Good guys gone bad

Serena X Adrian

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    Adrian Joel Axelsson|29 y.o.|Archaeologist| (gif di repertorio)

    Il gran Natale di Adrian era trascorso esattamente come lui lo desiderava: da solo, in casa, a fare il caspio che gli pareva. Aveva letto un libro che non parlava di archeologia (ahahaha scherzo, era un romanzo, ma su Giulio Cesare), aveva mangiato schifezze, aveva chiamato sua madre giusto per devozione(?), aveva guardato documentari ed anche un pezzetto di Frozen. Quello non lo avrebbe detto a nessuno, ma aveva un crushone per Elsa e sapeva a memoria let it go. Era arrivato al pezzo in cui la slitta esplode senza avere un motore, quando Martha aveva iniziato a tartassarlo per fargli girare canale. Come cavolo faceva a sapere che stava guardando Frozen? Quella donna aveva dei poteri sovrannaturali. Comunque, gli aveva imposto di girare canale per vedere Serena in tv. E per sostenere la visione di quel programma Adrian aveva tirato fuori la vodka, giusto per compensare l’assenza di cultura con l’alcool. Ad ogni minuto di quel programma un fan di Alberto Angela nel mondo moriva. Fortuna che il 4 gennaio ricominciava Meraviglie, che chissà quando avrebbero trasmesso in Norvegia! (Risposta: mai.) Per carità, era contento che Serena si fosse finalmente sbloccata, anche troppo, OH PORCA VACCA STAVA FACENDO LO SPOGLIARELLO SU UNO STECCO DI CARAMELLA(?). Come Odisseo, si incatenò al palo di una nave per non cedere al richiamo delle sirene, e come Sirio il dragone insegnava, si cavò gli occhi per combattere contro il cavaliere della casata del Cancro (che poi io ancora devo capire perché l’abbia fatto. Cioè, stai a perde, e allora te cavi gli occhi così manco ce vedi. Cioè io boh. I traumi dell’infanzia). No ok, non fece nulla di tutto ciò, ma Adrian era sempre melodrammatico, you know. Sprofondando nel divano, l’archeologo aveva assistito in diretta a quella pantomima in cui la gente si metteva in ridicolo, sventolava le tette e si raggruppava per colori. Al chè Martha gli aveva detto di andare a prendere Serena. Pure. Certo che non sapevano proprio come rovinargli il natale eh. Già che la sua bici era sparita da giorni, e nonostante Adrian sapesse chi l’avesse presa, non aveva la minima idea di dove andarla a cercare. Si, Wade aveva preso la sua bicicletta, che poi gli avrebbe riconsegnato dopo Natale, incartata, spacciandola per un regalo. Quel tizio era strano, ma tanto. Considerando che gli studios erano lontani chilometri, il nostro Cunctator ponderò il fatto che a piedi ci avrebbe messo un secolo ad arrivare, così come il buon Fabio Massimo, adottò l’opzione di perdere tempo e Serena morì congelata. #wat, no ok. Non poteva deludere Martha, che nonostante fosse matta come un cavallo, gli aveva chiesto una cosa semplice. Ed Adrian era un uomo dalle mille risorse, come il buon Agrippa, l’uomo che nessuno cagava mai ma senza il quale Augusto non avrebbe vinto manco la battaglia contro i venditori di aria fritta della Suburra #cos. Così si vestì bello pesante, con la felpa sotto al giaccone e i guanti, pronto ad affrontare il freddo inverno norvegese per portare in salvo la donzella. Non era proprio l’antico vaso, ma hei, ogni scusa è buona per bere un montenegro #wtf Era mezzo alticcio, sempre in pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Fece mentalmente l’elenco di tutti gli imperatori fino a Costantino, per essere certo di essere in grado di guidarsi(?) ed uscì. Nonostante fossero delle palle al piede, Wade e Eddie gli avevano insegnato qualcosa: il mondo del crimine ha sempre la soluzione. Se era un mezzo che gli serviva, l’unico modo per trovarlo non sarebbe stato noleggiarlo, come facevano tutti, ma ottenerlo illegalmente. Perché quella sera gli era salito il J-Ax e allora COME IL CRIMINEEEE SENZA REGOLEEEE. Sapeva, attraverso i suoi canali(?), che una bisca clandestina era in corso in uno scantinato