Is it heaven up there? 'cause it’s hell down here

Coco&Roy | Tarda serata

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    Is it heaven up there?

    Silenzio.

    Come l’arrivo della quiete dopo una tempesta, le giornate di Coco sembravano scorrere l’una dopo l’altra in maniera piatta. Un vecchio film in bianco e nero e senza audio. Nessuna voce forte, nessun colore in grado di distinguersi dagli altri. Quasi pacifico in confronto ad una vita di lotte, di mancanze e appartenenze non definite. Si muoveva su strade percorse milioni di volte e ormai ben conosciute alla ricerca di qualcosa di più familiare di un’asfalto o una fermata dell’autobus. Cercava frammenti di pelle che non avrebbe confuso, un mare in tempesta negli occhi di qualcuno, capelli arruffati da una notte inevitabilmente insonne e sferzata di ricordi che sarebbe stato meglio lasciarsi alle spalle. Cercava uno sguardo che, sapeva, le avrebbe colpevolizzato forse molto meno di quanto in realtà lei stessa sentisse di meritare. Era consapevole, Coco, di quanto gigante fosse divenuta quella stanchezza e di quanto ormai non si parlasse più di lotta ma di resa. Perché alla lotta ci erano abituati lei e Roy, ma alla resa no. La resa sembrava avere un prezzo troppo alto da comprare, da accettare, eppure quel silenzio ne aveva ormai preso le sembianze, e questo lei lo percepiva. Quando avevano avuto delle discussioni, in quel “prima” lontano secoli ormai, le mani di Roy avevano sempre avuto il coraggio e la voglia di tornare ad intrecciarsi a quelle della sua Coco. Non aveva mai avuto importanza cosa fosse avvenuto, entrambi lo avevano saputo: niente sembrava esser più forte di un amore come quello, niente era mai riuscito a separare quelle anime destinate, sin da quando erano stati solo due bambini separati dal calore di una tenda. Eppure, al posto di quella tenda sembrava essersi innalzato un muro fatto di pietre e Roy aveva provato a scalarlo mentre Coco era rimasta ferma a guardarlo scivolare per terra ogni singola volta. Aveva fatto male restare immobile, vedere qualcosa di così importante perdere la propria consistenza ad ogni passo, ad ogni scelta e ad ogni parola. Niente sembrava essere rimasto al proprio posto e se all’inizio Coco aveva pensato che fosse giusto così, aveva poi dovuto accettare il fatto che, inutile quanto in realtà fossero stati distanti, i sentimenti che provava per lui sembravano essere ormai così solidi da non riuscire a scioglierli per niente al mondo.

    Entrò nella stanza buia e lasciò che per qualche secondo gli occhi si abituassero a quell’abisso marino che vagava sulle loro teste, protetti da una vetrata così doppia da ingigantire le forme dei pesci e la miriade di colori che caratterizzava le loro squame. L’avrebbe ricordata come una delle giornate più belle della propria vita, Coco, che ai ricordi ci si legava come se fossero linfa vitale. A volte, però, le veniva difficile credere che tutto quello fosse accaduto per davvero. Una sequenza di immagini a cui non riusciva a dare una definizione e che, in alcuni momenti di solitudine, avrebbe perfino desiderato rinnegare pur di riuscire a stare un po’ meglio.
    Una pressione leggera sui fianchi e le mani di Roy andarono a cingerle il busto in un abbraccio intimo, sentito. Sollevò le proprie mani per andare a posarle su quelle di lui, fermo alle sue spalle con il petto adiacente alla schiena di lei. Restò in silenzio per qualche istante mentre lo sguardo vagava curioso sul soffitto, si cibava di immagini che le era impossibile vedere altrove mentre Roy si insinuava col proprio viso tra i suoi capelli ricci, alla ricerca di un fazzoletto di pelle da baciare cautamente. «Guarda.» sussurrò nel silenzio indicando una coppia di cavallucci marini che si inseguiva lentamente proprio sopra le loro teste. Uno sempre un passo avanti all’altro, eppure non vi era porzione di quell’acquario che non tastassero insieme, l’uno accanto all’altro. «Ci sono tantissimi cavallucci marini attorno a loro, ma quei due si muovono sempre all’unisono.» spiegò Coco, la voce assottigliata, quasi timorosa di rompere quel silenzio che regnava nella stanza dal soffitto magico. Chinò appena il capo all’indietro, andando ad appoggiare la nuca sulla spalla destra di Roy, ancora dietro di lei. «Sono bellissimi.» sussurrò ancora con lo sguardo perso oltre quella cupola di vetro. Pensò che niente avrebbe potuto separare quei cavallucci marini, così come era certa del fatto che mai avrebbe perso Roy di nuovo, mai avrebbe dovuto nuovamente fare i conti con la mancanza del suo profumo nella stanza o nel corridoio della casa in cui erano praticamente cresciuti assieme.
    Non lo sapeva ancora, ma solo due mesi dopo avrebbe perso ciò che aveva faticato per ritrovare e i suoi occhi avrebbero visto mani prelevarlo e allontanarlo dalla sua presa sicura.


    Roy non aveva risposto ad alcun messaggio, non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate. Il muro di pietra era immobile in mezzo a loro e per giorni non aveva visto le dita di Roy tentare con fatica di buttarlo giù. Silenzio.
    Aveva atteso, gli aveva lasciato tempo, convinta che prima o poi tutta quella sua rabbia sarebbe esplosa e si sarebbe dovuta schiantare contro di lei, eppure la tempesta non giungeva e quella quiete aveva iniziato a terrorizzarla più di ogni scarica incendiaria che avrebbe potuto infrangersi su di lei da un momento all’altro. Sapeva perfettamente quanto esser venuto a conoscenza di ciò che era successo potesse averlo ferito. Una bomba ad orologeria dopo l’altra che gli erano esplose fra le mani e non avrebbe potuto fare nulla per cambiare le cose. Il passato e il presente che si erano mischiati alla velocità della luce e nessuno di tutti loro aveva potuto fermare quel caos. Ognuno di loro ne era stato atterrato, Kai compreso, il quale si era ritrovato nel mezzo di quella storia senza neanche voler esserci poi davvero. L’amico aveva assistito ad ogni singolo passo di quella relazione, stando accanto ad entrambi e riuscendo comunque a tenere separato il tutto. Aveva spesso visitato Roy in cella, ma era riuscito a deviare l’attenzione di Roy dal ricordo delle labbra di Coco, lontana anni luce da dove lui invece avrebbe voluto vederla. D’altro canto, non era stato neanche facile per lei: riuscire a guardare Kai negli occhi e sapere che quegli stessi avevano scrutato nella tristezza di Roy le aveva fatto tremare le gambe ogni singola volta. Ne avevano passate tante, si erano fatti del male forse più di quanto avessero potuto farsi del bene, eppure in quel momento non sembrava più importare. Voleva solo ritrovarlo, riportarlo a casa, non aveva importanza quale fosse, ma desiderava con tutta se stessa riavere la propria tempesta stesa nella parte ormai a lungo troppo vuota del letto.
    La musica era forte, strillava nelle orecchie e non ne era abituata. Non era stata molto spesso al Bolgen, non era uno dei luoghi che preferiva visitare quando aveva il tempo per farlo, ma era consapevole di quanta probabilità ci fosse di trovarlo lì, sul posto di lavoro. E allora, forse, guardarlo negli occhi avrebbe avuto un impatto più sentito rispetto a dei messaggi e delle chiamate ad un telefono che era divenuto in poco tempo irraggiungibile.
    Si fece spazio fra la folla spingendosi tra i corpi sudati di chi aveva intenzione di godersi la serata senza pensare ai postumi del giorno dopo. Un pesce fuor d’acqua in un contesto come quello e in quel preciso istante: sembrava un campo di battaglia sul quale donne e uomini si sfidavano a chi avrebbe rimorchiato di più prima dell’alba. Trofei da portare a casa e di cui dimenticarsi nel giro di solo qualche giorno. Funzionava così e forse, se solo lo avesse voluto davvero, Roy sarebbe divenuto un ricordo. Ma guardandosi intorno e vedendo il mare di gente che avrebbe potuto conoscere e da cui avrebbe potuto farsi intrattenere senza troppe complicazioni e senza aver necessità di farsi la guerra, vi era un unico volto di cui non avrebbe avuto mai paura. E fu proprio quello a palesarsi davanti non appena il suo corpo fasciato da un abito leggero con stampa a fiori si fermò davanti al bancone. Le treccine che le fermavano i capelli intrappolando le ciocche ricce in due cascate ben controllate divennero più strette del normale mentre il respiro sembrava venirle meno. Il ragazzo non la vide immediatamente, non incrociò il suo sguardo, eppure Coco avrebbe giurato al mondo che credeva di aver visto il cuore scivolarle via dal petto per aggrapparsi alle labbra di Roy, il quale era ancora alle prese con la preparazione di qualche cocktail. Non lo aveva mai visto lavorare così seriamente, e per un momento l’unica sensazione che provò nel posare i propri occhi su di lui fu quella di orgoglio, sostituito poi da un miscuglio di sensazioni e di paura. Paura perché Roy stava davvero andando avanti senza di lei, senza dormire sulla loro isola felice, l’unico luogo che per diverso tempo aveva calmato le sue notti frastagliate da incubi così reali da esserlo diventati per entrambi, ricordi di uno che strisciano inevitabilmente sotto la pelle dell’altra. Restò quindi immobile per qualche istante, non riusciva a dire niente di niente, neanche a pronunciare il suo nome per attirare la sua attenzione. Si sentì stupida per essere andata lì, stupida per aver creduto di poter mettere le cose a posto dopo aver inevitabilmente rovinato ogni cosa. Un’egoista ad avergli nascosto una parte della vita di entrambi. Fece quindi un passo indietro abbassando il viso e puntando lo sguardo al proprio fianco, incapace di decidersi sul da farsi. Lo aveva tenuto lontano nel momento in cui lui aveva avuto più bisogno di lei, negandogli una visita in carcere e degli occhi su cui poter fare affidamento. Un distacco che tempo addietro le era sembrato più che sensato, in quel momento pareva l’apoteosi dell’idiozia. Aveva avuto il paradiso sotto al naso per tutto quel tempo e invece aveva preferito credere che fosse l’inferno. Perché non si crede mai a ciò che ci vede, si crede a ciò che si vuole credere, e non c’è alcun rimedio al passato, non esiste una macchina del tempo che possa anche solo provare ad evitare l’esplosione già avvenuta di una bomba.
    Sospirò profondamente prima di voltarsi nuovamente verso di lui e ritrovando quegli occhi su di se. Serrò istintivamente le labbra mentre i polmoni le morivano nella cassa toracica. Sembrò durare in eterno, un conflitto di sguardi a cui aveva pensato per giorni e che d’un tratto si sprigionava in mezzo ad altri mille occhi pronti a guardare ma decisamente meno importanti di quelli di Roy. Reggeva una cassa di birra fra le mani, i muscoli delle braccia tesi così come la postura e la linea del suo collo nudo. Si sentì una sconosciuta, una dimenticata, forse allo stesso modo in cui si era sentito lui per due lunghissimi anni. Fu quasi come tornare al giorno in cui lo aveva incontrato nuovamente dopo il suo ritorno dalla guerra: sconosciuta, dimenticata. Quel paradiso aveva cancellato il suo nome e l’odore della sua pelle. Era davvero tornato tutto al punto di partenza anche in quel momento?
    Si avvicinò di scatto al bancone, inspirando profondamente e cercando di ritrovare la stabilità nelle gambe e la voce in gola. Si fece spazio fra due corpi sgomitando appena per posare le braccia sulla superficie umida e si spinse appena in avanti, nella sua direzione. «Roy.» fu quasi un sussurro nel mezzo del caos, tanto che Coco neanche fu sicura che lui fosse riuscito ad udirla chiamare il suo nome. Chinò il capo da un lato indicando l’uscita secondaria della discoteca, sperando che acconsentisse a seguirla anche solo per qualche breve istante. «Dobbiamo parlare.» sentenziò decisa, sebbene si aspettasse l’ennesima esplosione da un momento all’altro. Lo conosceva, sapeva che per lui non aveva alcun peso il fatto che vi fosse gente intorno a loro e Coco sperava di essere pronta a ricevere una pioggia di rabbia e delusione su se stessa, dopotutto era anche lì per quello, per ammanettare il silenzio di quei giorni e lasciare che fosse Roy a consumarlo, arderne ogni più piccola consistenza. Perché era così che funzionavano: erano come carta che brucia e si rigenera per bruciare nuovamente, perché Coco viveva soprattutto per quello, per intrecciare le proprie dita a quelle di Roy e riuscire a domare quelle fiamme. Era il suo compito, lo era sempre stato, e quel colmarsi e completarsi li aveva uniti più di tutto, erano indissolubilmente legati e nessuno dei due avrebbe mai potuto mascherarsi dinanzi all’altro, lo avevano imparato a loro spese.
    Fiamme, voleva vedere le fiamme di cui Roy era capace anche solo per capire che, nonostante tutto, desiderava addormentarsi ancora con le dita tra le ciocche ricce dei capelli di Coco.
     
