A little race

Fjar Dunn - Luis Iago Màrquez

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    Fjar Dunn

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    08.02.2020 - 9:00 pm



    «Mi raccomando, voglio che sia splendente per stasera, e controllami anche il livello dell’olio già che ci sei.» Disse il giovane, sistemandosi il ciuffo ribelle via dalla fronte, parlando con il suo meccanico di fiducia. Quello annuì, pulendosi la mano destra con una pezza di stoffa che teneva legata alla cintura della tutona blu — un vero classico hollywoodiano, bisogna dire —, lanciando un’occhiata all’elegante coupé della casa tedesca BMW.
    «Per che ora vieni a riprenderla?» gli chiese, per capire entro quando avrebbe dovuto fare tutti i lavori di revisione che doveva effettuare, prendendo intanto la chiave elettronica che Fjar gli stava porgendo. 

    «Pensavo di passare subito dopo il lavoro; per le sei e mezza circa, al massimo alle sette.» affermò il moro, per poi salutare cortesemente l’uomo, allontanandosi a piedi dall’officina per auto elettriche in direzione del negozio dove lavorava come parrucchiere. Andando al lavoro si fermò come sempre per prendere la propria colazione in un café lungo la strada, ordinando un cappuccino aromatizzato alla vaniglia ed una ciambella ricoperta con crema di cioccolato e nocciole, iniziando a consumarli lungo la strada scorrendo la timeline di Instagram e Facebook un po’ svogliato. Entrò puntuale dal parrucchiere, incominciando la sua giornata lavorativa che non si sarebbe conclusa prima di alcune ore.

    Periferia sud di Besaid, ore 9:03 pm


    Con lo stomaco pieno, dopo aver abbondantemente cenato, Fjar raggiunse in macchina uno dei tanti parcheggi presenti nella zona periferica della città; musica a palla nelle casse di marca installate sulla coupé il giovane parcheggiò in mezzo ad un gruppo di altre auto — tra le tante, spiccavano notevolmente una Ferrari 488 Pista ed una McLaren 570 GT, assieme ad altre gran turismo con il motore acceso e rombante — scendendo al volo per andare a salutare alcuni conoscenti.
    Come mai un gruppo di ragazzi ricchi a cui non manca nulla dovrebbero mettere in palio grosse somme di denaro in gare clandestine? Non si sa. Forse per l’ebbrezza che si prova nello schiacciare l’acceleratore fino in fondo, oppure per i brividi ogni volta che bisogna affrontare una curva a più di cento chilometri orari; sicuramente non per fare fortuna. La “tassa” d’iscrizione era una mera formalità, un simbolo dello status privilegiato di quei giovani rampolli dell’alta società di Besaid; Fjar non ci mise molto ad estrarre dal portafoglio quattro banconote da mille corone ciascuna — all’incirca quattrocento euro — depositandole direttamente nella mano dell’organizzatore.
    «Ragazzi ma quel catorcio là in fondo? È qualcuno di nuovo che vuole partecipare all’ultimo?» Domandò un biondino dai capelli tagliati corti, quasi rasati, alto quasi due metri e palestrato fino al midollo, accennando con la testa ad una Mustang Sedan del ’66 di un colore terribile parcheggiata in un angolino dell’area di sosta — al limitare della strada in pratica — che non poteva fare altro che sfigurare di fronte a tutti i nuovi modelli presenti.
    «Vado a dirgli di sbrigarsi a venire a pagare, così poi possiamo partire.» affermò sorridente Fjar, allontanandosi di un paio di passi dal gruppo in direzione della Ford, agguantando al volo una lattina di birra di color giallo-oro; la aprì con un gesto secco, attaccandoci subito le labbra per evitare che ne uscisse la schiuma, facendo due lunghi sorsi mentre camminava in direzione dell’auto blu petrolio, mettendo su uno dei suoi migliori sorrisi rivolto a chiunque avrebbe trovato all’interno.
    «Ehi, sei in ritardo; se ti muovi possiamo ancora iscriverti altrimenti è meglio per te se smammi via...»disse con un tono di voce abbastanza alto, sporgendosi di poco dentro all'auto approfittando di uno dei finestrini lasciati un poco aperti per esplorare con la vista l'abitacolo, cercando di capire chi possedesse un'auto del genere: sembrava tenuta bene, ma doveva esser un vero pazzo anche solo a pensare di riuscire a competere con i motori da centinaia di cavalli delle loro auto.

