I'll try to make the worst seem better

IvarXLucy | Rating disagio(?)#wat #coserandom

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    | IVAR WESENLUND | 24 Y.O | Bolgen Club | Valentine's Night
    Avete presente la sensazione che si prova quando tutto intorno a noi sembra girare al contrario? Quando tutti sembrano impazziti e ci sembra di essere l'unica persona lucida rimasta sul pianeta? Ecco, Ivar si sentiva così, e anche a sproposito, dato che era ubriaco almeno quanto tutti gli altri. Aveva iniziato a percepire la sensazione che tutto fosse andato fuori controllo quando aveva visto Kylo tirarsi via la maglietta. Non che ci fosse niente di male, non che non lo avesse trovato dannatamente divertente. Ma era Kylo! Insomma, il guardiacaccia a malapena rivolgeva la parola a qualcuno, e adesso se ne stava mezzo nudo a ballare sculettando come una nigga del ghetto. Se quell'arpia di sua nonna fosse stata ancora viva, di certo avrebbe dato la colpa al demonio e chiamato un esorcista per tutti loro. Per questo Ivar scoppiava a ridere ogni qual volta lui parlasse, cantasse o si muovesse. Non era quello il Kylo che aveva conosciuto, ma tutta un'altra persona. Ed era dannatamente divertente vederlo cambiare personalità e darsi alla pazza gioia. Perché ovviamente Ivar mica si guarda per sé, mica si accorge di come sta messo. E se aveva creduto che quello fosse il limite del disagio, il disagio stesso giunse a smentirlo. Non c'era mai limite al disagio, lo scoprì solo poco dopo. Scendendo dal palco, incrociò Astrid, che appena lo vide gli mise le mani in faccia. Ivar si ritrasse, e si irrigidì come una corda di violino. Che voleva fare? Baciarlo? ma come ti viene in mente Ma non è che si ricordava qualcosa? Andò totalmente nel panico, e probabilmente la guardò quasi scioccato. E poi lei strinse leggermente la presa sulle sue guance e sussurrò un flemmatico "Ma sei un patato", dal quale traspariva tutta la sua condizione rallentata. Chiuse per un istante gli occhi, respirando profondamente. Pericolo scampato. Ma quale pericolo, poi? ve lo dico io, una gioia. Dormi tranquillo Ivar, non c'è pericolo Scese dal palco e si mise ad osservare Astrid e sua cugina Engy. Evidentemente la facoltà di rendersi imbarazzanti doveva essere un dono di famiglia, perché anche lei ci riuscì benissimo. Dovette anche abbassare lo sguardo e battersi una mano sulla fronte, quando lei iniziò a sbandierare al mondo delle sue intenzioni con Kylo. Ed evitò pure di guardare l'amico. In realtà non sapeva se dover essere un po' geloso di Engy, da buon cugino, o se prendere le parti di Kylo ed avere seriamente paura per lui. Sua cugina era uno spirito piuttosto difficile da domare. E quel bacio tra lei ed Astrid poi. Quello che tutti avevano accompagnato con grida e fischi di apprezzamento, sembrava una proiezione dei suoi incubi e del suo disappunto. Almeno un Wesenlund aveva baciato Astrid. Peccato che non si chiamasse Ivar. Mainagioia. Guardò quella scena col sopracciglio alzato, chiedendosi anche quale entità si fosse impossessata di Astrid. Engy la conosceva, sapeva quale specie di essere mitologico diventava da ubriaca, ma Astrid...come diavolo si era ridotta cosi? Quella tortura finì, per fortuna, ma subito ne giunse un’altra.come te sbagli Infatti, ecco che Engy gli presentò Astrid. Come se non la conoscesse. Perse persino il sorriso che lo aveva accompagnato per tutta la serata, quando se la ritrovò davanti totalmente euforica. Lanciò uno sguardo gelido ad Engy. Lei lo sapeva, e lo aveva fatto apposta, credendo chissà quale geniale mossa fosse quella. Non voleva che Astrid finisse tra le sue braccia, non voleva avvicinarsi a lei perché sapeva quanto pericoloso fosse. Non voleva distruggerla. Ed essere entrambi dannatamente ubriachi non rendeva facile il restare indifferenti. Ed ecco che poi Engy concluse il suo piano lasciandolo da solo lì con Astrid. Quello era un colpo basso, e gliel'avrebbe pagata. E pure Kylo. Morte e distruzione. E si, pensare a una ipotetica vendetta gli aveva impedito di dire qualche cazzata ad Astrid, tipo rivelargli il suo segreto amore per lei, restando solo con un sorrisetto tirato e imbarazzato. Era rimasto imbambolato, senza avere la minima idea di come comportarsi, mentre nella sua mente ormai alienata risuonava il motivetto di Candyman, a caso. E poi fece la cosa più stupida del pianeta, giusto per rompere il ghiaccio. D'istinto le diede una leggera pacca sulla spalla, e sorrise esordendo con un "Beh, mi fa piacere vedere che te la passi bene". Una pacca sulla spalla. Il sex appeal di Ivar, sempre che fosse mai esistito, morì lì, in quel momento. Non disse nulla riguardo alla sua reazione di prima, cosa che probabilmente gli sarebbe tornata alla mente solo il mattino successivo, e che al momento sembrava aver rimosso. E la ragazza in effetti non sembrava stare troppo bene. Era impallidita a tal punto che credette stesse per svenire. Lois prontamente corse da lei e la recuperò, dirigendosi verso il bagno e urlando un "Te la restituisco subito". Ivar le guardò allontanarsi. Avrebbe dovuto fare qualcosa? Tipo accompagnarle? Naaah, entrare nel bagno delle ragazze ed essere scambiato per un maniaco non era esattamente la conclusione da dare a quella serata già degenerata in modi inimmaginabili. E nel breve attimo di lucidità, in cui si rese conto tra le altre cose di essere rimasto solo in un angolo con un cappello da marinaio in testa, si chiese come mai Astrid fosse lì da sola, in quelle condizioni. Che si fosse lasciata con Henrik? Oppure lo aveva fatto per vendetta? Lui la trattava male? Insomma, era Astrid, la sua Heloïse, e nonostante avesse deciso di lasciarla andare non sopportava l'idea che qualcosa andasse male nella sua vita. Lei, che era così dolce e genuina, meritava tutte le cose belle che la vita potesse offrirle. Ma questo magari Henrik non lo aveva capito. Si trovò a odiarlo, per qualcosa che nemmeno aveva fatto. Probabilmente lo odiava semplicemente perché lui era ciò che mai Ivar avrebbe potuto essere. Una proiezione della sua vita come l'aveva sognata. Nel frattempo ebbe la brillante idea di guardare il cellulare, trovando quattro messaggi di persone che lo prendevano per il culo per