Brothers in arms

Debbie e Ali

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    Il crimine non dorme mai. Non ricordava la prima volta in cui avesse sentito quella frase ma le era rimasta impressa nella mente come un marchio, impossibile da dimenticare. Sembrava una sciocchezza, una serie di parole dette tanto per dire, messe insieme in maniera quasi casuale, ma per lei invece avevano un valore piuttosto importante. Era una cosa di cui Deborah era fermamente convinta e lo era stata sempre più con il passare del tempo. Sebbene all’Accademia di Polizia non facessero altro che ripeterle che non doveva mai essere negativa e che doveva sempre cercare di pensare che la giornata potesse andare per il meglio, che la giustizia avrebbe fatto il suo corso, lei non era mai riuscita a viverla davvero in quel modo. Aveva sempre preso quel lavoro con estrema serietà, ancor prima di diventare detective, quando non era altro che un semplice cadetto, come se fosse un pesante fardello da portare, da cui dipendessero le sorti del mondo intero, come se ogni loro più piccola azione potesse cambiare radicalmente la vita di qualcuno. Perché quella era stata la sua esperienza personale e non voleva condannare altri ragazzi a vivere come aveva dovuto fare lei. Erano stati i suoi genitori a inculcarle il senso della giustizia, ad insegnarle che cosa fosse corretto e che cosa fosse invece sbagliato e lei aveva sempre tenuto a mente con attenzione tutto quello che loro avevano cercato di trasmetterle. In un primo tempo li aveva ascoltati piuttosto distrattamente, convinta che avrebbero avuto tutto il tempo per continuare a ripeterglielo ancora e ancora, poi sua madre aveva cercato di farla piombare nel mondo degli adulti. “Deborah, noi non potremo vivere per sempre” le aveva detto una volta, per farle capire che non poteva prendere le cose alla leggera e che doveva dare il giusto peso ad ogni parola, ad ogni attimo, viverlo sempre come se fosse l’ultimo. Sapeva bene che i suoi genitori non desideravano morire, dopo quella frase più volte aveva cercato un contatto diretto con loro per capire cosa si celasse nei loro desideri, nelle loro intenzioni. Sebbene la cosa le costasse una certa fatica e non fosse mai, in alcun caso, piacevole, periodicamente si preoccupava di stringere le mani di ogni membro della sua famiglia, oppure semplicemente posare una mano sulla loro spalla, o sul loro volto, fingendo di non darvi alcun peso e di aver semplicemente scordato di mettere i guanti. Ma sia i suoi genitori che i suoi fratelli sapevano che lei non dimenticava mai niente per caso. Era sin troppo organizzata e razionale per non curare dettagli importanti come quelli, non dopo i ripetuti shock che la sua particolarità le aveva dato quando ancora non avevano capito come arginarla. Nessuno di loro aveva bisogno di indagini approfondite per comprenderla, per sapere che lei si era sempre preoccupata per tutti loro, forse persino più del dovuto, ma aveva comunque piano piano messo da parte quelle paure, convinta che derivassero soltanto dalla sua fantasia. Almeno fino a che suo fratello maggiore non l’aveva aspettata quel giorno nel soggiorno, per dirle che i suoi genitori avevano avuto un incidente. Quante volte i detective erano costretti ad andare nelle case o a chiamare i familiari per dire loro che qualcosa era accaduto ad un loro caro? Era forse quella una delle parti che più le pesavano del suo lavoro, che maggiormente le risultavano difficili da affrontare perché le riportava alla mente uno dei momenti più spiacevoli della sua vita. Sebbene fossero passati diversi anni dalla sua perdita, infatti, quella ferita non si era ancora rimarginata del tutto e non lo avrebbe fatto sino a che non avesse ottenuto delle risposte sulle strane circostanze del loro incidente. Sapeva che qualcosa non quadrava, lo aveva sentito sin dal primo istante. I suoi genitori stavano lavorando ad un processo importante, qualcosa di grosso e lei non aveva mai voluto smettere di credere che quel caso fosse collegato alla loro morte, anche se non era ancora riuscita a trovare delle prove che riuscissero a sostenere la sua tesi. Era per questo che si impegnava con così tanta dedizione nel risolvere i crimini che le affidavano, sin quasi a perdere il sonno la notte pur di venire a capo di un problema. Pretendeva per gli altri la giustizia che lei non aveva mai avuto.