    Edited by ëðõ - 11/3/2020, 18:46
     
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    Luis Iago Màrquez

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    08.02.2020 - 9:00 pm


    Quando aveva trovato quella cartolina di Besaid nel portaoggetti della sua nuova auto rubata, Luis non aveva preso in considerazione un elemento fondamentale: il freddo tipico dei paesi nordici. Lui, di origini Colombiane, abituato a climi decisamente più afosi e meno gelidi, aveva già trovato difficoltà ad affrontare le temperature di Francoforte durante la sua breve - seppur intensa - avventura tedesca. Non era attrezzato, dato i pochi vestiti che si portava dietro e non ci era abituato essendo cresciuto in un luogo più caldo. Non che a Luis non piacesse il freddo, anzi, solitamente preferiva l'inverno all'estate, ma l'inverno colombiano. Decisamente, quella non era stata una scelta arguta da parte sua e ne stava pagando già le conseguenze: era arrivato a Besaid solo da pochi giorni e già gli era palese - lapalissiano - che vivere nella sua auto l'avrebbe portato all'assideramento in men che non si dica. Urgeva trovare al più presto una soluzione, ma se da un lato poteva procurarsi del cibo e dei vestiti qua e là, dall'altro non aveva la minima idea di come trovarsi una casa se non - ahimè - tramite la ricerca di un lavoro prima.
    Aveva visto qualche cartello in cui ricercavano del personale, ma tutti richiedevano esperienza ed un curriculum vitae che lui non aveva. E non solo perché non possedeva alcuna esperienza lavorativa al di fuori dello spacciare droga - dubitava che quello potesse essere considerato, comunque -, ma soprattutto perché non possedeva né un cellulare né un computer con cui potersene creare uno. Quindi, per il momento, non aveva la più pallida idea di come fare per iniziare quella nuova vita che aveva tanto agognato, ma che aveva preso, forse, troppo alla leggera.
    «Giorno per giorno, qualcosa uscirà fuori», si ripeteva costantemente, mentre le ore passavano e gli sembrava di essere arrivato in quella cittadina da un secolo; non sapeva se considerarla una cosa positiva o negativa, non voleva annoiarsi di quel posto da subito, era stanco di fuggire e di non avere nessuno, ma questo non l'avrebbe ammesso mai ad alta voce. Era un pensiero che lo tormentava soprattutto di notte, quando faceva fatica ad addormentarsi sui sedili improvvisamente scomodi della sua Mustang. E ci pensava ogni volta che si ritrovava con lo stomaco brontolante per la fame: erano ormai lontani anni, i giorni in cui mangiava regolarmente e non solo una volta al giorno, due se gli riusciva particolarmente bene. Aveva ancora da parte qualche soldo procuratosi con lo spaccio che aveva fatto a Francoforte, ma quando si era reso conto che a Besaid non accettavano l'euro ed aveva dovuto fare il cambio, si era ritrovato ancora più povero di quanto già non fosse.
    «Giorno per giorno, qualcosa uscirà fuori» mormorò accartocciando l'involucro dell'hamburger che aveva appena finito di mangiare e che non era bastato a placare la sua fame: probabilmente avrebbe dovuto mangiarne almeno dieci per sentirsi sazio; quindici per poter dire di stare veramente bene. Lanciò la carta verso un cestino sul marciapiede, mancando miseramente il centro e biascicando un'imprecazione in spagnolo; quella zona non era molto frequentata, ma anche se lo fosse stata, nessuno l'avrebbe capito. Ecco un'altra cosa di cui non aveva tenuto conto: la lingua. Lui, madrelingua spagnolo, conosceva piuttosto bene l'inglese, aveva imparato qualcosina in tedesco negli ultimi mesi, ma di norvegese non sapeva un bel niente.
    «Un altro problema, come se non fossero abbastanza. Forse, semplicemente, dovrei lasciare questo posto», borbottò tra sé e sé mentre si chinava a raccogliere la cartaccia e a gettarla accuratamente nel cestino, subito seguita da una lattina di coca cola ormai vuota che aveva sorseggiato molto lentamente durante tutta la giornata.

