di fuggire e dimenticare ogni cosa della propria vita era ancora una specie di tabù in città, argomento di molte discussioni affrontate esclusivamente sottovoce, come se fossero incapaci di accettare il fatto di essere in gabbia, continuando a pensare che dopotutto Besaid aveva già tutto ciò di cui si avesse bisogno. Ma se solo avessero aperto gli occhi, avrebbero capito che la loro vita era un continuo girarsi intorno, mordersi la coda, pur di non vedere come in realtà stessero le cose. E Fae, forse, era sotto sotto parte di quel sistema malato, poiché accettava inconsciamente di essere come gli altri, di sottostare alla paura delle conseguenze. Inarcò quindi il sopracciglio destro e si voltò in direzione dell'amica per osservarla con aria del tutto divertita. Anja sapeva bene quanto Fae ci mettesse per preparare un lavoro e conosceva anche la passione con cui dedicava tutta se stessa nei progetti a cui dava vita. Quello era certamente un esperimento, dato che non aveva ancora mai organizzato una serata latina, ma per fortuna aveva il giovane americano dalla sua parte, senza il quale probabilmente tutto quel da fare non ci sarebbe neanche stato. Il loro primo incontro aveva risvegliato in lei quell'entusiasmo che silenziosamente era stato messo da parte per un po', senza un motivo particolare. Miguel le aveva fatto ascoltare qualche canzone con cui lui stesso era cresciuto e che avevano permesso a Fae di scoprire nuovi lati del mondo che non conosceva, lo stesso mondo che si nascondeva oltre gli spaventosi confini di Besaid. «Comunque tranquilla, questa volta ci ha pensato Miguel a occuparsi del bar, quindi se qualcuno dovesse lamentarsi sappiamo a chi rifilare la colpa. E dopotutto mi fido, sicuramente sa quello che fa.» concluse, sollevando appena le spalle. Aveva già assaggiato qualcosina e gli aveva dato l'ok per l'ordine delle bottiglie che sarebbero servite e in più avevano trascorso successivamente un intero pomeriggio a pianificare e decidere cosa avrebbero poi venduto alla serata. Naturalmente, non sarebbe mancata la Tequila e il succo al limone, ingredienti base per molti dei cocktails e long drinks latini. «Me ne ha fatti già assaggiare alcuni, sono deliziosi. A saperlo prima, sarei scappata a 15 anni di casa e volata in Brasile o in Argentina. Mi sarei risparmiata tutte quelle strigliate da parte di mia zia Rory e in più avrei fatto la bella vita su una spiaggia, magari avrei tirato su un chioschetto e a quest'ora avrei avuto figli bilingue. Sì, credo di aver sbagliato qualcosa in questi dieci anni...» esclamò, più che altro ragionando con il proprio io interiore. Si fermò, interrompendo quel flusso artistico che tutt'altro sembrava e mettendo da parte i pennarelli color fluo. Raggiunse ancora una volta il bancone e tirò fuori una lattina di Crest. Fece saltare su la levetta di modo tale che si creasse la pressione per il foro dell'alluminio e ne bevve subito un sorso senza neanche versarla nel bicchiere. «Ne vuoi una? Comunque sì, si tratta principalmente di quello. Ancora non so bene cosa avrò a disposizione, ma la mia idea principale era quella di creare un ambiente scuro, dove magari poter posizionare dei lavori o foto che siano collegate a dei suoni in particolare. Non parlo di musica, intendo proprio rumori, quelli che sentiamo giornalmente e a cui non facciamo neanche caso... È ancora solamente un'idea, e magari potrebbe non passare , quindi non saprei, è tutto da vedere. Ma vorrei farcela, vorrei semplicemente riuscire a creare qualcosa che vada bene.» spiegò rivolta ad Anja, prima di posare la lattina mezza vuota sul bancone e avvicinarsi nuovamente a lei e Dough, il quale sembrava davvero in uno stato di sofferenza pura. D'altronde, era abituato a starsene tutto il giorno davanti ad un computer, e sicuramente non circondato dalle voci frizzanti di un paio di ragazze, questo Fae lo sapeva benissimo. D'un tratto, mentre lo sguardo della ragazza dai capelli arcobaleno era intento a studiare l'espressione dilaniata sul volto del suo collega, Anja si avvicinò di tutta fretta, andando ad afferrarla per un braccio e trascinandola verso il centro della pista da ballo, dove Miguel si era appena posizionato muovendosi nuovamente al passo della musica che, con tutta certezza, gli scorreva nelle vene. Fae aveva iniziato ad amare davvero quei movimenti, la sensualità con la quale Miguel condiva i propri passi, uno dietro l'altro, come se fossero scritti nelle stelle e lui fosse l'unico capace di