    Appariva come una ragazzina tranquilla, sempre sorridente, pronta a rivolgere una parola dolce e di conforto nei confronti di chiunque si rivolgesse a lei, ma c’era anche una parte molto più seria e profonda in Deborah, che emergeva soltanto con le persone di cui sapeva di potersi fidare. Non le piaceva mostrare qualcosa di sé, preferiva sempre indossare la maschera di un sorriso per tenere distanti le domande, i suoi guanti per tenere a distanza le persone, ma in alcuni casi anche lei sapeva di dover mollare le redini e ammettere di aver bisogno di lasciarsi andare, o avrebbe finito con il diventare pazza, sempre che già non lo fosse. Dopotutto come si poteva restare impassibili quando si doveva convivere ogni giorno con crimini e delinquenti? Se si fosse lasciata schiacciare dal peso di quello che vedevano, giorno dopo giorno, avrebbe finito con l’abbandonare il suo lavoro e chiudersi in casa, senza più uscire, per paura. Ma lei non era mai stata quel genere di persona, non avrebbe permesso a ciò che di brutto c’era nel mondo di impedirle di vedere che esisteva anche qualcosa di diverso, che ci fosse ancora del buono, qualcosa di bello e di giusto. Con un sorriso gentile rivolto verso Ben, uno dei camerieri del fast food dove si fermavano spesso prima di fare un giro di pattuglia, pagò i due sacchetti contenenti cibo e bevande che aveva appena ordinato. -Buona giornata agente! - disse il ragazzino, con un sorriso timido, abbassando appena il capo, prima di tornare nel retro per continuare le preparazioni. -Anche a te. - rispose lei, con un nuovo sorriso, soffermandosi per un istante a guardarlo, prima di uscire con i suoi acquisti. Lo aveva incontrato spesso in quegli ultimi anni. Visto che era il più giovane finiva sempre con il fare gli orari peggiori, ma no se ne lamentava mai. Aveva sentito mormorare qualcosa, ad alcuni colleghi, riguardo ad alcuni problemi che la sua famiglia aveva avuto con un’organizzazione criminale e da allora anche lui, sebbene fosse ancora soltanto un ragazzino, aveva dovuto rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Deborah non riusciva mai a resistere davanti alle storie delle persone, perché erano quelle a renderle più nitide, più reali, e non soltanto delle immagini sbiadite che scorrevano al tuo fianco ogni giorno, senza lasciare alcun segno all’interno della tua vita. Quanti uomini e donne avevano incrociato il suo cammino nel corso degli anni? E quanti di questi riusciva a ricordare davvero?
    Spostò entrambi i sacchetti sullo stesso braccio perché non le cadessero a terra, mentre con l’altra mano cercava di aprire la portiere dell’auto dove la attendeva il suo collega. Avrebbe potuto tranquillamente dare un colpetto contro il vetro per chiedergli una mano, ma Debbie era sempre stata una che preferiva fare tutto da sola, anche quando si trattava di sciocchezze come quelle. Non era un’auto della polizia, non utilizzavano mai quelle quando dovevano fare degli appostamenti senza farsi notare anche se lei ormai immaginava che certe targhe fossero conosciute da chi aveva avuto a che fare con quel genere di cose. Avrebbero dovuto cambiarle spesso, cercare di passare ancora più inosservati, ma quando ne aveva parlato con il loro capo questo aveva potuto dirle soltanto che il budget non era sufficiente per fare tutto ciò che sarebbe stato necessario e che dovevano quindi accontentarsi. Lei aveva trattenuto un’imprecazione tra i denti e si era limitata a stringere le spalle e rivolgergli un sorriso, prima di tornare nel suo ufficio. Detestava il fatto che i mezzi fossero sempre così scarsi, che dovessero accontentarsi di quello che avevano per poter fare il loro lavoro. Come si aspettavano che potessero davvero riuscirci? Cercò di non pensarci mentre si sistemava meglio sul sedile, depositando i sacchetti sulle sue gambe prima di mettere la cintura. -Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare.* - disse, ad un tratto, cercando di imitare l’accento che aveva sentito nel film mentre offriva uno dei sacchetti al suo collega, rivolgendogli un’espressione piuttosto divertita. Era da tempo ormai che lei e il detective Bryne facevano squadra e ormai Ali doveva essersi abituato a quella sua fissa per le frasi di libri, film e serie tv. Ogni volta che ne aveva l’occasione cercava di sfoderare qualche perla del suo repertorio, anche per spezzare l’atmosfera pesante che si respirava in centrale. Il loro era un lavoro piuttosto serio, ma qualche volta avevano bisogno di prendere un po’ d’aria o non sarebbero riusciti ad arrivare interi sino alla fine della giornata. Lei, dal canto suo, aveva imparato abbastanza in fretta ad avere a che fare con il suo partner e si poteva dire che ormai avesse capito come interpretarlo, almeno sul lavoro e capire quanto aveva in mente qualcosa oppure quando qualcosa non andava per il verso giusto. Aveva conosciuto anche sua figlia, una