    Quella giornata non aveva portato nulla di nuovo, non aveva concluso nulla e si sentiva davvero debilitato. Avrebbe voluto solo un segno che stesse facendo la cosa giusta a non ammazzarsi come avrebbe fatto chiunque sano di mente nella sua situazione; o forse sarebbe stato il contrario: ormai non faceva più differenza e lui aveva smesso di capirci qualcosa già da tempo.
    Tornò alla sua auto, salendo al posto di guida e accendendo il motore, pregando dentro di sé - non una vera preghiera, ma più un se non riparte giuro che mi ammazzo - che l'auto non lo abbandonasse. Il rumore del motore fu musica per le sue orecchie e quasi gli strappò un sorriso: dopotutto era una piccola vittoria in quella giornata vuota.
    Aveva trovato un posto dove solitamente non c'era nessuno, un parcheggio abbandonato e dismesso, dove aveva dormito le ultime due notti, indisturbato. Dormito, però, era una grande parola se si associava a ciò che realmente succedeva: Luis si sdraiava - per come poteva, data la sua altezza - sui sedili posteriori, lasciando un finestrino metà aperto per il timore di morire per mancanza di ossigeno e provava a prendere sonno, sempre con scarsi risultati, un po' per la scomodità del suo letto improvvisato, un po' per il timore che potesse succedere qualcosa se non fosse stato almeno un po' vigile. Sonnecchiare sicuramente era più adatto come termine.

    Aveva appena tirato giù il finestrino e si stava preparando a spostarsi dietro, quando qualcuno, che pregò non essere un poliziotto o robe così - molto più simile a un non rompermi i coglioni che oggi non è giornata -, si avvicinò alla sua auto parlando, ovviamente, in norvegese. Ora, c'erano solo due cose che Luis poteva fare: andarsene prima di finire in qualche guaio o restare e cercare di fare la vittima, nonostante quel ragazzo gli sembrava troppo giovane per essere un agente che avrebbe potuto provocargli grane, e poi aveva una birra in mano, sicuramente non era un agente. Quel pensiero gli fece tirare un piccolo sospiro di sollievo.
    Così si schiarì la voce e si inumidì le labbra prima di poter replicare, in inglese, con la speranza che lo sconosciuto capisse che era meglio lasciarlo in pace.
    «Mi dispiace, non parlo la tua lingua. Conosci l'inglese o sei stupido come sembri?» domandò con un'espressione stoica sul viso, senza lasciar trasparire alcuna emozione: era diventato un esperto in quello. Ed anche se al momento temeva di essersi cacciato in qualche guaio - magari ho invaso il territorio di qualche stupida gang - l'unico modo che conosceva per non apparire debole era quello di mostrarsi superiore.
     