la sua performance. Bene ma non benissimo. Beh, il lato positivo era che almeno non avrebbe potuto mandare messaggi imbarazzanti alla sua ex, dato che lei era lì. sillogismi del cazzo La sua logica da ubriaco era imbarazzante almeno quanto lo era lui. La vide tornare, poco dopo, pallida, insieme a Lois, che la adagiò su una delle poltrone, mezza addormentata. Si diresse verso di lui, la ragazza dal vestito succinto, e gli puntò un dito contro il petto. "Dobbiamo parlare" Disse convinta. Ivar si trovò spiazzato. "Di cosa?" Forse non avrebbe dovuto porre quella domanda, perché lei sbuffò come se la cosa fosse scontata e iniziò a straparlare di lui e Astrid, di quanto odiasse Henrik, del fatto che lui avrebbe dovuto fare qualcosa per riconquistarla. Tutte quelle cose tuttavia gliele propinò biascicando palesemente ubriaca pure lei, e facendo discorsi contorti. Ivar si perse già alla prima frase, gettando uno sguardo ad Astrid che si stava palesemente addormentando su un divanetto. E Lois nel frattempo, parlava, parlava, parlava, mentre il cervello di Ivar, annebbiato dai fumi dell'alcol, era palesemente andato in pausa. Forse perché quelle erano cose che non voleva sentire. Forse perché meno avesse saputo dell'attuale vita di Astrid e meno avrebbe avuto la tentazione di avvicinarsi di nuovo a lei, commettendo la cazzata del secolo. "Mi stai ascoltando?" Si arrabbiò lei, mentre Ivar si guardava intorno canticchiando mentalmente la canzone dei Black Eyed Peas che stava passando in quel momento. "Si certo!" Si affrettò a dire, e a cercare nella sua mente qualche parola, anche ascoltata per sbaglio, per farle credere di aver capito. "Astrid", disse, totalmente a caso, come quando la professoressa ti interroga e ti coglie alla sprovvista. E Lois, soddisfatta, ricominciò a parlare. Guardò verso il bancone, alla ricerca di una via di fuga. Normalmente Ivar non sarebbe scappato, ma tutti quei discorsi su quella che era stata la sua vita, mescolati all'alcol che aveva in corpo, rendeva tutto talmente tragico che di lì a breve si sarebbe accoccolato in un angolino a piangere ma che carì *-*. E si, il suo livello di sopportazione scendeva pericolosamente quando era ubriaco. Al bancone c'erano un paio di ragazze, sedute su degli sgabelli. Ed ovvio che Ivar scelse come vittima la più carina tra loro. Era ubriaco ed esasperato, ma non stupido. "Oh, c'è la mia amica…” Inventa un nome, adesso. Qualcosa di credibile, niente nomi presi dal Signore degli Anelli. "La mia amica Daaa...". Cazzo, bel nome "Daaa", ci avrebbe chiamato sua figlia. Niente, non gli veniva nemmeno un nome sensato, black out. Vai Ivar, anche se non ricordi le battute, the show must go on! Si disse. "Devo parlarle di cose importantissime che non possono aspettare. Ne riparliamo un’altra volta eh? State attente per strada. Ciao". La liquidò così, parlando talmente veloce che si stupì di aver formulato una frase di apparente senso compiuto. E se ne andò verso il bancone, lasciandosi alle spalle Lois che continuava a parlargli, e raggiunse la ragazza dai capelli ondulati e l'incarnato pallido. Aveva un viso particolare e delicato, le spalle ossute con le scapole in evidenza. Si sfilò il cappello da marinaio e glielo mise in testa, cercando di attirare così la sua attenzione. Cosa che gli riuscì, forse non come sperava, data la sua faccia perplessa. Ma quello era l'unico modo che conosceva al momento. Ciò che l'Ivar sobrio avrebbe ponderato mille volte di fare, l'Ivar ubriaco lo faceva senza remore. E no, non era esattamente un bene questo. E si trovò almeno a dover dare una spiegazione a quella ragazza di cui ora aveva gli occhi puntati addosso. "Ti prego, fingi di conoscermi e parlami di qualcosa, qualsiasi cosa, anche in un’altra lingua". La ragazza sembrava spaesata. Giustamente. Ivar ormai aveva preso a parlare per enigmi come Gandalf(?). Diciamo che era un po' confuso. Le iridi verdi di lei, visibili a tratti tra le luci psichedeliche, si puntarono nelle sue. Avrebbe dovuto darle delle spiegazioni. Forse. Da dove iniziamo? Si, allora. Le mie sfighe sono iniziate praticamente nel giorno in cui sono nato col potere di ammazzare la gente.... Nah, forse non era il caso. Storia troppo lunga e noiosa. "Oppure possiamo anche non fingere, e conoscerci davvero, non so, potremmo parlare davvero di qualcosa, insomma, troveremmo qualche argomento interessante, no?” Non capiva nemmeno se quella fosse una cosa carina da dire o se avesse appena fatto la figura del maniaco. “Si in effetti questa sembra una tecnica di abbordaggio degna dei peggiori film trash, ma non è così. Cioè, non che mi dispiacerebbe, ma non così…” I suoi discorsi stavano diventando sempre più confusi, e più si arrampicava sugli specchi per riparare alle proprie figure di merda, e più sprofondava nello stereotipo del perfetto idiota disadattato sociale, come se si trovasse nelle sabbie mobili. Che non era proprio uno stereotipo e basta. “Si, beh, diciamo che non sto capendo nemmeno io quello che sto dicendo, né perché io ti stia confondendo con la mia stessa confusione, non so nemmeno perché io stia straparlando in realtà.” Cazzo, doveva essere ubriaco per bene. Insomma, almeno a parlare di solito riusciva. Gettò uno sguardo a Lois, che finalmente sembrava essersi decisa a raccattare Astrid da quel divano. Sperò vivamente che la portasse al sicuro. Prese un respiro profondo, nel breve lasso di tempo in cui riacquistò un attimo di lucidità. “Ok, ricominciamo daccapo.” Disse, ridacchiando istericamente per l’imbarazzo e aggiustandole il cappello che le aveva messo in testa, in preda a chissà quale raptus ossessivo compulsivo. “Ciao, mi chiamo Ivar. Ti va di bere qualcosa insieme?” Sorrise speranzoso. Ecco, beh, era passato dalla confusione alla tecnica per fare amicizia al primo giorno di scuola. Per un attimo si chiese come avesse conosciuto le persone che conosceva. Cioè, ci sarà stato un modo giusto per approcciarsi a qualcuno. Beh, al momento la sua memoria gli stava giocando un brutto scherzo, perché davvero non ne ricordava nemmeno uno. E niente, anche stavolta era riuscito a rendersi ridicolo, proprio di fonte a quella ragazza tanto carina che probabilmente gli avrebbe mollato un ceffone in faccia.