da quelle parti. Le partite a Burraco e a Somaro erano all’ordine del giorno, dall’avvento all’Epifania. Ma a quel tavolo quella sera sedevano solo grandi campioni. Entrò con gli occhiali da sole nello scantinato, e si sedette al tavolo accendendosi una sigaretta storta, che faceva tanto bad boy, ed ordinando un vino(?), visto che erano in una cantina. Nell’aere risuonava una musica, o forse era solo nella sua testa, chi lo sa, nulla ha senso in questo post. Al tavolo, oltre ad Adrian, sedevano il buono, il brutto e il cattivo: Don Matteo, Renato Zero, e un tizio che non conosceva (Nino Frassica), ma che in quel momento contava come Lepido nel secondo triumvirato. I veri mostri da battere erano i due cowboy, che per l’occasione avevano indossato anche il cappello direttamente proveniente dalle riprese di “Lo chiamavano Trinità”, film in cui se non errava il prete aveva pure avuto un ruolo. Dove andasse Adrian contro di loro non si sa, dato che lui al massimo poteva giocare a D&D o agli astragali, ma sentiva che la dea Fortuna era dalla sua. Non era un gran giocatore, ma un abile baro (questa dote l'abbiamo scoperta ora). Aveva imparato dei trucchetti di magia quando ad undici anni la lettera da Hogwarts non gli era arrivata, e quindi aveva ben provveduto ad acquisire doti magiche in modo da poter presentare un ricorso al Wizengamot. Oh non esisteva sta roba, ma lui a undici anni ci credeva. Con gli occhiali da boss, Adrian studiava le mosse degli avversari, scambiando le carte con qualche rapida mossa della mano e lasciando sia Cecchini che Renatone a Somaro. Perché si, era quello il gioco. Il momento più difficile giunse quando rimasero lui e il Don. E fu lì che, con le carte di pari valore –non è possibile, ma pure qui la magia di Adrian famo finta che funziona- la partita a somaro divenne un quiz sulla storia della Chiesa. Il Don iniziò a porre quesiti sui Papi, invitando l’archeologo a nozze, dato che conosceva tutto su tutti i 266 Papi, più gli antipapi, la papessa, i martiri e i beati. Perché lui studiava, mica bruscolini. Così il Don, dopo aver esaurito le domande con Damaso II, gettò le carte a terra e dichiarò la resa, accogliendola stoicamente così come nostro Signore sulla croce. ”Benedetto figliolo, hai mai pensato di diventare Papa?” Esclamò, togliendo il cappello da cowboy e rimettendo la sua coppola. Adrian ovviamente, egocentrico com’era, ci aveva pensato, ma c’era un solo impedimento al soglio di Pietro: ”Io…io ogni tanto penso le bestemmie.” Ammise, tralasciando il fatto che secondo lui il Dio dei cristiani valeva la metà di un Giano e un decimo di un Giove. Il prete rise, stranamente non colpito da quella sua affermazione. ”Anch’io” Sussurrò il maresciallo alla sua destra. ”Ahi ahi ahi, dieci Ave Marie e dieci atti di dolore!” Tuonò il Don, retorico, dato che nessuno lo avrebbe fatto davvero. Come il martire che era, tuttavia, donò ad Adrian il premio che si era conquistato con le sudate carte, porgendogli una chiave in un gesto che ricordava la creazione di Adamo. ”Sta attento, che la mula scalcia”. Disse, con aria badass. Adrian non capì, e sperò non si riferisse a Serena con quel tono. Lo ringraziò e baciò le mani al padrino (beh, era un “don”, no?), prima di uscire e trovarla lì, la mula, legata con un catenaccio a un cancello: la mitica bici del prete. Un gioiello dell’aerodinamica, un modello introvabile. Ne saggiò la superficie lucida per un istante, prima di sistemare la coperta che aveva preso per Serena nel cestino avanti e montare in sella. Fin dalle prime pedalate, Adrian si rese conto che quella volpe del prete aveva un segreto: aveva messo la dinamo alla catena, così da avere la pedalata assistita e non sforzarsi. Ecco come faceva i chilometri con quella fottuta bici senza marce! Dovette fare lo slalom, quando raggiunse la Besaid sud, data la gente che usciva dagli studios ed andava beatamente a drogarsi o a farsi rapinare a Los Chicos