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    08.02.2020 - 9:00 pm



    Il sorriso di Fjar vacillò, restò sospeso qualche secondo, per poi iniziare con una lentezza esasperante a mutare; gli angoli delle labbra si arcuarono verso il basso e le palpebre si serrarono di qualche millimetro. Il norvegese lasciò schioccare la lingua, mentre il suo cervello registrava quella frase detta in inglese e la traduceva istantaneamente nella propria lingua natale; la figura dentro alla macchina gli aveva appena dato dello stupido?
    Uno, due, tre, quattro… iniziò a contare mentalmente il moro, portando la lattina di birra verso le labbra per poter buttar giù un altro lungo sorso: non era il momento di finire coinvolto in una rissa, doveva gareggiare e non poteva permettersi di perdere concentrazione rischiando di farsi seriamente del male in un incidente stradale. Cinque, sei, sette, otto… ritirò un poco la testa dal finestrino, senza mai distogliere i propri occhi da quelli del ragazzo — avrà avuto circa la sua stessa età. Nove, dieci. concluse, ritornando con il sorriso sulle labbra.
    «Puzzi, mangia-jalapenos.»disse in un perfetto inglese Fjar, scrollando le spalle: il ragazzo aveva sì parlato in inglese ma il suo accento tradiva chiaramente le sue origini, che il giovane valutò essere spagnole, messicane o giù di lì. Lanciò un’altra occhiata all’intera vettura, notando alcune cose sparse sui sedili posteriori a cui non fece troppo caso, decretando dentro di sé che né l’auto né il giovane erano stati lavati ormai da qualche giorno. «Te lo ripeto con calma così puoi arrivarci anche tu: o ti sbrighi a portare questo rottame dall’altra parte del parcheggio, paghi la tua quota e mangi un po’ di polvere, oppure devi sparire da qui.» gli disse con un tono di voce gelido che mal si accompagnava al sorriso divertito che aveva sul viso, un sorriso che in altre occasioni poteva essere interpretato come un chiaro segnale di amicizia.
    «Allora? Ti sbrighi Fjar?!» venne urlato da parte degli altri norvegesi in direzione dei due ragazzi presso la Mustang; tutti avevano ormai una birra in mano quasi terminata ed erano pronti per gareggiare: era meglio non fare troppo tardi o il cambio di turno dei poliziotti in servizio si sarebbe concluso e un grosso numero di pattuglie avrebbe raggiunto la periferia per iniziare la ronda notturna nella zona più malfamata della città. Tutti erano impazienti, ed il moro non si lasciò ripetere due volte l’invito dei suoi amici.
    Con un gesto che poteva essere visto come un atto di cortesia, ma che Fjar fece solo per sfottere un po’ lo sfigatello dentro alla Mustang, la lattina mezza vuota che teneva in mano venne passata oltre il finestrino e depositata in mezzo alle cosce dello spagnolo.
    «Gira al largo da qui, ok?» impose il norvegese, incamminandosi verso la propria BMW senza più voltarsi in direzione dello sconosciuto, estraendo dalla tasca posteriore dei pantaloni un paio di guanti in pelle mezze dita, un vero classico dei film americani sulle corse clandestine: tutti sapevano che si guidava meglio con quegli accessori — inutili — addosso e poi erano una vera e propria chicca di stile.
    Diede il cinque a uno dei suoi camerati, scrollando leggermente le spalle quando gli venne chiesto cosa aveva trovato in quell'auto messa nell'angolo del parcheggio, come a non voler dare troppo peso alla cosa; non valeva il suo prezioso tempo il ragazzo che aveva trovato dentro la macchina, lui non si abbassava di certo a dare importanza ad uno straccione che viveva nella propria macchina e che per di più nemmeno conosceva la lingua della Paese in cui stava.
    Salì a bordo della coupé nera e schiaccio sull'acceleratore per mandare un po' su di giri il motore, che però emise un suono tutt'altro che rombante: la macchina di Fjar non era di certo uno di quei mirabolanti aggeggi da ottocento cavalli alimentati da carburanti inquinanti quanto gli escrementi delle mucche, lui era più elegante ed il motore elettrico sotto all'elegante tedesca lo dimostrava.