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    Le nocche scorticate si stringevano al volante con forza, passando da rosse a bianche. La pioggia sul vetro lo faceva impazzire. Nelle orecchie, sotto di lui, di lato e persino sopra la testa. Forte, ma non abbastanza da silenziare il casino fra le tempie. Nella carreggiata opposta dei fari lampeggiarono nello stesso istante, riflettendosi nelle iridi blu e dilatate di Roy. Le strinse appena. "Arrivederci Besaid." Passò sfrecciando il cartello sbilenco. Pensò: "addio" e, "stavolta sul serio."
    Non sarebbe tornato indietro. Allungata la mano strinse il collo di una bottiglia di birra, portandola alle labbra per scolarne l'ultima goccia. Cadendo a terra si scontrò con altre cinque o sei producendo un rumore di ventro infranto, di vuoto contro vuoto. Era quello suo suono? No, lui era pieno si roba, era sempre stato questo il suo problema. Non solo quando si scontrava, persino camminando Roy faceva un casino infernale. Strabordava sempre delle cose sbagliate e mai al momento giusto. Con una mano si scostò i capelli dalla fronte, appiccicati dal sudore che non sembrava voler smettere di incollargli la maglietta al torso. Soffocava. Era il caldo o lo schifo che aveva dentro? La mano destra scivolò via dal volante atterrando nella sacca nera sul sedile del passeggero. Ventottto anni a Besaid e il risultato entrava tutto in un borsone da palestra. Vi frugò dentro, gli occhi distolti dalla strada e le ruote che dalla doppia linea continua scivolavano fluidamente nella carreggiata opposta, invadendola. I fari stavolta illuminarono l'orecchio sinistro di Roy, che fece appena in tempo a raddrizzarsi e sterzare il volante a destra. Con uno sbalzo d'aria il camion gli sfrecciò accanto, il suono del clacson che si perdeva rapido nella notte insieme alle sue luci. Il cuore nei timpani, Roy aveva trovato quello che cercava: una piccola pillola bianca a incastro fra pollice e indice. Se la mise davanti agli occhi, sovrapponendola all'immagine della strada che deserta e scura gli sfrecciava sotto i piedi. Qualcosa doveva andare storto, non sembrava riuscire a mettere a fuoco e anche la profondità di campo risultava sfalsata, come in un sogno. O incubo. Una tirata di naso, la bocca che si apriva a far sparire la pillolina sulla lingua. Così non ci avrebbe più pensato e 'fanculo. Scrocchiò il collo, le vertebre cedettero sotto quel colpo secco a sinistra, scricchiolando cupe. Ma era sempre lì, un chiodo fisso che a scacciarlo ti giocavi non solo le dita, ma tutto te stesso. S'agitava, il tumulto che cercava di reprimere, si schiantava così forte da incrinare le ossa. Roy lo sapeva, non avrebbero resistito ancora a lungo. Il trucco era semplice, non doveva pensare, zittire le voci e bloccare le immagini. Più a dirsi che a farsi: neanche alcool e MDMA sembravano riuscire a tracciare la parola fine. Perchè era questo che voleva Roy, cancellare gli avvenimenti degli ultimi due anni, sradicarseli dalla testa e andare avanti.
    E invece le meningi si riempirono di domande, cercavano con ossessione risposte che non riuscivano a trovare, dandosene altre che poi Roy rifiutava. Era da due giorni che andava avanti quella pazzia. Gli aveva tolto il sonno e la sanità mentale, era così che ci si sentiva a perdere ogni cosa? Gli era già successo, di lasciare e essere lasciato indietro. Smarrirsi era facile per Roy, perdeva la strada senza riuscire a tornare indietro. Poche ore o anni, alla fine però lo faceva sempre: in un modo o nell'altro trovava le briciole di pane che Coco gli lasciava sul sentiero. Il letto, la casa, l'isola, l'energia elettrostatica che i suoi riccioli contenevano, erano tutte certezze per Roy, appigli a cui aggrapparsi quando il mondo si inceneriva sotto i suoi piedi. E ora che non c'erano più il materasso, le mura, l'isola, o i ricci in cui affondare il naso...cosa fare ora? Nessuno avrebbe potuto capire cosa erano stati. Lei sapeva far sbocciare fiori anche dove la luce aveva smesso da tempo di battere.
    Avvolto dalle sneakers distrutte, il piede spinse di più sull'acelleratore. Che lo bloccassero, che andasse a schiantarsi contro un albero. Sembrava volerle provare tutte per essere arrestato, o quantomeno fermato. Ma le stradine di montagna erano buie e deserte, e nessuno sapeva che Roy stesse lasciando la città. Non c'era nessuno a tirarlo indietro.
    Era spezzato, eppure a metà avrebbe continuato a vivere. Il sudore sulla pelle stava letteralmente evaporando, e nell'aria cominciava ad avvertirsi odore di qualcosa che brucia. Il corpo era scosso da fremiti sempre più violenti e, se avesse potuto misurarla, avrebbe scoperto che la temperatura corporea si aggirava intorno ai 45 gradi centigradi. ≪Merda, merda, merda.≫ Il palmo destro si abbattè tre volte sul volante. Sapeva cosa stava per accadere. Sterzò malamente, i fari che fendevano il fitto buio illuminarono quel che restava di una vecchia stazione di servizio abbandonata. Fermata l'auto, piegò il busto in avanti sfiorando con la fronte il centro del volante. "Respira dal naso." I denti si cozzavano contro. "Espira dalla bocca. Roy, andrà tutto bene." Se lo diceva Coco doveva essere così. Strinse gli occhi, le braccia piegate sull'addome contorto. Il tempo di un guizzo, da qualche parte la miccia si accese e l'intero sistema nervoso iniziò a collassare. Con uno scatto il collo si piegò all'indietro, la schiena aderente ora al sedile era rigida come le braccia lungo i fianchi. Quello che aveva sentito era solo un ricordo, lo scherzo che in preda alla febbre la mente gli giocava. Quanto avrebbe voluto che quel delirio fosse reale. Ma era solo nell'area di sosta dimenticata, quando gli occhi si rovesciarono all'interno della nuca e il corpo cedeva alle convulsioni. Intanto, sul sedile del passeggero il telefono continuava a vibrare incessante.

