Quadri e gin lemon

Oscar, wade & drasil - h. 22:00

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    Oscar Erlend Røbbing (っ◔◡◔)っ

    "Deve essere uno scherzo, o un enorme gigantesco equivoco". Era quanto Oscar era riuscito a pensare quando si era ritrovato, al fianco del notaio, davanti al motivo per cui fosse capitato a Besaid. Le uniche opzioni che gli vennero in mente riguardavano un brutto scherzo, o un equivoco. Del resto aveva saputo solo che un misterioso zio, di cui neanche immaginava l'esistenza, nel morire gli aveva lasciato in eredità una casa in Norvegia. Mai si sarebbe aspettato che potesse essere la casa di una versione norvegese della Famiglia Addam. Ma del resto poteva sospettarlo, perchè non poteva ritenere di avere una famiglia normale. Ma quella casa era davvero troppo persino per uno come lui. Il cielo grigio faceva svettare il tetto fatto di tegole mal messe; l'intonaco delle pareti aveva bisogno di una ripassata, ma non si notava così tanto perchè l'edera ed il muschio erano cresciuti indisturbati ricoprendone gran parte. E poi le finestre. Erano enormi e contandole Oscar aveva intuito che in quella casa dovevano esserci così tante stanze da farlo sentire terribilmente solo. Ma il vero spettacolo doveva ancora venire. Il notaio gli lasciò le chiavi e, saggiamente, scappò via dopo avergli fatto firmare qualche foglio. Oscar aprì la porta d'ingresso e cercò subito l'interruttore della luce, che ovviamente non funzionava. Impugnò il telefono accendendo la funzione "torcia", e si fece nell'ampio salone. C'erano un divano, delle poltrone, dei mobili visibilmente antichi e tante cose ammucchiate. Si fece avanti nella prima stanza collegata al salone: era uno studio corredato di scrivania di legno spesso e robusto, di una libreria e di tanti quadri ed oggetti vari. Proseguì il tour e ne trasse un paio di conclusioni: intanto suo zio non doveva essersene andato da poco tempo, perchè il disordine e la polvere sembravano abitare quella casa da almeno un paio di mesi; poi non doveva essere povero, a differenza sua; infine pareva che una caratteristica di famiglia fossero i capelli rossi, almeno a giudicare dalle poche foto che aveva trovato sparse in giro. Avrebbe dovuto passare in quella casa ancora molto tempo, per riordinare il tutto e capire cosa fare di tutta quella roba, prima di vendere la casa. Sicuramente non aveva modo di portare via tutto, e sinceramente non voleva farlo perchè quegli oggetti non avevano alcun valore affettivo per lui, ed avrebbe giovato molto più di un po' di soldi piuttosto che di un orologio o di altri oggetti pregiati.
    In particolare aveva deciso di partire dai quadri. Avevano tutti bellissime cornici, alcune in oro, e sembravano di valore. Riuscì a trovarne un paio su internet, ma sapeva che non sarebbero stati quotati in modo corretto da un antiquario. Andò a fare un giro in città, e senza conoscere nessuno riuscì solo ad ottenere un numero di telefono. Non aveva capito se fossero seri, ma gli avevano solo detto che quel tizio lo avrebbe potuto aiutare, e sembrava una faccenda tanto losca, soprattutto perchè il tizio in questione non aveva un nome ed un cognome. "Deadpool". Così gli avevano detto di chiamarlo. Non avendo niente da perdere gli aveva chiesto un incontro. Non a casa, perchè non voleva far entrare uno sconosciuto e perchè la casa era già abbastanza inquietante di suo per poter accogliere un tizio dal nome "Deadpool". E poi non aveva ancora sistemato l'impianto elettrico, quindi era impossibile. Tuttavia gli avevano detto di un posto, una sorta di discopub, dove poter incontrare Deadpool in tranquillità senza però essere solo. Tramite sms si accordarono proprio per quel discopub, la sera seguente in orario variabile, dalle 22 alle 22.30.

    ---



    Per Oscar non era così frequente andare in discoteca. In realtà stava invecchiando dentro, ed ormai era così abituato a lavorare che difficilmente trovava del tempo per sè. Ad ogni modo non era quella la cosa e preoccuparlo: lui era abituato a rispettare la legge, e quel traffico di quadri sembrava una cosa così losca da fargli venire l'ansia. Si guardò allo specchio della sua camera d'albergo - perchè non sarebbe andato in quella casa di notte fino a quando tutte le luci non avessero preso a funzionare correttamente - e non capì se fosse adeguatamente preparato alla serata. Come doveva vestirsi per andare in discoteca? O magari avrebbe dovuto ignorare la moda e vestirsi completamente di nero, per passare da vero e proprio malavitoso. Ignorò entrambe le opzioni, e si tenne i suoi pantaloni comodi ed una delle tshirt che si era portato da Parigi. Continuava a soffrire il caldo di Besaid in modo impressionante, ed era l'unico a farlo, ma in generale stava bene. Non aveva la febbre, solo caldo. Un inspiegabile caldo. Prese la cartellina con le foto che aveva fatto ai quadri, e la infilò nello zaino che si mise in spalla prima di lasciare nel caos la sua camera d'albergo per dirigersi verso il punto di incontro.
    Davanti alla discoteca si ricordò perchè non le amava. Troppa gente, troppa confusione, troppo disagio. Entrò indispettito dal buttafuori che lo squadrava dall'alto in basso, e si diresse verso il bancone dove fu bellamente ignorato per tipo dieci minuti. Fortuna che era in anticipo. Aveva bisogno di qualcosa di forte per affrontare il tutto, e quando finalmente si degnarono di servirlo, potè ordinare. « Un gin lemon. Con poco lemon, grazie! » Lo aveva praticamente urlato perchè iniziava anche ad essere sordo e tutti lo erano al suo pari, almeno nella sua mente. Con il bicchiere di gin lemon in mano, si allontanò dal bancone e dal caos, e si appartò nel privè, in uno dei tavolini liberi. Non sapeva come Deadpool lo avrebbe riconosciuto. Magari dai capelli rossi. O forse era il contrario, e lui avrebbe dovuto riconoscere Deadpool per la sua aria inquietante. Lo aveva immaginato: cicatrice sull'occhio, barba nera, calvo, grassoccio e con un tatuaggio da marinaio sul braccio. Eppure sperava che non corrispondesse a quella immagine.
     
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    Si? Qui Deadpool! Agguantando il suo cellulare da lavoro, un Nokia nero a conchiglia dell'epoca giurassica ricoperto di sticker dei my little pony, Wade appoggiò l'apparecchio al lato del volto, per poter scoprire chi quella sera aveva richiesto le sue abilità da assassino per un lavoro. Dopo aver cinguettato il suo saluto, il mercenario si distese sul divano, lasciando i polpacci a penzoloni dal bracciolo. La TV si sentiva molto debolmente come suono di sottofondo - un signore dalla voce noiosa stava spiegando la vita dei fenicotteri rosa. Sul tavolino di fianco a Wade erano sistemate varie bottiglie di birra vuote, un paio di suoi coltelli, munizioni, e un piatto di plastica, con sopra un chimichanga mezzo mangiucchiato; l'altra parte era ancora nella bocca del giovane, mentre attendeva che la persona che si era messa in contatto con lui facesse la sua mossa. Soffermandosi sul pezzo di burrito fritto che gli scivolava sulla lingua, Wade aggrottò pericolosamente le sopracciglia. Una sensazione di angoscia profonda lo pervase per qualche secondo, consapevole del fatto che in Norvegia di chimichanga buoni come in America non ne avrebbe più mangiati. Poco dopo però, la single tear sensazione svanì, poichè il suo nuovo cliente aveva iniziato a parlare dell'incarico, e... non era proprio quel che Wade si aspettava. Ormai era un po' di tempo che era un mercenario, ed avendo lavorato sia per organizzazioni paramilitari che in proprio, Deadpool era convinto di sapere il fatto suo in campo illegale. L'avevano scambiato per moltissime cose, ma non per un trafficante d'opere d'arte. La voce all'altro capo del telefono apparteneva ad un certo signor Røbbing, e a giudicare dal timbro che il telefono aveva leggermente distorto, non si trattava di un uomo attempato. Gli aveva parlato di alcuni quadri che gli erano stati lasciati in eredità e che voleva rivendere sulla piazza Norvegese. Sollevando gli occhi al cielo, Wade aveva capito perfettamente cosa fosse successo, mandando velocemente giù per la gola il boccone di chimichanga scadente. Quel coglione...WHOOPS! SCUSI, VADA AVANTI, prego prego. Dopo aver borbottato a denti stretti quella affermazione che però gli era uscita dalle labbra più sonora del dovuto, il mercenario si affrettò ad incoraggiare l'uomo dall'altra parte della cornetta a continuare a parlargli, e nel frattempo, aveva rimesso insieme i pezzi del puzzle. Quel cretino di Terje - un altro criminale a cui Wade si appoggiava le sue carte d'oro tramite cui veniva pagato - aveva detto al signor Røbbing che Deadpool sarebbe stato in grado di aiutarlo, ben consapevole che le uniche transazioni di cui Wade Wilson si occupava erano verso l’aldilà, e riguardavano vite dei criminali che era pagato per uccidere. D'altro canto, il lavoro ultimamente stava scarseggiando, e Wade voleva davvero mettere da parte abbastanza soldi per comprare una action figure da collezione di Wolverine. «Wade! Che fai stupido, non accettare!» Esclamò White Box, concitato, fungendo da voce della coscienza dell'ex-militare, che non avrebbe dovuto accettare quel lavoro. Ma i soldi... Riflettè Wade tra sè e sè, prima di sentire Yellow Box inserirsi in quella conversazione di pochi secondi. «Tu non sei un trafficante d'arte e nemmeno un truffatore, dai rifiuta! Prenderemo l'action figure in qualche altro modo!» Certo, accetto il lavoro! Affermò infine il mercenario, mentre sentiva contemporaneamente le proteste delle sue voci mentali farsi sempre più insistenti. Il giovane dall'altro capo del telefono fissò un appuntamento per le 10 di sera, largamente, al Bolgen, dopo una veloce messaggiata il giorno dopo.
    Alla fine, Wade non si pentì neanche un attimo della scelta che aveva fatto. Probabilmente avrebbe davvero potuto piazzare quei quadri! Non era esperto d'arte, nè aveva idea di quanto andassero valutati per garantire al signor Røbbing il maggior guadagno, e per scrupolo, la stessa sera della telefonata, Wade agguantò il suo portatile - che usava pochissimo e anche senza molta cognizione di causa - e cercò su google "come vendere quadri", "come valutare i quadri", e poi la ricerca naufragò inesorabilmente verso, "come dipingere", "dipingere paesaggi", "bob ross", e senza pensarci due volte, Deadpool pensò bene di attaccare la sua faccia nell'immagine, ridacchiando per cinque minuti interi. Comunque, era arrivato il giorno dell’incontro, e Wade passò tutta la mattina ed il pomeriggio a casa, stravaccato sul letto a leggere riviste e guardare la TV. Ripensò al fatto che quella serata sarebbe stata a dir poco interessante, e sicuramente redditizia, nonostante la sua fragile conoscenza di base sul mercato nero dell’arte. Inoltre, se proprio si fosse sentito alle strette, il mercenario aveva pensato di dire al momento opportuno la verità, sperando che tale attimo non si sarebbe presentato. La sera arrivò prima di quanto Wade immaginasse, e controllando l'orario al suo adorato orologio da polso di Adventure Time, si disse che era arrivato il momento di mettersi in ghingheri ed uscire alla volta del Bolgen. Prima si era preparato qualcosa da mangiare, in modo da non dover sentire lo stomaco brontolare nel bel mezzo di questo incontro che richiedeva non poca concentrazione. Seduto al bordo del letto, Wade iniziò a chiedersi come fosse opportuno presentarsi a questo rendez-vous; con tutina o senza tutina? Ticchettando leggermente le dita della mano destra contro il mento. Non era un'occasione di lavoro vera e propria, poichè il meeting sembrava essere solo introduttivo, ma al tempo stesso tutti nell'ambiente lo conoscevano come Deadpool, e sbandierare la propria identità come se nulla fosse non era qualcosa di consigliabile. IDEA! Bravo Deadpool.
    Ed ecco che alle 10 Wade era fuori casa, e si prese qualche momento per osservare il cielo, che di lì a poco prometteva un temporale, in quella nottata tutto sommato calda e piacevole. A passo svelto, il mercenario raggiunse a piedi il locale, che in fin dei conti non era così lontano da casa sua. I passi di Deadpool erano sommessi contro l'asfalto, e si manteneva sempre, per deformazione professionale, tra le ombre delle strade secondarie. Essendo Besaid una cittadina dalle dimensioni discretamente ridotte, non fu difficile per Wade, abituato a New York e ai luoghi di guerra, orientarsi tra le vie del comune Norvegese. Il mercenario capì immediatamente che era vicino al Bolgen non appena guardò la folla intensificarsi e la musica farsi più alta. All'entrata, come fossero piccoli sciami, le persone si raggruppavano in piccoli agglomerati; c'era chi incontrava gli amici, chi si vedeva lì per un appuntamento e chi sperava di incontrare qualcuno in una tarda serata di luglio. Era proprio a questa categoria che apparteneva Wade. Non appena si fu avvicinato all'entrata, il giovane lanciò uno sguardo al buttafuori, sfoderando i suoi migliori occhi da cucciolo, che come al solito si mostrarono infallibili, nonostante il mercenario avesse con sè il suo amato coltello dalla lama seghettata nascosto sotto i vestiti per essere pronto a qualsiasi evenienza.


    Said little bitch, you can't fuck with me
    If you wanted to
    These expensive, these is red bottoms
    These is bloody shoes
    Hit the store, I can get 'em both
    I don't wanna choose
    And I'm quick, cut a nigga off
    So don't get comfortable
    Look, I don't dance now
    I make money moves
    Say I don't gotta dance
    I make money move
    If I see you and I don't speak
    That means I don't fuck with you
    I'm a boss, you a worker bitch
    I make bloody moves!


    La musica era sparata a volume altissimo una volta all'interno del Bolgen. I bassi quasi facevano tremare le pareti da quanto intensi fossero, e si faceva fatica a sentire la voce delle altre persone - nonostante fosse evidente che la maggior parte dei clienti non fosse lì per intrattenere lunghe conversazioni. Il locale ospitava tre aree principali, che Wade conosceva piuttosto bene: la pista da ballo, sommersa da persone che si godevano la musica e sicuramente anche la calda compagnia di qualche sconosciuto; il bar, affollatissimo come sempre, era preso d'assalto dai clienti che desideravano estinguere la sete di liquori e bevande più o meno forti; infine, il privè, più isolato dal resto del locale - era proprio da lì che si riusciva ad avere una visuale chiara e d'insieme del posto, ora illuminato solo da leggere luci stroboscopiche. La serata era già cominciata e Wade si sentiva piuttosto a suo agio in un posto simile, caotico, pieno di gente, di musica e di alcool. Naturalmente, la sera prima, aveva fatto quel che gli riusciva bene: identificare le persone. In questo caso, si era dedicato al suo cliente. Il giorno dopo la telefonata, aveva fatto un veloce giro sui social, e aveva rintracciato quattro Røbbing a Besaid. Non era convinto quale di questi individui fosse, o se i siti fossero affidabili. Dunque, meglio cercare il tale Deadpool style. Quella sera stessa, il mercenario si era recato da Terje, e dopo avergli dato uno scappellotto più sonoro del solito si era fatto dare delle informazioni in più sull'uomo che l'aveva ingaggiato. Dunque, una volta al Bolgen, sapeva esattamente chi cercare.
    Non appena Oscar fu entrato nel locale, gli occhi di Wade erano già puntati su di lui, a distanza. L'ambiente era troppo caotico lì, e quindi, non appena il rosso fece un passo nel privé, trovò proprio il mercenario chiacchierone ad attenderlo. Hei dolcezza! Lo chiamò lui, facendosi trovare alle spalle di Oscar mentre sorseggiava il cocktail della persona seduta al tavolo di fianco, ormai troppo ubriaca per capire che uno sconosciuto strambo gli aveva rubato il drink. Wade era seduto con le gambe accavallate sul divanetto, ed aveva alzato sia il tono della voce che una mano, salutando il suo nuovo cliente con un cenno. Il signor Røbbing era davvero diverso da come l'aveva immaginato; un classico criminale, sulla trentina, magari con qualche cicatrice ben visibile, vestito di pelle nera e con il calcio della pistola visibile dai pantaloni. Invece, tutt'altro. Oscar Røbbing era un ragazzo, probabilmente nei suoi vent'anni, alto, slanciato eppure atletico, vestito con una semplice maglia e dei pantaloni. Aveva dei tatuaggi ben visibili e dai disegni raffinati sulle braccia ed un viso dai lineamenti maschili eppure non troppo marcati. Infine, una nuvoletta di capelli rossi e ribelli gli dava un’aria ribelle. Insomma, un gran bel giovanotto che tutto sembrava, fuorchè un delinquente. Con un’espressione piacevolmente colpita, Wade sogghignò da sotto la maschera, soddisfatto della persona che aveva davanti. In tutta risposta, prima di uscire, gli era venuta la brillante idea di entrare al Bolgen in abiti civili, nascondendo però la sua maschera da Deadpool in tasca, in modo che al momento opportuno avrebbe potuto indossarla e non essere più riconoscibile. Portava una t-shirt bianca con sopra una stampa raffigurante il logo del locale Parigino Crazy Horse (un souvenir del viaggio di lavoro con Fredrik Öhman), un paio di jeans scuri, una leggera giacchetta di raso nera con degli inserti rosa, ed ovviamente, la sua maschera, spezzando l'estetica di quegli abiti abbastanza semplici. Sorprendendo il suo cliente alle spalle, il mercenario diede un paio di colpetti alla seduta del divanetto, per incoraggiarlo ad accomodarsi al suo fianco. Sei Oscar Røbbing giusto? Io sono Pool. Dead. Estendendo una mano dopo che si era presentato, Wade, sorrise da sotto la maschera e strinse la mano dell'altro in un gesto gentile ma energico. Era passato già qualche minuto, quando l'ex-militare scattò in piedi e sollevò le braccia, agitandole per farsi vedere. DRASIIIIIIIIL! DRASIL MOT! Per quanto inaspettato fosse, Wade aveva adocchiato quella splendida ragazza dai capelli d'oro non appena l'aveva vista camminare con aria sperduta al bordo della pista, che non era troppo lontana dal privè. Wade non poteva dire di conoscere approfonditamente Drasil, però l'aveva spesso vista in compagnia di Heda, una vigilante - una eroina di quelle vere! Incuriosito moltissimo da lei, il mercenario aveva fatto in modo di passare del tempo con Green Arrow, ed era stato proprio in quelle occasioni che il volto angelico di Drasil si era presentato davanti ai suoi occhi castani. Sicuro che lo avrebbe riconosciuto, Wade si avvicinò alla ragazza, e le portò un braccio attorno alle spalle, incoraggiandola ad unirsi all'incontro appena iniziato tra lui ed Oscar. Come sta Green Arrow? E tu sweetcheeks? Che figo, non mi aspettavo di vederti in discoteca! Esclamò Deadpool, sinceramente sorpreso nel vedere Drasil in un posto caotico come quello, prima di sedersi e riportare lo sguardo sul suo cliente. «Hai visto? Proprio una seratona, tra lui e lei qui ti puoi rifare gli occhi fino a domani!» Certo che ho visto! E chi è che mi aveva detto "No Wade non andare, blablabla". Ahh, che pazienza! Parlando a bassa voce con Yellow Box e facendogli marcatamente il verso, Wade scosse appena il capo e tornò a puntare gli occhi sui suoi nuovi compagni di avventura. Perdonami Oscar! Drasil è una mia amica, quindi spara, di cosa hai bisogno da Daddypool?
     