bimba dolcissima che le ricordava sempre la sua nipotina Agnes e che sfoderava quindi il lato più tenero e protettivo di lei. -Mi raccomando non bere troppo. - aggiunse poi, con un leggero occhiolino, una di quelle raccomandazioni che veniva fatta ad ogni poliziotto prima di un appostamento, dato che andare in bagno non era poi così comodo e pratico in quella circostanze. -Ricordami un po’, intorno a che ora ci hanno detto che si fa vedere di solito? - chiese, giusto per fare mente locale ed essere certa di non dimenticare nulla. Uno dei loro informatori gli aveva parlato di un nuovo giro della droga in città, a sud, nel retro di un locale abbastanza anonimo e il loro capo gli aveva chiesto di andare a fare un giro in zona, per qualche sera, per verificare che la voce fosse corretta e che il tizio non stesse semplicemente cercando di depistarli e di spostare la loro attenzione verso un vicolo cieco. -Come sta Ele? - chiese ancora, prima che lui rimettesse in moto. Da quando si conoscevano e lei aveva saputo della piccoletta non mancava mai di chiedere qualche aggiornamento su di lei e sapeva bene che, una volta partiti verso la loro destinazione, avrebbero dovuto tenere gli occhi ben aperti e non ci sarebbe stato più lo stesso tempo per chiacchierare tranquillamente, anche se avevano decisamente troppe ore davanti da condividere.

    *Il Padrino
     
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    Ali Bryne|30 y.o.|Policeman

    A volte gli sembrava di sentirla, nel silenzio, in quel trascendentale attimo d’incertezza tra sogno e incoscienza. Una voce, limpida, che mai si esprimeva a toni alti, ma sempre in un sussurro. Non aveva un volto, sembravano muoversi dal nulla quelle labbra da cui usciva un suono familiare. Cantava una canzone, sempre quella, in una lingua che non ricordava. Era un motivetto strano, uno di quelli che non si sentivano dalle loro parti, fatto di note opposte ed altalenanti, composto di parole dal suono rude, raschiate, rubate al silenzio. Forse era di sua madre, quella voce. Forse quello era l’unico bagaglio che aveva portato con sé prima di scappare, l’unico modo che aveva di far sentire a casa i propri figli. A volte la canticchiava a sua figlia, per farla addormentare tra le sue braccia. Non ne conosceva le parole, quelle svanivano non appena si svegliava. Ma in qualche modo sembrava conoscerne il significato, e ogni volta inventava un testo più o meno verosimile, fatto di parole che stessero bene in fila, che addolcissero in parte quella ninna nanna che parlava di terrore e di speranza. A volte il tempo non esisteva, si prendeva gioco di tutti loro. Così, nella voce quieta di Ali riviveva sua madre. Rivivevano le speranze di quelle persone che con lui erano scappate da una guerra. Viveva l’inquietudine d’un canto che risuonava in un rifugio silenzioso, in cui tutti si chiedevano se mai qualcuno sarebbe giunto a salvarli. Viveva nell’inconscio di Ali, quella storia dimenticata, manifesta solo in note improvvisate, nel silenzio.
    ”Fai dolci sogni mia bambina, finché non viene la mattina. Nessuna ombra calerà sul tuo lettino, il tuo papà è qui vicino. Nessun rumore ti spaventerà, il tuo papà ti proteggerà. E domani quando ti sveglierai, il sole che splende su di te troverai. Chiudi gli occhi mia bella stellina, come fanno il pulcino e la gallina, come fanno gli orsetti e i gattini, come fanno tutti i bambini.” Sussurrava quelle parole, per un paio di volte, mentre Eleanor si lasciava andare sulla sua spalla. Non sapeva perché quella canzone gli mettesse tanta tristezza, né perché nella sua testa la sentisse cantare con un’altra voce. C’era qualcosa in quelle note che lo riportava indietro, a quei fantasmi, a quei numeri scanditi tra i rumori assordanti. Uno, due, cento, e si ricominciava. C’era ancora una parte di lui che osava chiedersi che ne fosse stato di quel passato. Di quei bambini che alla fine della canzone si addormentavano non sapendo se si sarebbero rivisti il mattino seguente, che fingevano di essere in silenzio nonostante ci fossero mille rumori. Li sentiva ancora Ali, ogni notte. Ma il respiro calmo di Eleanor riusciva a farli tacere, come se fosse magico. Era come se si sentisse in dovere di eliminare quei rumori dalla propria mente per non disturbare il suo sonno, come se lei in qualche modo potesse sentirli. Era come un amuleto, che teneva lontano gli incubi, lei. Il suo viso, il suo nasino delicato, erano per lui la cosa più bella che avesse mai visto. Non si sarebbe mai stancato di guardarli, di vederli crescere, di cogliere ogni minima smorfia che faceva mentre dormiva. E nonostante quel viso gli ricordasse quello di Naevia, e quanto lei gli mancasse, trovava la quiete, in quei momenti. Era come annullare tutto il resto, come fermare il tempo e lo spazio, i rumori, i ricordi. C’erano solo lui e la sua bambina, tutto il resto diveniva insignificante.