    Edited by ëðõ - 11/3/2020, 18:46
     
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    08.02.2020 - 9:00 pm


    Luis era bravo a non mostrare le proprie emozioni, soprattutto in occasioni come quelle dove doveva mostrarsi uno sbruffone per avere una parvenza di sicurezza, mentre di sé si sbriciolava quel poco di fiducia nell'umanità che ancora gli era rimasta; ogni volta che si metteva nei guai, sentiva quella convinzione sparire sempre più, ma anche quando credeva di averla persa del tutto, ecco che arrivava un nuovo guaio - in cui si buttava a capofitto - e la giostra ripartiva, mettendo in dubbio tutto.
    Oltre ad essere bravo a non mostrare le proprie emozioni, se la cavava discretamente nel leggere quelle altrui: aveva fatto pratica per anni nel cercare di dedurre le reazioni di quel mostro di suo padre solo dalle espressioni del viso.
    Lo sconosciuto che gli si era avvicinato, in quel momento sembrava aver tutta l'aria di trattenersi dal fare o dire qualcosa; probabilmente essere chiamato stupido non doveva avergli fatto piacere, cosa che fece gongolare - almeno interiormente - il ragazzo in auto.
    Quel brivido di piacere, di puro godimento che ricavava dalle sue "marachelle" solitamente, durò pochissimo, una manciata di secondi in cui lo sconosciuto continuava a guardarlo, ma senza replicare. E poi, eccolo lì, un insulto palesemente xenofobo. Xenofobo e nemmeno originale, forse era più questo a dargli fastidio che l'insulto in sé: era piuttosto fiero delle sue origini ed era consapevole di non essere nella sua condizione migliore visto la vita che conduceva, ma in qualche modo, la sua parte razionale tendeva ad appisolarsi in certe occasioni, mentre si infiammava quella più istintiva. E l'istinto gli diceva solo una cosa: reagire.
    Schiuse le labbra, pronto a replicare, mentre con la mano sinistra andava a cercare a tentoni il coltellino svizzero che si portava dietro; un po' per protezione, un po' per attaccar briga. Eppure, dovette interrompere la sua ricerca ed anche il suo tentativo di ribellione, perché quello stupido sconosciuto - con un perfetto accento inglese - aveva attirato la sua attenzione con una semplice parola: quota. Stava parlando di soldi, di soldi facili se la fortuna l'avesse assistito.
    Però per poter vincere quei soldi, doveva averne altri da investire e su quel fronte non era affatto messo bene.
    Osservò distrattamente il norvegese infilare il braccio nella sua auto, per poi depositare una lattina tra le sue gambe, invitandolo - nemmeno troppo cordialmente - ad andarsene, ma Luis era già con la testa altrove: a quei soldi in palio.
    Non disse una parola mentre l'altro si allontanava e si limitò a seguirlo con lo sguardo, così da poter valutare la situazione. Non era affatto stupido e sapeva che doveva stare attento e tenere un profilo basso, ma quella vincita lo avrebbe sicuramente aiutato a procurarsi un pasto decente ed una dose di LSD.
    «Cazzo! E' da troppo che non ne prendo un cartone, devo rimediare».

    Le auto che riusciva ad intravedere erano tutte più nuove e sicuramente più veloci della sua; probabilmente erano anche truccate proprio per partecipare a quel genere di evento. Però poteva giocare sporco: a lui non interessava troppo della propria auto, anche se si ammaccava un po' non sarebbe stata questa gran perdita, al massimo poteva rubarne un'altra.
    Così, fu semplice prendere una decisione.

    Mise in moto l'auto e fece riscaldare il motore, prendendo un sorso di birra dalla lattina dello sconosciuto: in un altro frangente non l'avrebbe mai fatto, ma non toccava alcolici da una vita praticamente e visto come se la stava passando ultimamente, era meglio approfittarne. Poi, che l'avrebbe fatta pagare a quello sbruffone per quella sottospecie di elemosina, quella era un'altra storia.
    Affiancò l'auto dello sconosciuto che era andato a parlargli, ignorando volutamente gli altri e rivolgendosi solo a lui, con la speranza di aver inquadrato un po' la sua personalità e fare leva sul suo ego.
    «Facciamo una scommessa: tu mi paghi la quota di iscrizione, se vinco mi tengo tutti i soldi, se perdo ti ridò il doppio della quota».
    Aveva una faccia da poker invidiabile in quel momento: dentro di sé sperava che lo sconosciuto accettasse quella ridicola scommessa che non avrebbe mai potuto vincere; si trattava di pura logica: la sua auto non avrebbe potuto competere con quelle degli altri, non aveva tutti quei soldi che stava mettendo in palio e probabilmente sarebbe finito a scappare da quella banda di ragazzini viziati e spocchiosi - sì, li aveva già inquadrati, dopotutto chi altri se non dei ragazzini viziati e spocchiosi potevano partecipare a delle gare clandestine con macchine così di lusso?-.
    C'era anche la possibilità che la ruota della fortuna girasse in suo favore e riuscisse non a vincere, ma a sottrarre qualcosa a quei ricconi: aveva notato, infatti, quando il ragazzo gli aveva messo la birra tra le gambe, che possedeva un rolex di quelli tutti in oro; se fosse riuscito ad attaccar briga con lui, probabilmente avrebbe potuto sfilarglielo durante la rissa.
    Forse, dopotutto, quella giornata avrebbe avuto una svolta interessante.
     