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    Se solo Liv non l'avesse trascinata fuori dalla sua strana e moderna abitazione, Drasil avrebbe continuato a sedere sul divano del salotto con le ginocchia strette fra le braccia magre, silenziosa come di consueto, mentre con lo sguardo definiva i contorni degli oggetti che la circondavano e che mai, in vita sua, avrebbe immaginato potessero esistere. Ogni tanto, quel silenzio veniva interrotto dal suono del telefono, che puntualmente la faceva sobbalzare, imponendole di guardarsi intorno per comprendere che ormai non si trattava più del tempo che lei conosceva. Era trascorsa una vita intera, da quando aveva abbandonato Yggs, e le domande che sostavano nella sua mente sembravano difficili da scacciare, così come il ricordo del suono che aveva rotto ogni certezza.
    Era grata a Liv per il suo aiuto, e in qualche modo si sentiva in debito con lei, dopo che per una vita intera le era stato impartito di non dover mai niente a nessuno, se non a se stessa. Una situazione alquanto scomoda, soprattutto per la presenza costante dell'eco che aveva in testa: la voce di sua madre che le ripeteva di essere indipendente, di non lasciarsi trascinare via da nessun altro. Eppure, in quel momento, l'unica forza che trovava, era quella che le avrebbe regalato la compagnia di qualcuno, magari di suo fratello, se solo fosse stato lì con lei. Quindi aveva silenziosamente sollevato il capo, quando Liv le si era avvicinata dicendole che l'avrebbe portata fuori a prendere un po' d'aria, e l'aveva seguita nella sua stanza, dove la sua protettrice aveva provveduto a prestarle qualche indumento <>chic -come lo aveva definito lei. Aveva indossato un abito totalmente diverso da quelli che era stata abituata a portare; era decisamente più aderente e appariscente, e la fasciava modellandone le curve e mettendole in evidenza. Lo sguardo apprensivo di Liv le fece intendere che la ragazza era fiera della propria scelta e che avrebbe sicuramente deciso di lasciarla uscire con quell'affare addosso. Era un semplice tubino di colore nero con intarsi rossi, che andava a coprirne le carni almeno fino all'altezza del ginocchio, lasciando che si sentisse stretta, quasi imprigionata in quella stoffa elastica. Era una sensazione piuttosto scomoda e sconveniente, che accettò silenziosamente per non offendere Liv e per tenerla contenta. Uscirono poco dopo, recandosi alla discoteca forse più frequentata di Besaid. La musica si udiva dall'esterno e, sebbene fosse in compagnia della ragazza e qualche suo amico, Drasil non poteva proprio fare a meno di sentirsi fuori luogo. Avrebbe sperato, in un certo senso, di scomparire in quel preciso momento, mentre facce di giovani spensierati e felici le sfilavano davanti senza preoccuparsi dei suoi occhi smarriti. La compagnia di Liv, comunque, durò ben poco, dato che la ragazza sembrò doversi allontanare ben presto per una questione che le avrebbe spiegato più tardi -aveva detto. La lasciò nel mezzo del caos dopo averle fatto bere due bicchieri di Gin Tonic, comunicandole che sarebbe tornata ben presto e raccomandandole di non lasciare il locale in sua assenza. Era quasi come una mamma per Drasil, Liv. Cercava in tutti i modi di non farle pesare quell'essere stramba e diversa. Aveva capito appieno cosa lei provasse e quanto quella situazione fosse difficile da sostenere, specialmente sapendo che probabilmente, anche una volta tornata indietro, non avrebbe potuto salvare suo fratello. Aveva iniziato ad accettare quindi di essere finita in quello che sarebbe stato anche il suo presente, forse.
    Fu nel mezzo del caos che udì una voce conosciuta. DRASIIIIIIIIL! DRASIL MOT! la chiamò qualcuno. Faticò a riconoscerne il tono, troppo presa dal suo secondo bicchiere di Gin, per poi doversi voltare e chiarire a se stessa chi conoscesse il suo nome, tanto da urlarlo così nel mezzo di una discoteca all'interno del quale non avrebbe voluto neanche essere, in quel preciso istante. Quando si voltò, il volto di Wade Wilson apparve dinanzi ai suoi occhi, mentre le sorrideva beatamente, felice di vederla. Arricciò appena le sopracciglia dorate, Drasil, chiedendosi poi da dove venisse tutto quell'entusiasmo e provandone stranamente un riflesso. Liv glielo aveva detto, che era un tipo con qualche rotella fuori posto. Forse quella era la serata delle conferme. Se ne stava, Wade, in piedi accanto ad una ragazzo dai toni chiari. Non lo aveva mai visto prima, ma aveva un aspetto che, in un certo senso, la intimorì appena. Non sapeva mai cosa avrebbe dovuto aspettarsi dalla gente di quel presente, o di cosa avrebbero pensato di lei dopo averci passato circa cinque minuti insieme ed aver capito quanto fosse strana. Restò ferma per qualche istante, lei, decidendo sul da farsi. Fu solo troppo lenta, poiché Wade non perse neanche un attimo, avvicinandosi a lei e cingendole le spalle con un braccio. Strinse appena, lasciando che il corpo esile della donna si scontrasse contro il suo petto. Sollevò appena le spalle, Drasil, arresa a quella reazione esuberante da parte dell'uomo in tutina. Ecco, lui era un altro esempio di gente strana che aveva la certezza abitasse nel presente. Non aveva mai visto quel tipo di completi, nel suo passato, e l'idea che qualcuno girasse così per la città era probabilmente più impensabile per lei, che per un passante qualsiasi nato in quell'epoca. Come sta Green Arrow? E tu sweetcheeks? Che figo, non mi aspettavo di vederti in discoteca! le domandò ancora l'uomo, spingendola in direzione del tavolo al quale aveva parlato lui fino a qualche secondo prima con quel giovane uomo che lei non aveva mai visto prima. Sollevò appena il capo verso Wade, lasciando che lui la guidasse al tavolo, e gli sorrise imbarazzata. Arrossì appena sulle guance, stufa di dover chiedere sempre significati delle parole che udiva. Green Arrow? Sweetcheeks? Figo? Discoteca? che diavolo di lingua era quella? Fu incapace di rispondere immediatamente a quella domanda, chiedendosi prima di tutto come mai la testa avesse perso il proprio peso abituale, divenendo così leggera più del solito. Si sentiva stranamente felice e più coraggiosa di qualche istante prima quando -in fila per entrare in quel postaccio, aveva solo sperato di poter tornare in fretta a casa. «Tu sei il tipo strano che Liv incontra spesso!» disse lei, sorridendo dolcemente al ragazzo ed annuendo con il viso, più a se stessa che altro. «Non ho capito la metà delle cose che hai detto.» aggiunse poi, questa volta scuotendo decisa il capo. Posò il bicchiere vuoto sul tavolino e rivolse il proprio sguardo in direzione del giovane di fronte a loro, sorridendo apertamente anche a lui. Perdonami Oscar! Drasil è una mia amica, quindi spara, di cosa hai bisogno da Daddypool? chiese Wade al giovane, continuando a stringere Drasil in una sorta di abbraccio fin troppo intimo per il loro livello di conoscenza l'uno dell'altro. «Ciao Oscar!» lo salutò lei cordialmente, allungando una mano in sua direzione, come Liv le aveva insegnato a fare. Non era stata una tipa molto socievole, quando aveva vissuto con sua madre e suo fratello. Era stata gentile, cordiale, ben educata la maggior parte delle volte, ma mai aveva avuto modo di interagire per davvero con qualcuno, con l'intenzione di conoscere seriamente il proprio interlocutore. Ogni passo compiuto, ogni parola scambiata con qualcuno, avevano portato lei e la sua famiglia ad approfittare di quella persona per privarla di qualcosa che a loro invece avrebbe fatto comodo avere. Una messa in scena che l'aveva fatta vivere in una bolla di sapone per anni e di cui sembrava affrontarne solo ora le conseguenze, comprendendo quanto avesse perso del mondo e quanto le fosse stato davvero negato. Non aveva idea di cosa significasse avere un amico e se ne sorprese nel momento stesso in cui Wade pronunciò quella parola affiancata al proprio nome. Fu in quel momento che un pensiero -forse generato da quella minima percentuale di alcool in corpo, a cui tra l'altro neanche era abituata- sovvenne a quella mente ancora inesperta. Avrebbe tanto desiderato un amico, qualcuno che potesse capire come si sentiva e che potesse tappare quelle ferite sanguinose che sentiva di avere sull'anima. Era passato circa un mese, da quando era giunta in quel tempo, eppure ancora non aveva avuto modo di sfogare quel desiderio e cercare qualcosa che potesse farla stare bene. Magari quella sarebbe stata la serata giusta! «Sono Drasil, e io e Ded... Dadpol? Come si dice? Bè, non siamo ancora amici.» precisò lei, intromettendosi ancora in quel discorso con un tono di voce del tutto naturale. Non aveva idea del perché quei due fossero lì -bè, non sapeva neanche perché fosse lei lì- e presto forse l'avrebbe scoperto. Quello sì, che era un incontro strambo.
     
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    Oscar Erlend Røbbing (っ◔◡◔)っ

    "La soluzione ai problemi non è mai quella più ovvia. E' come quando per attenuare il caldo decidi di berti un superalcolico!" Era uno dei tanti insegnamenti di sua nonna, che sfoggiava perle rare della sua saggezza popolare. Non le aveva mai capite davvero a tempo debito, ma adesso si rivelavano sempre più adatte. Il problema per Oscar era capire quali fossero i suoi reali problemi attualmente. Forse non erano neanche quelli più evidenti, a cui si era abituato, e trovare una soluzione sembrava sempre più difficile se non impossibile. Marginalmente, aveva anche questo senso di calore da quando era arrivato a Besaid che non riusciva a placare, neanche dormendo con la finestra spalancata. L'unico brivido che aveva provato, era stato di paura più che di freddo: colpa di quella casa che aveva ereditato e che sembrava posseduta da qualche demone oltre aver ospitato degli omicidi molto cruenti. Sembrava una di quelle case dell'orrore che nei film hanno un loro fascino ma che dal vivo nessuno avrebbe reale motivo di visitare. Ecco perchè aveva deciso di rimanere in albergo, prolungando il suo soggiorno ed iniziando a fare i conti di quanti soldi gli rimanevano rispetto al budget che aveva preventivato prima di arrivare in Norvegia. Era evidentemente fuori luogo. E non solo lì, in quel locale, con lo zainetto in spalla e la repulsione per il caos e la folla, nonchè per il divertimento sfrenato, ma in generale a Besaid. Era una sensazione che era sicuro non sarebbe mai passata fino a quando non se ne fosse andato da lì, riprendendo il primo autobus utile dopo aver venduto quella grottesca abitazione e tutto il suo contenuto. Ecco perchè sopravviveva in quel locale: il fine per cui ci era entrato. Era lì per adempiere ad un suo dovere, e soprattutto per ricavare un po' di soldi che al momento gli erano vitali. Da quando era a Besaid riusciva difficilmente a lavorare e dallo studio iniziavano a fargli pressioni, sincerandosi che quel rapporto di schiavitù legalizzata non si allentasse troppo. Aveva rischiato di mandare i suoi superiori a fare un bel giro in quel paese che tutti nominavano spesso, ma si era salvato smorzando la rabbia e fingendo che la linea fosse interrotta a Besaid. Aveva spento il telefono, e per l'uso che ne faceva non era un dramma, e si era preso una giornata d'aria, simile a quell'ora che viene concessa anche ai carcerati.
    Nella vita si sentiva un po' carcerato. Ma non uno di quelli colpevoli di un reato tanto grave da meritarsi quella punizione. Lui era uno di quelli incastrati dal sistema, accusato ingiustamente e lasciato a marcire senza possibilità di difesa. Sorseggiò il suo gin lemon smettendo di pensare a tutto questo e si dedicò piuttosto alle persone che passavano di tanto in tanto nel privè o che si muovevano ballando sulla pista, nell'invano tentativo di individuare il suo interlocutore. Poteva essere quel tizio moro al bancone, sulla quarantina, che beveva birra e mangiava noccioline come se non ci fosse un domani, senza accorgersi che il bottone della camicia che finiva sulla pancia lo aveva salutato chissà da quanto tempo, scoprendo un dettaglio terrificante: la canottiera color perla. Oppure poteva essere il ragazzo riccioluto che era attorniato da ragazze ed era intento a limonarle tutte, una dopo l'altra. O ancora poteva essere il proprietario del locale, o il tizio stesso che gli aveva servito il gin lemon. Aveva troppe poche informazioni per capirlo da solo.
    "Hei dolcezza." L'ultimo che lo aveva chiamato in quel modo si era ritrovato una birra svuotata in testa, ed un dito rotto. Non era un tipo romantico, Oscar. Non credeva nei sentimentalismi, nelle smancerie. E detestava gli uomini attempati che per far sembrare attraente la loro tarda età si comportavano come se avessero a che fare con dei bambini, utilizzando termini come "dolcezza" seguiti da proposte oscene. Stava già per replicare e cacciare quel tipo, chiarendo che poteva bersi un gin lemon da solo in un pub senza per forza dover essere importunato, perchè anche la solitudine ha il suo fascino e sicuramente non era un pretesto per finire nel letto di un uomo malato di sesso, e probabilmente sposato e con figli, quando quella stessa voce si presentò. Era proprio l'uomo che doveva incontrare. Dead Pool. Non sapeva se fosse uno scherzo, sembrava un ragazzo fisicamente prestante, nascosto da una maschera di carnevale per bambini con poca immaginazione. Si rimproverò, ricordandosi le parole di sua nonna: non avrebbe dovuto dare retta a quel tipo per avere soldi facili. La soluzione ai problemi non è mai quella più ovvia.
    « Si, sono io. Non ti chiedo neanche come tu mi abbia riconosciuto. Comunque credo che James Bond ti abbia rubato la battuta! » Cercò di essere ironico e di prendere tutta quella situazione con estrema filosofia e con un sorriso. Alla fine non aveva niente di perdere, e quell'uomo mascherato sembrava sapere il fatto suo. Gli strinse la mano, in un formalismo eccessivo, poi d'improvviso il tizio mascherato si alzò in piedi gesticolando. Sembrava quasi che volesse dare un allarme bomba all'interno del locale per fare evaquare tutti, tanto che Oscar sobbalzò guardandosi intorno indeciso se alzarsi ed andarsene o se fare finta che fosse tutto normale. Ci volle un po' ad Oscar per capire che si stesse rivolgendo ad una ragazza, e non riuscì ad evitare un altro lungo sorso di gin lemon. Ci mancava solo che adesso quei due iniziassero a copulare per rendere quella serata fuori da ogni limite della decenza. Daddypool, o almeno così si era chiamato il tipo, gli presentò la sua amica, Drasil. Strinse la mano anche a lei, rivolgendole un sorriso. Sembrava gentile, ma soprattutto stranita almeno quanto lui, due caratteristiche che lo indussero a pensare che forse non sarebbe stata proprio un disastro quella sera. Il sorriso si trasformò in una breve risata quando questa chiarì che non erano amici. Gli piacevano le persone che avevano carattere, e pur non conoscendoli, quei due sembravano averne davvero.
    « Piacere mio Drasil. Tu non hai una maschera? » Sempre la sua solita lingua lunga. La verità era che se lo avesse saputo si sarebbe portato una maschera pure lui. E comunque avrebbe dovuto combattere con la sua curiosità, senza sapere il vero volto di Dead Pool e continuando ad immaginarselo in modi completamente differenti. Ma tornando alla ragione per cui avevano organizzato quell'incontro, senza più alcuna remora o inibizione, tirò fuori dallo zaino la cartellina con le foto dei quadri che doveva piazzare sul mercato posandola sul tavolo in modo che Dead Pool, ed anche la sua quasi-amica all'evenienza, potessero prenderne visione.
    « Ho ereditato questi quadri, nel mio monolocale non entrerebbero e non sono un appassionato, quindi vorrei venderli evitando però di rivolgermi ad una di quelle case d'asta o ad una galleria, che finirebbero per svalutarli. Ho anche l'atto del notaio, se non vi fidate e pensate che li abbia rubati. » Con quelle parole aveva praticamente detto tutto di sè. Che aveva bisogno di soldi, che aveva perso un parente (praticamente sconosciuto, ma pur sempre un parente), che era solo e viveva in un monolocale, che non si fidava delle istituzioni ma che rispettava la legge. Non era certo che Dead Pool e la sua quasi-amica non lo avrebbero fregato, e non capendone molto di arte sarebbe stato anche molto facile farlo, ma almeno c'era una percentuale di dubbio che con le case d'asta o le gallerie d'arte non c'era. Bevve ancora un po' del suo gin lemon, combattendo con il ghiaccio che gli impediva di raggiungere il liquido in purezza e tornò a guardare gli altri due in attesa di un loro responso. Gli avevano detto che "un lavoro del genere per Dead Pool sarebbe stato facilissimo" e lo sperava perchè non aveva così tanto tempo da passare a Besaid.
     