    . . . . . .


    Il sole splendeva alto nel cielo, ed Eleanor dormiva ancora beata, quando l’aveva guardata un'ultima volta, prima di lasciarla alla baby sitter. Era straziante ogni volta, lasciare quel paradiso per andare ad affrontare un mondo totalmente diverso. Quel mondo orribile che si era portato via Naevia, la sua innocenza, i colori della sua vita. Eppure quello era il mondo in cui la sua piccola avrebbe vissuto, un giorno. Un mondo da rendere sicuro prima che lei ci muovesse dei passi da sola. Frullava ancora nella sua testa, quella litania, anche quando si chiuse la porta alle spalle, e si avviò verso la centrale.

    Le sue dita tamburellavano sul volante di quella macchina eccessivamente tirata a lustro, prestata da chissà chi al grande capo per non farsi riconoscere. Debbie si era offerta di andare a prendere qualcosa per pranzo, prima di appostarsi, e lui la attendeva nella macchina accesa, pensoso. Ci aveva messo parecchio ad accettare il fatto di essere affiancato a una sua collega, di fare squadra. E soprattutto quando Naevia era morta aveva eretto una barriera, tra lui e chiunque altro. Faceva così male perdere qualcuno da avere paura dei legami, di qualsiasi natura fossero, per paura che potesse accadere di nuovo. Temeva di non riuscire a reggere altro dolore, Ali, che ancora si portava addosso quell’apocalisse di emozioni negative, quel vuoto incolmabile in cui spesso cadevano pezzi della sua memoria e si perdevano. Eppure non aveva potuto opporsi. Quello era il loro lavoro, la loro strategia, qualcosa per cui avevano prestato giuramento solenne. Si era affezionato a Debbie, più di quanto avrebbe voluto. Era parte della sua vita, volente o nolente, e trascorreva con lei più tempo di quanto non ne trascorresse con sua figlia. Non l’aveva cercato, eppure quell’affetto era nato in maniera naturale, come se fosse sempre stato lì. Aveva imparato a coglierne l’umore in base alla voce, a capire quando nascondeva qualcosa, a non credere che si sarebbe arresa anche quando lo dichiarava. Ci sono rapporti che nascono così, senza che nessuno li cerchi. E divengono letali, nel momento in cui si spezzano. Sospirò. Allontanando i pensieri bui, quando la vide avvicinarsi alla macchina. Si allungò per aprirle lo sportello, ma lei aveva già fatto tutto da sola. Attese che chiudesse lo sportello, e mise in moto, diretto nel luogo che era stato loro ordinato di controllare. ”Credevo fossi scappata dal retro accidenti” Scherzò. Non ci aveva davvero messo molto, ma attendere senza far niente era qualcosa che Ali non sapeva davvero fare. Non ci misero gran ché ad arrivare, il parcheggio in cui avrebbero dovuto sostare era a pochi isolati da lì, celato dietro una serie di edifici. Accostò posteggiando tra un furgone bianco e una scala d’emergenza, che in parte celava la loro presenza. Non erano in divisa quel giorno. Era una missione in incognito(?), di quelle in cui si cercavano criminali già noti. ”Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare.” Si voltò con espressione divertita verso la collega, che ogni tanto se ne usciva con citazioni che non sempre riusciva a cogliere. Il padrino sì però, quello era un classicone. Persino Telonius gli aveva permesso di vederlo, chissà, magari sperando che lui e i suoi fratelli avrebbero così imparato il valore della famigghia mettendo in piedi una cosca mafiosa(?). Prese il sacchetto che la ragazza gli porse e lo aprì, sbirciando dentro. ”Bene Corleone, vediamo cosa offre oggi la casa. Sandwich al salmone, grande novità!” Scherzò. Ovviamente non era uno da molte pretese, e il sandwich andava più che bene, ma ormai si era guadagnato l’etichetta da lamentoso e gli pareva fuori luogo non lagnarsi anche quella volta(?). ”Mi raccomando non bere troppo.” Alzò gli occhi al cielo. ”Tranquilla, detective, grazie al cielo non ho ancora problemi di prostata, posso resistere.” Rispose convinto, appoggiando le varie cose un po’ sul cruscotto e un po’ negli spazi appositi della vettura. Come minimo, di chiunque fosse quella macchina, gliel’avrebbero riportata in condizioni pietose. ”Ricordami un po’, intorno a