    Una stanza ripiena di luce accecante, una figura trasparente, un cuore che batte dietro la tenda pastello. Muove un passo ma resta fermo, vuole raggiungerla, deve stringerle la mano. Perché non riesce a muoversi? Sbatte la palpebre, è reso quasi cieco, ma ora è più vicino. Se tende il braccio può toccarla forse. Forse, forse, forse. Chi c'è con lei, dietro il cotone? Si muove lento e animato da un sospiro che Roy non riesce a vedere. Ormai è vicinissimo, ascolta ma non sente niente. Ha paura, c'è qualcosa in quella tenda che lo spaventa. La figura lì dietro ha preso a sobbalzare appena. Distinguibili sono solo i contorni e i capelli oscillanti. Sembra che qualcuno ne abbia tracciato i confini dimenticando di colorarle dentro. Stringe qualcosa, ora Roy lo vede. Un involucro piccolo, è un bambino? È minuscolo, non può essere. Il cuore è nelle tempie e chissà dov'altro, non capisce nulla ed è terrorizzato. All'improvviso c'è uno strappo, quel suono lacerato spezza l'aria e la tenda crolla ai suoi piedi. Sono immersi nella sabbia. Dove prima c'era bianco, ora c'è il marrone del deserto. Sono stivali militari quelli che indossa? È confuso, ma guarda davanti e si sente meglio. Coco è lì, va tutto bene. Fa una carezza sull'involucro bianco che la ragazza tiene ancora fra le braccia, le vuole chiedere qualcosa ma ha perso le parole. Quando Coco sorride, Roy si perde, fino a quando il bagnato sulle mani diventa insopportabile. Guarda verso il basso e lascia la presa: il fagotto è zuppo e il sangue comincia a scivolare fra le ginocchia pallide di Coco, macchiandole. Fa un passo indietro, crede di urlare ma non sente nulla, si fissa le mani rosso cremisi. Abbassa le palpebre, strizza gli occhi, sta sognando non c'è altra spiegazione. Scuote la testa e indietreggia fino a quando lo stivale urta qualcosa e Roy cade all'indietro. In mano ha un fucile mentre con gli occhi spalancati guarda un campo minato di corpi senza vita. Al centro ci sono Coco e il fagottino, confuse e riconoscibili in quella marea di corpi sgraziati e senza forma. Si avvicina, affonda, si rialza. Vuole raggiungerle, al femminile perché lo sente, è sua figlia quella che Coco ha sul petto. Non le raggiunge mai, quei corpi dislocati a causa sua. "Tu non ti meriti un cazzo e di certo non ti meriti lei." La voce di Kai spacca il silenzio e la sua testa in due, e le lacrime cominciano a solcargli il viso. ≪Scusa, scusa, scusa.≫ Chissà se possono ancora sentirlo o se è ormai troppo tardi.

    Una scossa come di terremoto, ma dall'interno. Sulla fronte, la cute era imperlata di gocce di sudore; sulle braccia arricciate dal freddo la peluria era sull'attenti. Le palpebre tremarono debolmente, sotto le vene azzurrine gli occhi si muovevano chiassosi. Un sussulto dei muscoli all'altezza dello sterno e Roy schiuse le saracinesche su un parabrezza bianco di ghiaccio. Dove cazzo sono? Entrambe le mani stropicciarono il viso segnato dalla mancanza di sonno, ferite e lividi. In bocca aveva il sapore metallico del sangue. ≪Mhh.≫ Le immagini arrivarono insieme al dolore, e tutto venne a galla. O quasi. Non veniva colto da un attacco così forte dai tempi della soffitta di casa sua, quando da bambino la vicina lo aveva trovato dopo ventiquattro ore. Era il suo potere, la sua disabilità, quella di surriscaldarsi fino a incendiare gli oggetti e perdere i sensi quando la temperatura diventava troppo alta perchè il corpo la sopportasse. Con il dorso della mano tastò le labbre e del sangue rappreso scricchiolò sotto quella pressione. Ad un certo punto doveva essersi morso la lingua o l'interno della guancia, per questo tutta la bocca sapeva di rame. Toc toc. Sussultò spingendosi sul sedile dal quale era sprofondato, riscoprendosi ghiacciato. Qualcuno stava bussando sul vetro e, a giudicare dalla sua impazienza, non doveva essere la prima volta. Si sporse leggermente e attraverso la brina azzurra vide il badge di un poliziotto. ≪Pikk!≫ "Cazzo" in norvegese. Il giudice era stato chiaro: una multa e avrebbero rispedito il suo bel culo in gattabuia. Fu un gesto inutile quello di rassettarsi i capelli con le dita, l'esercito prima e il carcere dopo gli avevano inculcato l'abitudine di tagliarli corti ad ogni accenno di ricrescita. Spostato il borsone sul pavimento per corprire le bottiglie vuote, Roy iniziò allora ad abbassare il finestrino, la manovella che si inceppava ogni due giri mentre scaglie di ghiaccio cadevano pungenti sui suoi jeans macchiati. Le guance pizzicarono alla frusta del vento. ≪Buongiorno.≫ Cercò il tono più allegro e cordiale che riuscisse a trovare nel repertorio scontroso e irrivente che era il suo lessico, mentre sfoderava un sorriso aguzzo consapevole che, con gli occhi gonfi e la faccia ammaccata, non avrebbe potuto fregare nessuno. Gli serviva un miracolo. ≪Patente e libretto. Si sente bene? ≫ Il poliziotto lo fissava con sguardo indagatore, gli occhi che facevano la spola tra lo zigomo screpolato e il sopracciglio aperto. ≪Benissimo, grazie. Ieri notte mi sentivo sonnolente, quindi mi sono fermato a schiacciare un pisolino. Sempre meglio che guidare in quello stato, dico io. No?≫ Gli porse i documenti. La bocca gli faceva un male cane. ≪Dove è diretto?Pensa, pensa, pensa.Oslo, da lì ho un aereo per Berlino. Questi? La box.≫ Aveva notato il modo in cui l'uomo fissava i tagli e le escoreazioni sul suo viso e aveva giocato d'anticipo a riguardo. Che poi non era una cazzata al 100%, insomma, era vero che praticava la box e che ne usciva sempre ridotto maluccio. Non era importante che a infliggergli quei colpi era stato il suo migliore amico. Ex, migliore amico. La sua collezione era infinita. ≪Davvero? Tiene i guantoni nella borsa? Me li faccia vedere.≫ Il cuore gli sprofondò nel petto mentre si chinava a rallentatore per dare il tempo al cervello di escogitare qualcosa. Sentì d'improvviso un sospiro e, voltatosi, trovò l'uomo che indicava qualcosa all'interno dell'abitacolo. Gli occhi di Roy si fermarono sulle due piastrine militari che penzolavano dallo specchietto retrovisore. I soldati le raccoglievano dai corpi dei commilitoni deceduti in campo, a volte così irriconoscibili che quello era l'unico modo per sapere chi fosse morto. Era spesso anche l'unica cosa che avevano da portare indietro, in assenza di un corpo per le famiglie. La regola era di stringerle fra i denti e tenerle al sicuro mentre saltava tutto in aria. Quante ne aveva strette fra le labbra lui? ≪Che divisione?≫ Con addosso ancora il sogno e gli incubi ricorrenti, Roy si sforzò di scacciare via il malessere. ≪Artiglieria. ≫ Abozzò un sorriso stiracchiato. Doveva avere un taglio sulla gengiva e bruciava da impazzire. ≪ Iran?≫ Annuì osservando il volto del poliziotto cambiare repentinamente espressione e porgergli i documenti. ≪Ho mio fratello in Iraq, quando torna a casa non è più lo stesso. Comunque è tutto apposto, non c'è bisogno di fare un check del background. Grazie per ciò che ha fatto per la nostra patria.≫ Scattò sull'attenti e girò i tacchi, lasciando Roy a fissare la schiena che si allontava da lui. Quando mise in moto non c'era solo il sollievo nell'aria che respirava, ma una grande e triste stanchezza. In quel momento, da qualche parte lontano un telefono vibrò. Il suo telefono. Dopo aver schiacciato a calci il precedente continuava a dimenticare di averne uno nuovo, regalo non richiesto da parte di Nora. Trovò l'arnese sotto il sedile, scoprendo di aver ricevuto una cosa come venticinque chiamate senza risposta e una decina di messaggi. Coco, Coco, Coco. Nora. Coco. Nora, Nora, Nora, Nora, Nora, Nora. Che strano, la cugina non lo cercava mai così tanto. Dopo averne aperto uno e non averci capito un cazzo ne aprì un altro, e poi un altro e poi un altro, l'ansia crescente a sfondargli i timpani. Nora. Buttò l'oggetto del demonio sul sedile e partì sterzando, direzione: Besaid.