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    L'espressione di Oscar era a dir poco contrariata, non appena incontrò le fessure bianche che riconducevano agli occhi di Wade. Le sopracciglia aggrottate e la tensione del corpo del ragazzo fecero capire al mercenario che lì per lì non l'aveva riconosciuto; effettivamente, come poteva, dato che poche persone conoscevano il vero volto di Deadpool? Qualche secondo dopo però, i lineamenti del viso del giovane divennero più rilassati, lasciando spazio ad una sensazione di sorpresa. Evidentemente si era appena reso conto chi fosse la persona che aveva di fronte e che lo osservava curioso. « Si, sono io. Non ti chiedo neanche come tu mi abbia riconosciuto. Comunque credo che James Bond ti abbia rubato la battuta! » Ridacchiando divertito, Wade annuì appena, apprezzando il fatto che il suo nuovo cliente avesse identificato con successo la sua reference. E' il mio lavoro sapere chi sia chi! Si, James è sempre stato un po' più sfigato di me, a cominciare dal vestire! Cinguettò il mercenario, sarcastico come sempre alludendo al proprio stile in confronto a quello elegante dello 007, mentre un sorriso compiaciuto gli si era formato sulle labbra, visibile perfino da sotto la maschera di spandex color rosso sangue. Deadpool era decisamente bravo nel suo lavoro di assassino, con le sue abilità da tracker riusciva a localizzare praticamente ogni singolo target che gli veniva assegnato, così come la posizione degli individui che gli affidavano i vari incarichi; era un po' come se lui fosse un mastino, allenato a riconoscere le tracce di qualsiasi essere umano. Sicuramente, Wade non si occupava del mercato dell'arte, ma operando nell'illegalità aveva idee parecchio chiare sul campo in cui avrebbe direzionato Oscar. Così, lui ricambiò la stretta di quest'ultimo, in un gesto pacato e professionale - forse l'unico della serata.
    Ed ecco che però, a distanza di pochi metri, le iridi attente di Wade intercettarono un viso a lui familiare: quello di Drasil Mot. Dopo averla chiamata tra la folla e fagocitata in una specie di abbraccio, il giovane iniziò ad intrattenere una leggera conversazione con la ragazza, che sembrava a dir poco disorientata dalle sue parole. Per questo, il mercenario diede la colpa alla musica; non poteva sapere delle reali condizioni della donna dai capelli dorati. «Tu sei il tipo strano che Liv incontra spesso!» Annuendo energicamente, Wade fece capire alla sua interlocutrice che aveva senza dubbio indovinato. Non si offese minimamente per il fatto di essere stato chiamato "tipo strano", poichè per lui era un dato di fatto. Si, era decisamente un tipo strano, e lo riconosceva anche lui stesso. Il rapporto di Deadpool con Liv era più lavorativo che di altra natura; anche lei si occupava, forse con un'intenzione più nobile, di eliminare persone molto cattive nascondendo la sua identità. Tuttavia, a quanto lui ne sapeva, la donna che si faceva chiamare Green Arrow non si faceva certo pagare per farlo. Il sorriso dolce di Drasil sciolse un po' il cuore di Wade, che si ritrovò a non lasciarla andare dall'abbraccio in cui l'aveva avvolta. «Non ho capito la metà delle cose che hai detto.» Ridacchiando, Wade scosse appena il capo e condusse la ragazza al tavolo dov'era seduto anche Oscar, il delizioso ragazzo che sarebbe stato suo cliente. Non preoccuparti, cappuccetto rosso sangue! Parleremo più forte! Chiarì amichevole il mercenario, sedendosi e riprendendo così la conversazione con il giovane tatuato di fronte a lui.
    Prima di immergersi in un discorso professionale, Deadpool però ritenne opportuno presentare i due ragazzi, che al momento erano sconosciuti. «Ciao Oscar!» Completamente inconsapevole di star ancora tenendo Drasil abbracciata a sè, Wade sorrise contento, nel vedere che nonostante l'incomprensione iniziale, la ragazza sembrava essere a suo agio. Solo dopo qualche secondo si accorse di avere ancora il braccio attorno alle spalle esili di lei, e per questo lo rimosse con calma, evitando di esagerare con quell'angioletto biondo. «Sono Drasil, e io e Ded... Dadpol? Come si dice? Bè, non siamo ancora amici.» Presentandosi con quel tono così naturale, nella mente di Wade fu come se fosse scattato qualcosa. Era un po' come se davvero Drasil percepisse ciò che era attorno a lei in maniera differente da lui e probabilmente anche da Oscar. Magari, conoscendola meglio, il mercenario avrebbe capito qualcosa in più sul conto di quella graziosa ragazza tanto affabile. Si dice depul tesoro... non ti preoccupare comunque, lo dirai talmente tante volte stanotte che ti entrerà in mente! Rispose con un tono amichevole Wade, lasciando scivolare ambiguità ovunque nella sua frase, conscio del fatto che se non avesse flirtato quella sera con quei due splendidi ragazzi, non ci sarebbe stata opportunità migliore! « Piacere mio Drasil. Tu non hai una maschera? » Ridacchiando divertito, Wade si portò un bicchiere a caso alle labbra, noncurante di chi fosse o di cosa ci fosse dentro, macchiando goffamente anche la maschera che gli copriva la bocca. Ahh, buono. No, Drasil non ha bisogno di una maschera, perchè è bellissima e non deve coprire delle cicatrici che la farebbero riconoscere dalle autorità Oscar baby. Si intromise gentilmente Wade, annuendo leggermente con la maschera adesso macchiata dal sorso di bevanda alcolica non identificata che era finita solo in minima parte nella gola del mercenario.
    Fu allora, che Oscar prese dal suo zaino una cartellina. Con occhi curiosi, Wade si ritrovò ad esaminarla; non sembrava essere nulla di particolare, quindi tanto valeva aspettare per avere ulteriori delucidazioni a riguardo. All'interno, erano sistemate ordinatamente le foto di quadri che il ragazzo tatuato desiderava vendere, proprio come aveva spiegato al telefono. Sapendo poco e niente di arte, al mercenario tornò in mente la sua imitazione di Bob Ross della sera prima e soffocò una risata, per poi posare una mano sul tavolo di colore nero e trascinare le fotografie verso di sè. Le prese tra le dita, sollevandole ed avvicinandole al volto, come se le stesse analizzando - senza in realtà capirci un fico secco. Mmm. Con fare oltremodo concentrato, l'ex militare osservò quelle tele dai mille colori, e pensò a quali citazioni da film e fumetti avrebbe dovuto ricordare per sembrare un esperto in materia. Per fortuna, Oscar lo fermò iniziando a parlare prima di lui. « Ho ereditato questi quadri, nel mio monolocale non entrerebbero e non sono un appassionato, quindi vorrei venderli evitando però di rivolgermi ad una di quelle case d'asta o ad una galleria, che finirebbero per svalutarli. Ho anche l'atto del notaio, se non vi fidate e pensate che li abbia rubati. » Effettivamente, il ragazzo aveva spiegato in maniera esaustiva lo stato della sua condizione. Wade era molto più ricettivo di quanto sembrasse, e poneva particolare attenzione quando gli venivano confidate delle informazioni, che per quanto futili sembrassero per lui acquisivano un valore non indifferente. Oscar aveva bisogno di denaro, ed il modo per farlo sarebbe stato sbarazzarsi di quei quadri, appartenuti ad un suo familiare che glieli aveva lasciati in eredità. Lui non sembrava particolarmente dispiaciuto nel parlarne, quindi doveva essere un parente lontano. Perchè, allora, lasciargli in eredità dei pezzi d'arte anche forse di un certo costo? Perchè lasciargli un'eredità in generale? «Ottime domande, Sherlock!» Affermò Yellow Box. Interessante! Esclamò allora Wade, che si ritrovò a formulare tutte quelle congetture nel giro di pochi secondi. Oh no, tranquillo dolcezza, mi fido sulla parola. Rispose il mercenario con fare complice, per poi tornare ad osservare i quadri. Fondamentalmente, per lui sarebbe stato lo stesso se Oscar li avesse rubati, ma aveva parlato a sufficienza col ragazzo per capire che lui non era certo un criminale. Allora, questi quadri sono sicuramente pezzi da cui puoi spremere un bel po' di soldi, devo di sicuro fare un sopralluogo e vederli dal vivo. Poi li prendiamo, li impacchettiamo, e li portiamo ad una persona che li comprerà di sicuro da te! Drasil mi farà da assistente, questo è ovvio. Riportando il bicchiere alle labbra dopo aver esposto il suo piano il più… professionalmente possibile, Wade si sporcò ancora e pronunciò qualche parola poco elegante, per poi sollevare la maschera quanto bastava per rivelare la labbra e scolarsi la bevanda alcolica. Poco dopo, lasciò le foto sul tavolo e si risistemò lo spandex, per poi alzarsi in piedi con fare vittorioso. Allora, che aspettate? Andiamo!
     
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    Non sapeva bene come comportarsi, Drasil, fra quei due. L'uno era per lei un tipo con il quale evitare di scambiarci più di una o due chiacchiere; l'altro, invece, era un totale sconosciuto con il viso da angelo dannato. Il perché di quelle due assimilazioni neanche lo sapeva. Nel suo tempo, ogni cosa era stata totalmente diversa: non aveva mai trascorso del tempo con qualcuno che non fosse un membro di quella sua stretta famiglia. Le abitudini di sua madre e la forza di suo fratello le erano sempre stati addosso come abiti aderenti, dai quali mai era stata veramente capace di fuggire. Poi, come per magia, ogni cosa era mutata e lei si era ritrovata ad essere qualcuno che mai, in tutta la sua vita, avrebbe immaginato di poter diventare. Una donna quasi autonoma, con dei grandi occhi blu curiosi e dispersivi, pronti ad accogliere in quel campo visivo ogni piccola cosa così diversa da ciò che fino a quel momento aveva già visto. Tutto era nuovo, ogni cosa era una scoperta nuova da affrontare; eppure, in certi momenti, alcune cose tornavano a richiamare il suo passato, ricordandole da dove venisse. In quel preciso istante e per i minuti che ne sarebbero succeduti, qualcosa richiamò la sua attenzione più del dovuto.
    Non preoccuparti, cappuccetto rosso sangue! Parleremo più forte! le aveva risposto Wade, ridacchiando e trascinandola comunque al tavolo più vicino a loro. Non capì esattamente come il parlare forte potesse in qualsiasi modo anche solo aiutarla a capire, ma si limitò a scuotere velocemente il capo senza darvi troppo peso, quasi volesse scacciare i punti interrogativi che avevano preso forma nella sua testa. Il ragazzo dai capelli chiari lì vicino a loro presentava uno strato di pelle ricoperto da tatuaggi a cui Drasil non seppe dare neanche bene un nome. Lo osservò velocemente, senza soffermarsi troppo con lo sguardo lungo la pelle decorata di cui faceva mostra quella sera. Si presentò quindi a lui, cercando di essere quanto più cordiale e gentile le fosse possibile, decorando il tutto con uno splendido sorriso tirato e finto, giusto per l'occasione. Non aveva idea del perché si trovasse proprio li in mezzo, ma l'idea di abbandonare quei due volti conosciuti -anche se da ben poco- non era esattamente delle più invitanti e logiche, dato che oltre loro sapeva di non conoscere neanche un'anima. Si dice depul tesoro... non ti preoccupare comunque, lo dirai talmente tante volte stanotte che ti entrerà in mente! affermò ancora una volta Wade, correggendola sulla pronuncia del suo nome, il quale naturalmente fu dimenticato dalla povera Drasil circa tre secondi dopo averlo udito. «Starti dietro è stancante.» sussurrò la poveretta, posando il proprio sguardo corrucciato sulla maschera di Wade, arricciando appena le sopracciglia e lasciando che una piccola ruga di incomprensione le si formasse appena sopra di esse. Perché mai avrebbe dovuto gridare il suo nome, quella notte? Che si riferisse a qualcosa di specifico? Arrossì violentemente, portando gli occhi sul tipo davanti a lei e cercando di stracciare via quei pensieri. Lei e Wade? Insieme in un letto? Lei che gridava il suo nome, dal piacere?! No, sicuramente aveva compreso male il tutto. « Piacere mio Drasil. Tu non hai una maschera? » rispose quindi l'altro, stringendo appena la sua mano e ponendole l'ennesima domanda strana. Sbatté appena le palpebre, la ragazza, sentendosi nuovamente e tutto d'un tratto fuori luogo. Avrebbe dovuto portarne una? era forse un incontro specifico o una festa di quel tipo? «Io, bè no. Non ne ho una. Avrei dovuto portarne una?» chiese con aria del tutto innocente. Ahh, buono. No, Drasil non ha bisogno di una maschera, perché è bellissima e non deve coprire delle cicatrici che la farebbero riconoscere dalle autorità Oscar baby. rispose l'uomo mascherato, rivolgendosi dolcemente a lei e rispondendo quindi alla domanda di Oscar. Lo trovò estremamente gentile, per questo decise di sorridergli in maniera del tutto onesta, forse per la prima volta, impedendo però al colore rossastro sulle sue guance di acquietarsi del tutto. Affondò timidamente il viso angelico nel bicchiere, provando a ricomporsi e cercando di non vergognarsi per le sue reazioni da immatura ai complimenti di uno sconosciuto o al suo sentirsi fuori luogo in un gruppo animato e misto come quello. Se solo sua madre l'avesse vista in quel momento, avrebbe sicuramente provato pena per lei, questo Drasil lo sapeva nel profondo del cuore. Eppure, d'altro canto, una parte più remota della sua stessa anima era contenta di essere altrove, di poter costruirsi una vita completamente diversa da ciò che aveva dovuto vedere sotto i propri occhi fino a quel momento. Aveva sofferto tanto, chiusa nelle mura di quella piccolissima e modesta dimora, costretta a dividere il poco spazio che aveva con lo sguardo attento e fiero della donna che l'aveva messa al mondo, costantemente carico di aspettative nei suoi confronti. Era strano e piacevole, in un certo senso, essersi liberata di ciò che la gente credeva e diceva di lei. Così, preda dei pensieri, lasciò che il proprio sguardo seguisse con noncuranza i movimenti leggeri e decisi di Oscar, il quale andò a posare delle immagini sul tavolino di mezzo a loro. Si spinse appena più in avanti, Drasil, con l'intento di guardare meglio ciò che il ragazzo avrebbe voluto mostrare loro. Non aveva idea di cosa si trattasse, ma intuì essere la ragione del suo incontro con Deadpool in quella discoteca. Erano delle foto estremamente colorate e multiformi. Le piacquero sin da subito, il che la spinse ad avvicinarsi ancora di più con il viso, lasciando che le sue mani posassero il bicchiere del long drink accanto a quei pezzi di carta. « Ho ereditato questi quadri, nel mio monolocale non entrerebbero e non sono un appassionato, quindi vorrei venderli evitando però di rivolgermi ad una di quelle case d'asta o ad una galleria, che finirebbero per svalutarli. Ho anche l'atto del notaio, se non vi fidate e pensate che li abbia rubati. » spiegò il giovane Oscar, lasciando che gli occhi di Drasil e di Wade si posassero sulle immagini. Interessante! esclamò l'uomo accanto, visibilmente interessato all'affare appena propostogli da Oscar. Drasil però, era come immobilizzata dinanzi a quelle bellissime immagini dei ritratti di cui Oscar avrebbe voluto disfarsi al più presto, in cambio di denaro. Come avrebbe potuto? Erano meravigliosi e la scusa dello spazio in casa non avrebbe dovuto essere un vero e proprio ostacolo. Lei conosceva quei quadri e conosceva colui il quale li aveva dipinti. Rinomati in tutta Besaid ai suoi tempi, Drasil e suo fratello avevano anche cercato di appropriarsi di uno di loro, con lo scopo di nasconderlo e custodirlo nella loro piccola dimora nel bosco. Non ci erano mai riusciti, e il tempo era volato così in fretta da separarla da Yggs ben prima del dovuto. «Oscar, ma sono meravigliosi, e...» s'interruppe, ascoltando ciò che Wade prese a spiegare. Allora, questi quadri sono sicuramente pezzi da cui puoi spremere un bel po' di soldi, devo di sicuro fare un sopralluogo e vederli dal vivo. Poi li prendiamo, li impacchettiamo, e li portiamo ad una persona che li comprerà di sicuro da te! Drasil mi farà da assistente, questo è ovvio. disse lui, buttandoci in mezzo il suo nome. Volle inizialmente protestare, chiedendogli da dove gli saltasse fuori quell'idea. Eppure, come un fulmine a ciel sereno, l'idea di farsi tirare in mezzo a quell'affare le piacque e non poco. Avrebbe potuto osservare quei quadri da vicino e, perché no, magari metterci finalmente le mani su uno di essi. Lo avrebbe fatto per Yggs, per tutte quelle volte in cui erano stati fermi ad ammirarli da lontano, sognando di possederne anche solo uno. Lei sapeva benissimo quanto valessero al suo tempo e poteva ben immaginare quanto, in quel presente malato nel quale si trovava in quell'istante, fossero ormai valutati. «Ci sto. Ti aiuterò.» affermò, decisa. Un guizzo negli occhi azzurri illuminarono il suo volto, per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva parte di qualcosa, qualcosa che avrebbe potuto dire di conoscere. Aveva sottratto oggetti a persone che neanche conosceva per anni e anni, imparando tecniche basilari che sua madre si era premurata di impartire loro, sempre nascosti, sempre fermi nell'ombra sapendo di non esser visti. Allora, che aspettate? Andiamo! esclamò poi Wade, vittorioso. Si sollevò accanto a lui, sottraendo le foto a Oscar con fare estremamente naturale. «Posso averle? Mi aiuteranno a capire di che tipo di, ehm... stile e pennellatura si tratta. Potrebbero essere informazioni utili.» biascicò lei, avvicinando con l'altra mano il bicchiere alle labbra e mandando frettolosamente giù l'ultimo sorso del suo drink, azione che la fece affogare debolmente, causando una breve ma ripetitiva tosse. «Scusate, non sono ancora abituata. Il massimo che bevevo nel passato era un mezzo boccale di birra artigianale, e neanche... chiacchiere, andiamo ora!» esclamò, d'un tratto fin troppo emozionata ed esaltata per la nuova avventura.
     