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    A Fjar sembrava di essere stato abbastanza chiaro con lo straniero: non era il benvenuto lì — e con lì intendeva probabilmente l’intera Norvegia, se non l’intera Europa — e se ne sarebbe dovuto andare alla svelta senza causare problemi prima di attirarne su di sé molti e di quelli seri; lo spagnolo pensava forse di riuscire a tenere testa a tutto quel gruppo? Era un illuso, loro erano nati per essere prepotenti, erano cresciuti per dare fastidio agli altri ed imporsi ed in quel momento non volevano distrazioni né grane. Purtroppo, il norvegese fu costretto a lasciar uscire dalle proprie narici un sospiro ben poco contento quando un motore chiaramente non appartenente alle auto nuove e perfette dei suoi amici iniziò ad avvicinarsi; ed infatti non appena girò la testa verso lo specchietto retrovisore notò una coppia di fari avvicinarsi al lato destro della sua macchina, e la mustang color schifo fece quasi il pelo alla bmw.
    «Facciamo una scommessa: tu mi paghi la quota di iscrizione, se vinco io mi tengo tutti i soldi, se perdo ti ridò il doppio della quota.» propose il ricciolino concentrandosi su Fjar, che abissò il finestrino dal lato del passeggero per ascoltare quell’idiozia uscire dalla bocca dell’altro, scuotendo la testa con un ghigno divertito.
    «E secondo te son così scemo da pagare al posto tuo ben sapendo che non saresti mai in grado di ridarmi il doppio?» gli fece notare con un sopracciglio alzato, notando con la coda dell’occhio uno dei suoi amici che si stava avvicinando al lato sinistro della bmw probabilmente per dirgli che era ora di partire altrimenti avrebbero trovato troppe pattuglie in giro. Alzò subito un braccio in direzione proprio dell’altro norvegese, come ad intimargli di restare in silenzio, tornando a concentrarsi verso il ricciolo. «Ma sai una cosa? Posso anche rischiare di perdere questi due spicci pur di vederti miseramente arrivare ultimo.» disse sicuro di sé stesso e della propria auto, allungando una mano verso il proprio portafogli per tirare fuori nuovamente quattromila corone, passandole al ragazzo fuori dall’auto. «È dentro anche lui; dillo agli altri e preparatevi.» parlò con voce autoritaria, che avrebbe chiaramente lasciato intendere che lì lui era il capo e che le sue decisioni non potevano essere discusse, quindi tornò a rivolgere la propria attenzione all’extracomunitario, sporgendosi il più possibile verso il finestrino aperto per poterlo rivedere bene da “vicino”; con quel gesto mise in mostra — involontariamente — la catenina d’oro bianco che portava al collo, facendo un cenno verso la macchina americana blu petrolio. «Se non mi ripaghi il doppio quella andrà a fuoco, sappilo.» minacciò Fjar, con uno dei sorrisi più adorabili che potesse sfoggiare come se avesse appena proposto al moro di fare l’amore assieme.
    Non attese oltre, ormai aveva messo i soldi e l’altro non si sarebbe più potuto rifiutare, quindi ingranò la posizione “drive” nel cambio automatico della propria auto dirigendosi a velocità moderata verso l’ingresso del parcheggio, abbastanza ampio da permettere a ben quattro auto di mettersi in linea — in totale Fjar e i suoi amici erano sette, quindi l’auto del ricciolino sarebbe stata in linea con altre tre — per la partenza.
    Il biondo norvegese diede un’ultima controllata agli strumenti della propria auto ed ai guanti di pelle da corsa che indossava, stringendo con eleganza il volante sportivo della tedesca sotto alle dita, agguantandolo come un vero pilota; nel frattempo, alcune ragazze, fidanzate di membri del gruppo, si erano portate avanti alla prima linea di macchine con in mano una bandiera bianca a nera improvvisata ed alcune birre, pronte a dare il via alla gara clandestina esattamente come nei film americani più banali.
    Il segnale non tardò ad arrivare, i motori di tutte le auto erano su di giri e non appena una dai capelli rossi fece sventolare il tessuto che teneva in mano la corsa prese il via.