parlare quella lingua e leggerne le parole. Lei ci provava con tutta se stessa, cercando di capire dove si nascondesse il vero segreto, la chiave per l'ondulazione di un bacino o quella per la posizione corretta delle gambe. E anche se non ne usciva poi nulla di così terribile, di certo non aveva quel nonsoché di magico che invece Miguel possedeva. L'immagine di sé e Anja intente ad apprendere il mistero della danza latina sarebbe rimasta incollata dinnanzi ai suoi occhi per il resto della propria vita, di questo ne era sicura. Prese le mani dell'amica conducendola verso di sé, mentre dietro di loro Miguel se la rideva e non poco. «Non sarò un'esperta ma so che si inizia sempre con il piede destro. Vero Miguel? Ti conduco io: se muovo il destro in avanti, tu metti il sinistro dietro. Ok? Se riusciamo a ripetere questi passi per tutta la sera o almeno una volta ogni tanto, nessuno si accorgerà che siamo due mazze di scopa, amica. Ci stai?» le domandò, mascherando un sorriso dei più sinceri. Avrebbero bevuto al massimo, e allora tutto sarebbe venuto fuori con molta più facilità del solito. «No, cariña, escuchame, tutti lo vanno a entender que siete dos escopas, està claro!» aggiunse poi l'americano, inchiodandosi accanto alle due ragazze e portando le mani all'altezza dei propri fianchi. «Questo però non è carino da dire, Miguel. Siamo persone sensibili... ti apriamo il culo se ci tratti male.» aveva aggiunto Fae, interrompendo nuovamente quella lezione di danza. Miguel scosse appena il capo, sospirando ed allontanandosi per raggiungere il frigo nel quale vi erano stati sistemati gli alcolici della serata. Tirò fuori un paio di bottiglie, del lime e lo zucchero; iniziò a miscelare delle bibite e a pestarne gli ingredienti, fino a quando non ne vennero fuori quattro bicchieri di Caipirinha, un cocktail brasiliano a base di Cachaça, che distribuì rispettivamente alle due ragazze e a Dough, tenendo poi l'ultimo per sé. Fae afferrò il bicchiere con entusiasmo, avvicinandolo al proprio viso ed annusandone il profumo. Aveva il colore dell'acqua, ma era condito con dello zucchero di canna e dei pezzi interi di lime ormai pestato. Ne bevve un sorso, gustandone il retrogusto prima dolcissimo sulla lingua e poi amaro giù in gola. Non ne aveva mai bevuto uno così perfetto prima di allora. «Dovrei ringraziarvi tutti per l'aiuto, senza di voi la maggior parte delle serate come questa non sarebbero possibili, dico davvero.» disse Fae, trovandosi a cingere con un braccio le spalle delicate dell'amica. Era vero, alla fin dei conti erano sempre gli stessi a far parte della sua vita.

    Non l'ho riletto... se ci sono errori PERDONAMI ç-ç
     
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    Anastasia intrecciò le mani con quelle di Fae e insieme iniziarono ad imitare i passi di Miguel, ormai estraneo a ciò che lo circondava, trascinato solo da quella melodia sempre più allegra. Era bravissimo, doveva ammetterlo, e aveva sempre creduto che i popoli latini avessero il ritmo nel sangue. Certo, non era carino ragionare per stereotipi ma non aveva mai conosciuto un ragazzo spagnolo -o latino-americano, nel suo caso- goffo e rigido. Tutti, chi più chi meno, sapevano muovere il proprio corpo e rispettare la musica. Come se parlassero un linguaggio ignoto ad altre culture, come se le note comunicassero loro ogni passo, ogni mossa, in un perfetto equilibrio. Era straordinario osservare quel connubio tra essere umano e musica.
    Ecco perché Anastasia, fin da piccola, aveva scelto di praticare danza classica. Si era dedicata a tale disciplina con passione e dedizione, sognando, un giorno, di essere una elegante ballerina e seguire il suo corpo di ballo in giro per il mondo. Aveva interpretato Odette ma era stata una ragazzina e "Il lago dei cigni" era stato messo in scena solo per parenti e amici, in un piccolo teatro di San Pietroburgo. Lei sperava di oltrepassare quei confini, di dimostrare al mondo ciò che era capace di fare.
    Quanti desideri nutriva, Anastasia, ed erano tutti considerati da sua madre sciocchi o poco produttivi: essere una ballerina famosa o una gallerista di successo non avrebbe portato a niente, secondo la signora Florenskij.
    Lei ,medico affermato, insieme a suo marito, importante imprenditore, guardavano con scetticismo il mondo dell'arte, qualsiasi fosse la sua espressione. C'era chi riusciva ad affermarsi ma non erano altro che mosche bianche e di sicuro non si sarebbe trattato dei loro figli.