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    Oscar Erlend Røbbing (っ◔◡◔)っ

    Oscar era dannatamente bravo tra i banchi dell'Università, così come si trovava benissimo in biblioteca davanti ad uno dei tanti tomi enormi dove erano riversate dottrine e teorie di che i grandi maestri della giurisprudenza si erano divertiti a scrivere durante il corso degli anni. Era uno dei più bravi, ma non aveva mai preso il massimo dei voti. Il perchè era evidente: non sedeva mai in prima fila, non guardava mai dritto negli occhi il professore che spiegava, e non correva per impegnare il posto più in vista della classe; non parlava se non interpellato, senza alcuna aspettativa e senza voler prendere il centro della scena, consapevole che avrebbe dovuto dimostrare la sua preparazione agli esami; era tatuato, aveva i capelli rossi, e non si vestiva alla moda. Ecco, erano tutti motivi per i quali i professori lo detestavano, anche se agli esami non potevano negargli degli ottimi voti. Eppure mai il massimo. Quello era destinato a chi meritava la lode, a quei rampolli figli di papà che indossavano camicie firmate, cravatte dal taglio classico, ed avevano valigette da veri avvocati pur essendo ancora degli stupidi studenti in cerca di qualche raccomandazione. Probabilmente era quello il motivo che aveva trasformato Oscar nel nemico più fidato di quelli che indossavano sempre bei vestiti. Ecco, era come se lui fosse il primo a combattere gli stereotipi basati sull'apparenza, ma contemporaneamente il primo a cedervi. Perchè si, l'abito non fa il monaco, ma quando un figlio di papà indossa il suo vestito migliore è bene non fidarsi.
    Questo stesso motivo lo aveva portato a fidarsi di Deadpool, contro ogni aspettativa. E si ritrovò involontariamente ad annuire quando questi iniziò a parlare male di James Bond, del suo modo di vestire, e di quanto quelli come lui fossero degli sfigati. Magari era anche colpa di quello che Oscar stava bevendo e che gli rendeva meno chiaro il quadro generale. O forse era la situazione ad essere fuori controllo, stravagante ed inverosimile per quanto reale. Il senso di calore, completamente inarrestabile, aveva ripreso a farsi sentire ed il menù consumato lasciato al centro del tavolo di legno si trasformò ben presto in un utilissimo ventaglio col quale Oscar prese a sventolarsi, arrangiandosi come meglio poteva, mentre la situazione intorno a sè degenara in un rapido inesorabile declino. Ben presto si eclissò dal suo corpo, e fu come essere al cinema. Lo spettacolo offerto dai suoi interlocutori era fin troppo stravagante per non essere ammirato in rigoroso silenzio. Lui, con quella maschera, lanciava allusioni sessuali di basso livello, persino per frequentatori di un bar del genere; lei arrossiva, persa in quel comportamento da tredicenne in preda alle prime esplosioni ormonali. Era tutto così surreale che Oscar fu costretto a pizzicarsi il braccio per cercare di capire se fosse solo un sogno. E no, non lo era. Non si era trasformato in una Alice qualsiasi, spersa in un mondo pieno di matti pronti a declararne le meraviglie. Persino la sua ironia sembrava fuori luogo, tanto che non venne capita: non voleva consigliare alla ragazza di mettersi una maschera, affatto. Nè voleva sottintendere che avesse bisogno di nascondere il proprio volto perchè brutto. Era semplicemente una battuta, ironica, rivolta allo stile di Deadpool.
    Ad ogni modo, passarono ai fatti: Oscar mostrò le foto dei quadri e le reazioni dei suoi interlocutori furono sicuramente interessanti. Drasil ne rimase colpita. Erano belli, e non c'era motivo di negarlo. Sembrava una scelta totalmente senza scrupoli la sua, quasi di una persona priva di anima. Non era così, apprezzava l'arte, ma non avrebbe mai avuto spazio per quei quadri nel suo monolocale ed era comunque privo del valore affettivo dato che non aveva mai conosciuto suo zio o la sua famiglia. Era semplicemente un oggetto di valore di cui voleva fare tesoro, ricavandone un po' di soldo contante con cui pagare le bollette ed il pane da mettere sotto i denti. Deadpool invece sembrava più incuriosito. Non sapeva dire da cosa, ma la sua esclamazione chiariva il concetto. Non gli chiese niente, si limitò ad esporre il piano d'attacco. Parlò di "un bel po' di soldi", ed era quanto bastava ad Oscar per tirare un sospiro di sollievo. Il resto del piano era abbastanza chiaro: avrebbero visto gli oggetti, e poi sarebbero andati a venderli. Tutto molto chiaro. Meno chiara era la situazione di Drasil: era forse ubriaca? E perchè parlava di se stessa come se fosse una vecchia, quando a vederla poteva dimostrare di avere al massimo 25 anni?
    « Sei sicura di stare bene? Sembra essere la prima volta che fai la conoscenza di un superalcolico. » Constatò Oscar, alzando un sopracciglio, misto tra preoccupazione e divertimento. Era una situazione buffa. Un po' come la prima sbornia di chiunque. Tranne la sua: quella era stata davvero ridicola e non buffa. Aveva giurato di non toccare più gli alcolici, poi volente o nolente aveva rotto quella promessa. Si alzò in piedi, insieme agli altri due, pronto a lasciare il locale. Abbandonò il menù sul tavolo, proprio dove lo aveva trovato, smettendo di sventolarsi, ed iniziò a bramare l'aria aperta, la brezza della notte ed il silenzio delle strade norvegesi. D'un tratto però si fermò, e posando una mano sul petto di Deadpool ne arrestò l'uscita dal locale. Aveva ancora una domanda, ripensando alle sue parole di poco prima riguardo al piano infallibile per fare soldi.
    « Aspetta. Prima, quando parlavi al plurale, intendevi includere anche me vero? Insomma, verrò anche io con voi a vendere i quadri impacchettati, giusto? » Non voleva essere sfacciato, ma la sua domanda era più che legittima, almeno nella sua testa. Non avrebbe sicuramente lasciato quei quadri nelle mani di quei due così, senza alcuna garanzia. Chi gli diceva che non sarebbero scappati col bottino, ed avrebbero fatto i soldi solo loro? Sarebbe potuto andare benissimo con loro, da quella persona che li avrebbe comprati di sicuro. Non aveva certo paura. Aveva visto cose peggiori di un trafficante di quadri. E poi comunque non lo avrebbero lasciato solo, e non avrebbe dovuto parlare. Solo andare con loro per accertarsi che non scappassero con i quadri o con i soldi.
     
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    Era bravo, Wade, ad osservare. Non lo era sempre stato, ma aveva maturato questa abilità sin da quando era ragazzino. Aveva imparato a capire dalle espressioni facciali delle persone come avrebbero agito, aveva imparato a badare ai dettagli anche quando nessuno riusciva a coglierli, e aveva imparato ad agire su essi per neutralizzare qualsiasi minaccia - anche nell'esercito. Oscar, ad esempio, aveva detto molto di sè tramite i piccoli segni del suo corpo e dei suoi oggetti. Si, era in cerca di soldi ed era da poco a Besaid, probabilmente. Era un ragazzo dalle molteplici sfaccettature, pieno di tatuaggi eppure ordinatamente seduto con una valigetta ventiquattro ore con dentro delle foto; in più, nonostante non si sentisse chiaramente a suo agio in quella situazione nuova per lui, sembrava saper barcamenarsi in ciò che stava succedendo. Drasil, allo stesso modo, stava parlando ai sensi di Wade, che sembrava aver capito che qualcosa in lei non era nel momento. Chi se non una persona con qualche rotella fuori posto come Wade avrebbe potuto capirlo? Effettivamente, la realtà e Deadpool non andavano molto d'accordo, mentre lui cercava di dipingerne continuamente una sua versione - sempre più caotica, sempre più sua. Drasil sembrava essere una giovane posata, dolce e gentile, ed indubbiamente durante la serata si era notato. Tuttavia, il suo atteggiamento nascondeva qualcosa che Wade non era riuscito ad identificare, e si era ripromesso come scopo dell'incontro - oltre a vendere i quadri di Oscar - di scoprire di cosa si trattasse. Allungando un braccio in direzione di Wade, il ragazzo dai capelli rossi agguantò un menù e si sventolò con esso mentre il mercenario era impegnato a parlare con la donna.
    «Starti dietro è stancante.» Commentò Drasil, esausta dalla conversazione che stava avendo con Wade. Potrei risponderti con qualcosa di sconcio, ma visto che sei un angioletto caduto dal cielo per illuminarci con la tua presenza eviterò. Rispose immediatamente il mercenario, per poi continuare, battuta dopo battuta, a costruire allusioni fin troppo chiare, tant'è che la ragazza arrossì vistosamente. «Ohhh ma è adorabile non trovi?» Domandò White Box a Yellow Box, il quale non tardò a rispondere. «Si! Guarda quelle guanciotte rosse. Abbiamo sconvolto Drasil!» Aggiunse la seconda voce, senza però alzare il tono in modo da rendere difficile a Wade di continuare a parlare alla dolce donna dai capelli biondi. Fu allora, che Oscar entrò nella conversazione, chiedendo ironicamente se anche Drasil portasse una maschera. «Io, bè no. Non ne ho una. Avrei dovuto portarne una?» Domandò allora la ragazza, e a questo punto Wade decise di entrare in azione e rispondere subito dopo di lei. Come mai lei aveva chiesto qualcosa del genere? Non aveva forse capito che si trattava di una battuta? Che pensasse che ci fosse una serata a tema al Bolgen? Di nuovo, quella sensazione di spostamento nell'identità di Drasil colpì Wade, mentre rispondeva al bel ragazzo davanti a lui. Proprio i complimenti, la donna sembrò gradire, rivolgendo al mercenario un sorriso luminoso e genuino, ancora un po' rossa in volto mentre si dedicava con fin troppa attenzione al suo drink. « Sei sicura di stare bene? Sembra essere la prima volta che fai la conoscenza di un superalcolico. » Constatò Oscar, alzando un sopracciglio, misto tra preoccupazione e divertimento. Effettivamente, il giovane aveva ragione; per quanto Drasil sembrasse star bene, sembrava sicuramente che non fosse una assidua bevitrice, oppure, si stava godendo il cocktail un po' come se stesse trasgredendo ad una regola impartita dai genitori, come il coprifuoco o altre punizioni simili.
    Una volta che furono tutti un po' più tranquilli, Wade osservò con attenzione i dipinti, con l'intenzione di fingersi un esperto d'arte e dare un'opinione autorevole ad Oscar, ma prima che potesse farlo, Drasil si allungò leggermente verso le fotografie. «Oscar, ma sono meravigliosi, e...» Troppo tardi, il mercenario chiacchierone aveva già iniziato il suo sproloquio, in cui chiariva con certezza assoluta che tutti quei quadri sarebbero stati venduti. Avrebbe mai detto la verità ad Oscar riguardo la propria professione? Probabilmente si, considerate le premesse della serata! Nel tirare in ballo Drasil, Wade non pensò alle conseguenze: lei avrebbe potuto farsi male, ma se ci fosse sempre stato lui a dare un occhio sia su di lei che su Oscar, tutto sarebbe andato come previsto senza alcun… defunto. «Ci sto. Ti aiuterò.» Confermò convinta la donna bionda, al che il mercenario si voltò, guardandola stupito, per poi lasciarle un leggero "pat-pat" sui capelli. Perfetto, allora è fatta! Si entusiasmò Deadpool, per poi finire il drink della persona del tavolo dietro il loro ed alzarsi, pronto ad uscire dalla discoteca. «Posso averle? Mi aiuteranno a capire di che tipo di, ehm... stile e pennellatura si tratta. Potrebbero essere informazioni utili.» Nonostante le parole di Drasil non fossero state pronunciate molto ad alta voce, considerando il volume allucinante a cui erano tutti sottoposti, Wade aveva percepito ogni singola parola, e soprattutto ogni esitazione. Certo che si! Non è vero Oscar, può tenere le foto? Lei ha un occhio molto attento e scrupoloso, garantisco! Commentò il mercenario, mentre la ragazza si affrettava a bere un drink che molto probabilmente non avrebbe retto nel migliore dei modi - già a giudicare dalla tosse che la prese poco dopo. «Scusate, non sono ancora abituata. Il massimo che bevevo nel passato era un mezzo boccale di birra artigianale, e neanche... chiacchiere, andiamo ora!» Voltando di scatto il volto coperto verso la donna dai capelli biondi, Wade aggrottò visibilmente le sopracciglia. Avvicinandosi a Drasil, il giovane si chinò leggermente sino a sfiorare il suo orecchio con le labbra coperte dallo spandex color cremisi. Nel passato? Parli come se fossi una vecchietta intrappolata nel corpo di una bella biondina! Sei una specie di Dorian Gray o Marty McFly? Molto figo, devi parlarmene dopo, honeybee. Sussurrò il mercenario, sorridendo amichevolmente a Drasil, prima di avviarsi verso l'uscita della discoteca.
    L'incedere sicuro di Deadpool però fu fermato dalla mano di Oscar, che gli si piazzò sul petto per fermarlo. «Aspetta. Prima, quando parlavi al plurale, intendevi includere anche me vero? Insomma, verrò anche io con voi a vendere i quadri impacchettati, giusto? » Abbassando lo sguardo per qualche attimo, Wade appoggiò affettuosamente una mano su quella di Oscar, per poi annuire lentamente e ridacchiare. Ma certo babe, intendevo anche te! Del resto, sei tu quello che deve ricevere i bigliettoni. Commentò il mercenario, per poi prendere la mano del ragazzo e fare lo stesso con quella di Drasil, e zompettare fino al parcheggio. Guardandosi intorno, Deadpool puntò una scintillante Lamborghini nera, e vi si avvicinò, per poi lasciare le mani ai ragazzi e scassinarne l'apertura. Tutti dentro! La stiamo solo PRENDENDO IN PRESTITO. Okay? Non montatevi la testa! Dopo aver concluso l'affare la riporteremo alla persona ricca che non ne ha assolutamente alcun bisogno. Ahh, il capitalismo! Che fate lì impalati pasticcini? Tutti su! Gesticolando per enfatizzare il proprio discorso, Wade entrò in macchina, sembrando ancora più strano del solito proprio perchè vestito in abiti civili dal collo in giù. Una volta chiuso lo sportello ed assicuratosi che anche Drasil e Oscar si fossero messi comodi, il giovane fece partire la macchina e si diresse verso il maniero in cui erano custoditi i quadri che il ragazzo dai capelli rossi desiderava vendere. Ah! Oscar non chiedermi come so dove si trova casa di tuo zio. Lo so e basta baby. Asserì il mercenario tranquillamente, mentre allungò l'indice per accendere la radio. Aprendo leggermente di più gli occhi dalla sorpresa, Deadpool sorrise e iniziò a tamburellare le dita sul volante. UUUH E' UNA DELLE MIE PREFERITE! I'm lying alone with my head on the phone, thinking of you till it hurts. I know you hurt too but what else can we do, tormented and torn apart. I wish I could carry your smile and my heart! For times when my life seems so low, it would make me believe what tomorrow could bring, when today doesn't really know, doesn't really know. I'm all out of love, I'm so lost without you! I know you were right believing for so long! I'm all out of love, what am I without you! I can't be too late to say that I was so wrooooong! Mentre cantava quella canzone super romantica, intonato anche se a squarciagola, Wade guidava verso casa dello zio di Oscar, godendosi la Lamborghini rubata abbassando un finestrino ed appoggiando un gomito fuori. Dopo qualche minuto, parcheggiò davanti al cancello, per poi far uscire i suoi due improbabili compagni d'avventura. Portandosi le mani ai fianchi, il mercenario si voltò verso Oscar. Immagino che tu abbia le chiavi, oppure devo aprirlo io? Domandò curioso, lasciando emergere da dietro la schiena una pistola automatica. Dobbiamo vedere tutti i quadri e poi prendere un sacco di giornali e scotch! Non possiamo mica portarli da Terje così. Asserì lui, pronto ad entrare e con un piano ben preciso i mente per la serata. Se tutto fosse andato come previsto, quei quadri sarebbero stati venduti - e non ci sarebbe neanche scappato il morto!
     