Malos. Individuata la “limousi”(cit.) di cui aveva parlato Serena allontanarsi, il nostro eroe senza mantello (con al massimo una lorica sks) iniziò a pedalare più forte. Ma quando vide la rossa sul ciglio della strada, ancora vestita con quell’abitino succinto da babba natala che gli aveva fatto alzare la pressione come nemmeno il fritto a Natale, inchiodò, impennando la bici al contrario e trovandosi a 180° gradi con l’asfalto. Probabilmente anche Serena che era non udente potè percepire il rumore dei freni della bici stridere talmente forte da sembrare il richiamo di uno pterodattilo. La bici ricadde giù con un’insaccata, e l’archeologo, ormai perfettamente esperto sul mezzo(?) scese al volo proprio come Don Matteo davanti alla caserma. ”Wooo! Sei qui…aspetta, che mi riprendo eh.” Nonostante la sua eccellente forma fisica(?) e la pedalata assistita, aveva comunque fatto dieci chilometri in salita, quindi assistita un fallo di Priapo, ora gli serviva la respirazione assistita! Ci riprese un attimo a riprendere fiato, prima di alzare di nuovo lo sguardo verso Serena, che sembrava euforica. Magari al ritorno poteva pedalare lei, dato che lui l’alcol lo aveva smaltito. Il constatare di nuovo che avesse le tette al vento lo portò a distogliere lo sguardo imbarazzato, cosa che non fecero invece gli altri che passavano fischiando. Rapido, prese la coperta che aveva portato e ci avvolse la ragazza, come un involtino, anche sopra la testa. ”Ma tu dimmi se ti pare questo il modo di rendere onore al Sol Invictus…” Borbottò, dato che era quella la ricorrenza. La prese in braccio come un sacco e la infilò nel cestino, non si sa come, probabilmente incastrandole il fondoschiena lì e lasciandola come Wade nel bicchierino, con le gambe penzolanti. Per le braccia non c’era problema, tanto erano nel fagotto(?). ”Ti porto a casa. C’è l’ottanta percento di possibilità che ci ribaltiamo, nel tragitto, ma cos’è la vita senza un po’ di brivido?” Beh, lui ormai era diventato un bad boy, dopo aver vinto la bici a carte prendendo l’avversario per sfinimento. ”Reggiti baby, si vola!” Faceva pure il piacione(?), peccato che Serena non potesse reggersi a niente perché era praticamente legata nella coperta. ”Ah si vabbè, cerco io di non farti cadere.” Voi vi fidereste di Adrian? Io non gli affiderei nemmeno uno scontrino. Lasciò i freni e imboccò la discesa a tutta birra, o a tutta vodka nel suo caso, suonando il campanello a ripetizione e sentendo in testa la musica della fiction, roba che se Serena fosse tornata a piedi avrebbe avuto di certo più possibilità di sopravvivere. ”Allora E.T., ti sei divertita?” Chiese, così per fare conversazione, alla ragazza che ad ogni buca rischiava di perdere per strada, e che ora imbacuccata in quel modo e seduta nel cestino sembrava l'alieno. Quanto a lui, no non si stava divertendo. O forse un po’ si, ora che andava in discesa. Ed anche se una sera non la passava coi suoi amati romani, lui i suoi imperatori li teneva sempre nel cuore(?). Love you Massimino il Trace <3
     
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    BLUEBELL SERENA BLYTHE ❖

    Sebbene non si ricordasse esattamente come fosse finita negli accecanti studios di Besaid, alla fine del programma Serena si ritrovò a ridere da sola, ancora strizzata nel costumino da Babba Natalina, talmente pieno di poliestere che sarebbe bastato uno starnuto di Teena, tenuta insieme da quintali di lacca, per farle prendere fuoco seduta stante. Dopo essersi gettata addosso il cappotto, Serena aveva seguito Melodie come un cucciolo di cervo disorientato, traballante sui tacchi alti, sino alla lussuosa limousine dove, in attesa degli altri concorrenti che avevano votato per continuare la serata in qualche locale, la mora le aveva messo in mano qualche altro bicchierino pieno di liquido ambrato e pungente. Con la mente già annebbiata dall’alcol, nonché troppo ben educata per rifiutare, Serena li aveva