     
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    San Valentino, la festa consumistica per eccellenza dopo il Natale, pareva dover lasciare il segno anche quell'anno. Non era la prima volta che Lucille lo trascorreva in quel disco blub, ma era sicuramente la prima volta che lo faceva in solitudine. Hanna, la sua coinquilina, l'aveva abbandonata -per così dire- per iscriversi a quella sorta di competizione alla quale lei non avrebbe preso parte nemmeno sotto tortura; ricordava già i tentativi adolescenziali di divertirsi con le amiche, con il solo risultato di vedere gli spettatori applaudire ed inneggiarle per pietà, visto che tutte erano impietosamente stonate come galline prima di finire in pentola. Uno starnazzo da oche che andava via via peggiorando man mano che si avvicinavano allo special della canzone, il punto in cui il ritmo variava dal solito ritornello per lasciare spazio ad acuti micidiali. Si, nel loro caso micidiali per le orecchie di chi le ascoltava.
    Era un capitolo della sua vita che non amava ricordare, sepolto nei meandri di altre situazioni imbarazzanti che l'avevano vista protagonista. Ad ogni modo, per sua fortuna aveva perso l'esibizione della sua coinquilina. Già aveva provato pietà per lei quando le aveva detto di essere intenzionata a prendervi parte. L'aveva guardata con un'alzata di sopracciglio, un pò come si guarda una povera anima che sta per compiere un'impresa suicida, e le aveva spiegato che non sarebbe stata tra la platea qualora le arance che le avessero lanciato fossero state così tante da farla cadere dal palco; a quel punto non ci sarebbe stata la cara vecchia Lucy a soccorrerla.
    Se n'era rimasta in disparte, godendosi qualcuna delle esibizioni e decidendo infine di riposare i piedi sedendosi al bancone. Calzare tacchi vertiginosi non era un monito di abbordaggio facile o ricerca ossessiva di divertimento carnale, semplicemente adorava quel genere di scarpe e non aveva mai molte occasioni per indossarle, se non appunto in serate come quella. Inoltre nemmeno indossava uno di quei micro abiti strizza cosce, bensì una maglietta di due taglie più grandi della sua e un paio di pantaloni elasticizzati. Mhm, il massimo del sexy, proprio! E se questa mise, non scosciata come quella mostrata dalla maggior parte degli esponenti di sesso femminile presenti in quel locale, non fosse stato abbastanza per allontanare eventuali disturbatori, Lucille ricambiava il loro sguardo speranzoso con uno che avrebbe incenerito un insetto.
    No, non voleva compagnia che non fosse la sua amica. Non...ma si annoiava. E anche tanto. Per un attimo si maledì per non aver preso parte dalla gara canora, così se non altro avrebbe fatto qualcosa. Se solo si fosse azzardata ad andare in pista in una delle sale quasi certamente qualcuno si sarebbe immolato in un tentativo di abbordaggio fallimentare. Dunque cosa fare? La risposta le giunse da una vocina nella testa, tanto banale quanto scontata. Bere.
    Fu con quelle premesse che Lucille iniziò a bere come un dromedario, quella sera, perdendo la cognizione del tempo ogni qualvolta non vedeva più il proprio bicchiere vuoto perchè prontamente sostituito da uno ricolmo ed invitante. Il barman doveva aver avuto pietà di lei e della sua solitudine, o forse si divertiva a vedere fino a che punto avrebbe retto.
    Non più come quando aveva quindici anni, quello doveva ammetterlo. Più lasciava scorrere quei liquidi corrosivi in gola, più si rendeva conto di non essere più abituata a reggere bevute così consistenti e di avvertirne gli effetti più in fretta di quanto aveva desiderato. Questo comunque non la fermò dal suo intento che, se non altro, le permetteva di godersi in qualche modo quella serata fintanto che Hanna finiva di gareggiare per non si sa cosa, e fare ritorno da lei in modo da rincasare e dire finalmente addio a quella dannata festa cuoriciosa. Peccato, o per fortuna, che i suoi buoni propositi furono spazzati via da un arrivo inaspettato.
    Un ragazzo, palesemente inserito nel mondo dei beoni quanto lei, le si avvicinò con un'espressione comica dipinta sul volto. Il suo primo pensiero fu di additarlo a disturbatore della sua quiete personale -in quel momento notevolmente accentuata- ma l'approccio che provò fu quanto di più originale le fosse mai capitato di udire, almeno in quel frangente, così fece una cosa che solitamente non faceva mai: restò zitta.
    Semplicemente lo ascoltò senza anteporre giudizi affettati e senza desiderio alcuno di allontanarlo.
    Per un attimo fu tentata davvero di parlargli in una lingua marziana, tipo quella inventata all'asilo, tanto pareva che gli servisse solo che lei muovesse le labbra, evidentemente desideroso di mostrare a qualcuno o che non era solo oppure che la ragazza che aveva puntato aveva acconsentito ad intavolare un discorso. Aveva appena dischiuso le labbra, quando questi la bloccò riprendendo a biascicare.
    Non le fu facile comprendere, una volta terminato quel torrente di parole, quali fossero le reali intenzioni del ragazzo. Se stava tentando di abbordarla, se stava usando una tecnica pietosa quando invece avrebbe desiderato usarne un'altra, se fosse lì perchè aveva perso una scommessa. Il buio. Numerose erano le possibilità ma alla fine fu chiaro che, quali fossero i suoi intenti iniziali, la via che stava percorrendo era quella del "conoscersi". Aggrottò le sopracciglia finemente delineate con la matita, una volta che fu certa che quel torrente in piena si fosse momentaneamente arrestato. Si sistemò meglio sullo sgabello e gli regalò un'espressione arrendevole.
    Ma si, sono alticcia -si, Lucy, nei tuoi sogni-, sono sola, quegli occhi magnetici mi attraggono, dunque perchè no? domandò a sé stessa poco prima di proferir parola. «Io sono Lucille, ma chiamami Lucy che il nome per intero proprio non lo tollero.» La sincerità sempre e comunque. Anni addietro aveva pensato di recarsi all'Anagrafe di Besaid per farsi cambiare quel nome, ma quando aveva appreso le tempistiche e le procedure burocratiche, aveva mollato il colpo.