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    Aveva vissuto il pericolo, Drasil. Lo aveva sentito scorrere nelle vene veloce come il battito d’ali di un colibrì, come se fosse da sempre stato parte di lei. Aveva provocato, mentito, soggiogato, protetto e ferito; aveva visto cose che mai avrebbe dimenticato. Era stata sempre un po’ distante da tutto il resto, vivendo continuamente nel suo mondo, quello posto all’esterno della società, lontano da occhi che non conosceva e con le mani pronte ad afferrare anche ciò che non era suo. Le era stato insegnato questo, e per tutta la vita aveva creduto che bastasse, che fosse il destino scelto per lei. Non avrebbe voluto cambiarlo, certamente, eppure qualcosa era avvenuto e lei si era ritrovata catapultata in una realtà ben diversa dalla propria, così distante e così fittizia. L’incontro casuale in quella discoteca divenne, con sua grande sorpresa, una delle avventure più interessanti alle quali prendeva parte da ormai giorni. Sebbene Liv l’avesse abbandonata lì in mezzo a quel caos, senza spiegarle chissà cosa ed evitando, oltretutto, di comunicarle quanto tempo vi avrebbe impiegato per far ritorno, Drasil si era ritrovata a girovagare in mezzo a quei corpi sudaticci, cercando di sentirsi parte di quell’agglomerato di gente in vena di far festa. Non ci era riuscita, naturalmente; almeno fino a quando aveva incontrato il viso conosciuto di deadpool. Era stata attirata, quindi, al tavolino presso il quale si trovava il ragazzo il compagina di un altro giovane che, però, lei non aveva ancora mai visto prima. Un tipo abbastanza tranquillo e dai bei lineamenti, i quali immediatamente ispirarono un positivo senso di fiducia in lei, a differenza di quanto potesse invece fare la presenza di Wade, appiccicato a lei come una cozza. Anche se, avrebbe dovuto ammetterlo, quell’estroversa personalità che il tipo con la maschera indossava riusciva a metterla indubbiamente a suo agio. «Sei sicura di stare bene? Sembra essere la prima volta che fai la conoscenza di un superalcolico.» le domandò quindi il ragazzo dai capelli rossicci, sollevando appena un sopracciglio con aria divertita. Annuì solennemente, Drasil, mandando giù frettolosamente un altro sorso e ricascando nella tosse provocata dall’alto grado alcolico della sua bevanda. «Bè, non è esattamente la prima, ma non ho mai bevuto qualcosa di così alcolico. E’… strano. E un po’ amarognolo.» constatò la bionda, allontanando da se il bicchiere per guardarlo meglio e strizzare appena un occhio nell’avvertire il retrogusto aspro che le invadeva la lingua e la gola, fino a raggiungere lo stomaco. Nel passato? Parli come se fossi una vecchietta intrappolata nel corpo di una bella biondina! Sei una specie di Dorian Gray o Marty McFly? Molto figo, devi parlarmene dopo, honeybee. - la voce di Wade risuonò estremamente forte vicino alle sue orecchie, tanto da spingerla a spostarsi di qualche centimetro da lui. Sollevò appena le spalle, sbattendo più velocemente le palpebre e spalancando poi quegli occhioni chiari, puntati sul viso mascherato dell’uomo. «Io non ho la più pallida idea di chi siano.» rispose, questa volta con più leggerezza. L’effetto dell’alcool stava prendendo vita dentro la sua testa, tanto da percuoterla appena e toglierle un po’ di stabilità che normalmente si possedeva. Per un momento, difatti, l’intera discoteca sembrò rotearle intorno, riposizionandosi nello stesso modo in cui l’aveva trovata non appena vi aveva messo piede. Posò quindi il bicchiere sul tavolino accanto al quale avevano discusso fino a quel momento, afferrando le immagini e stringendole contro il proprio petto, pronta a muoversi e seguire i due ragazzi al di fuori della discoteca. Fu in quel momento che Oscar interruppe l’andamento di Wade, imponendosi dinanzi a lui e bloccandolo con una mano posata sul petto. «Aspetta. Prima, quando parlavi al plurale, intendevi includere anche me vero? Insomma, verrò anche io con voi a vendere i quadri impacchettati, giusto? » spiegò, cercando di comprendere a sua volta quali fossero realmente i piani dei due. Di fatto, Drasil non aveva proprio nessun piano, anzi: si era ritrovata nella faccenda senza neanche aver compreso appena cosa vi fosse realmente di mezzo. L’unico pensiero che in quel momento le frullava nella mente riguardava i quadri che aveva visto poco prima in foto e che, in quel momento, stringeva con vigore fra le mani. Ma certo babe, intendevo anche te! Del resto, sei tu quello che deve ricevere i bigliettoni. gli rispose quindi il mercenario, afferrando poi la mano del ragazzo e quella di Drasil e conducendoli -in quella maniera- all’esterno del locale. Si lasciò trascinare senza opporre troppa resistenza, la donna dai lunghi9 capelli dorati e lo sguardo sognante, zampettando accanto ai due e tentando di mantenere lo stesso passo. Si fermarono in prossimità di un auto, o meglio, una specie di cassettone lungo e scuro, lucidissimo; s’immobilizzò un istante, Drasil, fissando il proprio sguardo sulla vernice nera dell’auto sulla quale sarebbe dovuta salire. Tutti dentro! La stiamo solo PRENDENDO IN PRESTITO. Okay? Non montatevi la testa! Dopo aver concluso l'affare la riporteremo alla persona ricca che non ne ha assolutamente alcun bisogno. Ahh, il capitalismo! Che fate lì impalati pasticcini? Tutti su! urlò appena Wade, scassinando l’auto ed aprendo la portella per far salire i due a bordo. Scosse appena il capo, la bionda, corrucciando appena le sopracciglia ed arricciando appena le labbra, insicura di ciò che stava per fare. Sospirò appena, facendosi coraggio e mettendo un piede sul tappetino dell’auto, al suo interno, dandosi una spinta con la gamba e gettandosi a sedere sui sedili di dietro, lasciando quindi il posto di fianco all’autista per Oscar. Si sistemò nel mezzo dei sedili, osservando Wade e Oscar seguirla e chiedere le portiere. «E’ sicura?» chiese a Wade e Oscar, sporgendosi appena oltre i sedili anteriori così da avere il viso nel mezzo. Restò lì per qualche secondo, osservando la strada buia dinanzi a loro mentre Wade, totalmente tranquillo, aveva il pieno controllo dell’auto. UUUH E' UNA DELLE MIE PREFERITE! I'm lying alone with my head on the phone, thinking of you till it hurts. I know you hurt too but what else can we do, tormented and torn apart. I wish I could carry your smile and my heart! For times when my life seems so low, it would make me believe what tomorrow could bring, when today doesn't really know, doesn't really know. I'm all out of love, I'm so lost without you! I know you were right believing for so long! I'm all out of love, what am I without you! I can't be too late to say that I was so wrooooong! prese a cantare allora il tipo mascherato, come se guidare quell’auto fosse la cosa più naturale del mondo. Dopo una curva, però, Drasil vide le proprie paure farsi immagine: delle auto sulla corsia opposta venivano nella loro direzione, come nella più normale delle situazioni automobilistiche. L’unico problema era, però, che la giovane donna non era ancora mai salita su nessuna auto. Inspirò violentemente dal naso, serrando le labbra e gettandosi con le spalle contro lo schienale, dietro di lei, schiacciando il proprio corpo contro i sedili ed allargando le braccia per portare le mani sul tessuto di pelle scura che ne rivestiva le forme. Premette contro quella superficie fredda, quasi volesse fermare il movimento dell’auto controllata dai piedi veloci e consci di Wade, alla guida. «OH, PER TUTTI I CIELI, CHE ODINO ABBIA PIETA' DI NOI!» esclamò, spaventata, appena dopo che le macchine furono solo un ricordo alle spalle della loro Lamborghini presa in prestito. «ABBIAMO SFIORATO LA MORTE.» gracchiò ancora, il respiro affannoso che le muoveva il petto ad intervalli regolari. Fu quindi particolarmente felice nel momento in cui Wade arrivò dinanzi al cancello della grande casa, pronto ad entrare. Sebbene ancora particolarmente scioccata, l’attenzione di Drasil venne completamente rubata dai tratti dell’abitazione che si ritrovarono a fronteggiare in quel preciso istante. Scese giù dall’auto, avvicinandosi al cancello ancora prima degli altri due, ed afferrò le staffe di metallo, attorcigliando le propria dita ad esse e andando ad incastrare parte del proprio volto fra di esse, come se da quella prospettiva avrebbe potuto raggiungere la casa prima di tutto con i propri occhi, studiandola meglio con lo sguardo chiaro e curioso di cui disponeva. «Wow.» esclamò ancora una volta stupefatta da tanta bellezza. Era tutto non solo così strano, ma anche così nuovo per lei, che aveva vissuto una vita fra quattro mura di legno perdute in mezzo agli alti arbusti di un bosco, lo stesso che aveva calpestato in quel presente, ritrovandoci un bel niente della propria verità. Si voltò quindi verso Oscar, le mani ancora aggrappate al metallo del cancello che li separava dalla dimora. «E’ la tua dimora?» chiese, spalancando appena gli occhi e rimanendo ancora troppo estasiata da quelle visioni. «E’ meravigliosa!» si complimentò, spostandosi dal cancello e lasciando che Oscar potesse aprirlo per lasciarli entrare. «E’ qui che tieni i quadri?» le domandò, ormai preda della curiosità e della sua strana parlantina. Dobbiamo vedere tutti i quadri e poi prendere un sacco di giornali e scotch! Non possiamo mica portarli da Terje così. spiegò nel mentre, Wade. Al che Drasil annuì con certezza, pronta a procurare tutto ciò di cui il mercenario avrebbe avuto bisogno, pur di far parte di quel progetto e carezzare con le proprie mani uno di quei stupendi reperti d’arte.
     
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    Oscar Erlend Røbbing (っ◔◡◔)っ

    Nel gioco dell'individuare i propri pregi e difetti, Oscar era veramente pessimo: aveva vissuto più volte quel momento di imbarazzo ed indecisione, l'ultima durante il colloquio di lavoro per lo studio legale per il quale lavorava. Ed il problema non era tanto la mancanza di consapevolezza di sè, quanto piuttosto nel distinguere cosa potesse essere considerato un pregio e cosa un difetto. Non era la classica storia del bene e del male, del buono e del cattivo. Era una questione di valutazione, che probabilmente non sarebbe mai stato in grado di fare. Ad esempio, la sua capacità di osservare: poteva essere considerato un pregio? In fondo era un buon osservatore, ascoltava in silenzio e si lasciava attrarre dai dettagli. O forse era più un difetto? Uno di quei disturbi della psiche che lo rendevano un po' ossessivo? Non ne era sicuro, ma non era un suo problema al momento, anche perchè era più attento ad osservare i suoi due interlocutori, che avevano catturato al cento per cento la sua concentrazione. Da un lato c'era Drasil, con quei suoi modi di fare così eleganti, gentili, ma al tempo stesso tipici di quelle persone stralunate che non si rendono conto di essere al Mondo. Era come se cascasse ripetutamente dalle nuvole, accorgendosi solo di volta in volta che intorno a lei accadeva qualcosa. E poi con quel superalcolico era davvero divertente, uno spettacolo della natura. Lo definì "amarognolo" ed in effetti poteva essere la definizione più corretta, ma anche quella che poteva dare un bambino al suo primo cocktail. D'altro canto non conosceva neanche Dorian Gray o Marty McFly, il che poteva farle perdere molti punti perchè significava che non era una appassionata di letteratura nè di cinema, e senza quelle due cose Oscar poteva dirsi perduto. Magari era il suo modo per essere ironica, ma le sue parole sembravano così serie che probabilmente davvero non conosceva Dorian Gray. Dall'altro lato c'era Deadpool, sfrontato, simpatico, sicuramente con una maschera non solo fisica ma anche caratteriale, a nascondere ciò che era veramente. Il che lasciava Oscar interdetto: quanto poteva fidarsi di lui? Si sentiva come Pinocchio al fianco del gatto e della volpe, con poche monete in mano a lasciarsi convincere dell'esistenza di un campo santo in cui potevano nascere degli alberi di monete. Tuttavia non sembravano cattivi come il gatto e la volpe quei due, anzi, sembravano simpatici ed intenti a guadagnare senza lucrare su di lui. Che poi, a volerla dire tutta, non era neanche un vero reato quello che stavano per commettere, bensì si trattava di vendere dei quadri, legalmente acquistati, per raccimolare dei soldi. Da solo non ci sarebbe mai riuscito ed avrebbe perso comunque dei possibili guadagni in commissioni. Chiarito il concetto che sarebbero comunque rimasti insieme durante tutto il periodo della transazione, decisero di uscire dal locale. Per farlo, Deadpool gli afferrò la mano. Un gesto apparentemente normale e senza nessun tipo di malizia, ma ecco che un altro difetto di Oscar faceva capolino manifesto nei suoi occhi che si sbarrarono improvvisamente, mentre raggelava - pur continuando a soffrire il calore di quel posto. Non era abituato al contatto fisico, soprattutto con gli uomini. Quella mano presa così istintivamente senza che avesse il tempo di realizzare il tutto gli provocò un improvviso imbarazzo.
    Uscirono dal locale, comunque, nel silenzio. Oscar non riuscì a dire proprio un bel niente, concentrato com'era su quella presa salda ma gentile. La curiosità di sapere chi si celasse dietro la maschera era forte, ma in quel momento passò in secondo piano. E poi c'era il silenzio dell'esterno del locale. Il contrasto con il caos interno era enorme: niente più risate, chiacchiericci, musica assordante ed urla di vario genere. Semplicemente il tanto amato silenzio che lo cullava praticamente ogni sera, alla luce nitida della luna e delle stelle, o ancora più spesso del televisore o della lampada sul comodino. Arrivarono davanti ad una macchina. Una bellissima macchina nera. Non che Oscar fosse un esperto di macchine, anzi era una frana con le marche, ma sapeva riconoscere una macchina costosa come quella da una comune automobile. Sembrava quasi strano che fosse parcheggiata lì, ed ancora più strano che fosse di Deadpool, il quale si premurò di precisare che la stavano rubando. Avvampò: non era per niente abituato ad infrangere le regole, e soprattutto la legge in modo tanto evidente ed egoistico. Ma era anche eccitante. Una di quelle cose che da ragazzino non aveva mai potuto fare per non creare problemi e preoccupazioni alla nonna che era responsabile per lui, e che adesso lo facevano tornare indietro nel tempo rendendolo meno razionale di quanto in realtà non fosse. Salirono in macchina, e cavolo se non era bella! Persino i sedili erano super comodi.
    « E' la prima volta che "prendo in prestito" un'auto. Non sei ubriaco vero? Magari evita di investire qualcuno o di farci schiantare contro un albero. » Era l'unica raccomandazione che si sentì di fare all'autista il quale mise in moto e partì con una maestria da brividi. Gli stessi brividi che provò Drasil, la quale iniziò ad urlare, senza perdere la sua naturale compostezza. Sembrava anche che appartenesse ad una strana religione celtica, che magari era cosa comune lì in Norvegia. Oscar era ateo, non riusciva ad affidarsi ad entità sovrannaturali ed a credere in cose troppo più grandi di lui. Era uno che non si faceva troppe domande sul perchè delle cose. E soprattutto non voleva sapere perchè diavolo Deadpool alla guida conoscesse la via di casa meglio di lui. Non si era ancora abituato a quelle strade, si perdeva sempre, e soprattutto non era andato così spesso in quella casa, continuando ad alloggiare in albergo piuttosto che passare lì la notte da solo. Era inquietante. Semplicemente inquietante. Forse per la struttura antiquata, forse perchè un po' isolata, forse per il colore della facciata o per le ampie finestre.
    « Ti ringrazio, Drasil, ma devo confessare che questa casa mi mette i brividi. » Sceso dall'auto, Oscar si premurò di aprire lo sportello anche alla ragazza facendola scendere. Deadpool intanto si propose di aprire la porta, con una pistola, ma Oscar sorrise immaginando che fosse finta e che stesse ironizzando. Era così, vero? Si incamminò davanti ai due facendo strada verso la porta. Si abbassò per prendere qualche giornale di quelli lanciati sul porticato ed ammucchiati con il tempo: erano vecchie edizioni del quotidiano locale, che lo zio leggeva. Se potevano servire, era un vero piacere per Oscar liberarsene. Aprì poi la porta di casa, che cigolò come quelle dei film horror, e con la mano andò subito a cercare l'interruttore della luce. Il lampadario centrale aveva qualche lampadina fulminata, ma almeno funzionò illuminando l'ampio salone del piano terra. C'erano un paio di scatoloni sparsi in giro: erano cose che Oscar aveva ordinato e che aveva suddiviso tra quelle da vendere, quelle da donare in beneficienza, e quelle da tenere. I mobili erano ancora tutti al loro posto, così come la maggior parte delle cose in realtà. Dietro al divano, appoggiati alla libreria, ecco i quadri. Li indicò ai due, in attesa del loro responso. « Sono in buono stato, credo. Li ho spolverati. E vi offrirei qualcosa, ma non credo ci sia niente di commestibile in giro... » Davvero un pessimo padrone di casa, niente da dire. Sua nonna lo avrebbe rimproverato perchè si raccomandava sempre di non farsi trovare dagli ospiti senza qualcosa da bere o da mettere sotto i denti. Ma era anche vero che quella non era casa sua, e che non ci aveva mai passato più di un'ora consecutiva. Era la prima volta che ci entrava di notte, ed era una esperienza che non avrebbe voluto ripetere.
     