mandati giù uno dopo l’altro, lasciando che la sua partner (?) le accarezzasse i capelli, con la stessa pigrizia con cui un cattivone dei film accarezza il folto pelo di un gatto di razza. «Vedrai, tesoro, sono certa che ti troveremo uno splendido sugar daddy!» Le sussurrò, con aria saggia, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Serena corrugò la fronte, troppo ingenua per sapere di cosa l’altra stesse parlando e troppo confusa per ragionare lucidamente. «Un cosa Le fece eco, battendo ripetutamente le palpebre nel vano tentativo di schiarirsi la vista. Prima che Melodie potesse risponderle, però, Teena spalancò la portiera, avvolta in un folto pellicciotto glitterato, e intimò all’autista di partire perché «la Kastaaah biondiH ha seteee!». In un lampo di lucidità forse fomentata dal timore che provava nei confronti della giunonica donnona bionda, Serena riaprì prontamente la portiera, sgattaiolando all’esterno e rischiando di storcersi una caviglia. Infilò nuovamente il capo dentro il veicolo, sporgendosi verso Melodie. «Mi dispiace ma ho un impegno. Però mi sono divertita molto con te. Aspetta…» Prese il cellulare della ragazza e vi digitò rapidamente il proprio numero, salvandolo in rubrica. Melodie le piaceva. Era bella, simpatica e profumava di buono. Un ottimo punto di partenza per diventare amiche. «Oh, Buon Natale.» Augurò a tutti, accorgendosi solo in quel momento che era scoccata la mezzanotte. «Divertitevi!» Biascicò, con l voce ancora impastata, salutando i concorrenti con un rapido sventolio della mano destra e richiudendo rapidamente la portiera, qualche istante prima che la limousine partisse. Era dicembre e l’aria era fredda, quasi densa, in uno strano presagio di neve. Eppure, Serena non sentiva freddo, troppo euforica per via della serata ed eccitata dalla generosa quantità di alcolici ingeriti. Affondò le mani nelle tasche della giacca ancora aperta sul davanti e si dondolò sulle punte delle scarpe, per ingannare l’attesa. Sapeva di dover aspettare qualcuno, ma nella sua mente annebbiata gli avvenimenti di quella sera erano confusi, fondendosi gli uni con gli altri. Era certa che a breve sarebbe arrivata sua madre. Oppure Vera. O… «Adrian!» Trillò, vedendo il giovane archeologo comparire dal nulla proprio in quel momento e scendere da una bicicletta fiammeggiante con un salto da olimpionico. Gli si avvicinò, osservando la bicicletta con aria incuriosita. «Sei venuto in bicicletta.» Constatò, gli occhi verdi improvvisamente illuminati d’entusiasmo. Lei sapeva andare in bici. Aveva imparato da bambina e, quando era bel tempo, lo trovava molto rilassante. Sicuramente meglio che guidare nel traffico, soffocata dallo smog ed incolonnata in lunghe attese infinite. «Non sapevo che ti piacesse andare in bici, di sera e con le luci di Natale deve essere bellis-» S’interruppe bruscamente, sgranando gli occhi. «Oh cavolo! Buon Natal-» Fece per abbracciarlo, più allegra ed espansiva del solito, ma Adrian la precedette, avvolgendola in una coperta al pari di una mummia egiziana. «Ehi!» Protestò debolmente, smettendo di tentare di liberarsi non appena Adrian la sollevò, incastrandola nel cestino della bici. Imbronciata, tentò di liberare almeno le mani, senza alcun successo. Anche se alticcia, era piuttosto sicura che non fosse molto dignitoso starsene lì, arrotolata come un burrito ed incastrata con il fondoschiena nel cestino della bicicletta. «Fammi scendereee. Andremo sicuramente a sbattere da qualche parte!» Si divincolò sino a spostarsi lateralmente nel cestino, in modo da riuscire a vedere Adrian in faccia. Nel mentre, Adrian aveva ripreso a pedalare e si trovava proprio sull’orlo della discesa. «Posso cammin-» Ma invece di finire la frase, l’ultima sillaba si trasformò in un urletto sorpreso – e sì, anche un po’ spaventato – quando si lanciarono a tutta velocità sul pendio inclinato. Il vento scompigliò i capelli di Serena, gettandoglieli davanti