    Edited by ëðõ - 11/3/2020, 18:47
     
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    08.02.2020 - 9:00 pm


    Il ragazzino spocchioso che l’aveva importunato e destato dai propri sogni, non aveva esattamente una faccia sveglia e Luis glielo aveva fatto presente sin da subito; come sempre, non era stato in grado di tenere a bada la sua linguaccia biforcuta, delle volte troppo schietta.
    A pensarci qualche secondo di più, avrebbe sicuramente evitato di insultarlo visto che se fossero finiti a fare a pugni, lui era in netto svantaggio; figurarsi se gli amici del riccone non si sarebbero battuti al suo fianco. Eppure, se l’era cavata bene: lo sconosciuto non l’aveva menato ed ora stava realmente ponderando di farlo partecipare alla gara investendo su di lui. Avrebbe potuto forzare un po’ la mano con le sue doti da ammaliatore, ma voleva vedere quanto stupido fosse davvero quel ragazzino ricco.
    E nonostante non si profetasse tale, gli aveva appena dato conferma di essere un po’ tanto – giusto per essere gentili -. Aveva davvero accettato quel ridicolo accordo che sicuramente non gli avrebbe fruttato, doveva pur esserne consapevole, almeno in minima parte. Avrebbe giovato, invece, a Luis che già si pregustava un bel pasto abbondante ed un cartone di LSD, solo guardando le banconote che lo sbruffone stava passando ad un altro tipo: probabilmente quello che si occupava di fare cassa.
    Per un attimo, lo sguardo di Luis si posò anche su quest’altra figura o meglio, sui soldi che maneggiava, come a studiare dove li avrebbe riposti, quanti ce ne erano ancora e come avrebbe potuto fare per sottrarre quel delizioso bottino a quel gruppo di idioti che avevano tutto nella vita che pur di sballarsi e provare qualche brivido, dovevano mettere a repentaglio tutta la loro esistenza. Ma Luis non era lì per giudicarli – nonostante lo stesse facendo in automatico nella propria mente – anzi, doveva apprezzare quella loro scelta, visto che essenzialmente gli stavano offrendo un po’ di grana su un bel vassoio d’argento.

    Era chiaro, da come si era messa la situazione e da quello che era successo negli ultimi attimi, che il capo era proprio il tipo che l’aveva infastidito e di cui Luis voleva in qualche modo vendicarsi. Voleva chiedergli qualche informazione in più sulla gara: quanti giri dovessero fare, quale fosse il traguardo, che percorso dovevano fare. Ma quando il norvegese si rivolse nuovamente a lui, fu solo per minacciarlo – o meglio minacciare la propria auto – facendogli scattare una scintilla di rabbia che lo fece infervorare.
    «Io mi preoccuperei di più delle vostre auto costose…», replicò con un piccolo ghigno serafico ed il tono di chi non aveva nulla da perdere; a pensarci bene, era proprio così.
    Seguì le istruzioni e si posizionò in seconda fila, cosa che in qualche modo gli dava un certo vantaggio, dato che non conosceva il posto e poteva seguire le altre auto. Nella sua mente, sperò solamente di avere abbastanza benzina e di riuscire a fregarli tutti, in qualche modo.
    «Mi raccomando, sta buono e non graffiarmi i sedili», rimproverò con tono bonario il micio che era appisolato sul sedile posteriore, guardandolo dallo specchietto retrovisore, poi tornò a concentrarsi sulla gara.
    Studiò per qualche secondo le auto che lo circondavano: avevano tutte il doppio o il triplo dei suoi cavalli, ma la cosa non lo spaventava. Se fosse riuscito ad inquadrare bene quel gruppo di trogloditi, avrebbe saputo perfettamente che strategia utilizzare per farne fuori quanti più possibili. Ed era convinto di esserci riuscito, quindi aveva un asso nella manica.
    Scaldò il motore, posando gli occhi sulla bella rossa incaricata di dare il via alla gara: le sorrise a labbra serrate, leccandosi appena il labbro inferiore prima di farle un occhiolino; non era certo che l’avesse visto, ma tentare non costava nulla, no?
    Quando la ragazza diede il via, lasciò passare quasi tutte le auto, prima di partire e dare subito un colpo all’ultima auto che gli era passata accanto, troppo velocemente e troppo sicura di sé per non finire subito fuori strada.
    «Meno uno!» esultò divertito, mentre premeva di più sull’acceleratore per inseguire le altre sei auto davanti a sé: di quel passo sarebbe stato più facile del previsto.
     