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    «Bè, non è esattamente la prima, ma non ho mai bevuto qualcosa di così alcolico. E’… strano. E un po’ amarognolo.» Drasil, agli occhi di Wade, era avvolta da un mantello di innocenza che non la lasciava mai. Non aveva idea di quale fosse la sua storia, a parte il suo rapporto con Liv. Sarebbe stato interessante scoprire per quale motivo sembrava essere affascinata o incuriosita dalle cose più semplici, lei quasi sembrava essere piombata all'improvviso a Besaid nel 2018, e considerati gli effetti della cittadina, il mercenario non poteva certamente escluderlo. Annuendo con energia alle parole della ragazza, il giovane sorrise e la osservò. Yup, si chiamano superalcolici baby. E sono amarognoli. Le spiegò Wade, un po' come se stesse cercando di riorientarla con le sue parole. La biondina sembrò essere particolarmente confusa - e sopraffatta - dagli effetti dell'alcool, conseguenza che però sembrò essere momentanea. La conversazione proseguì ed il mercenario iniziò a tastare il terreno, menzionando figure come Dorian Gray che non può invecchiare, e McFly che viaggia nel tempo. Quale dei due era Drasil? «Io non ho la più pallida idea di chi siano.» La risposta sembrò celarsi tra le righe, dato che la ragazza non sembrava aver riconosciuto nessuna delle due figure - una letteraria e l'altra appartenente alla cultura pop. Puntando qualche attimo gli occhi su di lei, Wade si chiese cosa davvero si celasse nella ragazza. E se provenisse da un luogo/tempo/dimensione persino antecedente a Oscar Wilde e l'epoca vittoriana? Drasil quindi posò nuovamente il bicchiere sul tavolo, per poi prendere le fotografie dei quadri di Oscar. Pronto ad uscire e proseguire con questa operazione salva-quadri, Wade si avviò verso l'uscita, fermato però dall'altro uomo, che si volle assicurare che tutto fosse regolare - o quantomeno, che fossero tutti insieme, qualsiasi cosa Wade fosse in procinto di fare.
    Prendendo per mano i suoi due compagni d'avventura, il mercenario si diresse senza alcuna esitazione vicino ad una macchina di grossa cilindrata, lasciata davanti al Bolgen forse proprio per ostentare la ricchezza del suo padrone. Wade sapeva di vivere agli estremi, sempre; le sue emozioni, le sue reazioni, i suoi pensieri e le sue azioni raramente ricalcavano il comportamento di una persona "posata" e "per bene". Eppure, era proprio per questo suo modo di essere che lui provava orgoglio; non voleva essere come gli altri, non voleva essere "normale". Tutta la sua vita l'aveva plasmato in un certo modo, e lui non avrebbe voluto modellarsi ad un nuovo stampo. Per questo, quando decise di trascinare con sè Drasil ed Oscar, e di rubare quella Lamborghini, il giovane non pensò neanche per un momento alla paura di essere scoperto - peggio per chi aveva lasciato lì la macchina incustodita! Al fianco di Oscar e Wade trotterellava Drasil, più minuta dei due uomini; arrivati in prossimità dell'auto, il mercenario si avvicinò ad essa e lasciò con calma le mani dei due ragazzi, per poter scassinare l'entrata ed entrare nella vettura. Per essere costosissima, non aveva neanche un sistema di localizzazione GPS per tracciare la posizione della macchina in caso di furto - meglio di così non poteva andare! Nel momento i cui Wade accennò ai suoi due compagni che avrebbero preso in prestito la Lamborghini scintillante, Oscar arrossì, più agitato di prima. Tranquillo baby, non ci beccherà nessuno! Trillò allora il mercenario, aprendo gli sportelli per entrambi stile valletto, e dopo aver fatto ciò salì in auto. « E' la prima volta che "prendo in prestito" un'auto. Non sei ubriaco vero? Magari evita di investire qualcuno o di farci schiantare contro un albero.» Ridendo divertito e rilassato, mentre cercava i fili per far partire la macchina, Wade scosse appena il capo, poi portarsi una mano sul cuore. Giurin giurello, parola di lupetto! Promise lui, per poi voltarsi e dare un'occhiata anche a Drasil. Anche lei pareva un po' esitante sul da farsi, mentre si accomodava sui sedili posteriori della Lamborghini. «E’ sicura?» Domandò la ragazza, rivolgendosi ad entrambi Wade ed Oscar, e allora il mercenario annuì lentamente, con un mezzo sorriso sulle labbra. Oh si, non ti preoccupare babs. La rassicurò Wade, prima di partire in quarta e sgommare tra le vie della cittadina come se nulla fosse.
    Svoltata una curva, Drasil sembrò crashare entrare in panico nella maniera più completa, nel guardare una macchina arrivare nella corsia opposta. Prendendo un respiro netto, si attaccatò ai sedili. «OH, PER TUTTI I CIELI, CHE ODINO ABBIA PIETA' DI NOI!» Aggrottando le sopracciglia da sotto la maschera, dubbioso ma estremamente divertito, Wade lanciò un'occhiatina alla ragazza, per poi cercare di non sbuffare una fragorosa risata ed emettendo così dei rumori sommessi, vedendo quanto lei fosse sopraffatta da un semplice giro in auto. «ABBIAMO SFIORATO LA MORTE.» Bofonchiò lei, ancora pesantemente scossa, al che Wade si affrettò ad arrivare a casa di famiglia di Oscar, per poi accostare davanti al cancello. Uhh se è per questo allora sono morto già un paio di volte, honey! Comunque, tutto okay riccioli d'oro? Cercando di non dare adito al divertimento che i commenti di Drasil avevano risvegliato in lui, il mercenario si avvicinò, prendendola delicatamente dalle spalle, ispezionandola per accertarsi che stesse bene. E' vero comunque, potevamo morire. Odino ha avuto pietà delle nostre anime perdute. Queste macchine moderne non sono niente in confronto alle care vecchie carrozze trainate da cavalli, mia cara. Ehh, se solo avessimo preso un calesse! Si lamentò allora il giovane, sollevando le braccia in maniera un po' drammatica, attaccandosi al discorso di Drasil per commentare da paraculo scherzosamente le sue parole, pronunciandole però con estrema tragicità e serietà. Dopo che fu sicuro che lo shock fosse passato, Wade si voltò verso la dimora dei Røbbing, che era una magione estesa e dallo sfarzo ormai antico. «Wow.» Mormorò entusiasta Drasil, mente osservava l'abitazione, avvolgendo le sue piccole mani al cancello. «E’ la tua dimora?» Domandò la ragazza, rivolgendosi al giovane tatuato che era con loro. «E’ meravigliosa!» Commentò ancora la bionda, complimentandosi con Oscar, per poi lasciare che aprisse il cancello. « Ti ringrazio, Drasil, ma devo confessare che questa casa mi mette i brividi. » Ammise il ragazzo, aprendo così il cancello al posto di Wade, che era già pronto a far saltare la serratura con un proiettile. «E’ qui che tieni i quadri?» Mentre il rosso conduceva gli altri due all'interno della magione, Drasil iniziò ad interessarsi ai quadri, le cui foto stringeva ancora al petto. Wade spostò lo sguardo su lei, come se sentisse nelle viscere che qualcosa stesse emergendo nelle intenzioni della biondina. Eppure, non ci badò più di tanto, limitandosi a tenere d'occhio la ragazza ed osservare qualche cambiamento nei suoi comportamenti. Per il momento, lei sarebbe stata la sidekick del mercenario, che avrebbe avuto bisogno di lei per impacchettare i quadri di Oscar, per poi portarli tutti insieme da Terje.
    Con un movimento fluido, il ragazzo fulvo aprì la porta dell'abitazione, accendendo poi le luci che ancora riuscivano ad illuminare gli spazi ampi del piano terra. Quella grande casa sembrava aver vissuto delle glorie passate, ora in quella aria di stasi, un po' come se le mura stesse fossero morte, avvolte in una specie di sonno - ferme e quasi sospese nel tempo. Come indicato da Oscar, da dietro il divano facevano capolino i quadri. « Sono in buono stato, credo. Li ho spolverati. E vi offrirei qualcosa, ma non credo ci sia niente di commestibile in giro... » Sollevando un indice e premendolo sulle labbra di Oscar mentre osservava i quadri con occhio interessato, Wade assottigliò gli occhi - movimento visibile anche persino sotto la sua maschera. Sh sh sh. Ti stai facendo troppi problemi baby! Non ti disturbare! Sai cosa dobbiamo fare? Io, te e Drasil li impacchetteremo con quei giornali che hai trovato fuori, e poi li portiamo dritti da Terje. Così sloggiamo e tu prendi i bigliettoni. Spiegò infine il mercenario, allontanandosi così in direzione di Drasil. Oscar prendi dello scotch, io e Drasil intanto avvolgeremo i quadri nei giornali e poi li mettiamo in macchina! Dopo aver dato istruzioni a tutti, Wade si sedette per terra, accanto ai lavori artistici, tirandoli fuori uno dopo l'altro. Prese dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette che aveva portato da casa e se ne portò una tra le labbra dopo aver sollevato la maschera per metà, per poi accendere la sigaretta subito dopo con l'accendino contenuto nello stesso contenitore mezzo vuoto. Mettiamoci all'opera riccioli d'oro! Trillò allora il mercenario, iniziando ad avvolgere come meglio poteva i quadri nelle pagine di giornale, anche grazie all'aiuto di Oscar, che man mano fissava quegli involucri sbilenchi e non molto precisi. Dopo una mezz'oretta, tutti i pezzi furono ricoperti, e allora Wade prese tra le braccia tre quadri. Okay, in macchina! Asserì, per poi avviarsi fuori dall'abitazione in modo da poter sistemare tutti i pezzi. Con l'aiuto dei suoi compagni, il giovane sistemò tutti i lavori nella Lamborghini, per poi sorridere soddisfatto. Bene possiamo andare! Se siete pronti, ci andiamo a prendere i verdoni da quel motherfucker!

    Scusate per l'attesa cuoriii :mini:
     