che ora ci hanno detto che si fa vedere di solito?” Gli sembrava un caso che Deb non lo ricordasse. Lei ricordava sempre tutto. Probabilmente lo stava mettendo alla prova. ”Tra le una e le due, quando gli operai della fabbrica qui accanto vanno in pausa pranzo. Siamo un po’ in anticipo in effetti. Sarà una luuuunga giornata.” Disse. Una giornata con nulla di speciale probabilmente, una di quelle in cui contare i minuti. L’orologio sul cruscotto segnava le 11.30. Ancora. Diede un paio di morsi al sandwich, gusto per placare la fame che iniziava già a farsi sentire, prima di rincartarlo. ”Già tengo fame” Disse col vocione, imitando il capo della polizia, che se ne usciva spesso con frasi del genere. E sbottò a ridere, da solo. Dare spago a Deb con le imitazioni era il suicidio. Perché lei lo sapeva fare meglio ogni volta. La ricetrasmittente che era montata in macchina taceva ancora, segno che nessuna novità stesse giungendo dalla centrale. ”Come sta Ele?” Chiese lei, come faceva spesso. Debbie era sempre così premurosa con la sua bambina. E dal canto suo Eleanor la adorava. Era decisamente la sua compagna di giochi preferita. "Bene, bene. Ormai anche le ultime bollicine sono sparite e ha finito gli antibiotici.” Di recente Eleanor aveva preso la varicella al nido. Una bella seccatura in effetti, soprattutto perché Ali non poteva essere lì con lei a controllarla ventiquattr’ore su ventiquattro e perché sua madre non poteva nemmeno dargli una mano, dato che lei non l’aveva mai contratta. Ma tutto era passato. I bambini si ammalano spesso, questo lo sapeva. Non c’era mai stato da preoccuparsi seriamente. ”Ma in queste due settimane abbiamo visto Frozen venti volte. Ormai so le battute a memoria, me lo sogno anche la notte. Devo disintossicarmi.” Rise. Si fingeva scocciato, ma quella parte non gli riusciva bene. Il tempo passato con la sua bambina non era mai sprecato. Ed avrebbe guardato lo stesso cartone animato anche un trilione di volte, se fosse stato con lei. ”Ho provato a farle vedere Star Wars ma niente, non si è appassionata. La principessa Leia non era abbastanza principesca per lei”. Fece spallucce, almeno ci aveva provato. ”Quello chi è?” Si interruppe, cambiando bruscamente tono. Un uomo in completo grigio si aggirava per quel vicolo. In parte sembrava rispondere alla descrizione, almeno per quanto riguardava la pelata. Ma non sembrava né alto né muscoloso. Né pericoloso. Quello che si aggirava circospetto per il vicolo era un omino basso, col collo ritratto e il labbro inferiore all’infuori. Sul volto svettavano degli ordinati baffetti grigi. Era Maurittio tignore e tignori, pure nei potti locchi tta a trafficare. Si guardò un po’ intorno, prima di slacciare la patta e pisciare allegramente nel vicolo, ignaro della loro presenza. ”Aaah, te belletta” disse, troppo lontano perché lo udissero Ma ce lo scrivo uguale perché queste so cose belle da sapere. ”Fantastico. Se questo posto è il pisciatoio pubblico, questa sarà una giornata indimenticabile.” Sbuffò, senza usare mezzi termini. Eccolo lì, il primo di tanti buchi nell’acqua. ”Per un attimo ho pensato fosse davvero lui” Commentò guardandolo andarsene, e mostrando l’identikit del sospettato che aveva screenshottato sul telefono. La pelata lo aveva tratto in inganno. Comunque, non è che l’identikit fosse chiarissimo. Rappresentava genericamente un uomo pelato, senza chissà quale segno particolare. ”Certo che ci si sono impegnati con l’identikit eh? Mia figlia l’avrebbe fatto meglio”. Ed eccolo qui, di nuovo a borbottare e a lagnarsi. Poi si lagnava se Deb e Sebastian lo etichettavano come il lamentoso della situazione. ”Ok la smetto. Vai col gioco delle citazioni”. Facevano sempre quel gioco, quando c’era da aspettare tanto. Debbie sparava delle citazioni e lui tentava di indovinare. Ovviamente perdeva sempre, e ogni tanto sparava risposte a casaccio tentando di convincere la collega che fossero vere. Tipo quando aveva attribuito il “domani è un altro giorno” a Cartesio, senza minimamente ricordare di cosa parlasse Cartesio, ma portando avanti la sua teoria inventando cazzate per un’ora intera.