    Aveva camminato a piedi dall'ospedale al Bolgen, conquistandosi un ritardo di circa quarantacinque minuti. Nello spingere la porta del locale, Roy si sentì stanco come se avesse cent'anni sul groppone. La folla era già riunita, s'agitava e scontrava al ritmo di una musica incessante, spacca timpani. Aveva un mal di testa bestiale. In realtà, non avrebbe saputo dire se ci fosse una parte di lui che in quel momento non stesse soffrendo per qualche motivo.
    La merda continuava a piovergli addosso e Roy non aveva neanche più la forza per provare a evitarla. Nora era finita all'ospedale, qualcuno l'aveva attaccata attirandola in una trappola fingendosi lui. Tutto perché Roy non aveva risposto a quel cazzo di telefono, troppo concentrato a evitare ogni ulteriore sofferenza apparsa sullo schermo. Evitò le persone, fiondandosi nel retro per frugare nell'armadietto di Cyd. "Hey, ma che fai?! Giù le mani amico! Ma che t'è successo? " Il collega doveva averlo visto e seguito lì dentro, e osservava confuso le pessime condizioni in cui Roy si trovava. Dal canto suo, il ragazzo sfilò la maglietta sudicia lasciandola cadere su una sedia. ≪Ce l'hai una maglietta da prestarmi?≫ Ne tirò fuori una a maniche corte con il logo di un qualche gruppo musicale sopra, sollevando il braccio e avvicinandoci il naso per annussarsi l'ascella. ≪Puzzo abbestia.≫ Cyd mugugnò qualcosa sul fatto che Roy facesse sempre schifo, poi gli indicò una bustina con del deodorante che l'uomo si spruzzò addosso fino a rendere la piccola stanza una camera a gas. Se lo doveva tenere stretto, quello stecco secco tatuato. Forse era l'unico amico che gli era rimasto. Infilò la maglietta che, sebbene più attillata di quelle che portava, nel corso del tempo aveva ceduto abbastanza da farlo sentire a suo agio. Lo seguì a ruota libera Fae, incazzata dell'enorme ritardo. Alla domanda "che fine hai fatto?", Roy scrollò le spalle. Della serie, "sono qui ora". Tenersi tutto dentro lo riempiva fino all'esplosione, ma non riusciva davvero a parlare con nessuno. Della sua infanzia, dell'Iran, di Nora, di Coco e di tutto quel gran casino. Fae parve capire e lo lasciò andare, anche se Roy sapeva di dover in qualche modo rimediare al danno. Ci avrebbe pensato domani. Domani tutto sarebbe stato più semplice.
    Con l'avanzare la serata si fece meno cupa. Non l'avrebbe mai detto ma il lavoro lo aiutava a distogliere i pensieri, e qualche shottino di tequila con i clienti gli alleggerì il peso sulle spalle. Era appena uscito dal retro, quella sera andavano tutti giù di birra e serviva un refill dei frigoriferi. Ne teneva una cassa piena fra le mani quando avvertì la prepotente sensazione d'essere osservato. E non da occhi qualunque.
    Incrociò il suo sguardo quasi immediatamente, incollandolo al proprio in mezzo a dozzine di altri che non gli interessavano. Non riusciva a risalire da quegli occhi grandi e sempre un po' tristi, forse perché non era mai stato quello il suo tentativo. Nel perdercisi dentro ci si era sempre ritrovato, migliore, più forte, nuovo. Era questo che si facevano quei due mentre cercavano appiglio l'uno nell'altro. Ma non quella volta. Quella volta avrebbe distolto lo sguardo. Si sforzò, i muscoli del collo tesi e i pugni contorti sulla cassa. Come faceva, a ridurlo così? Come faceva a stancarsi di lei? E poi aveva quesgli enormi occhi, e la cosa non mancava mai di stravolgerlo.
    Lasciò cadere con pesantezza la cassa sul bancone, fu quello a cui si ridusse per sbloccarsi e riconquistare la superficie. Il rumore delle bottiglie tuonò forte, un legame spezzato che per lui suonava come una bomba ma per gli altri, tra la musica pulsante, non era stato altro che uno scricchiolio. ≪Dammi cinque minuti.≫ C'era preghiera nello sguardo che rivolse a Fae, prima di circumnavigare il bancone e immergersi nella folla. La trovò subito, stringendole la mano intorno al gomito e trascinandola via. Aveva un vestito a fiori che le copriva le braccia, per questo l'aveva afferrata a quel modo. Non l'avrebbe toccata a mani nude, fosse l'ultima cosa che prometteva a sé stesso. Nonostante la stoffa, Roy giurò di sentire le loro epidermidi bruciare. La strattonò fino alla porta secondaria senza premurarsi di non farle male perché, in fondo, era proprio quello che voleva. ≪Chi cazzo ti ha detto dove lavoro.≫ Non era una domanda, non gli interessava sapere la risposta. Non la voleva lì.
    Non appena fuori, Roy la lasciò andare nell'aria ghiacciata di Novembre. Decise che dovevano esserci sei passi a separarli, una precauzione necessaria sia per lui che, sopratutto, per lei. Non era al sicuro quando il corpo di Roy iniziava a tremare a quel modo, lieve ma costante. Sul retro c'erano solo loro due, due cassonetti dell'immondizia e un lampione sgangherato che lanciava su di loro la sua luce giallognola. A vederla da fuori, Coco, sembrava una tipa tutta equilibrata, ma in realtà era emotivamente disturbata, pazza, senza senso. Incapace di stare fermo, l'uomo si muoveva in piccoli passi laterali, i pugni stretti lungo i fianchi e le spalle rigide, leggermente incurvate. I suoi sentimenti erano sempre eccessivi, amava fino in fondo e odiava fino alla fine. Ma con lei, ci sarebbe mai stata, una fine? Lo perseguitava, non gli dava modo di andare avanti, scordare le immagini che aveva visto nelle loro teste e vivere come se nulla fosse accaduto. Era la prima volta, forse, che provava a non tornare da lei, sforzando il cuore che invece lo voleva vicino al suo. Anche il corpo, del resto, sembrava volersela tenere fra le mani. ≪No.≫ Quella era una negazione destinata a sé stesso, il fragile tentativo di costringersi a non volerla più vedere, a non volerla vicino, a mantenerla distante. Senza rendersene conto però l'aveva detto ad alta voce, rispondendo rabbioso a una domanda ancora non posta. La osservò: era un manto agitato sopra due spalle sottilissime. E quegli occhi...Avrebbe voluto non pensarci, evitarli, ma in quegli occhi ci cadeva sempre, inciampando. Di certo non poteva impedirsi di cambiare lo sguardo, quando guardava lei. Aveva gli occhi pregni della voglia disperata di chi la voleva sopra ogni cosa. Nessuno l'avrebbe guardata mai più così. In tanti altri modi forsei sì, ma mai più così. Distolse di nuovo lo sguardo puntandolo verso il basso. Osservava, un accenno di disgusto ad increspargli le labbra, il profilo di quelle grandi mani che tutto si erano lasciate sfuggire. Felicità, famiglia, amore. Quelle mani così forti e così deboli non erano riuscite a tenersi stretta l'unica cosa che avesse mai contato per lui. Il respiro già alterato creava piccoli sbuffi di vapore che si perdevano nella notte.
    Avrebbe voluto dirle che gli ricordava un posto che amava, con il vento che soffia piano, che era difficile per lui metterla da parte, scordare cosa erano stati. Per tutta la vita avevano creduto che quello era il loro destino, che avrebbero superato ogni cosa. E se non fosse stato così? Come si può seppellire qualcosa che non si è mai vissuto? Erano esplosi come quando per sbaglio un piatto cade e si rompe in mille pezzi. Doveva cercare di ricomporlo ancora una volta o buttar quel che ne era rimasto? Come si dice addio in certi casi? Come una bomba ad orologeria, il tempo scorreva tra le mani. Forse se solo le avessero unite avrebbero potuto rallentare quella corsa? Invece, il cuore di Roy, andava come un pazzo. ≪Vattene prima che ti metta le mani addosso.≫ In quale modo, non lo sapeva ancora. Si doveva convincere che fosse solo un'altra cicatrice. Un po' più profonda, un po' più evidente. Nel cuore in tumulto sentiva però una voce dirgli "in realtà, potresti essere felice". Avrebbe potuto, ma non osava tanto.

    If this was meant for me, why does it hurt so much?
    And if you're not made for me, why did we fall in love?

     
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    Don't wake me yet
    Don't wake me yet
    Steal the rest
    Hasn't happened

    XXX

    Era lì davanti a lei, in carne ed ossa, una presenza di cui non aveva potuto godere per qualche giorno, le era mancato come l’ossigeno manca ai polmoni quando si è in apnea. Era stato straziante sapere, distruttivo provare a non pensare alla sua pelle calda, ai capelli arruffati e ai suoi occhi profondi come il mare, nascondevano immagini che lei era riuscita sempre a vedere, anche al buio. E in quel momento, nel mezzo della folla e di un caos che non aveva cercato, Coco lo vedeva di nuovo. Lo guardava come se fosse tornata a respirare in quel preciso momento, come se non potesse esserci altro al mondo che contasse di più, che valesse più sofferenze di quella. Gli era stata lontana così tanto tempo da non riuscire più a riconoscere cosa effettivamente fosse giusto e cosa fosse sbagliato, da non riuscire a riconoscere più neanche se stessa..
    Lo vide lasciare la presa sulla cassa di birra, che andò a schiantarsi violentemente contro il bancone, eppure sembrò accorgersene solamente lei, un paio d’occhi che ritrovavano la strada di casa ma forse non avrebbero dovuto riconoscerla. Il blu si andava a miscelarsi con l’azzurro, diventavano un’unica cosa e si separavano di nuovo, stringeva i denti per non rispondere alla voglia di fuggire, la vergogna intrappolava i suoi muscoli e li trasformava in cemento, pesante da spostare. Avvertì le spalle pesanti, la testa ugualmente difficile da portare altrove. Era lì e tutto ciò che voleva se ne stava con le mani in mano sotto il suo sguardo, urlava una richiesta d’aiuto che non era mai stata più silenziosa di così. Voleva correre da lui e lasciarsi afferrare, stringere tra quelle braccia calde mentre cercava un riparo da qualcosa, neanche lei sapeva cosa. Lo vide riabbassare lo sguardo, avvicinarsi ad una ragazza dai capelli stravaganti, forse lei aveva la sua fiducia, non lo seppe, era difficile pensare ad altro in quel momento. Un cenno della testa, lo sguardo di lei andava a posarsi su Coco, avrebbe capito? Aveva il corpo di una che si adagiava dolcemente fra le braccia possenti di Roy? Forse sì, forse no, abbassò lo sguardo appena prima di ritrovarselo accanto, la sua mano andò ad afferrarle il braccio, le dita che stringevano il suo arto attente a non sfiorare la sua pelle. Da quando aveva iniziato ad avere paura di quello che lei avrebbe significato per lui? Da quando avevano iniziato ad essere distante nonostante fossero così vicini? Coco non lo sapeva, forse neanche la voleva, una risposta. La musica continuava a tuonare nelle sue orecchie mentre Roy la trascinava via. Non aveva cura in quel tatto, non vi era alcuna dolcezza, quella che conosceva e che dalle sue mani si era consegnata a lei da sempre. Un’altra persona, uno sconosciuto i cui movimenti non le piacevano più, si sentiva violata, sembrava voler distruggere ogni bel ricordo che Coco aveva di Roy. Guardò quelle dita, le nocche si fecero bianche per via della pressione, della forza con la quale lui andava a soffocare le vene della pelle di lei sotto la stretta dei polpastrelli di lui. Non ne fu più al cento per cento sicura. Non fu più sicura di nulla, neanche del suo amore. Forse, come quando aveva parlato con Kai, avrebbe solo dovuto lasciarlo andare, niente più compromessi, niente più lacrime, nessun altro passo indietro.
    ≪Chi cazzo ti ha detto dove lavoro.≫ parlò Roy allora. La sua voce non aveva alcuna tonalità, era fredda come l’aria che li accolse oltre la porta dalla quale uscirono e che dava sul retro del locale. Si strinse nelle spalle non appena lui lasciò andare la presa, si allontanò da lei di qualche metro, non voleva neanche starle vicino? Che diavolo ci era andata a fare lì?
    Si muoveva, non riusciva a stare fermo, tremava e stringeva le dita portando le unghie al centro dei palmi delle sue mani, avvertiva la propria pelle irrigidirsi sotto al suo sguardo offeso. Lo aveva ferito, lo sapeva, e non avrebbe neanche saputo da dove iniziare per alleviare il suo dolore. Non aveva idea di come ci erano riusciti, ma avevano trasformato quell’amore in una sostanza tossica che sembrava aver avvelenato entrambi e tutto quello che avevano toccato. Se solo avesse potuto, Coco sarebbe tornata indietro nel tempo per riguardare ogni cosa, ogni avvenimento e cercare di capire dove esattamente erano rimasti, cosa si era messo in mezzo a loro e perché davvero le cose si erano evolute poi in quella maniera. Coco tremava per il freddo, Roy sembrava tremare per la temperatura incandescente della sua pelle rigida. Fu quasi come un dejavu.