    «E si, mi andrebbe di bere qualcosa insieme anche se mi pare chiaro che non sia la novità della serata né per te né per me e che quindi sarebbe la cosa più sconsigliata da fare.» aggiunse ammiccando, senza alcun intento civettuolo visto che il suo unico fine era rimarcare che non avrebbero dovuto bere, ma che ovviamente quel moralismo non li avrebbe frenati.
    Mentre il nuovo arrivato prendeva posto di fianco a lei sedendosi sull'unico sgabello rimasto libero, Lucille si voltò rapidamente verso il barman ordinandogli due birre medie. Non vi era niente di meglio di una gradazione alcolica sbagliata per sprofondare in un baratro senza fine.
    Dubitava che, come lei del resto, quel ragazzo fosse giunto a quella che aveva chiamato "confusione" con alcolici dalla bassa gradazione.
    Anzi, ora che ci pensava le sembrava di averlo visto esibirsi sul palco assieme al nuovo guardiacaccia che si diceva essere un uomo integerrimo e di poche parole. Alla faccia! Ad ogni modo se aveva preso parte a quell'esibizione quasi sicuramente tequila, vodka ed altri must alcolici avevano raggiunto le sue labbra e se come lei desiderava peggiorare la sua condizione -ed il motivo era oscuro anche a lei, forse per noia o per tristezza- allora una birra era il rimedio vincente. Quando le due ordinazioni furono pronte ne allungò una nella direzione di Ivar, sistemandolo sul bancone.
    A quel punto con la mancina agguantò il suo boccale.
    «Omeostasi e transistasi. La vita si basa su queste due capacità: l'omeostasi è quella di un organismo di mantenere invariate le sue caratteristiche chimico-fisiche pur col mutare dell'ambiente esterno, la transistasi è invece la capacità di mutare indipendentemente dall'ambiente esterno. Ogni forma di vita oscilla fra questi due comportamenti, e la scelta dell'uno o dell'altro determina a seconda delle situazioni la sopravvivenza o l'estinzione di quell'organismo. E' infatti possibile che non mutando non sia capace di sopravvivere in un ambiente diverso, così come può promuovere anche una evoluzione sbagliata in grado di portarlo solo alla morte...» Non era certa che avrebbe compreso quanto quella sottile citazione si amalgamasse al meglio sulla loro condizione di quella sera, ciò nonostante non era raro che, da ubriaca, si abbandonasse a frasi pregne di cultura.
    Con la mano libera prese il cappello da marinaio che Ivar le aveva posato sul capo e lo rovesciò leggermente verso di lui. Diametralmente anche la mancina si levò verso l'alto ed il liquido ambrato contenuto nel boccale oscillò in maniera invitante. «Allora, capitano, vogliamo brindare alla nostra scelta ed a dove ci porterà per concludere non solo questa buffa serata, ma anche questa festa profonda?»
    Dove li avrebbe portati ancora non lo sapeva. Di solito era un mondo impalpabile, così diverso da quello dov'era solita camminare da sobria.
    Un mondo dove ogni cosa era possibile e dove ogni scelta pareva quella giusta.
    Cin cin.
     
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    | IVAR WESENLUND | 24 Y.O | Bolgen Club | Valentine's Night
    Fuggiamo dal nostro passato perché questo ci fa paura. Fuggiamo per non riviverlo, fuggiamo per non farci travolgere da ciò che si porta dietro. Fuggiamo perché questo tornerà sempre e comunque a bussare alla nostra porta. E quando ci troviamo alle strette, quando quel passato ci spinge sul ciglio del baratro, scegliamo. O ci buttiamo, lasciando che vinca, o accettiamo di sfidarlo, camminando sul ciglio del precipizio alla ricerca di un ponte che ci permetta di attraversarlo. Tutto, pur di non volgerci indietro ed affrontarlo.
    Fuggiva, Ivar, da quello che era il suo passato. Fuggiva da Astrid, dall'amore che ancora provava per lei e tentava con tutte le forze di soffocare, fuggiva da quei suoi occhi che ogni volta sembravano voler carpire qualche segreto dal suo animo. Fuggiva dai suoi sentimenti, che aveva gettato come foglie d'alloro sul focolare acceso per gli dei celesti. Quei sentimenti che con tutte le forze aveva cercato di distruggere, così come poteva fare con ogni cosa. Non poteva distruggere ciò che non poteva toccare, Ivar. E non poteva toccare ciò che con tutte le forze aveva allontanato. Aveva rinchiuso i propri sentimenti in uno scrigno, come gli dei avevano fatto coi mali del mondo, sperando che mai nessuno riuscisse ad aprirlo. E ciò che di bello era stato nella sua vita era divenuto sterile, doloroso, come la vita trasformata in pietra dallo sguardo della gorgone. Fuggì Ivar, incapace di combattere, così come si fugge dal proprio passato. Fuggì alla ricerca di una strada nuova da percorrere, camminando sul ciglio di quel precipizio dal fondo del quale poteva udire l'eco della proprie urla. Fuggì alla ricerca di qualcosa di nuovo, tanto interessante da allontanare la sua attenzione da ciò che in quel momento lo perseguitava.
    E fuggì, trovandosi di fronte a quella ragazza dal viso da bambina, che sembrava poco entusiasta della serata almeno quanto lo era di avere compagnia.
    Ma almeno non gli mollò un ceffone in faccia, e anzi, lo lasciò farfugliare senza opporre resistenza. Beh, di sicuro era una persona paziente. E per quanto non sembrasse troppo entusiasta dell'irruenta intrusione del falegname nel proprio spazio, magari comprese che lei in quel momento era la sua unica via di fuga. Ok, no, forse non era l'unica, ma era decisamente la più carina. Per quanto si sforzasse di essere lucido, la mente di Ivar in quel momento faceva ragionamenti contorti e completamente senza senso. Nella sua logica alterata, quella era l'unica via di fuga possibile. Beh comunque te le scegli bene le vie di fuga! Commentò la vocina della sua coscienza(?). Sorrise, quando lei finalmente si espresse, presentandosi come Lucy e accettando la sua compagnia. Con la coda dell'occhio vide Lois portare via Astrid quasi trascinandola. Bene, la sua recita poteva pure finire lì. O forse no. No, forse quella non era solo una dannata recita, e quella via di fuga non consisteva semplicemente nel fuggire da qualcosa. La vera fuga era approdare a qualcos'altro, qualcosa che potesse sostituire le emozioni contrastanti che tanto lo opprimevano. La novità del momento, quella in grado di trasmettere sensazioni forti ed impreviste. Aveva cercato quella sensazione qualche volta, dopo che Astrid se n'era andata. L'aveva trovata nei luoghi e nelle persone più impensate. Ed era fuggito, di nuovo, quando l'euforia iniziale era scemata, lasciando aperto il rischio che i sentimenti, quelli più profondi, tornassero a manifestarsi e a fare più male. Colmava l'assenza con nuove sensazioni, Ivar, ma il vuoto lasciato da ciò che aveva dato alle fiamme, beh, quello non era mai riuscito a colmarlo. Eppure dava un dannato sollievo distrarsi, perdersi anche solo per qualche istante, per una notte o una settimana, prima di tornare di nuovo con i piedi intrappolati nella sabbia.