    Il futuro di Dimitrij non era ancora ben definito, nonostante Alexander lo volesse in banca. Il mezzano, Ivan, era il suo esatto opposto e per poco non programmava l'ora di nascita dei suoi figli. Il dolce Daniil, nonostante avesse sedici anni, era ancora in quella campana di vetro che protegge gli ultimi nati da aspettative e responsabilità. Queste erano state assorbite tutte quante da Arsen e lui riusciva a portarne il peso senza alcuno sforzo. Il primogenito sembrava essere nato per soddisfare tutti i desideri dei suoi genitori. Infine c'era Anja, l'artista che mai si sarebbe arresa e che aveva dovuto accettare il compromesso di sua madre: se proprio non voleva frequentare medicina per dedicarsi ai suoi scarabocchi che almeno scegliesse un corso impegnativo. E Anastasia optò per architettura perché, quantomeno, pur trattandosi di progetti, avrebbe potuto esprimere il suo estro artistico. Un po' ingabbiato e sacrificato ma pur sempre libero.
    I coniugi Florenkij non erano mai stati severi e intransigenti, anzi. Con cinque figli da crescere e gestire avevano imparato ad essere pazienti e a rispettare ogni aspetto dei loro caratteri, tutti diversi, sicché la sua famiglia somigliava a un enorme quadro di Picasso, pieno di colori e di forme. Eppure sembravano avere i paraocchi quando era in ballo il loro futuro. La verità è che la loro fermezza derivava da una grande apprensione. Un giorno non ci sarebbero stati più e avrebbero voluto lasciare questo mondo consapevoli che i loro figli potessero continuare a vivere nell'agio. L'obbiettivo era gettare le basi per il loro futuro che speravano essere sempre luminoso e grande. Anastasia lo comprendeva ma non accettava i loro metodi.
    Poi era piombato il trasferimento a Besaid come un grosso tronco sradicato dal vento, riverso a bloccare la strada. Era un gran bel problema, un ostacolo quasi insormontabile con cui avrebbero dovuto fare i conti, prima o poi. Che possibilità poteva offrire una piccola cittadina a dei giovani i cui destini erano stati organizzati per aspettative e grandi ambizioni? Per affermarsi avrebbero dovuto abbandonare quel luogo, tutti ne erano consapevoli. Il primo a lasciarlo sarebbe stato di sicuro Ivan, mosso dalla sua grande determinazione e voglia di mettersi in gioco. Eppure anche lui si sentiva bloccato: la catena che li stringeva a Besaid era stata forgiata, senza volerlo, da Daniil. Per nulla al mondo avrebbe potuto valicare i confini cittadini, scoprire il mondo, trasferirsi altrove. I suoi problemi respiratori erano annullati dalla caratteristica sviluppata e non poteva perderla. Perciò lui sarebbe rimasto per sempre in Norvegia e nessuno di loro era sicuro di voler andare via: farlo significava dimenticarsi per sempre del ragazzino e abbandonarlo.
    «Non sarò un'esperta ma so che si inizia sempre con il piede destro. Vero Miguel? Ti conduco io: se muovo il destro in avanti, tu metti il sinistro dietro. Ok? Se riusciamo a ripetere questi passi per tutta la sera o almeno una volta ogni tanto, nessuno si accorgerà che siamo due mazze di scopa, amica. Ci stai? » Anastasia annuì anche se poco convinta. Quel tipo di danza implicava passi che non era in grado di riprodurre per la loro rapidità. Era sciolta, vero, aggraziata ma poco agile. Invece che il destro, mosse il piede sinistro in avanti, schiacciando quello di Fae, perdendo l’equilibrio e per poco spingendola a terra. Le loro teste cozzarono con un rumore sordo e Anja si portò la mancina in fronte, gemendo appena.
    Miguel commentò quel teatrino pietoso e la ragazza arcobaleno rispose al posto della bionda «Questo però non è carino da dire, Miguel. Siamo persone sensibili... ti apriamo il culo se ci tratti male» . Anastasia assunse una espressione seria e risoluta per ogni parola pronunciata e non riuscì a trattenersi sul finale, scoppiando a ridere fragorosamente. Era così delicata Fae, una principessa con l’animo da camionista. Schioccò le dita prima in alto a destra e poi in basso a sinistra, si portò la mano sul fianco e mosse il capo stile nigga. «Si, sii più dolce, okay?» aggiunse supportando l’amica. C’era così tanta complicità tra le due che, spesso, si reggevano il gioco senza doversi accordare. Le veniva naturale assecondare i suoi gesti e persino i suoi pensieri.
    Scrollò le spalle non preoccupandosi molto per il ballo. Come aveva detto Fae, quella sera avrebbero bevuto e tutto si sarebbe risolto. Certo, dubitava avrebbero avuto grazia, somigliando più a dei fenicotteri ubriachi, però sarebbe stato qualcosa, no?
    Raggiunse con l’amica il bancone e prese il bicchiere contenete il cocktail che Miguel aveva preparato. Si lasciò stringere da lei e le cinse il fianco, in un abbraccio amichevole. «Direi: a stasera! No?» ridacchiò. Una scarica di adrenalina si mescolò al sangue e accelerò il battito cardiaco. Si sentì emozionata, per tante ragioni: avrebbe trascorso una serata diversa, con la sua migliore amica, divertendosi e dimenticando ogni cosa; Ultimo, ma non meno importante, avrebbe trascorso quasi tutto il giorno con Fae, vivendo a pieno ogni momento.
     
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