    E niente, ho deragliato pure stavolta
     
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    Non passava giorno in cui Deborah non temesse di dimenticare qualcosa dei suoi genitori: le loro voci, i loro volti, le loro carezze. Con il passare degli anni i ricordi si facevano via via sempre più sfuocati, sbiaditi e lei cercava di aggrapparcisi, con fatica, sperando di mantenerli lì con lei. Aveva perso il conto di tutte le volte che aveva riguardato i vecchi filmati dei suoi compleanni e di quelli dei suoi fratelli, per poterli vedere di nuovo, sentire, per chiudere gli occhi e fingere che fossero ancora lì, che bastasse allungare la mano per raggiungerli e stringerli a sé. Sebbene con il tempo il dolore per quella perdita si fosse parzialmente affievolito, Debbie sapeva che quella ferita non si sarebbe mai richiusa del tutto, non fino a che non fosse riuscita a mettere in carcere i responsabili. E più il tempo passava, meno possibilità aveva di riuscirci. C’erano delle volte in cui si infuriava davanti a casi troppo complessi o troppo semplici, a cose che l’avrebbero tenuta troppo lontana dal suo reale obiettivo o che, al contrario, le avrebbero solo fatto perdere tempo perché non ci sarebbe neanche stato il bisogno di indagare. Cercava però di restare in silenzio, di mandare giù il fastidio senza farlo emergere. Era sbagliato utilizzare quel lavoro per i propri scopi personali, lo sapeva, più che bene, eppure non riusciva comunque ad arrendersi e mettere quel fascicolo in un cassetto, lasciare che iniziasse ad accumulare polvere e accontentarsi dei risultati che gli altri poliziotti che avevano indagato avevano ottenuto. Era certa che non fosse stato un caso, che non si fosse trattata di una distrazione di suo padre al volante, eppure in alcune occasioni le sembrava che tutta quella storia rischiasse di farla impazzire. Era soltanto lei a volerci vedere qualcosa di più? Era solo perché non riusciva, ancora, dopo tutti quegli anni, ad accettare il dolore della perdita? Si stava convincendo di qualcosa di irreale? Oppure aveva ragione lei? Avrebbe voluto provare a parlarne con Ali, mostrargli alcune delle foto, i suoi ragionamenti, le persone che aveva iniziato a collegare a quella faccenda, a partire da quel grosso caso a cui stavano lavorando, ma non lo aveva mai fatto. Temeva che, se lei aveva ragione, se qualcuno di molto più in alto di loro aveva cercato di insabbiare tutto, magari qualcuno interno alla polizia, coinvolgere qualcuno avrebbe solo potuto causare a quella persona dei problemi. E lei voleva troppo bene ad Ali per pensare di mettere a rischio lui o Eleanor. Aveva già perso tanto, non avrebbe perso ancora altro per colpa sua. Non aveva mai pensato al fatto che, forse, entrambi potessero desiderare la stessa cosa e che in qualche modo uno avrebbe potuto aiutare l’altro. Erano simili per certi aspetti, lei e il suo partner, entrambi poco inclini a stringere dei veri legami, a lasciare avvicinare qualcuno. Le motivazioni erano senza dubbio diverse, così come le storia dietro di esse, ma forse era proprio per questo, per il silenzioso rispetto che entrambi avevano sempre dimostrato, nei confronti della vita e del dolore dell’altro, che erano riusciti ad andare oltre quelle barriere e a legare davvero. Quasi non ricordava neanche più come fosse lavorare senza di lui. Era piacevole sapere di avere qualcuno su cui contare, qualcuno che ti copriva le spalle.