    "E si, mi andrebbe di bere qualcosa insieme anche se mi pare chiaro che non sia la novità della serata né per te né per me e che quindi sarebbe la cosa più sconsigliata da fare."
    Ci pensò su, e in effetti dovette constatare che la ragazza non aveva tutti i torti. Proprio ora che, a tratti, sembrava riacquistare lucidità, darsi il colpo di grazia non era di certo la mossa giusta da fare. E non sapeva come fosse messa lei -non conoscendola, non poteva avere un termine di paragone tra quando era sobria e quando non lo era-, ma lui era ritornato a quell'instabile stato di equilibrio tra l'alticcio-tranquillo e il disagio di cui nemmeno ti rendi conto. No, in effetti... Sorrise imbarazzato. In realtà quella sera stava reggendo anche troppo bene l'alcol per i suoi standard. L'allenamento con Zoe e Engy stava dando i suoi frutti(?). Quelle pazze si erano imposte di tirarlo fuori dalla sua bolla di apatia e farlo divertire. E ci riuscivano, davvero. Peccato che ciò non fosse sufficiente a curare quella ferita ne nessuno sembrava poter lenire. La ragazza ordinò due birre. Ah, coraggiosa! Pensò, mentre nella sua testa risuonava la voce di suo nonno che pronunciava una delle sue sentenze. "Birra e vino, veleno fino" A volte le sue perle di saggezza sembravano avere un senso una volta su mille. Nelle restanti 999 volte sparava supercazzole a caso. Ma non contraddisse la sua scelta. Era in ballo, e doveva ballare.
    E se le supercazzole di nonno Wesenlund sembravano perle irripetibili, le parole che la ragazza pronunciò poco dopo suonarono più o meno allo stesso modo alle orecchie di Ivar, che era già abbastanza confuso di suo.
    "Omeostasi e transistasi. La vita si basa su queste due capacità: l'omeostasi è quella di un organismo di mantenere invariate le sue caratteristiche chimico-fisiche pur col mutare dell'ambiente esterno, la transistasi è invece la capacità di mutare indipendentemente dall'ambiente esterno. Ogni forma di vita oscilla fra questi due comportamenti, e la scelta dell'uno o dell'altro determina a seconda delle situazioni la sopravvivenza o l'estinzione di quell'organismo. E' infatti possibile che non mutando non sia capace di sopravvivere in un ambiente diverso, così come può promuovere anche una evoluzione sbagliata in grado di portarlo solo alla morte..."
    Ivar restò imbambolato a guardarla, con gli occhi sgranati e una faccia inespressiva. Provò a concentrarsi su quel discorso, ma dopo le prime due parole si perse già. Ricordava di aver letto quei termini da qualche parte, probabilmente nei libri di Zoe che ogni tanto si divertiva a sfogliare. Gli aveva chiesto lui di parlargli di qualsiasi cosa le passasse per la testa, e lei lo aveva fatto. Non aveva nulla di cui lamentarsi. Ma che avrebbe dovuto fare, nel momento in cui lei lo aveva guardato in attesa di una qualche risposta? Magari avrebbe potuto fingersi un’intellettuale, e sparare una di quelle perle che suo nonno avrebbe battuto le mani anche se stava beatamente dormendo da ore. Ma si sarebbe impelagato in situazioni ancora più imbarazzanti di quella che aveva già. Se solo fosse riuscito a smettere di pensare a quanto fosse carina mentre parlava di qualsiasi cosa, magari avrebbe seguito il discorso!
    ”Ehm”. Sorrise imbarazzato. “Vorrei controbattere, ma non ci ho capito un accidenti…” Scelse la sincerità, infine, all’ennesima figura di merda. “Era una specie di metafora, o era solo un modo per confondermi?” Chiese, allungando la mano verso la birra che la ragazza gli aveva appena avvicinato. Bene, dopo aver fatto la figura del maniaco ora si sentiva pure dannatamente biondo dentro(?). Insomma, non era poi così stupido, in generale, di solito era acuto, attento, curioso. Di solito, ma evidentemente non in quel momento. Era dannatamente distratto -chissà da cosa-, e la recettività della sua mente sembrava essere affondata tra le sue paranoie più stupide. Ma se il suo cervello era totalmente inceppato, la sua lingua quella sera era dannatamente sciolta. “Studi medicina? O magari biologia, o roba simile?” Bravo, Ivar, certo che sei acuto. Collegare termini a categorie generali non era cosa da poco, nella sua condizione. E poi mandare la sua alzata d’ingegno con “roba simile” era proprio una mossa da maestro.*sarcasm* Alzò il bicchiere verso la ragazza, facendo tintinnare il vetro contro quello che lei aveva in mano.
    “Allora, capitano, vogliamo brindare alla nostra scelta ed a dove ci porterà per concludere non solo questa buffa serata, ma anche questa festa profonda?”
    Sorrise, incrociando il suo sguardo. Aveva delle ciglia lunghissime, accidenti. “A questa serata e alla festa profonda”, le fece eco, guardando poi l’orologio. La mezzanotte era passata da un po’. “Anzi, no, per fortuna la festa profonda è finita”. Ivar non aveva mai dato troppo peso al San Valentino. La trovava una squallida festa commerciale. Nessuno aveva bisogno di una festa per ricordarsi di amare qualcuno. E chi aveva perso l’amore, di certo, non aveva bisogno che il mondo intero glielo ricordasse. “Ho letto che in realtà tutti questi cuoricini, i palloncini, l’amore nell’aria, celebrano un vescovo morto che è stato flagellato, torturato e decapitato, e i cui resti giacciono sparsi un po’ ovunque, quindi in teoria è stato pure fatto a pezzi. Se prima questa festa mi dava l’ansia ora me ne dà di più”. Nemmeno seppe perché se ne uscì con quella storia creepy, ripescata nella sua memoria da chissà quale nicchia. Forse il suo radar per le figure di merda aveva di nuovo suonato e lo aveva spinto ad andarci incontro, di faccia. Perché cazzo l’aveva detto poi? “E anche quest’anno ce la siamo lasciata alle spalle”. Concluse, tanto per dare un filo logico al suo discorso e per dargli una causa d’esistenza. “E possiamo finalmente iniziare questo quindici febbraio nel migliore dei modi…” Quale fosse, non lo sapeva nemmeno lui.ve lo dico io:Ivar la prenderà per sfinimento e Lucy tenterà di annegarsi nel bicchiere della birra Avrebbe potuto continuare col dire che iniziavano i Lupercalia, o che il quindici era la festa dei cornuti -quindi la sua festa- e bla bla bla. Ma si risparmiò tutto ciò, lasciando che fosse lei a parlare. Almeno lei riusciva a dire cose interessanti. Ed era dannatamente sexy quando parlava di scienza, anche se lui non ne capiva un tubo.