al viso e colpendo anche Adrian, mentre, praticamente di schiena rispetto alla discesa, provava la strana sensazione di cadere nel vuoto. Un po’ come andare sulle montagne russe, ma all’incontrario. A conti fatti, era una fortuna che fosse brilla; da sobria si sarebbe messa ad urlare, rischiando di far ribaltare entrambi. ”Allora E.T., ti sei divertita?” Serena annuì, un po’ sovrappensiero. «Sì, anche se è stato strano. Cioè, metà delle persone presenti erano stranissime. Tipo quello con i capelli bianchi a spazzola che sembrava una puzzola. La Regina, hai presente? O anche quell’uomo con la tutina rossa. Sembrava uscito da un film d’azione.» Inclinò leggermente il capo di lato, chiacchierando senza nemmeno rendersene conto. In una situazione normale non avrebbe snocciolato le proprie opinioni con tanta libertà, ma sembrava che il coraggio liquido la rendesse una vera e propria chiacchierona. «Però non è stato male. E poi ho visto Liv e Xavier. E ho conosciuto Melodie. Ti ho già parlato di Melodie? È davvero bellissima e balla molto bene.» Annuì, entusiasta ed emozionata per quella nuova conoscenza. «Le ho dato il mio numero di telefono così potremo andare a prendere un caffè, magari.» Si mordicchiò l’interno della guancia, prima di riportare lo sguardo su Adrian, fissandolo di sottecchi. «Che cos’è uno sugar daddy?» Domandò infine. Non si era dimenticata di quel termine e, intrappolata com’era, non poteva certo tirare fuori lo smartphone e cercarne il significato su internet. «Melodie ha detto che me ne cercherà uno, anche se non ho la più pallida idea di cosa voglia dire. Io un padre ce l’ho già.» Scrollò le spalle, perplessa. “Magari è qualcosa di tecnologico o boh, un accessorio di tendenza.” Tutte cose di cui Serena si intendeva davvero poco. «Tu, invece? Cosa hai fatto stasera?» Gli chiese, fissandolo con una certa curiosità. Per quel poco che conosceva Adrian, non ce lo vedeva a festeggiare il Natale abbigliato di rosso, con sottofondo di canzoncine tradizionali, una cena da quattro portate e festoni ovunque. Ai suoi occhi assomigliava più al Grinch, che a Babbo Natale. Era quasi sicura che non avesse nemmeno allestito un albero o, se lo aveva fatto, avesse sostituito le palline colorate con qualche resto umano di dubbia provenienza. Niente vischio, solo falangi, falangine e falangette. «Almeno hai cenato? Io ho finito un intero tronchetto natalizio rimasto all’Anthemis, oggi pomeriggio. Era buonissimo, pieno di panna e cioccolato.» Sospirò con aria sognante, quasi commossa al ricordo dell’ottimo dolce realizzato da Amarantha. Il suo stomaco gorgogliò e Serena si rese improvvisamente conto di avere fame. Si guardò attorno, sperando di scorgere un pub aperto anche durante la notte di Natale, ma proprio in quel momento Adrian centrò una buca profonda e Serena rimbalzò nel cestello, con un gemito di dolore. «Ahia!» Si lamentò, cercando inutilmente di massaggiarsi il fondoschiena. Adrian l’aveva avvolta talmente stretta che non riusciva a muovere un muscolo, senza contare che stava anche morendo di caldo. “E ho anche la pipììì!” Mica poteva dirglielo, però. Anche se Adrian si fosse fermato, cosa avrebbe potuto fare? Accovacciarsi dietro un cespuglio come un cagnolino? Diamine, era imbarazzante anche solo pensarlo! «ADRIAN!» Urlò, all’improvviso, cogliendo l’archeologo di sorpresa e rischiando di far finire entrambi fuori strada. «C’è una tavola calda. Sto morendo di fame, fermiamoci. Ti prego Lo fissò con aria implorante, pregando che il ragazzo provasse un minimo di compassione. In realtà non erano poi troppo distanti da casa sua ma Serena non era sicura che la sua vescica avrebbe retto, nel caso in cui fossero incappati in un’altra buca. “Sei proprio un pessimo conducente.” «Se ci fermiamo ti offro un menù intero a tua scelta!» Promise, pregando silenziosamente che la pedalata gli avesse fatto venire fame.
     
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