    Rise, una risata cristallina e spensierata, quando lui la prese un po’ in giro. -Scherzi? Non potevo mica lasciarti tutto il divertimento! - ribatté prontamente, di fronte a quell’accusa di fuga furtiva. In realtà si aspettava che quelle che avevano davanti sarebbero state delle ore interminabili e che non sarebbero riusciti a cavare un ragno dal buco, ma non si poteva mai sapere. La vita era sempre piena di sorprese, bisognava solo essere ben disposti per coglierle. Persino la loro amicizia era stata un’occasione fortuita, un caso del destino a cui non avevano potuto dire di no. Detestava stare con le mani in mano, senza poter fare nulla, limitandosi semplicemente ad aspettare e sapeva che per Ali non era molto diverso. Ci sarebbero stati molti luoghi in cui sarebbero potuti essere entrambi, piuttosto che chiusi in un’auto ad attendere che il momento propizio si rivelasse. Talvolta, però, nella vita, era necessario anche essere pazienti, mettere da parte l’istinto, l’impulso di agire troppo velocemente, per cercare di essere un po’ più razionali e attenti. Non tutto si poteva risolvere alla velocità della luce.
    Una volta raggiunta la loro postazione e aver parcheggiato cercando di camuffare la loro presenza, gli offrì i sacchetti contenenti le varie proposte di cibo a cui aveva pensato. Niente roba salutare in quel caso, tutte cose veloci da ingurgitare e anche da rimettere da parte nel caso in cui fosse stato necessario agire velocemente. Lei di norma preferiva il cibo sano e faceva una grande attenzione alla sua dieta, alla scelta degli abbinamenti, delle preparazioni, ma in occasioni come quelle si permetteva qualche strappo alla regola. Non si poteva sempre tenere il controllo di tutto, la vita stessa non te lo permetteva, quindi era meglio cercare di abituarsi, tentando di farlo da soli a piccole dosi, prima che fatto catastrofico modificasse ogni cosa senza lasciare il tempo di adattarsi. Aspettò di sapere se per Ali il contenuto fosse più o meno mangiabile, prima di aprire anche il suo. -Altrimenti c’è anche sandwich al pollo con salsa allo yogurt se preferisci. - mormorò, con un’alzata di spalle, anche se da quando lo conosceva il ragazzo non si era mai lamentato in termini di cibo. Poteva essere un gran brontolone per certi aspetti, tanto che molti poliziotti le avevano detto che era uno difficile con cui lavorare, mentre lei era riuscita a vedere oltre i suoi muri e raggiungerlo anche fuori dalla sua veste di poliziotto. Era una bravissima persona e, insieme a Eleanor, si poteva dire che potesse essere quasi irriconoscibili, semplicemente non apprezzava che quel lato di lui fosse noto a troppe persone e poteva capirlo. Rise, davanti alla risposta alla sua provocazione. Lei cercava sempre di allentare la tensione come poteva e lui, per fortuna, non glielo aveva mai impedito. Poteva essere un lavoro molto duro e stressante se non si riusciva mai ad uscire dall’ottica, se ci si sforzava di vedere il pericolo e la negatività in ogni angolo.
    Sospirò con aria un po’ annoiata quando le fece presente che erano in anticipo e che il loro sospettato non si sarebbe visto prima dell’ora di pranzo, proprio per sfruttare la pausa degli operai del cantiere poco distante. Si immerse nei suoi pensieri per qualche momento, cercando di sforzarsi di fare qualche collegamento, di trovare delle altre motivazioni per quel preciso orario o magari per il luogo. Che cosa poteva significare? Poi, Ali, sfoderò l’imitazione del loro capo e lei non potè fare a meno di scoppiare a ridere senza alcun ritegno, dimenticando per un momento tutto quanto. -Qua ce vuole San Gennaro. - disse solo, in risposta, tentando di imitare l’accento marcato del boss, che, quando si parlava di cibo, era sempre in prima linea. Approfittavano spesso di quei momenti in solitario per ironizzare sul loro capo, lontani dalle sue orecchie e dalla sua stazza spaventosa. Le sue pacche potevano far fare ad una recluta un giro di 360° su se stessa. Tuttavia, per quanto anche lui potesse sembrare un uomo burbero e incredibilmente rigido, teneva molto a tutti i suoi agenti e si preoccupava per loro.