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    Quella sera sembrava rivelarsi più divertente e avventurosa di quanto avesse immaginato. Era partita con presupposti del tutto differenti e, nel momento in cui aveva lasciato il Bolgen per mano a quel tipo stranissimo di nome Wade e al suo amico dai capelli rossissimi, Drasil aveva iniziato a domandarsi perché non fosse accaduto tutto tempo prima. Non aveva idea di cosa realmente la spingesse a pensare che quella potesse essere una delle serate più interessanti che aveva avuto modo di vivere da un po’ di tempo a quella parte, eppure l’adrenalina che avvertiva scorrerle sotto la pelle non faceva altro che agitare ogni singola particella del suo corpo. Ricordava ancora tutti quei momenti in cui aveva avuto modo di rubare di tutto insieme a suo fratello, e quella stessa emozione non aveva mai fatto parte di nulla che avesse a che fare col proprio mestiere. Di quel periodo, ricordava solamente la paura di perdere un membro della sua ristrettissima famiglia e di esser catturata da chi subiva la perdita per ciò di cui veniva privato. Erano stati anni difficili, e finalmente sembravano esser terminati, sebbene non nel migliore dei modi.
    Durante il viaggio in macchina, comunque, i tre reagirono in maniera totalmente diversa agli eventi che sembravano succedersi, uno dopo l’altro, con un’estrema velocità che altro non faceva, se non far impallidire sempre maggiormente la povera Drasil. Si mantenne ben salda ai sedili anteriori, cercando di non farsi prendere dal panico ed esternando la propria paura con piccole e brevi imprecazioni, tutt’altro che silenziose. Giunti quindi dinanzi alla casa ereditata da Oscar, i tre scesero finalmente dall’auto e Drasil ebbe nuovamente la possibilità di respirare con regolarità. Si lasciò avvicinare da Wade, il quale sembrò volersi accertare che stesse bene. Uhh se è per questo allora sono morto già un paio di volte, honey! Comunque, tutto okay riccioli d’oro? spiegò lui, afferrandola per le spalle e ispezionandola con attenzione. E' vero comunque, potevamo morire. Odino ha avuto pietà delle nostre anime perdute. Queste macchine moderne non sono niente in confronto alle care vecchie carrozze trainate da cavalli, mia cara. Ehh, se solo avessimo preso un calesse! aggiunse quindi, cercando di tranquillizzare la donna dai lunghi capelli dorati mentre si avvicinavano al cancello della grande casa. Scosse il capo, Drasil, sospirando appena e voltandosi a guardare Wade. «No, i cavalli potrebbero impazzire e la carrozza ribaltarsi al suolo… meglio a piedi. Le gambe rispondono solo ai nostri comandi.» ribatté lei, sollevando una mano in direzione del ragazzo ed annuendo con convinzione, ricordando di quante miglia avessero percorso da sempre le proprie. Non avevano mai avuto la possibilità di possedere un cavallo, figurarsi un calesse. Sua madre le aveva proibito di attirare l’attenzione e quindi quale metodo migliore per spostarsi? Le gambe, naturalmente. Nel frattempo, gli occhi di Drasil si posarono sull’enorme costruzione che aveva dinanzi e che scoprì essere l’abitazione di Oscar. Ne rimase letteralmente estasiata e un po’ incredula. Abituata ad una sorta di capannina in legno nascosta fra gli arbusti della foresta, Drasil non aveva mai vissuto in una vera e propria reggia, prima d’allora. Sebbene la casa di Liv fosse fatta di vero e proprio cemento, ogni altra abitazione che le capitava di vedere ed osservare era, ai suoi grandi occhioni curiosi, un enorme punto interrogativo dall’aspetto meraviglioso. S’immaginò brevemente camminare fra le mura di quella casa come se fosse sua: il suo lento andare, le mani che si allungavano in direzione di oggetti di cui neanche conosceva l’utilità. Avrebbe dato la vita, se ne avesse avuto il coraggio, per passare anche un solo giorno in una casa del genere e sentire di possederla. Non aveva mai avuto molto, la giovane Drasil, ed era affascinata da tutto ciò che per chiunque altro sembrava avesse poco valore, proprio come un vero e proprio tetto sulla testa. «Ti ringrazio, Drasil, ma devo confessare che questa casa mi mette i brividi.» rispose quindi Oscar all’esclamazione e alla domanda della giovane donna dai capelli dorati. Fece quindi loro strada fino alla porta, che aprì e sorpassò. Drasil e Wade lo seguirono senza fiatare per qualche breve istante, mentre gli occhi si abituavano a quel lusso e alla lieve oscurità che venne bruscamente spezzata dalla luce elettrica, dopo che il proprietario dell’abitazione schiacciò l’interruttore. Lasciò quindi roteare gli occhi per la stanza, soffermandosi su quelle pareti alte e lasciando che la bocca si schiudesse in un mezzo sorriso compiaciuto, quasi estasiato. Le sopracciglia avevano preso la forma di due ampi archi e gli occhi sembravano saettare con curiosità da una parte all’altra, mentre passo dopo passo avanzava nel grande salotto, dietro i cui divani si nascondevano i quadri che avrebbero dovuto vendere. «Sono in buono stato, credo. Li ho spolverati. E vi offrirei qualcosa, ma non credo ci sia niente di commestibile in giro…» spiegò Oscar ai due, mentre continuava ad avanzare nella stanza e indicava loro i quadri posati contro la libreria. Sh sh sh. Ti stai facendo troppi problemi baby! Non ti disturbare! Sai cosa dobbiamo fare? Io, te e Drasil li impacchetteremo con quei giornali che hai trovato fuori, e poi li portiamo dritti da Terje. Così sloggiamo e tu prendi i bigliettoni. rispose Wade, presentando il piano ai due e cercando di mettersi immediatamente all’opera. Drasil nel frattempo aveva fatto il giro completo della stanza, sospirando d’emozione ogni qualvolta si fermava di fronte a qualcosa di vecchio ed interessante come soprammobili a forma di angeli, quadretti dipinti a mano, candele ormai spente e sciolte per metà, ragnatele risalenti alla prima guerra mondiale e, ovviamente, i disegni floreali disegnati sul tappeto che stava calpestando con attenzione. «Portiamo via solo i quadri?» chiese quasi in un sussurro, ancora del tutto rapita dalla geometria di quel tappeto, curvandosi appena in avanti ed osservandone i disegni da più vicino mentre si teneva i capelli con una mano per non farli cadere dinanzi agli occhi. Oscar prendi dello scotch, io e Drasil intanto avvolgeremo i quadri nei giornali e poi li mettiamo in macchina! ordinò Wade, intraprendente più dei due compagni. Si sedette quindi per terra accanto ai pezzi d’arte in attesa che Drasil si avvicinasse a lui per aiutarlo. Mettiamoci all'opera riccioli d’oro! le disse, invitandola a fare lo stesso. Al che la donna si accovacciò accanto a lui, in ginocchio, iniziando ad aiutarlo con l’impacchettare e cercando di scacciare via il pensiero di quante cose meravigliose avrebbe potuto trovare in quella dimora, se solo avesse fatto un giro anche ai piani superiori. cleptomane dei miei stivali
    Terminarono di chiudere tutto nel giro di una mezz’oretta, prima di sollevarsi dal pavimento per dirigersi nuovamente sin direzione dell’uscio. Passando per l’ingressino e restando come ultima nella fila, allungò istintivamente una mano in direzione di una mensola posta accanto alla porta d’ingresso, sul quale vi era posato un piccolo orologio da taschino dorato e ricoperto di un lieve strato di polvere. Si fermò istintivamente dinanzi ad esso, guardandolo con curiosità per qualche secondo. Senza neanche ripensarci, lo afferrò e lo infilò nella propria borsetta, sorridendo apertamente mentre seguiva i due amici al di fuori della grande casa. Okay, in macchina! incitò Wade una volta infilati i quadri nella Lamborghini. Bene possiamo andare! Se siete pronti, ci andiamo a prendere i verdoni da quel motherfucker! esclamò ancora l’uomo. Tentennò istintivamente, Drasil, nel momento in cui dovette farsi coraggio per risalire a bordo di quel bolide ultra moderno. Si mordicchiò leggermente le labbra mentre il respiro le si faceva appena più pesante del normale. «Dobbiamo proprio tornare su quella chiese stringendosi timidamente nelle spalle e voltandosi a guardare Wade e poi OScar. «Oscar, a te non andrebbe di andare a piedi? Non dev’essere poi così lontano, giusto?» chiese la donna al ragazzo dai capelli rossi, in cerca di supporto e solidarietà. «Oppure possiamo rimanere qui e chiamare quel tizio per i quadri, farlo venire qui!» propose lei ancora, sorridendo per incoraggiare i due.
     
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    Oscar Erlend Røbbing (っ◔◡◔)っ

    La vita era una questione di prospettiva, lo ricordavano sempre anche quei video sponsorizzati su youtube che si trasformavano in quiz divertentissimi durante i quali venivano mostrate immagini artistiche seguite da domande tipo "e tu cosa vedi guardando lo schermo, un cinghiale o un prato fiorito?" Tuttavia su una cosa era pienamente d'accordo con la ragazza, Drasil: quei cocktail erano davvero forti. Tanto che in auto Oscar non riuscì a seguire i discorsi tra i due compagni, che parlarono di Odino, di cavalli e se aveva capito bene anche di riccioli d'oro, che per la cronaca era una delle fiabe più brutte che esistessero dal suo punto di vista. Ecco perchè si preoccupò dello stato di Deadpool, constatando che al suo posto sarebbe andato a sbattere sicuramente. Non che avesse la patente, ci aveva rinunciato dopo circa 10 lezioni passate in una strada deserta con l'istruttore di guida disperato per i 45 minuti che impiegava ogni volta per un classico parcheggio a retro-marcia. Spesso finiva per sbattere il paraurti contro l'automobile parcheggiata dietro. Ne conseguiva di solito un balzo in avanti e dunque un'altra botta. Insomma, non era portato per la guida ed iniziò a giustificarsi con la lotta per l'ecologia, contro l'inquinamento. Fortunatamente non successe niente del genere, anche se la guida dell'uomo era particolarmente spericolata, e le grida di Drasil da dietro non facevano che sottolinearlo. Come se gridare potesse rimediare alla situazione! Oscar non amava esternare i propri sentimenti e le proprie emozioni, non lo aveva mai fatto perchè si sentiva in soggezione e riteneva che non dovesse dimostrare niente a nessuno. Non era apatico, spesso subiva i problemi derivanti dall'essere un umano e quindi un essere senziente. La paura ad esempio.
    Aveva paura di un sacco di cose, e non si trattava solo di fobie come poteva essere ad esempio quella per i serpenti, ma di vere e proprie paure. Aveva paura del vuoto, dell'ignoto, della morte. Pareva che fossero paure normali e comuni ma nella sua testa suonavano come eccessive, eppure non poteva reprimerle. E da quando era a Besaid poteva enunciare anche la paura per quella villa in cui viveva, e che dichiarò subito una volta lasciato l'abitacolo della vettura. Capiva il punto di vista di Drasil, lo aveva pensato anche lui non appena aveva visto quella casa: "è bellissima". Poi era entrato dentro, ed il senso di vuoto lo aveva subito inondato. Fece strada ai due fino alla porta che aprì lasciando via libera verso i quadri che si premurò di mostrare. A Drasil piacquero da subito, mentre Deadpool...con quella maschera era difficile capire cosa pensasse in realtà. Quando poi Oscar chiese se volessero qualcosa da mangiare o da bere, lui lo bloccò con quel suo modo di fare da playboy, portando il dito indice sulle sue labbra. Un gesto che in condizioni normali avrebbe detestato e che gli avrebbe rimproverato, ma che in quel frangente era quasi piacevole. In compenso avrebbe voluto strappargli la maschera, per capire chi ci fosse dietro quel personaggio. Era un uomo? Un ragazzo? Era carino come lo stava immaginando in quel momento? Nella sua mente si era materializzato un ragazzo sulla trentina, dal bel fisico (quello non era coperto, quindi facilmente intuibile), moro in stile "Diabolik". Oscar si limitò ad annuire a quelle parole, ed in poco tempo i tre si misero ad armeggiare con scotch, giornali e quadri. Non faceva una cosa simile dall'ultimo Natale che aveva passato con sua nonna e si era messo a fare dei pacchetti, senza utilizzare la carta colorata dei centri commerciali perchè non aveva avuto la premura di comprarla in tempo, bensì con dei giornali come quelli. Il risultato era stato catastrofico; con i quadri era andata decisamente meglio. Sembravano dei pacchetti più accettabili, e non certo per merito suo, dato che continuava ad essere incapace nell'arte dell'impacchettamento. Uscirono, portando i quadri e mentre Deadpool li sistemava nella Lamborghini, Drasil mostrò il suo disappunto verso quel mezzo. Gli venne istintivo sorridere, perchè era una paura strana. In pochi avevano così il terrore delle automobili. Era dolce nei modi, Drasil, quindi per Oscar era ovvio assecondarla, anche se l'auto era più comoda per portare i quadri.
    « Non ho idea di dove abiti questo Tizio. Possiamo trovare un compromesso: ti lascerò sedere davanti, ed il nostro autista prometterà di guidare con cautela, senza schiacciare troppo l'acceleratore. Che te ne pare? » Oscar non soffriva il mal d'auto, nè il male per qualsiasi altro mezzo di trasporto. Era stato in nave così come in aereo, e non aveva mai avuto grossi problemi. Tuttavia ricordava che chi soffriva la nausea per i mezzi, preferiva sedersi davanti così da avere una visuale maggiore, dando sempre il fronte dalla parte della guida. Quindi poteva essere una soluzione quella di lasciar sedere Drasil sul sedile al fianco del guidatore, con la promessa di non morire in un incidente. In fondo potevano anche permettersi di andare più lentamente, dato che le strade di Besaid non erano mai così trafficate, e soprattutto non lo erano di notte. Accennò un altro sorriso verso la ragazza, sperando di essere almeno un po' rassicurante, e lanciò uno sguardo a Deadpool pronto a ricevere le sue lamentele sul fatto che guidare una Lamborghini senza accelerare sarebbe stato come mangiare sushi con la forchetta: incompleto. Lo incalzò provando anche a convincerlo a mostrare il suo volto, utilizzando la scusa della copertura che poteva essere compromessa.« Non lamentarti. E credo che tu possa anche toglierti quella maschera, perchè così sei vagamente sospetto. »
     