    Faceva troppo caldo, lo avvertiva insistentemente, si stava svegliando piano mentre si girava e rigirava nel letto scalciando via le coperte. Le palpebre ancora serrate, Coco non vedeva altro che buio, eppure credeva di essere a qualche passo dal sole, sognava di camminare sulle nuvole mentre dietro la nuca i capelli erano pregni di sudore, la schiena bruciava e la pelle delle gambe sembrava ardere contro quelle di Roy. C’era anche Roy? Non lo vedeva, eppure avvertiva il suo respiro, un affanno che aveva imparato a conoscere da quando era tornato da lei. Nel sonno, le sopracciglia s’increspavano e la pelle sulla fronte si arricciava man mano che quel calore sembrava avvolgerla così prepotentemente. Continuava a camminare sulle nuvole, forse, non capiva dove fosse, ma credeva di esser stesa, la veglia cominciava a sovrapporsi al sogno, Coco non capiva più cosa fosse reale, se la luce accecante del sole che sembrava volersela mangiare, oppure la sensazione della pelle di Roy appiccicata alla sua, bagnata di sudore.
    Spalancò le palpebre, era tutto buio davanti alle sue iridi, non riusciva a distinguere neanche il contorno dei mobili in camera da letto mentre le orecchie, sull’attenti, erano ormai avanti, più veglie di qualsiasi altro suo senso. Respirava pesantemente Roy accanto a lei, ne avvertiva i movimenti repentini, un corpo accanto al suo che sembrava non rispondere più di se stesso. Tirò via le mani da sotto il cuscino e andò a schiacciare il tasto d’accensione del lume posto sul comodino: la stanza si illuminò e sembrò tutto come al solito. Ma quel calore. Non erano i termosifoni, si espandeva per tutta la stanza dal colpo di Roy, che si voltò immediatamente a guardare dopo essersi tirata su ponendo la forza nei gomiti piantati sul materasso. Lo vide, dormiva ma era disturbato da qualcosa, immagini che lei non avrebbe potuto vedere, un terrore evidenziato dalle sue labbra schiuse, mostravano i denti digrignati mentre le dita avevano catturato la stoffa delle lenzuola stringendola compulsivamente, i piedi due tavole immobili. Si rigirò nella sua direzione inginocchiandosi sul materasso e portando le mani sul viso di Roy, un pollice che andava a distendere le rughe formatesi tra le sopracciglia mentre stringeva assiduamente le palpebre. Forse non voleva guardare ciò che aveva davanti agli occhi perché girò istintivamente il capo da un lato, sfuggiva alle immagini di un corpo senza vita? ≪Roy.≫ provò a chiamarlo una, due volte, e solo alla terza il ragazzo sembrò abbandonare il campo di battaglia, si guardò le mani, non voleva averle sporche di terra, avrebbe macchiato le lenzuola. Scosse il capo, Coco, avvicinandosi al suo e posando una mano sul suo braccio lasciò che le dita si avvolgessero ad esso per tirarlo su. ≪Sei a casa, Roy.≫ gli sussurrò dolcemente lei senza distogliere lo sguardo dal suo viso, gli occhi di Roy ancora smarriti puntavano prima il soffitto, poi le pareti, poi le labbra di Coco che provava a riportarlo a casa, l’isola felice lo avrebbe potuto proteggere nella veglia, eppure non poteva nulla contro gli incubi che macchiavano la sua innocenza. Per quello, seppur difficile a dirsi, c’era Coco. Faceva quel che poteva, provava a svegliarlo e calmarlo come forse solo lei avrebbe potuto fare e, per un po’, sembrava bastare. Almeno fino all’incubo successivo, che più che figlio della fantasia, riportava Roy sulla via di ricordi che erano stati troppo veri per esser cancellati. ≪Respira, dammi la mano, così.≫ la sua flebile voce raggiunse le orecchie ancora ovattate di Roy mentre gli permetteva di poggiare la testa sulle proprie cosce, il viso contro la sua pancia, laddove vi era una vita che ancora non aveva neanche la forza di scalciare per venir fuori. Tremava, non poteva vederlo così, eppure mantenne la calma, sembrava essere quasi normale: si svegliava la notte, lui bruciava e lei, come intrappolata in uno specchio, s’inceneriva insieme a lui. Erano sempre stati complementari, le loro sensazioni e paure viaggiavano dalla pelle di lui a quella di lei e viceversa. Non poteva sfuggire a quell’amore, non avrebbe mai voluto farlo. Era lì per proteggerlo, per fargli da amica, da casa, da amante. Era come se sentisse di essere nata per lui, per non doverlo vedere camminare da solo nel mondo, si sarebbe distrutto. Ci provava da sempre, da quando quella tenda era cascata sul pavimento in mezzo ai loro piedini e lei, per la prima volta, si era persa nei suoi occhi. Non avrebbe potuto saperlo, a quel tempo, che dietro quella stoffa si era celata la ragione della sua vita, non lo aveva capito fino a quando, qualche anno dopo, i suoi passi avevano tuonato oltre la porta della sua stanza e allora lei era stata felice di poter udire qualcosa. Era stata grata al proprio corpo per le emozioni che lui le regalava perché solo attraverso di esso avrebbe potuto accoglierle, proprio come in quel momento, alla luce di un lume, Coco non distolse neanche una volta lo sguardo dal mare che vedeva negli occhi di Roy, i quali, piano piano, secondo dopo secondo, si sarebbero chiusi per riposare. Gli prese quindi la mano intrecciando le sue dita a quelle bollenti di Roy e stringendole appena più forte lasciò che qualcosa, dentro lei, si attivasse. Avvertì il proprio corpo galleggiare mentre gli occhi si staccavano dalla realtà per fissarsi su altri mondi, altre superfici di terra che lei non aveva mai visto. Vide ciò che aveva visto lui, sentì rumori che non aveva mai davvero conosciuto mentre i polpastrelli delle dita bruciavano a contatto con la pelle incandescente di Roy. Il respiro di entrambi si fece più lento fino a calmarsi quasi del tutto mentre il sudore che avvertiva sulla schiena si assorbiva, la stanza tornava ad avere una temperatura normale e l’ossigeno inondava nuovamente i loro polmoni in maniera regolare, non bruciava più niente quando il petto si alzava e si abbassava nuovamente. Era tornata la tranquillità e solo quando avvertì le dita di Roy rilassarsi sotto le proprie e le sue palpebre crollare sugli occhi azzurri che, Coco, lasciò andare la sua mano per carezzare i capelli corti di Roy guardandolo addormentarsi di nuovo fra le sue braccia. La schiena di Coco restò retta e posata contro lo schienale del letto fino a quando non sorse il sole, gli occhi che vegliavano sulla sua figura distesa, il petto che si muoveva regolarmente di nuovo. Le sue labbra tacevano, eppure la mente di Coco avrebbe voluto raccontargli di cosa provava sotto la pelle quando lui le era così vicino. Una sensazione che non avrebbe mai voluto dimenticare.
    Se solo Coco avesse saputo quanto quel tocco in lui riparasse e quanto in lei danneggiasse, forse, lo avrebbe aiutato in maniera diversa?