     
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    I sentimenti delle persone sono mutevoli, così come tutto ciò che si sussegue intorno a loro e fa da cornice alle loro interazioni umane. Esse non hanno potere né su uno né sull'altro ed è da queste impossibilità che nascono le insicurezze, le titubanze e quelle sensazioni spiacevoli di forte inadeguatezza. In quel preciso momento, Lucille provava un forte senso di irritazione perchè quella musica assordante le urtava i timpani, quell'aria viziosa le solleticava l'olfatto e non poteva fare niente per arrestare il tempo, rendendo quel luogo molto più affine alle sue esigenze attuali di quiete e calma interiore. Oltre a quel senso di impotenza, in generale la sua vita aveva preso una piega che non era più in grado di controllare, perciò trascorreva le proprie giornate domandandosi come avrebbe fatto a far deviare il corso degli eventi in maniera tale da sentirsi più serena e fiduciosa nel proprio futuro.
    Tuttavia, in quel periodo di stasi, di tanto in tanto il destino pareva ancora lungimirante nei suoi confronti e quell'inaspettato incontro ne era una prova. Se in principio aveva auspicato di restare sola per il resto della serata, i modi buffi e sconnessi di Ivar le avevano fatto spuntare un sorriso, cosa piuttosto inaspettata visto il suo umore. Anche la sua reazione alle sue parole fu piuttosto comica e la prese in contropiede. Alzò un sopracciglio, trattenendo a stento una risata che sarebbe risultata scortese nei suoi confronti. Pensare, in quel momento, sembrava una cosa così difficile da attuare da farle domandare, fino a quel giorno, come avesse fatto a farlo. Aveva senso quella domanda? Probabilmente no, ma in quel momento a Lucille pareva lo avesse.
    «Una non semplice metafora della nostra condizione attuale.» provò a spiegargli guardandolo di sottecchi. Il suo volto riluceva nello sfondo colorato ed animato di persone di ogni età che ballavano cullati da una musica tanto martellante quanto ipnotica. «Lavoro come biologa marina, e per raggiungere questo titolo ho effettivamente studiato parecchio.» Coma parlava? Le sembrava di non riuscire a dare un senso compiuto alle proprie parole eppure, a parte una frase specifica, pareva che il ragazzo riuscisse ugualmente a comprendere i suoi ragionamenti. «E oltre a quello, di sabato, sono volontaria presso il reparto di pediatria dell'ospedale di Besaid. Tu invece di cosa ti occupi?» Era un'attenta osservatrice, Lucille. Un pò per diletto, un pò per diffidenza nei confronti del prossimo, era naturalmente portata ad osservare ogni dettaglio fisico della persona che le si parava davanti oltre a soffermarsi nei dettagli legati al modo di porsi ed alla dialettica. Un suo mito che tale sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. era il personaggio di Sherlock Holmes, al quale effettivamente si ispirava per fare le sue personali indagini.
    Aveva dunque notato che le mani di Ivar non erano quelle che si potrebbero indicare come le più raffinate ed eleganti. Al contrario, visibili tagli, calli e piccole escoriazioni in via di guarigione mappavano delle mani visibilmente forti, robuste, provate e usate ai limiti della sopportazione del proprio proprietario.
    Perciò poteva supporre si trattasse di un artigiano che lavorava quotidianamente con strumenti duri di difficile uso e soprattutto a mani nude, come si usava fare una volta. «Sei un calzolaio? Un fabbro? Mi sembra che sfrutti molto le mani.» Un pensiero poco decoroso le attraversò la mente, ma decise che l'alchol ingerito non era abbastanza affinché decidesse di dargli voce con una persona appena conosciuta.
    Non si trattava di imbarazzo, da quel punto di vista Lucille era molto simile ad un maschio e su quel frangente non si poneva alcun filtro. Semplicemente non amava esporsi troppo con persone appena conosciute, a meno che non vi fosse un motivo specifico.
    Notò con piacere che Ivar aveva accolto il suo proposito di brindare, d'altronde erano riusciti a sopravvivere ad una festività come San Valentino in maniera originale e ad uscirne illesi. E ridacchiò divertita nel sentirlo dire che fortunatamente la “festa profonda” era giunta alla fine, anche in termini di tempo visto che era già scattata la mezzanotte e, di fatto, il 14 febbraio era finito e stava iniziando il giorno seguente. Non poté che trovarsi concorde, annunendo col capo per lasciarglielo intendere.
    Lasciò che i due bicchieri tintinnassero gli uni contro gli altri, senza udire quel rumore cristallino perché oscurato dal chiasso del locale. Bevve un gran sorso di birra, constando che avrebbe terminato anche quella bibita in tempi eccessivamente brevi, vuoi per la calura che quel luogo produceva, vuoi per la foga che aveva di annullarsi completamente.
    «Ho letto che in realtà tutti questi cuoricini, i palloncini, l’amore nell’aria, celebrano un vescovo morto che è stato flagellato, torturato e decapitato, e i cui resti giacciono sparsi un po’ ovunque, quindi in teoria è stato pure fatto a pezzi. Se prima questa festa mi dava l’ansia ora me ne dà di più.» Stava ancora sorseggiando la sua birra quando Ivar pensò bene di farle "accapponare la pelle" informandola sulle vere origine della sua festa consumistica preferita. Per poco non lasciò scivolare qualche goccia dalle labbra, mentre strabuzzava le iridi chiare osservandolo come se avesse appena detto un abominio. Lo stupore, però, fu presto sostituito da un moto di ilarità. Adorava quel genere di storie, specialmente se provviste di un fondo di verità che regalava all'intera storia un che di eccitante, almeno per quel che la riguardava. Ne conosceva moltissime, dalle classiche a quelle che aveva reperito nelle biblioteche più sconosciute del paese, nemmeno solo di Besaid. Alcune le aveva anche appuntate su un diario, poiché non rientrava nelle sue abitudini trascriverci dettagli delle proprie giornate e dei suoi sentimenti in quel momento. Quelle storie erano notevolmente più interessanti di ciò che le capitava nel quotidiano.