    Approfittando delle ore di calma che li attendevano chiese notizie su Eleanor. Aveva conosciuto la figlia di Ali un po’ di tempo prima e si era subito affezionata alla piccolina, tanto che si rendeva spesso disponibile per farle da baby-sitter. -Ottimo sono contenta, vedrai che presto tornerà nel pieno delle forze. - affermò, con aria piuttosto convinta, annuendo energicamente con la testa. Non poteva capire come ci si sentisse ad avere la responsabilità di una piccola vita sulle proprie spalle ma aveva notato alcuni atteggiamenti ricorrenti in Ali e in suo fratello e quindi in parte poteva dire di aver maturato un’idea a riguardo. Se lo immaginava proprio, seduto sul divano accanto alla bambina, a mandare in loop i film delle principesse fino ad impararne le battute e sapeva anche che, per quanto pedante potesse essere la cosa dopo un po’, lo avrebbe ripetuto anche all’infinito pur di rendere Ele felice. Era sul punto di dare il suo personale parere sulla questione della principessa Leia ma Ali le fece notare un tizio sospetto che aveva appena raggiunto la zona. Lasciò immediatamente da parte il suo sandwich e la bibita, puntando la sua attenzione sul nuovo arrivato. In effetti quello che stavano cercando era un uomo pelato, ma quello che avevano davanti non le sembrava esattamente un genio del crimine. Era un ometto basso e tarchiato che proseguiva con un incedere quasi claudicante, o forse stava saltellando? Non riusciva a capirlo da quella distanza. Alzò gli occhi al cielo poi, con uno sbuffo, quando si rese conto che il motivo della sua visita era semplicemente espletare alcune funzioni fisiologiche. -Sarei quasi tentata dal filmarli tutti e poi portarli al capo, così magari la prossima volta ci penserà due volte prima di mandarci a fare un appostamento inutile. - mormorò, decisamente scocciata, facendo eco al commento sul pisciatoio pubblico del suo collega. Quello non era certo il sinonimo di una giornata avvincente e divertente. -Si, forse dovremmo suggerire di cambiare ritrattista. - ammise poi, di fronte a quel disegno decisamente poco indicativo. Si scocciava spesso di fronte a una tale mancanza di interesse o di intenzione da parte delle persone che raccoglievano le deposizioni, che neanche si preoccupavano di cercare di carpire qualche dettaglio in più. Sarebbe stato un miracolo riuscire a trovare il sospettato avendo davanti così poco.
    -E comunque.. Sono certa che Ele lo avrebbe disegnato meglio! - disse lei, rivolgendo un occhiolino al collega, prima di chiudere definitivamente la faccenda. -Ah e.. per Star Wars, magari prova a mediare prima. Fagli vedere i cartoni in live action, così che si abitui ad una grafica un po’ più realistica e dopo passa a dei film veri e propri.. magari potrebbe aiutare. - gli consigliò, dall’alto della sua elevata conoscenza cinematografica, prima di sistemarsi meglio sul sedile, riacciuffando il suo sandwich e iniziare a elaborare la prima citazione. -Ok dai, questa è troppo facile, persino per te! Che la forza sia con te! - disse, tentando di imitare il tono del personaggio di Star Wars. Visto che avevano parlato di quell’argomento sino a poco prima si aspettava che almeno su quell’argomento fosse ferrato. Poi dopo la risposta si schiarì la voce e andò con la successiva. -La mamma lo diceva sempre: la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita. - continuò, imitando Forrest Gump e aspettandosi anche in quel caso una risposta corretta da parte del collega. Era convinta che certe cose fosse impossibile non saperle. -Agitato, non mescolato.. - tentò poi andando verso un film di OO7. Tra una chiacchiera e l’altra erano riusciti a far passare almeno un’oretta e si avvicinava quindi la fatidica ora X.
    Tant’è che, poco prima delle 13, iniziò a notare un leggero trambusto nella zona e persone che iniziavano ad avvicinarsi guardandosi attorno con aria circospetta, come se aspettassero qualcuno o non volessero farsi vedere da qualcuno. Si fece più attenta quindi, smettendo di scherzare e indicando quel via vai al collega, scattando qualche veloce immagine dal telefono, fingendo ovviamente di farsi dei selfie con Ali in macchina per non attirare l’attenzione. Poi, un individuo decisamente più sospetto degli altri, si avvicinò con passo fiero, tenendo il petto ben dritto. Debbie diede una veloce gomitata al collega, facendoglielo notare. -Oh cazzo, dimmi che non è lui. - disse quindi, sperando vivamente che non fosse quello il sospettato che avrebbero dovuto seguire. Per quanto ormai fosse pratica di arti marziali immaginava che avere a che fare con un tizio del genere non sarebbe comunque stato affatto semplice.
     
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