    ≪No.≫ secco, diretto, quel “no” sbarrava ogni opzione, ogni parola in via d’uscita, ogni singola speranza. Ne addentava la consistenza e la distruggeva coi denti per poi masticarla e risputarla proprio lì, davanti ai piedi timidi di Coco, i cui passi restavano leggeri e silenziosi, non volevano essere ingombranti davanti a lui. Non ne avevano mai avuto la necessità, volevano esser sentiti, eppure non da tutti, solo da lui. Schiuse le labbra mentre abbassava lo sguardo e cercava nella propria testa, frugava alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto aiutarli a ricostruire qualcosa che sembrava ormai definitivamente distrutto per la prima volta. Le era morta la voce nella gola, non riusciva a raggiungere lingua e le labbra, era intimorita, impaurita di poter esser rimangiata dai pensieri che lui voleva trasformare in parole. ≪Vattene prima che ti metta le mani addosso.≫ aggiunse Roy, lo sguardo sembrava essere l’unica cosa che Coco riconoscesse. Avvertì lo stomaco sobbalzare, stringersi per divenire più piccolo, pensò che non avrebbe potuto mangiare per giorni, non c’era lo spazio necessario al cibo, non avrebbe potuto decomporlo. Una pugnalata allo stomaco, una alla lingua, una al cuore, Coco avrebbe voluto arrendersi e crollare proprio lì, davanti a lui. Eppure le gambe ressero il suo peso mentre portava una mano dietro la propria nuca, voleva controllare che i capelli fossero ancora lì. Credette di aver perso una parte di sé, solo non sapeva quale. Serrò le labbra e si voltò dando le spalle a Roy, ancora a sei passi distante da lei, ancora sconosciuto agli occhi che avevano saputo come riportarlo alla vita qualche anno prima. Come avevano fatto a dimenticare tutto quello che erano stati? Come ci erano arrivati a quella nausea che aveva distrutto poi ogni cosa? Per un momento credette di avere del sangue sulle mani, forse non era nel suo destino portare in grembo i figli di Roy. Era strano sapere di essere quella giusta per lui e, al contempo, avere la certezza di non esserlo. Un controsenso che poi non lo era per davvero. ≪Presto. Diciamoci una volta per tutta che è finita, con chiarezza, e la smetteremo di farci la guerra. Dopodiché me ne andrò, come dici di volere.≫ si voltò a guardo si nuovo, quei passi fra di loro la distrussero per l’ennesima volta, eppure restava lì in piedi, coraggiosa, affrontava quello sguardo rivolto al pavimento che Roy le negava con insistenza. ≪Mi hai fatto male.≫ sussurrò, timorosa di dirlo a voce alta mentre faceva un piccolo passo in avanti, nella direzione del ragazzo. ≪E so di avertene fatto anche io, quindi ti chiedo scusa e ti chiedo di perdonarmi.≫ aggiunse, scuotendo appena il capo e sospirando pesantemente mentre scioglieva la prese delle mani dalle proprie braccia più magre e deboli. Tremava, non sapeva bene cosa dirgli e come dirglielo, non aveva idea di quanto ci avrebbe messo e di come, infine, quella storia potesse evolversi. A giudicare da Roy e la sua voglia di evitare lo sguardo di Coco, lei avrebbe dovuto sapere di quanto basse fossero le probabilità che, per l’ennesima volta, tutto tornasse al proprio posto. ≪Io l’ho fatto, tutte le volte in cui sei tornato da me dopo avermi affiancato ad altre, dopo aver deciso che dimenticarmi non ti avrebbe fatto tanto male quanto ne ha fatto a me vederti andare via.≫ disse, un altro passo avanti nella direzione di Roy. Tremava ancora. ≪Dopo aver saputo che non volevi accettare alcun aiuto per uscire da quella cella e tornare da me.≫ aggiunse, il tono della voce iniziava ad inclinarsi un po’ così come il suo sguardo blu, andò a piantarsi per qualche istante sul pavimento sporco, la musica rimbombava dietro le sue spalle, strisciava da sotto la porta. ≪Io ti ho perdonato perché ti amavo, così come perdonerei quelle mani adesso, sapendo che non hanno alcuna intenzione di sfiorarmi.≫ e strinse i palmi delle mani, le unghie delle dita andavano a premersi contro i palmi delle sue mani, le nocche si schiarivano sotto la pressione dei muscoli. ≪Ma non sono qui per costruire un castello di sabbia fatto di scuse. Volevo vederti. Ho bisogno che mi guardi, Roy.≫ chinò allora leggermente il capo, gli occhi restarono sul viso del ragazzo, cercavano di richiamare i suoi, troppo distanti, eppure così familiare da farla stare male, una fitta che partì dal cuore e terminò all’estremità delle sue dita, i polpastrelli vibrarono sotto quella pressione. Volevano catturare il corpo di Roy, provare a ricordarsi cosa sentissero ogni volta in cui l’avevano sfiorato. ≪Guardami. Non volevo farti del male, è l’ultima cosa che desidero, ma ammetto di avere le mie colpe.≫ affermò Coco, un’altro passo avanti, ne mancavano tre e sarebbe stata da lui, occhi dentro occhi, spalle contro spalle. ≪Aspettavamo…≫ - s’interruppe, era difficile da dire, sembrava essere una censura che si era autoimposta tempo prima. Un ricordo lontano che non era mai riuscita a cancellare. Allora sospirò, riprendendo parola e provando a farsi coraggio, Roy doveva conoscere. ≪Lo sapevo da prima che ti portassero via, mi sembrava surreale.≫ sussurrò, faceva troppo male, non avrebbe potuto gestire neanche quel dolore. Eppure ci aveva provato, senza di lui, caricandosi tutto sulle spalle e reggendolo al meglio. ≪Avrei dovuto dirtelo, ma qualcuno si è messo tra di noi facendo un rumore insopportabile e sono rimasta in silenzio. Non volevo ascoltare quel trambusto.≫ confessò. E un altro passo avanti, Coco era quasi di fronte a Roy, poteva addirittura credere di sentire il suo profumo invadere le sue narici. Lo sguardo era fermo sul suo volto, sembrava non fosse cambiato di una virgola da quando avevano avuto solo quattordici anni e avevano trascorso pomeriggi interi seduti sul tetto della loro vecchia casa. Lì non vi era stato niente a contaminare i loro sentimenti, erano stati innocenti. ≪Se è così che deve finire voglio almeno che tu sappia quanto tengo a te e che mai niente e nessuno potrà sostituirti.≫ ammise allora Coco, le spalle si chinarono leggermente mentre sentiva la testa esplodere dietro quelle parole, era strano parlare di “fine” laddove pensava non ve ne fosse alcuna. ≪Eravamo fatti per stare insieme, un tempo, lo sai anche tu. Nonostante tutto quello che ci si è messo di mezzo, nonostante quanto siamo cambiati, tu sei e sarai sempre la mia casa e senza di te non ho e non sono nessun luogo.≫ dava voce ai pensieri senza filtrarli, e forse era la prima volta che non poneva freni a se stessa e a Roy, la prima volta in cui tentava di essere aperta e al tempo stesso obiettiva. ≪E forse non posso darti quello che desideri, quello che ti aspetti, non funziono come dovrei. Non c’è alcun rimedio a questo, non qui…≫ sussurrò. Sollevò lo sguardo verso il cielo, forse neanche sapeva di cosa stesse parlando, era difficile esser chiari mentre la paura provava a tagliarle la lingua. Avrebbe voluto non dovergli dire niente di tutto quello, avrebbe preferito che lui ci fosse stato per permettergli di vedere con i propri occhi, allora Coco non avrebbe necessitato di parole, come era sempre stato tra di loro all’inizio. ≪Quindi non ti chiedo di passare sopra tutto quello che ci è successo, ma di guardarmi negli occhi e promettermi che prima o poi mi perdonerai, anche se non dovesse mai succedere per davvero, ho bisogno di saperlo per andare avanti. Ok?≫ domandò, senza aspettarsi davvero qualcosa di significativo venire da lui, effettivamente non sapeva neanche lei cosa aspettarsi, aveva solo l’ingombrante sensazione che tutto quello non sarebbe servito a nulla. Risollevò lo sguardo, sempre a due passi di distanza da lui, aveva paura ad avvicinarsi ma aveva la voglia matta di abbracciarlo e lasciarsi tutto alle spalle. ≪Sei ovunque nel mio passato, sei anche qui nel presente, pensavo saresti stato il mio futuro ma comincio a credere che non sia così, sbiadisce ad ogni secondo sempre più velocemente, eppure restano i contorni del tuo viso.≫ affermò, il tono della voce sempre più titubante, Coco non sapeva come distogliere lo sguardo dalle sue labbra, gli occhi blu che conosceva bene e all’interno dei quali osava perdersi, anche quando erano chiusi. Lei guardava oltre le sue palpebre, conosceva ogni sfumatura delle sue iridi, erano l’unica cosa che l’aveva sempre consolata, protetta. Quegli occhi erano uno specchio fatto di due braccia e due gambe alle quali si era aggrappata da sempre e di cui non aveva mai avuto alcuna paura. ≪E ora come ora non voglio guardare avanti se non ci sei perché ti amo da impazzire e questa cosa dovrebbe rendermi felice, invece mi annienta.≫ la voce si spezzò, d’un tratto, non si era neanche accorta di avere gli occhi lucidi e il magone in gola. Serrò le labbra e attese qualche minuto prima di fare un altro passo. Non in avanti, non vi era più alcuno spazio per lei attorno alle spalle di Roy. Ne compì uno indietro, abbassò il capo e puntò le iridi blu per terra qualche secondo ancora, prima di risollevarle su di lui. Tirò su col naso ma si trattenne dal reagire malamente, non voleva essere così fragile. Portò i polpastrelli asciutti ad asciugare un residuo quasi invisibile di una lacrima morta sul nascere. ≪Quindi… lo accetto. Accetto che tu sia furioso, offeso, deluso da me. Ma non darmi la colpa per quello che galleggiava da tempo tra di noi e in una volta ti si è riversato addosso. Non sei il solo che è stato male, ti ricordo che anche io ho dovuto combattere con i tuoi occhi che hanno cercato altro, più di una volta, e poi la perdita di un figlio, Roy.≫ la voce era basissima, la gola tremava, le mani tornavano lungo i fianchi adagiandosi sul suo profilo. Avrebbero voluto allungarsi nella sua direzione e mettere fine a tutto quel caos, quella marea che sembrava averli sotterrati e nascosti alla luce del sole. Che fine avevano fatto?
    Un passo avanti, un altro, si ritrovò faccia a faccia con Roy, solo pochi centimetri li dividevano, poteva vedere il sangue ribollire sotto la sua pelle, trasudava calore e lo avvertiva sin sotto la cute, conosceva ogni sua sfumatura e ogni sua temperatura. Era pericoloso stargli vicino, eppure non le era mai importato. Allungò una mano in direzione della sua, lasciando che il dito indice si aggrappasse al suo mignolo, lievemente, come se non volesse appesantirlo o disturbarlo. Cercò di controllarsi, non avvenne nulla, quella volta l’avrebbe protetto, non avrebbe visto altro. Eppure era difficile saperlo così vicino, tanto quanto mantenere lo sguardo dentro il suo e stare ferma, combattere contro se stessa per non lasciarsi andare a lui.
    Le parole sembravano voler dirgli addio, gli occhi desideravano tutt’altro, lo imploravano di cedere, di lasciare che le spalle si chinassero appena e che le dita corressero insaziabili ad afferrare quelle di lei, vicinissime alle sue. Sembrò etereo quel momento, il sottofondo della musica che esplodeva lontana nelle casse oltre quella porta, il cielo che se ne stava fiero sulle loro teste era puntigliato di stelle che non avrebbero guardato, c’era altro davanti alle iridi blu dei due ragazzi. Vi era così tanto su cui avrebbero potuto concentrarsi, eppure nulla sembrava importare tanto quanto la felicità dell’altro. Ma quella distanza, Coco si maledì per averla tagliata passo dopo passo, avvertiva l'odore della pelle di Roy invadere le sue narici, non seppe resistere, ne respirò ogni sfumatura, persino quella acre di un deodorante di cui evidentemente aveva abusato. Abbassò lo sguardo sulle sue labbra, era difficile evitarle, sfidava gli occhi per guadagnarsi la visuale delle iridi di Coco, che comunque non lasciava spazio ad altro se non a Roy e alla sua presenza. E si lasciò andare, quasi troppo lentamente, neanche si accorse di essersi avvicinata così tanto a lui, lasciò che le labbra sfiorassero brevemente quelle del ragazzo mentre gli occhi si lasciavano coprire dalle palpebre. Fu solo un breve istante, si staccò subito da esse, gli occhi evitarono di guardare il suo viso, strisciavano sul pavimento in mezzo ai loro piedi mentre questi prendevano a compiere uno, due passi indietro, allontanandosi da Roy. Serrò le labbra, Coco, incrociò le braccia al petto e, senza risollevare lo sguardo sul suo viso, si voltò per dargli le spalle, un groppo pesante si piantava sul suo petto schiacciando cuore e polmoni. Avrebbe dovuto andarsene, sparire di lì prima di poter cedere ancora una volta. ≪Dovresti rientrare.≫ sussurrò solamente, ma sperò che non lo facesse.
     