    Ma da dove arrivava quel ragazzo che conosceva storie tanto macabre che mai si sarebbe sognata di udire quella sera. «Ovunque dove? Anche in Norvegia? Perchè dopo la tua rivelazione faticherei a camminare ancora tranquilla per le strade di questa cittadina.» lo canzonò bonariamente, allungando il bicchiere nella sua direzione, additandolo ad unico responsabile dei suoi futuri timori. «Se prima questa festa mi dava il voltastomaco ora è diventata la mia festività preferita, spodestando perfino il Natale.» aggiunse poi, andando con quella frase a negare totalmente la precedente.
    Ebbene si, Lucy adorava il macabro e qualsivoglia racconto orrorifico, film a tema e serie televisiva capace di far accapponare la pelle. L'Esorcista era il suo film comico preferito, It quello con cui adorava trascorrere le mattinate, inzuppando i biscotti nel latte muovendoli come fossero la barchetta di Georgie. Non ci stava con la testa? Questo pensavo si fosse appurato già all'inizio del post ma, in aggiunta, è bene sottolineare che sin da bambina, a Carnevale i suoi travestimenti preferiti erano quelli da Freedie Krueger, il già citato It, Hannibal Lecter, Samara (forse l'unico personaggio femminile che amava interpretare, in effetti), Jig Saw corredato di triciclo, Dracula e altri che teneva in serbo per gli anni a venire. Perchè Lucille non avrebbe mai smesso di trovare divertente travestirsi, né si sarebbe fatta alcun problema riguardante l'età che avanzava inesorabile.
    Ad ogni modo davvero poche cose erano in grado di spaventare Lucille Johansen, cose irrazionali come la paura di essere abbandonata (di nuovo) o di non risultare perfetta e apprezzata agli occhi del prossimo. Teste decapitate, occhi iniettati di sangue, venti aguzzi, mutilazioni e vecchie case abbandonate la facevano abbandonare a risate che la potevano udire sin dal primo piano. Ma questo, ovviamente, Ivar ancora non lo sapeva ed era perciò alla solita vecchia amica autoironia che si era affidata per rispondergli.
    «Hai qualche suggerimento, Ivar?» gli domandò in merito al modo migliore per iniziare quel nuovo giorno, quello dei single se ben ricordava, da lui menzionato, sentendosi poi di dover aggiungere «Perchè ti avviso, dopo lo spavento che mi hai fatto prendere narrandomi le vere origini di San Valentino, come minimo dovrai riaccompagnarmi a casa quando avremo deciso di aver iniziato nel migliore dei modi questo quindici febbraio.» sentenziò facendo schioccare la lingua, agitando il bicchiere ormai vuoto.
    Era il caso di ordinarne un altro?

    Edited by Comet - 6/3/2018, 16:03
     
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    Forumcommunity ha crashato e la qui presente voce narrante non ricorda nemmeno di cosa stavamo parlando, ergo introdurremo questa parte della role con un argomento a caso: l’anno dei quattro imperatori. Argomento ostico per i più, che cercheremo di spiegare ingannando l’attesa. Dunque, nel 68 d.C, mentre già tra i tumulti Galba era stato acclamato imperatore dalle truppe in Spagna, a Roma moriva l’ultimo grande esponente della gens Giulio Claudia: Nerone. Così Galba potè marciare su Roma ed essere ufficialmente acclamato dal senato. Ma sbem, eccolo che manco tre mesi dopo ecco che il popolo cambia idea, Galba muore e acclamano Otone. Intanto in Germania le truppe acclamano Vitellio come imperatore, che iniziò a farsi la guerra con Otone fin quando non riuscì a farlo schiattare. Vitellio fu il più longevo tra tutti i suoi predecessori, ben otto mesi ladies and gentlemen, prima i crepare pure lui. E infine almeno il suo successore visse un po’ di più, dando vita a una dinastia abbastanza proficua e ordinando la costruzione di nientepopodimenochè(?) il Colosseo. Il suo nome era Vespasiano. Ma questa è un’altra storia. il forum è ripartito, grazie al cielo, sennò qui arrivavo alla seconda guerra mondiale

    Allo stesso modo in cui si era ubriacato per sfuggire al proprio passato e al proprio presente, ora Ivar andava alla ricerca di emozioni, quelle forti, in grado di farlo sentire vivo. Cercava ciò che per troppo tempo aveva rifuggito. Contatto fisico, apatia, avventatezza. Provava ad essere ciò che non era mai stato, e ciò era dannatamente divertente. Era un po’ come dimenticare tutto, per un momento, perdere la memoria e iniziare ad essere una persona appena inventata. Era come recitare in uno di quei film di scarsa qualità, lasciare che le inibizioni perdessero il loro effetto-morsa. Non c’era la sua particolarità in quel momento. Non c’erano gli occhi pieni di lacrime di Astrid al confine di Besaid. Non c’erano i suoi incubi ricorrenti. C’era solo Lucy in quel momento, di cui sapeva troppo poco e di cui probabilmente non avrebbe voluto sapere troppo. C’erano le luci accecanti a scacciare i fantasmi, la musica decisamente troppo alta a scacciare i pensieri, la sensazione di instabilità a combattere la consapevolezza di essere dannatamente soli anche in mezzo a tanta gente. C’era il sorriso furbetto di lei, le sue iridi verdi, e questo, stranamente, gli bastava. Lei era come una ventata d’aria fredda in un clima afoso. Era dove avrebbe voluto essere, per una volta nella sua vita.
    “Una non semplice metafora della nostra condizione attuale.” Continuò a pensarci, arrovellandosi per trovare una soluzione a quell’enigma, ma niente, proprio non ci arrivava. “Aha”, annuì, fingendo di aver capito, nonostante in realtà non avesse capito un accidenti, e bevve un sorso di birra. Magari lei avrebbe accantonato quel discorso complesso. “Lavoro come biologa marina, e per raggiungere questo titolo ho effettivamente studiato parecchio”. Alzò un sopracciglio, ammirato. Ah, solo gli dei sapevano quanto gli sarebbe piaciuto continuare a studiare, salvare le persone, dedicare la propria vita a ciò che amava fare. Il destino non gli aveva chiesto cosa volesse, quell’infame non glielo aveva concesso, e lo aveva condannato ad essere l’antitesi di ciò che avrebbe voluto essere. Almeno lei ce l’aveva fatta, a realizzare i suoi sogni. “Wow, complimenti! Deve essere un lavoro bellissimo”. Immaginava fosse un lavoro che permettesse di stare sempre a contatto con la natura, e quando questo non accadeva, da svolgere in un laboratorio. Sempre sul campo, sempre alla ricerca di qualcosa, e ciò ripagava di tutta la teoria sorbita negli anni all’università. Era una vita interessante, quella.