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    Milano, Italy.

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    Fjar Dunn

    22 years old × animal contact × pansex
    mood: jolly × music: Freestyler - Bomfunk MC's
    08.02.2020 - 9:00 pm



    La vana minaccia del ragazzino non gli fece paura, d’altronde solo uno con ben poco cervello dentro alla testa avrebbe osato arrivare a tanto per vincere la gara: era una corsa - clandestina - di velocità, non un autoscontro di qualche fiera di paese che si usavano nel sud dell’Europa.
    Attese che Lena desse il via con impazienza, pronto a schiacciare a fondo sul pedale di destra; mentre nella sua testa il percorso che avevano deciso di compiere andò a delinearsi in quegli ultimi attimi prima della partenza: usciti dal parcheggio sarebbero andati verso il centro della città, lungo una delle arterie principali - a quell’ora vuote - per poi infilarsi in una strada laterale più stretta ma ancora più deserta di solito, in modo da recarsi verso i boschi che circondavano la città. Da lì, avrebbero corso nel mezzo della natura - alcune campagne, boschi, in un tratto avrebbero costeggiato il mare sulla cima di un fiordo - per poi tornare sulla strada statale che li avrebbe ricondotti in città, dritti di nuovo dentro al parcheggio. L’arrivo sarebbe stato proprio nel piazzale e Fjar già pregustava quella sensazione di vittoria che gli sarebbe scesa addosso nel momento in cui sgommando sarebbe arrivato per primo.
    Tutti i pensieri però andarono a nascondersi in un angolino remoto del suo cervello non appena la bandiera venne sventolata verso il basso e tutte le auto scattarono: Fjar riuscì grazie al potente motore che aveva sotto al cofano a portarsi immediatamente in terza posizione - comunque la sua BMW, per quanto ultra elegante e ad emissioni zero, aveva un minor numero di cavalli a trainarla rispetto ad altre auto - spingendo a tavoletta sul lungo rettilineo a due corsie che li aspettava. Aveva messo il cambio da automatico su manuale, per poter gestire con le due palettine dietro al volante le marce, specialmente nel momento in cui frenando avesse avuto bisogno di un bel po’ di freno a motore oltre che del sistema frenante classico.
    Fece scattare più volte la paletta in fibra di carbonio di destra, quella con un elegante “+” stampato sopra, aumentando le marce fino alla sesta lasciando correre la sua bambina lungo la strada che sembrava asfaltata dagli angeli da quanto era liscia e perfetta, senza la minima buca o dislivello.
    Il suo occhio non cadde sugli specchietti retrovisori fino a quando non raggiunse l’ultimo metro utile per iniziare a frenare e curvare senza andare a schiantarsi miseramente in avanti: andò gradualmente, ma deciso, con il piede sul freno, iniziando a far rallentare la macchina, che rimase ad alti giri per via delle marce che venivano scalate, questa volta usando la paletta sinistra. Solo a quel punto, mentre iniziava a girare il volante per affrontare la curva notò che dietro di lui c’erano solo altre quattro macchine, mentre in lontananza ormai poteva vedere una coppia di fari fermi un po’ di traverso lungo la carreggiata: qualcuno era già finito fuori strada? Il ricciolino sulla sua auto color schifo era però ancora in gara, a quanto poteva vedere, quindi non era toccato a lui terminare in anticipo la propria corsa; peccato, avrebbe volentieri riscosso immediatamente i soldi che gli doveva.
    Scacciò quel pensiero per concentrarsi di nuovo sulla gara, completando la curva a destra con maestria, andando ad accelerare con più sicurezza e potenza del ragazzo che guidava l’auto in seconda posizione, superandolo con un ghignetto divertito, mettendo tutte e quattro le sue ruote saldamente sul secondo gradino del podio, mirando già a conquistare il primo posto: aveva infatti già puntato la Ferrari che in quel momento correva alcuni metri davanti a lui e che stava affrontando la lieve salita verso alcuni boschi che si intravedevano già in lontananza.
     
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