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    Can somebody help me out?
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    I'm sinking in the deep
    Can somebody pick me up? x

    Il mondo è fragile sotto i suoi piedi. Si osserva le scarpe bucate, dal tallone sinistro una crepa dirama artigli sottili. Ha paura delle linee, stridono sotto di lui come belve minacciose. Un vociare lo spinge ad alzare la testa e una grande quantità di suole lo scruta dall'alto. Il suo cielo è un pavimento di vetro calpestato da persone di cui non vede altro che il fondo delle scarpe. Suole, lembi di vestiti, sprazzi di capelli e profili di menti e nasi più o meno sporgenti. Abbassa il collo senza capire. Perché il cielo lo calpesta? Più la festa sopra di lui va avanti, più si sente terribilmente solo nello spazio vuoto e infinito. Vuole muoversi, deve raggiungere gli altri, non gli piace avere il freddo nelle ossa. Piega il ginocchio e solleva la piccola gamba. Il pavimento cigola per il cambio di peso, è così forte da sembrare un tuono. Un secondo sospeso per sentirsi uno di quegli uccelli rosa su una gamba sola di cui non sa il nome. Ha sette anni e non si è mai sentito così leggero. Ma il secondo si spezza presto in due. Perdita d'equilibrio, asse sbilanciato, impatto violenza contro fragilità. Un ringhio e la lesione sotto di lui si allunga, stiracchiandosi. Lo segue, ogni passo più profonda. È arrabbiata e Roy non sa il perché. Lui vorrebbe solamente andare lassù. Un passo dopo l'altro, la sensazione di star per cadere non passava mai. "Il vetro rotto non si riaggiusta." Non ricorda chi l'ha detto ma sa che è vero. Può riempire le crepe, far piano sulle incrinature, ma se si spaccano non c'è verso di rimetterle insieme.