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    «No, i cavalli potrebbero impazzire e la carrozza ribaltarsi al suolo… meglio a piedi. Le gambe rispondono solo ai nostri comandi.» Più il tempo passava, più l'idea che Wade si faceva di Drasil era chiara – lei doveva certamente avere una particolarità relativa al tempo, altrimenti non avrebbe parlato come una ragazza completamente estranea al mondo contemporaneo! Oppure, si sarebbe potuto trattare di una ragazza con un diverso approccio alla realtà, e Wade avrebbe potuto benissimo immaginare anche quello. Del resto, lui non aveva certo fatto menzione al suo cliente e alla sua nuova amica del fatto che fosse psicotico e del fatto che per via di tali attacchi poteva sentire due voci all'interno della sua testa. Per questo motivo, il mercenario non accennò a fare domande che avrebbero potuto mettere Drasil in una posizione scomoda; tutti loro del resto avevano segreti da proteggere e parti di sé ancora sconosciute ed inesplorate, eppure pronte a venire alla luce nei contesti giusti. Perfetto- Commentò Wade leggermente interdetto dalla risposta di Drasil, che sicuramente non era stata prevedibile. Nel mentre, i tre si avvicinarono all'abitazione di Oscar. Anche in quel caso, Wade si chiese che tipo di storia avesse alle spalle un ragazzo che si era ritrovato in possesso di una magione del genere, e con essa anche i quadri che avrebbero dovuto rivendere. Già il fatto che un avvocato come lui – si, Wade sapeva della professione di Oscar - si fosse rivolto a della gente come Terje lasciava presagire al mercenario che il giovane forse non fosse ancora molto pratico dei "giri" della città di Besaid; chissà cosa avrebbe fatto dopo essersi sbarazzato della casa. Sarebbe rimasto o avrebbe preso i soldi e continuato la sua vita altrove? Poco ma sicuro, nessuno degli individui che erano rimasti coinvolti in quella serata spericolata sembravano essere semplici, nè tantomeno dalla storia breve e lineare.
    Una volta entrati nella maestosa abitazione appartenuta alla famiglia di Oscar, Wade diede una rapida occhiata in giro, anche fosse solo per deformazione professionale: quella dimora era un luogo tanto sfarzoso quanto austero. A dirla tutta, il mercenario non potè non concordare con il ragazzo nei riguardi delle sensazioni che la casa offriva. Certo, era meravigliosamente elaborata, però c'era qualcosa che trasmetteva una certa inquietudine in quegli spazi. Alla fine, i tre s’iniziarono ad orientare tra i vari oggetti, e Wade pensò che sarebbe stato meglio imballarli, per evitare che succedesse qualcosa nel tragitto in macchina. In realtà, Terje era vicino di casa di Deadpool, eppure non lavorava in quella zona della città, bensì quasi fuori da essa, in un locale che portava parecchio lavoro ai mercenari ed ai criminali locali. Terje, col tempo, era diventato molto legato a Wade, e nonostante non facessero altro se non bisticciare, insultarsi e farsi dispetti l'un l'altro, sapevano di poter contare sul supporto reciproco in situazioni difficili, specialmente in un ambiente professionale duro come quello della criminalità. «Portiamo via solo i quadri?» Domandò Drasil, mentre erano tutti intenti ad impacchettare i vari lavori d'arte il più efficacemente possibile. Annuendo lentamente, Wade si rivolse poi a lei, restando seduto per terra con lo scotch in mano. Yup! Oscar vuole rivendere quelli, cappuccetto rosso sangue! Rispose gentilmente il mercenario, dando una rapida occhiata alla ragazza vicina a lui; che avesse in mente qualcosa? Nel mentre, anche il giovane dai capelli rossi si unì ai due già concentrati nell'impacchettare tutto, ed in breve tempo la combriccola terminò di avvolgere i quadri. Uno dopo l'altro, Wade si occupò di portarli in macchina, in modo da poterli trasportare senza che si danneggiassero. Battendo le mani un paio di volte per liberarle dalla leggera polvere in eccesso, il mercenario restò sulla soglia della porta dell'abitazione, aspettando Oscar e Drasil per poter passare alla seconda ed ultima fase del piano. Con le braccia conserte e lo sguardo fisso sull'interno della casa, Wade non mancò di notare i movimenti della ragazza, che nell'uscire guardò, per poi agguantare in maniera furtiva, un orologio da taschino, mettendoselo velocemente in tasca. «Hai capito la piccola cleptomane!» Trillò White Box sodisfatto nella testa di Wade, al che il mercenario ridacchiò, senza però accennare nulla dell'accaduto a nessuno; alla fine, Oscar non sembrava particolarmente legato a nulla in quella dimora, e Drasil non avrebbe ricevuto nessun compenso dal giovane, quindi l'occasione sarebbe stata troppo ghiotta: Wade voleva davvero sapere chi quella donna fosse veramente, solo per pura curiosità, così come era interessato al rosso, che sembrava possedere una personalità piena di sfaccettature nascoste.
    Ormai i quadri erano in macchina e la casa era stata chiusa - era ora di andare. Nel momento in cui il mercenario incoraggiò i due compagni ad entrare nel veicolo, Drasil si mostrò visibilmente esitante. «Dobbiamo proprio tornare su quella Domandò lei, agitata, mentre quasi si rimpiccioliva nella sua stessa figura, per proteggersi dall'eventuale pericolo che la Lamborghini rappresentava. «Oscar, a te non andrebbe di andare a piedi? Non dev’essere poi così lontano, giusto?» Cercando manforte in Oscar, la ragazza si rivolse a lui. «Oppure possiamo rimanere qui e chiamare quel tizio per i quadri, farlo venire qui!» Teneramente, Drasil cercava di convincere i suoi compagni ad evitare la vettura, anche se non ci sarebbe stata purtroppo occasione di sfruttare delle alternative: Terje non si sarebbe potuto muovere dal locale, e quest’ultimo sarebbe stato troppo lontano per essere raggiunto a piedi con tanto di quadri a carico. Fu Oscar poi ad intervenire, rivolgendosi a Wade in nome di Drasil. « Non ho idea di dove abiti questo Tizio. Possiamo trovare un compromesso: ti lascerò sedere davanti, ed il nostro autista prometterà di guidare con cautela, senza schiacciare troppo l'acceleratore. Che te ne pare? » Sollevando le mani come a dire "mi arrendo" e anche per mostrare di essere inoffensivo e voler tener fede a ciò che gli era stato suggerito da Oscar, Wade sorrise - e la sua espressione si sarebbe potuta notare anche da sotto la maschera. « Non lamentarti. E credo che tu possa anche toglierti quella maschera, perchè così sei vagamente sospetto. » Sollevando le spalle, il mercenario scosse appena il capo. Oh no non mi lamento! Drasil, sarà come andare a piedi vedrai. Tu stai accanto a me e arriveremo prima di quanto pensi. Iniziò Wade, volgendosi verso la ragazza, per poi tornare al giovane dai capelli rossi. Oh vedrai dolcezza, nel posto dove andremo sarò il meno sospetto di tutti, e questa maschera sarà vitale! Dunque, all set, possiamo andare! Aggiunse Wade, declinando anche la proposta di Oscar di togliersi la maschera, questo perchè naturalmente aveva mentito nei riguardi della sua professione al ragazzo - omettendo la parte più importante. Era vero che lui avrebbe potuto fare in modo che i quadri venissero rivenduti, ma non aveva specificato che questo suo network di conoscenze si espandesse per via del suo lavoro da mercenario. Una volta che furono tutti in macchina, Wade mise in moto e cercò di essere il più delicato possibile mentre guidava verso il Kloster. Quel luogo, il cui nome significa "convento", tutto era tranne che un sito sacro di preghiera. La vita criminale Besaidiana e non si radunava lì oppure al Perception, e quindi questi due luoghi diventavano punti nevralgici per gli affari. Terje aveva fatto un ottimo lavoro nel mettere su il posto, e Wade lo frequentava spesso. Era un locale piccolo, dalle luci blu soffuse e dai pochi tavoli; era dotato di tavolo da biliardo ed un bancone, dietro al quale Terje si occupava di gestire i suoi clienti.
    Parcheggiando fuori molto poco legalmente, il mercenario prese quanti più quadri possibili tra le braccia dopo aver chiuso lo sportello del guidatore. Ce la fate a prendere quegli altri due quadri? Domandò allora lui, confidando del fatto che i suoi compagni riuscissero a portare le opere restanti, per poi aspettarli ed avviarsi all'entrata del locale. Okay, da questo momento state vicini a me e non parlate con nessuno, altrimenti le cose si potrebbero fare inutilmente complicate, okay? Dai, andiamo a prendere i tuoi bigliettoni, Oscar! Dopo aver dato una raccomandazione che tanto assomigliava ad un avvertimento vitale ai suoi due compagni, Wade diede un leggero calcio alla porta per spingerla ed aprirla, e molti dei criminali all'interno del pub fermarono qualche istante le attività che stavano svolgendo, per poter monitorare l'entrata dei nuovi arrivati. Hey, che avete da guardare tutti? Non fate finta di non conoscermi altrimenti mi offendo! Dove sta Terje? Domandò a gran voce Wade, facendosi strada tra le persone incuriosite, per poi arrivare al bancone del bar, dove era certo si trovasse il suo amico. Il fatto era che quel sopralluogo di Deadpool al Kloster non era stato programmato: così come Terje aveva fatto lo scherzetto a Wade di raccomandargli una persona (Oscar) per un lavoro in cui lui non era minimamente preparato, il mercenario al tempo stesso era deciso a far pagare al suo collega criminale ogni singolo centesimo di quel dispetto di tasca propria. Ahh eccoti qua stronzo! Rise divertito il giovane, appoggiando i quadri sotto il bancone, per poi protendersi verso Terje. Wade?! Ma che cazzo ci fai qui ora? Domandò indispettito l'altro uomo, lanciando poi uno sguardo lungo e inquisitore verso Drasil ed Oscar. Oh sono venuto a vendere i quadri del mio cliente! E visto che sei stato così gentile da raccomandarmelo... Tu piazzerai questi bellissimi lavoretti d'arte e darai al mio amico Oscar qui tutti i soldi che gli spettano. Parlando con un tono di voce gentile ed affabile, Wade portò un braccio attorno alle spalle del ragazzo coi capelli rossi, per farlo avvicinare e renderlo visibile agli occhi di Terje. Poi, prese da sotto gli strati di stoffa della felpa e della maglietta il coltello che portava con sè per qualsiasi evenienza e piazzarlo dritto sul bancone. Avvicinando la lama ad uno dei quadri, Deadpool ne tagliò l'impacchettatura fatta di carta, per mostrare la tela sotto di essa. Sono tutti cosi?! Domandò Terje, lasciando rimbalzare lo sguardo da Wade, a Drasil e poi ad Oscar, meravigliato. Yyyyyup. Confermò il mercenario. Ahhh ma quanto rompi! Quei quadri varranno tutti insieme come minimo 49000 corone! Tradendosi nelle sue conoscenze in campo di arte nel dare una stima effettiva delle opere, Terje diede voce alla sua frustrazione nel modo meno conveniente per lui, tant'è che Wade ridacchiò divertito. Bene, allora Oscar quando riceverà il suo assegno? Facciamo, non so, ora? Domandò insistentemente Deadpool, riprendendo il coltello in mano. Decisamente, lui e Terje avevano una dinamica d'amicizia del tutto particolare. Ahhh, fanculo Wade me l'hai fatta! Venite tutti e tre nel retro. E voialtri, se combinate qualcosa, ogni drink me lo pagate il doppio!! Ammonì il biondo, rivolgendosi agli altri avventori del locale, per poi accedere con una piccola porta dietro al bancone al suo ufficio minuscolo ma pieno di armi, scartoffie e qualche confezione di droga di vario tipo, ben nascosta. Solo una volta che furono tutti all'interno di quello spazio minuto con i quadri, Wade si portò una mano dietro alla maschera, per poi slacciarla e rimuoversela dalla testa. Wow, qua non si respira! Menomale che qui non ci entra mai nessuno. Constatò il mercenario, rivolgendo poi un occhiolino ad Oscar, ben contento del fatto che nessuno dei suoi colleghi avrebbe potuto identificarlo ora che il viso non era coperto dal tessuto. Allora, i bigliettoni? Riprendendo le fila del discorso, Wade volse lo sguardo verso Terje ed incrociò le braccia con il sorriso sulle labbra. Mmmm. Ti odio Wade! Allora, i soldi ti arriveranno domani sul tuo conto in banca, come prima cosa domattina. Va bene, mister pain in the ass? Domandò seccato Terje, rivolgendo la domanda finale al suo collega, ma formulando la sua spiegazione rivolgendosi prima ad Oscar. BENISSIMOO! Allora è fatta Oscar! Esultò il mercenario, portando un braccio attorno alle spalle di Drasil e l'altro attorno a quelle di Oscar per poterli stringere a sè, e poi indossò nuovamente la maschera, mentre Terje sollevava gli occhi al cielo, avendo però accettato il fatto che avrebbe dovuto evitare di fare scherzetti al suo amico - anche se non avrebbe smesso tanto facilmente. Andiamo tutti a bere qualcosa! Questo giro lo offre la casa! Annunciò allora Wade, per poi avvicinarsi maggiormente a Drasil in modo che lo sentisse solo lei mentre uscivano dall'ufficio del biondo, che si stava lamentando ininterrottamente. Tu tieni pure l'orologetto, poi dovremmo prendere proprio un buon-- idromele(?) io e te! Devo capire bene chi sei e che legami hai con Heda.

    Per dovere di cronaca tesori, 49000 corone sono circa 5000 euro. :luv:
    Spero che il post vi piaccia, tesori! Io penso che questo sarebbe giusto come ultimo post per me! Se per voi va bene quindi, proporrei di rendere questo l'ultimo giro della role, ma se aveste qualsiasi altra idea ditemelo! :luv: :luv:
     
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    L'effetto dell'alcool aveva sgualcito la sua graziosa presenza, lasciando che Drasil si muovesse più apertamente e sinuosamente di quanto normalmente facesse. Non era abituata a stare nel mezzo di tanta gente, tantomeno riusciva a relazionarsi poi così bene con il prossimo. Aveva trascorso la propria adolescenza chiusa in una sorta di capanna dispersa nel bosco vicino quello che un tempo era stato ancora solo un piccolo villaggio di nome Besaid. Aveva conosciuto le terre boschive come se fossero le proprie tasche, andando a caccia con suo fratello e sua madre e lasciando che questi le insegnassero cosa davvero volesse dire dover "sopravvivere". Lo aveva preso per normalità, ritenendo quel presente poi tutt'altro che la possibile realtà all'interno della quale avrebbe potuto permettersi di vivere.
    Fra quelle mura alte della villa destinata ad Oscar, Drasil aveva lasciato vagare il proprio sguardo alla ricerca di qualsiasi oggetto, bellezza artistica che avrebbe potuto catturare la sua attenzione. Così si era persa per qualche istante, evitando di prestare attenzione ai discorsi dai quali erano presi Wade e Oscar, e lasciando che le proprie mani sfiorassero i più disparati oggetti di mobilio: dalle più strane statuette in legno o argento, ai tessuti che ricoprivano elegantemente i divani. Tutto, lì dentro, era oggetto di straordinaria ammirazione, per Drasil. Non notò quanto lo sguardo indagatore di Deadpool stesse effettivamente cercando di scrutare la parte più nascosta del suo io. Cercava, l’uomo, di capire che diavolo ci fosse di sbagliato o strano in lei. Impacchettarono quindi tutti i quadri e s’incamminarono in direzione dell’uscio di casa per raggiungere nuovamente il mezzo mobile che li avrebbe portati al luogo d’incontro con quell’amico di Wade di cui Drasil proprio non riuscire a memorizzare il nome, sebbene lo avesse udito ormai parecchie volte fino a quel momento. S’intascò un piccolo orologio da taschino in oro, non curandosi del fatto che qualcuno avrebbe potuto vederla, e raggiunse quindi l’esterno dell’abitazione. Nel momento in cui i suoi occhi chiari si furono posati sull’auto che li aveva portati fino lì, Drasil provò una sensazione di scomodità e paura: l’idea di rimettersi a bordo di quella cosa non riusciva a tenerla calma. Aveva avuto una paura bestiale durante il viaggio dell’andata e ormai, conoscendo la guida di Wade e i movimenti pericolosissimi della macchina che imboccava le curve, Drasil ebbe una scossa di tensione che andò a contorcerle lo stomaco. Arricciò le labbra, fermandosi a pochi passi dall’auto e pregando i due di tornare a piedi e lasciare quell’aggeggio lì. «Non ho idea di dove abiti questo Tizio. Possiamo trovare un compromesso: ti lascerò sedere davanti, ed il nostro autista prometterà di guidare con cautela, senza schiacciare troppo l'acceleratore. Che te ne pare?» Le disse quindi Oscar, cercando di acquietare quella sensazione di fastidio e paura che Drasil avvertiva al solo pensiero di dover risalire sull’auto. Dopodiché, Oscar si rivolse in direzione di Wade, ammonendo quel suo sorriso divertito ben visibile anche da sotto il tessuto della maschera rossa che continuava ad indossare. <u>«Non lamentarti. E credo che tu possa anche toglierti quella maschera, perché così sei vagamente sospetto.» aggiunse quindi il rossiccio, mentre Wade si limitò ad una semplice e naturale scrollata di spalle. Oh no non mi lamento! Drasil, sarà come andare a piedi vedrai. Tu stai accanto a me e arriveremo prima di quanto pensi. constatò successivamente Deadpool, cercando di rassicurarla a sua volta, per poi rivolgersi nuovamente al ragazzo. Oh vedrai dolcezza, nel posto dove andremo sarò il meno sospetto di tutti, e questa maschera sarà vitale! Dunque, all set, possiamo andare! rispose l’uomo col viso coperto dalla maschera, prima di indicare loro di salire sull’auto. Sbuffando rumorosamente e lasciando che il proprio viso presentasse un’espressione a dir poco spazientita, Drasil raggiunse la portiera dell’automobile e l’aprì con svogliatezza per salirvi al posto del passeggero, di fianco l’autista. Si portò le mani agli occhi e lasciò che i palmi coprissero la sua visuale per tutto il tragitto, che preso in quella maniera sembrò essere addirittura più corto che all’andata. Solo quando avvertì il motore dell’auto finalmente silenzioso decise di portare via le mani dal viso, riaprendo gli occhi e cercando di mettere a fuoco la vista per i successivi due minuti, in qualche modo ancora addormentata per via della pressione che le mani avevano avuto sulle palpebre chiare. Scese quindi dall’auto, sgranchendosi le gambe e seguendo la figura di Wade che andava a racimolare i quadri, chiedendo loro di recuperare gli ultimi. Annuì immediatamente, chiudendosi la portiera alle spalle ed andando ad afferrare due dei reperti d’arte che, ahimè, sarebbero sicuramente finiti nelle mani delle persone sbagliate. Okay, da questo momento state vicini a me e non parlate con nessuno, altrimenti le cose si potrebbero fare inutilmente complicate, okay? Dai, andiamo a prendere i tuoi bigliettoni, Oscar! avvisò Deadpool, prima di tirare un calcio alla porta e lasciare che questa si spalancasse sotto quella pressione. Hey, che avete da guardare tutti? Non fate finta di non conoscermi altrimenti mi offendo! Dove sta Terje? esordì Wade, una volta dentro. Coperta dalla figura massiccia e alta di Wade, Drasil non fu immediatamente in grado di lasciare che le proprie iridi vagassero all’interno della stanza, così, con un passo deciso e curioso, si sporse al lato del ragazzo. I suoi grandi occhi rotearono, scorrendo sulle figure di tutti quei tipi strani uno per uno e lasciando che s’imprimessero nella sua mente. Arricciò le sopracciglia, considerando quella stanza/bar come uno dei più brutti e poco curati che avesse visto fino a quel momento. Oh sono venuto a vendere i quadri del mio cliente! E visto che sei stato così gentile da raccomandarmelo... Tu piazzerai questi bellissimi lavoretti d'arte e darai al mio amico Oscar qui tutti i soldi che gli spettano. si rivolse finalmente a quel tipo, Wade, condividendo con lui quello che sin dall’inizio era stato il loro piano. «E a noi? Niente?» sussurrò Drasil, rifilando una gomitata leggera a Wade, centrando il suo fianco. Gli occhi di Terje, comunque, si posarono sui quadri, di cui uno solo fu scartato da Wade affinché l’uomo potesse rimirarlo. Gli offrì 49000 corone e Wade accettò immediatamente. «Solo? Valgono sicuramente di più!» continuò a sussurrare Drasil accanto a Wade, un po’ per protesta, un po’ perché effettivamente non avrebbe voluto avere a che fare con quei tipi loschi. Un po’ indignata, comunque, seguì gli altri tre nel retro del locale, dove l’aria sembrava essere ormai stantia da settimane. Una smorfia di disgusto si aprì sul viso di Drasil non appena furono dentro. Innumerevoli oggetti pericolosamente contundenti, armi da fuoco e una sorta di polverina bianca e pastiglie erano ovunque. Allungò una mano in direzione di un piccolo coltellino il sui manico era ricoperto da pelle scura. Strinse le dita attorno ad esso mentre la chioma di capelli seguiva il movimento della schiena che si chinava leggermente, nascosta dietro la figura di Wade e dei quadri che portava fra le braccia. Intascò anche quello, infilando il manico del coltello nella parte laterale dei suoi stivali e cercando di fare attenzione a non tagliare gli indumenti che indossava. Dopodiché si voltò verso gli interlocutori, prestando finalmente attenzione a ciò che stava avvenendo. Mmmm. Ti odio Wade! Allora, i soldi ti arriveranno domani sul tuo conto in banca, come prima cosa domattina. Va bene, mister pain in the ass? spiegò Terje, riferito a Wade. BENISSIMOO! Allora è fatta Oscar! Andiamo tutti a bere qualcosa! Questo giro lo offre la casa! annunciò quindi Wade, portando un braccio attorno alle spalle di Drasil e Oscar, avvicinandoli quindi a lui per esprimere il proprio entusiasmo. Solo dopo essersi voltati in direzione dell’uscio, Wade si avvicinò lentamente a lei per sussurrarle qualcosa vicino all’orecchio. Tu tieni pure l'orologetto, poi dovremmo prendere proprio un buon-- idromele(?) io e te! Devo capire bene chi sei e che legami hai con Heda. - non capì effettivamente di cosa stesse parlando, e non se ne curò troppo. «…Ehm… io… non credo che- arrossì violentemente Drasil. Che fosse un appuntamento? Uno di quegli inviti che Liv si aspettava dai ragazzi? «Non bevo l’idromele. In ogni caso penso sarebbe bello avere anche Oscar con noi, non credi?» sorrise malamente, Drasil, indicando Oscar con il mento e cercando in lui una sorta di sostegno.
    Che ingenua, Drasil.

    Scusate il ritardo. ç__ç Comunque si, per me Oscar può concludere. :rosa:
    E' stata divertentissima! AHAHAH
     
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14 replies since 30/6/2018, 22:45   557 views
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