    E oltre a quello, di sabato, sono volontaria presso il reparto di pediatria dell'ospedale di Besaid. Tu invece di cosa ti occupi?”.
    Stava bevendo, quando a quella frase ebbe un improvviso colpo di tosse e rischiò di strozzarsi. La realtà e quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in faccia. Reparto di pediatria. Ospedale di Besaid. REPARTO. PEDIATRIA. OSPEDALE DI BESAID. Nemmeno seppe perché ebbe quella reazione plateale. Insomma, si, di certo conosceva Astrid, ma non per questo doveva sapere proprio tutto, dato che lei nemmeno lo ricordava. Calma Ivar. Va tutto bene Si disse, e provò a controbattere, continuando però a tossire neanche avesse ingoiato un cucchiaio di cannella in polvere. “Sei un calzolaio? Un fabbro? Mi sembra che sfrutti molto le mani.” Lei continuò, abbassando lo sguardo verso le sue mani. Ivar smise di tossire, ma rimase un attimo perplesso a guardarla soppesando la domanda. Sarà stato l’alcol, ma lui aveva trovato almeno diciotto diversi doppi sensi in quell’affermazione. Ma quelli a sfondo sessuale furono allontanati da uno in particolare, per niente malizioso. Lui quelle mani le usava per portare morte e distruzione, in primis. Rise istericamente, decisamente imbarazzato. “Ehm. Ci sei andata vicina, si. Faccio il sicario il falegname”, rispose, con tono calmo. “E.. I bambini… è davvero una bella occupazione, davvero, è ammirevole”. Farfugliò. Lo pensava davvero. La ammirava, e questo la rendeva decisamente una bella persona ai suoi occhi. Ma pensare a quell’ospedale lo portava a pensare ad Astrid, a quanto fosse felice quando parlava dei “suoi” bambini, a tutte le promesse che si erano fatti, a quanto si erano amati. Il fato sembrava ricondurlo in ogni modo a ciò da cui stava fuggendo. Ma non l’avrebbero avuta vinta, stavolta, le Parche meschine. Sarebbe fuggito, fin dove nemmeno Mercurio avrebbe potuto trovarlo, lontano da quei fantasmi che tanto lo tormentavano. E fuggì, impelagandosi in discorsi praticamente senza senso. E quelli sì che erano da lui. Già, perché uno che aveva il potere di uccidere che faceva discorsi su morti e cose creepy era veramente il colmo. “Ovunque dove? Anche in Norvegia? Perchè dopo la tua rivelazione faticherei a camminare ancora tranquilla per le strade di questa cittadina”. Ci pensò su. Scorse mentalmente la pagina di wikipedia in cui l’aveva letto, ma in effetti non si era soffermato a leggere voce per voce dove si trovassero le reliquie. “No, mi pare di no. In Italia mi pare, forse in Francia. Non me lo ricordo”. Disse, cercando di ricordare, invano, dato che era completamente crashato. “Se prima questa festa mi dava il voltastomaco ora è diventata la mia festività preferita, spodestando perfino il Natale.” Sorrise. Almeno non stava scappando dopo la sua uscita da psicopatico. Era decisamente la donna perfetta(?). “Cielo, non parliamo del Natale, ti prego.” Accantonò quell’argomento. Si Ivar odiava tutte le feste, a parte Pasqua, che festeggiavano in maniera del tutto anticristiana a casa dei suoi nonni. Ma quella era più una festa a caso che una vera e propria ricorrenza. Brindò con lei, a quello che avrebbe dovuto essere il proseguimento della serata. Non diede voce ai suoi pensieri, finché non fu lei a farlo.
    “Hai qualche suggerimento, Ivar? Perchè ti avviso, dopo lo spavento che mi hai fatto prendere narrandomi le vere origini di San Valentino, come minimo dovrai riaccompagnarmi a casa quando avremo deciso di aver iniziato nel migliore dei modi questo quindici febbraio.” Rise, e colse l’allusione piuttosto esplicita. Per un istante però, non seppe cosa rispondere. Nonostante fosse fin troppo ubriaco, di nuovo i suoi freni inibitori gli impedirono di essere esplicito come avrebbe dovuto. E così scelse l’istinto, si sporse in avanti e poggiò una mano lungo il suo collo sottile, sfiorando l’attaccatura dei suoi capelli. E la baciò, istintivamente, prima poggiando le labbra sulle sue e poi lasciandole scivolare tra di esse, cercando di assaporarle senza risultare troppo invadente. Si staccò, poco dopo, in parte constatando la sua reazione, e sorrise mostrando le fossette sulle guance. “Si, avrei qualche idea…” Disse, guardandola negli occhi. Aveva lasciato che fossero le sue azioni ad esprimere le sue intenzioni, senza spingersi troppo oltre, e tentando di non essere ciò che non era, per una volta in quella sera. “Potremmo aspettare l’alba insieme. Il giorno, di solito fa meno paura”. Nemmeno seppe da dove gli uscì quella frase. Scappa adesso Lucy sei ancora in tempo!!Non era dettata dall’alcol, quella. Era il suo modo di esprimere ciò che voleva, lasciare che le allusioni parlassero molto di più di grandi termini semantici. La baciò di nuovo, con trasporto, avido di avere un assaggio di ciò che sarebbe accaduto dopo. Gli piaceva, dannatamente. Faceva battere il suo cuore, quella sensazione, come da troppo non faceva. Si lasciò andare, semplicemente, come mai gli era concesso durante il giorno. Ma quella notte era diversa, e per qualche istante avrebbe portato via tutto, finché l’alba non fosse giunta, meschina, a portarsi via tutto e a rendere di nuovo visibili i fantasmi.
    “Vieni?” Disse scendendo dallo sgabello e tendendole la mano.
    C’era solo Lucy, in quel momento. Non c’erano ombre, non c’era un passato, non c’era un futuro se non quello immediato. Ed era bellissimo così. Cosa sarebbe accaduto, il giorno seguente, non importava.
     
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