    Non era mai caduto davvero, svegliandosi sempre nell'istante in cui i piedi perdevano la presa sul pavimento, riconquistandola sulla realtà. Dai cinque ai dieci anni niente in quel sogno ricorrente era mai mutato, neanche le sensazioni che restavano fin dentro le ossa. Quelle persone continuavano a camminargli sulla testa, ad ogni loro passo sentiva di rimpicciolirsi, come se la colonna vertebrale stesse soffrendo di un peso eccessivo. Sotto di lui persistevano le crepe, sempre più ramificate e profonde. Per quanto ne poteva vedere, sotto non c'era altro che il nulla più assoluto. La scena mutò con lentezza prima ancora che Roy potesse farci caso, quando un paio di ginocchia si intervallarono fra le miriadi di suole marroni. L'inaspettata novità coincise con la macchina dai sedili comodi che l'aveva prelevato un giorno dalla famiglia numero uno, e con la bambina - fantasma dietro la tenda color pastello. Quando nella realtà la tenda aveva toccato il suolo, nel sogno l'ovale del viso aveva scrutato verso il basso, guardando Roy. Il terreno continuò ad aprirsi sotto le scarpe ma il freddo e la paura erano spariti. Se il buio l'avesse preso sapeva di non essere più solo, aveva un'isola a cui aggrapparsi. In quel momento riconosceva la stessa ansia del sogno accapponargli la pelle bollente, l'inquietudine del prima che la tenda crollasse, prima che memorizzasse ogni curva di quei riccioli neri. Vacillava, o così gli sembrava, come se il terreno potesse spaccarsi e divorarlo da un momento all'altro. Se quando l'aveva vista la sensazione era stata quella, fuori a osservare l'asfalto del retro del Bolgen era caduta libera nel buio. La percepì muoversi e irrigidì ancora di più i muscoli. Non gli era mai servito guardarla per sapere dove rivolgesse lo sguardo e in quel momento no, era sicuro di non avere più le pupille azzurre contro. In caso contrario avrebbe sentito la pelle bruciare talmente tanto da rendere la particolarità mero solletico. Approfittò dell'assenza dei suoi occhi per respirare forte dal naso, le mani a pugno rilucevano bianche alla luce del lampione, esangui per la stretta morbosa in cui erano costrette. Non avrebbe dovuto farsi scioccare dal trovarla lì. Non scrolli via il destino tanto facilmente, e aveva sempre saputo che il suo era legato a Coco. Aveva contribuito lui stesso a quel groviglio intricato le innumerevoli volte che le dite avevano arrotolato i ricci impertinenti della ragazza. Da quando non c'era più era diventato di nuovo difficile controllarsi. Tra le tante altre cose, a calmarlo si era sempre occupata lei. Le cose semplici erano in realtà molto poche. Ubriacarsi, fare festa, fare sesso, i rimproveri erano diminuiti insieme alla delusione azzurrina del suo sguardo, e ciò rendeva quelle sregolatezze meno complicate. Una dozzina di altre cose erano diventate quasi impossibili per lui, come la solitudine subita in carcere. Non ne aveva mai provata di così profonda, in quel momento era come se qualcuno si divertisse a inzupparvici ogni osso di cui Roy era composto. Poi c'erano cose pazzesche come il senso di colpa che sfuggiva alla regola che lo voleva scomparso nel momento in cui Coco aveva smesso di volerlo vedere. Non era invece stato mai così insistente, farabutto e serpentino, lo coglieva nei momenti più impensati, quando giocava a carte con il compagno di cella o faceva il turno in mensa, come se fosse lui nel torto. Roy ne era convinto: qualsiasi cosa le avesse fatto, non meritava il modo in cui Coco si era sbarazzata di lui.
    Aggrottò le folte sopracciglia e il solco fra esse spezzò la fronte di Roy in due metà precise. Ascoltò la voce di Coco farsi vicina e capì che non stava rispettando la tregua costituita dai sei passi da lui imposti. Per lei che seguiva sempre le norme, era tanto difficile aver riguardo per l'unica che Roy avesse mai imposto? Continuava ostinatamente a sfuggirle, il viso piegato di lato e lo sguardo sull'asfalto ricoperta di rifiuti. Di lui le era visibile solo lato tumefatto, la metà "bella" del viso restava nell'ombra della spalla. La metafora? Roy stava mostrando il peggio di sé. Parlava come un fiume in piena, era chiaro che gli argini che sostenevano il suo piccolo mondo erano andati in frantumi. Erano sempre stati destinati a crollare o li aveva buttati giù Roy quando era tornato? Parlava e si avvicinava, era tornata a puntare gli occhi grandi e tristi sulla fronte di Roy. Roy avrebbe voluto dirle di smetterla, il ronzio nelle orecchie aveva raggiunto livelli preoccupanti, ma sembrava aver perso la parola. Bruciava ma non avrebbe saputo dire se il dolore venisse dall'interno, dalla sua particolarità, o fosse causato da Coco, da quello che diceva e dal modo in cui tremava. Più che vederlo - era ancora solo una macchia sfocata all'angolo del suo campo visivo - a Roy sembrava di percepire i sussulti delle ossa riverberare nelle parole e, di conseguenza, nell'aria che con esse sembrava frustrargli la faccia. Smettila. Ogni sillaba gli usciva dalle labbra come piombo. Di avvicinarti, di parlare, di tremare. Pensò soffermandosi sull'ultima parola. Era una lotta estenuante non stringerle il corpo per placare il sisma. Invece le braccia rimasero rigide lungo i fianchi, tese e contratte fino all'esasperazione. Non sapeva quanto avrebbe resistito prima che tutta quella tensione trovasse una valvola di sfogo. Contrasse la mascella ma non la guardò, negandole ancora quel privilegio. Più che un ordine, quella di guardarla era giunta alle sue orecchie come una disperata richiesta di soccorso. Il buio calò per un brevissimo istante. Aveva chiuso gli occhi, Roy, cercava di ricorrere a tutta l'energia rimasta per non esplodere. In quello stato no, neanche lei poteva essere sicura che non le avrebbe messo le mani addosso. Ogni centimetro di pelle rispondeva a stimoli invisibili che gridavano al fuoco, la testa martellava come un tamburo a percussione e il fischio infernale riverberava nei timpani. C'era così tanto rumore in lui da sovrastare a volte le parole che Coco gli riversava contro. Curioso come, tra tutto quel male, lei era sempre capace di infliggergli la pena più atroce. Smettila di scusarti. Era convinto che fosse quello che voleva, sentire per una volta il senso di colpa far tremare la sua di voce invece che quella di Roy. Il solco che al suono della accuse aveva diviso la fronte a metà era niente al rumore che scricchiolò nel petto nel sentirla ripetere le sue colpe. Non era quello che voleva? Farle provare il suo stesso dolore?
    Solo allora si rese conto che Coco aveva ragione. Aveva sofferto e continuava a soffrire, forse in modo diverso ma tanto quanto lui. Il dolore esisteva senza bisogno che fosse lui a imporglielo. Le colpe di Coco erano solo due: scegliendo di tagliarlo fuori dalla sua vita aveva deciso per lui come affrontare il suo dolore, impedendogli anche di processarlo insieme, di condividerlo. Non lo riteneva in grado di supportarla? A quanto pare nessuno di loro aveva creduto in una reazione di Roy. Tacendogli una cosa come quella, Coco e Kai avevano scelto al posto suo, privandolo del privilegio di poter soffrire e superare la perdita di quel figlio mai nato. E ora si ritrovava sballottato fra le onde di un mare troppo vasto, fermo in un tempo troppo lontano perché risultasse naturale. Era incagliato, ecco cos'era. Ed era colpa loro. Al diavolo il bacio, se ne fregava, in cuor suo le credeva quando diceva che non aveva significato nulla. Le scuse non avevano sortito l'effetto sperato, dunque, ma ancora non riusciva a guardarla e a cacciare giù il peso sullo stomaco. Cos'altro voleva? Erano divisi, lui immerso nel suo caos, lei nel suo. Un casino che avrebbero potuto condividere se solo Coco l'avesse coinvolto. Scontrandosi non potevano che distruggere ogni cosa. Così vicina e così distante, la sentiva agitarsi vicino a lui. E non parlo solo di movimenti fisici, ma di scosse d'anime. Coco spingeva contro Roy anche senza toccarlo, come se volesse fondersi e annientarne le barriere dall'interno. Aveva detto che lo sapeva da prima che lo portassero via. Strinse così tanto le labbra da farle scomparire. A quel punto nelle orecchie c'era un mare in tempesta. Il silenzio. La corresse a denti stretti. Non qualcuno, ma qualcosa si era messo fra di loro. E sei stata tu a mettercelo. Non era sicuro come potesse un fil di voce essere così tagliente. Sudava, sentiva gocce di condensa sul retro del collo raffreddarsi al contatto con l'aria fredda della notte. Più di tutto, le rimproverava di averlo lasciato solo. Era stupido, sapeva di aver fatto lo stesso - glie lo aveva appena fatto notare lei, come se potesse davvero dimenticarsene. Ma era lui quello che scappava, lui quello che faceva stronzate, lui quello che tornava. Il cambio di ruoli, che avrebbe dovuto per una volta farlo sentire dalla parte della ragione, lo spaventava. Poteva essere abbandonato, Coco poteva vivere senza di lui. In fondo sei stata bene per due anni. Seguì il flusso di pensieri cavalcando l'onda delle parole di lei e riferendosi al fatto che senza di lui, a detta sua, Coco non era nessun luogo. Si pentì di quelle parole, ma il frastuono nelle orecchie era ormai tale da superare qualsiasi altra cosa. È vero, non sapeva cosa avesse fatto e come avesse trascorso quel tempo lontano da lui., e forse era proprio questo il problema. Gli era impossibile pensare che fosse riuscita ad andare al cinema, leggere, ridere con qualcuno mentre lui marciva in una cella. Faceva un male cane. ≪E forse non posso darti quello che desideri, quello che ti aspetti, non funziono come dovrei. Non c’è alcun rimedio a questo, non qui…≫ Inarcò leggermente le sopracciglia, un guizzo del collo come se volesse girarsi. Non aveva idea a cosa si riferisse. Per quanto lo riguardava, nonostante tutto, era l'unica che avrebbe mai potuto dargli ciò di cui aveva bisogno. Cominciava a soffrire della posizione che aveva assunto per non incrociare quegli occhi che, Roy lo sapeva, avrebbero annientato qualsiasi sua difesa.
    ≪Quindi non ti chiedo di passare sopra tutto quello che ci è successo, ma di guardarmi negli occhi e promettermi che prima o poi mi perdonerai, anche se non dovesse mai succedere per davvero, ho bisogno di saperlo per andare avanti. Ok?≫ Tornò a contrarsi come una molla che sta per scattare. Avrebbe così tanto voluto dire basta, allungare le mani per toccarla. Ovunque andava bene, dove non aveva importanza.
    Lasciarsi tutto alle spalle, in fondo si vantava sempre di essere un campione in materia. Ma i sogni non mentivano, gli incubi tornavano ogni notte a tormentarlo, e nessuno lo sapeva meglio di Coco. Non rispose, non poteva né parlare né legare promesse che avrebbe infranto. Dopotutto, forse anche lui non poteva darle ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
    L'amore - dolore era l'unica cosa che Roy conosceva, l'unico sentimento che si credeva capace di provare grazie alla non educazione fornita dai genitori. Quando aveva visto l'ombra scura di Coco dietro la tenda, Roy aveva capito che quello che pensava di conoscere non era amore. Da quel giorno l'amore per lui era a strisce azzurre e pagliuzze più scure, ondulato come il mare d'inchiostro dei suoi capelli e leggero come le mani gentili che lo calmavano nei momenti peggiori; l'amore sapeva di quel punto fra il collo e la spalla dove l'odore di Coco sembrava concentrarsi in tutta la sua potenza, l'amore s'incurvava e piegava seguendo i cambiamenti delle labbra rosee e s'alzava e abbassava al ritmo della marea del suo respiro. Certo non era un sentimento perfetto, ma non importava quante volte la violenza tentava di mettersi in mezzo, Coco e Roy tornavano sempre sull'isola felice. ≪E ora come ora non voglio guardare avanti se non ci sei perché ti amo da impazzire e questa cosa dovrebbe rendermi felice, invece mi annienta.≫ La voce, che fino ad allora aveva solo vacillato, andò d'improvviso in pezzi. Reagì d'istinto a quelle scaglie dolorose, alzando per la prima volta da quando erano usciti lo sguardo su di lei. Come temeva, gli occhi non erano pronti a quello spettacolo. Una morsa d'acciaio strinse le sue dita forte nel cuore di Roy. Non ne andava fiero, ma l'aveva fatta piangere prima di allora. Innumerevoli volte. In quei momenti c'era rabbia, delusione, ribrezzo, ma dietro a tutto si ergeva un amore grande al quale non potevano sfuggire. Ma nel retro sporco del Bolgen, qualcos'altro oltre la voce si era spezzato fra le pupille brillanti di Coco, una crepa che prima non c'era. Calypso stava male, Calypso soffriva davvero. Chissà quanto in profondità aveva messo radici quella faglia. Chissà da quanto tempo. E proprio come nel sogno a cui non pensava da circa dodici anni, Roy fu sopraffatto da una paura tale di cadere che vacillò sui piedi. A galla tornò il terrore di quelle linee che dal tallone si diramavano in ogni dove, minacciando il suo mondo. In quel momento, con Coco che occupava tutto il suo campo visivo, Roy era spaventato. Spaventato di cadere, spaventato di rimanere sotto, spaventato dalle parole che si riflettevano dietro le palpebre trasparenti di Coco. E se avevano sbagliato tutto? E se non era poi quello, l'amore? Nei libri che gli leggeva sul letto non c'era traccia di ciò che Coco e Roy erano. Niente tradimenti, niente malessere, niente tornando contro vulcano. Nonostante avesse fin lì creduto il contrario, in quel momento Roy capì che annientarla era l'ultima cosa che voleva. Gli venne da piangere ma non si lasciò andare, e allora guardò verso l’alto per evitare che gli scendessero le lacrime. Per Roy, che non poteva più sottrarsi a quelle iridi, l'unica cosa da fare era ingoiare l'onda e sperare che la vista si facesse presto meno acquosa. È che più la guardava e più voleva baciarla, morderle le labbra. Ma non andava bene, era arrabbiato, era la fine. Non poteva, e questa cosa lo logorava dentro. La gola bruciava di sale.
    Quando la falange si aggrappò a quella del suo mignolo, Roy sussultò come se lo avesse colpito. Si preparò al peggio, ogni cosa in lui era pura contrazione. Ma non vide nulla se non il nero delle pupille dell'altra, con tutto l'universo celeste a gravitare intorno a quegli spilli neri. Ci vedeva dentro tanta paura. La solitudine le stringeva le mani mentre guardava impietrita le solite stragi. Chi l'avrebbe difesa da chi avrebbe dovuto farlo? L'unica cosa che accadde fu che il ronzio nelle orecchie cessò di colpo e fu solo silenzio.
    Da quel momento in poi, il mondo smise di essere parola per farsi pelle.
    Il calore era sempre lì, palpitava come magma sotto cutaneo, ma altro si era aggiunto alla fornace. Quando le labbra lo sfiorarono fu come fare un salto indietro nel tempo. Nella stanzetta dai colori pastello una moretta si sollevava sulle punte dei piedi per baciare un ragazzino scarmigliato. Non era il loro primo bacio, ma il primo che Coco si prendeva da sola, senza che fosse lui a cercarlo. Da quel giorno la parola amore non era stata più qualcosa di incorporeo per Roy, ma aveva fatto il nido fra i riccioli di lei.
    L'aria si spostò e con lei il suo respiro che si era bloccato in gola. Uno, due, tre, ad ogni passo il rumore tornava a impazzare dentro di Roy che, quasi in contemporanea, tremava violentemente. ≪Dovresti rientrare.≫ Mangiò a colpi di falcate lo spazio fra loro. Cinque dita le racchiusero un lato del viso mentre le altre affondavano nei capelli con impeto, un po' come Roy aveva sempre cercato di fondersi in Coco. Quando la baciò cercava tutto di lei, come a volerle sollevare la pelle e guardare sotto. Quando le chiuse, sulle palpebre rimasero impresse le linee aperte sul mare che Coco aveva per occhi. Fronte contro fronte, Roy sussurrò piano. Anche io. Cazzo, certo che ti amo. Il bacio l'aveva lasciato senza fiato. Era stanco di buttare giù tutto, avrebbe voluto seguire quelle labbra fino a dove si incurva l'ultima parte del mondo. Ma ora non posso. Non posso amarti senza farti male. Ammise talmente a bassa voce da dubitare l'avesse udito. Forse stava finalmente crescendo, forse era solamente stanco di lottare, ma cominciava a dubitare che l'amore dovesse essere una guerra continua. Muoveva leggermente la testa, la fronte in frizione con quella di lei, la mano che lentamente scivolava via dalla nuca. Mi serve tempo. Con la voce incrinata, gli fu necessario uno sforzo fisico di notevole portata per porre fine a ogni contatto fra i due corpi. Il caldo lasciò repentinamente spazio a un freddo irreale. Toccò a lui indietreggiare, le mani nascoste nelle tasche per impedirgli di raggiungerla nuovamente. Tirò su col naso, fingendo fosse raffreddore piuttosto che dolore. L'amore gli spezzava le ossa, era davvero giusto così? Disperato, si passò una mano sulla fronte, come se stesse soffrendo un vero e proprio calvario.
    Nelle penombra, le sue pupille chiare mandavano un intenso bagliore. Devo rientrare. Non si mosse e invece si accese febbrilmente una sigaretta. Ogni frase sembrava colatura di cemento armato. Dovresti andare. Và Coco, per favore cazzo. Si corresse senza più l'ombra della rabbia che l'aveva scosso sin dall'inizio. Il fondoschiena andò a buttarsi pesantemente sul gradino sbeccato. Aveva i crampi allo stomaco mentre il sudore si gelava sulle braccia. Doveva essere il primo ad andarsene, aveva indetto lui la tregua fra loro. Ma non riusciva a muoversi, le energie l'avevano completamente abbandonato. Mentre crollava sedeva ebbe una sensazione indescrivibile, simile forse a quella che avrebbe avuto dalla caduta istantanea di tutto il locale. Tutto crollò, ruinò, dentro di lui, intorno a lui, irrefrenabilmente.
    Se potessi sapere al primo sguardo chi ti distruggerà e chi invece rimetterà i pezzi al proprio posto, cosa faresti?

    Edited by E.T.PhoneHome - 10/3/2020, 00:46
     
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3 replies since 3/11/2019, 16:35   210 views
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