🥰✨Besaid in Love: Prom 2020!✨🥰

~MWAH MWAH SMOOCH 2K20~

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    Jimin ❤ Yoongi

    Qui non si sente niente.

    «Non si sente niente di male, quando siamo insieme»
    .

    10-02-2020.
    Una volta arrivato al piano terra e prima di tornare ad immergersi nel freddo esterno, Jimin sistemò attorno al corpo il parka nero che prima era solo posato sulle sue spalle, agguantando la maniglia della porta; un sorriso allora sfuggì al suo controllo, sbocciandogli sulle labbra luminoso e dolce, e la sua mano destra si protese in avanti, incontrando a metà strada quella di Yoongi, che raccolse in una stretta gelata ma calorosa. Lo tirò in questo modo più vicino a sè, e posando le dita dell'altra mano sulla sua guancia, la accarezzò, protendendosi in avanti quanto bastava per catturare le labbra del maggiore in un lungo e dolce bacio, seguito da un successivo più breve. Al posto di acquietarsi, il cuore aveva preso a battere ancor più forte, minacciando di forare il torace di Jimin se solo avesse osato respirare un po' più vigorosamente. Ciao hyung. Lo salutò infine, riportando lo sguardo dalle palpebre socchiuse nel suo gemello, senza però slacciare la presa dalla mano più ampia dell'altro. Come aveva potuto immaginare, una delle prime reazioni di Yoongi fu quella di domandargli come mai avesse scelto un luogo così strano per un appuntamento. In fin dei conti, non era poi così comune tenere incontri d'amore presso il complesso scolastico della città, anche Jimin ne era consapevole. Per questo, fu proprio lui a tirare appena il compagno verso l'interno della struttura, incoraggiandolo a seguirlo nei corridoi deserti della scuola al tramonto. Gli spazi erano bagnati da una luce gialla ed accesa, scura e presente, che inondava ogni più piccolo angolo di raggi morenti tra cui si spostavano le ombre di Yoongi e Jimin, ora pronti a salire le scale.
    Il tragitto non fu troppo lungo, e dopo essere arrivati in cima alla struttura, la coppia fece il suo ingresso in quello che era il terrazzo della scuola, un'ampia distesa grigia ora però impreziosita da un angolo che ben poco aveva a che fare con l'architettura del posto. Nonostante gli spazi fossero abbastanza spartani, Jimin si era impegnato nel rendere quel segreto appuntamento il più accogliente possibile, sistemando una coperta azzurra sul pavimento, su cui erano posati cinque o sei morbidi cuscini gialli - naturalmente ingemmando lo scenario con delle lucine, che il ragazzo amava adoperare in ogni possibile situazione. Non è bello quanto volevo ma... Ecco, la preside mi ha concesso di venire qui perchè suo figlio studia danza con me e le ho detto che avrei filmato un video per il Dropbeat. Iniziò lui, leggermente più esitante, nel compiere un paio di passi verso quella specie di giaciglio improvvisato. E invece cos'è che vuoi fare, Jimin-ah? La poteva sentire già sfiorargli le orecchie, la voce di Yoongi che si articolava in quelle poche ma complici parole, per questo lo invitò, afferrando entrambe le sue mani, a sedersi assieme a lui tra i cuscini per fornirgli qualche delucidazione in più. Ora che erano uno di fianco all'altro, Jimin allungò solo l'indice verso il dosirak ancora chiuso e posizionato al centro della coperta. Invece vorrei solo che tu aprissi il dosirak. Quando andavamo a scuola ti chiedevo ogni volta se volessi un po' del mio cibo, e tu dicevi sempre "Sei tu che devi crescere!", e penso che ora che sono cresciuto, puoi favorirne anche tu, no, hyung? Il sussurro appena pronunciato si perse dalle labbra di Jimin quando atterrarono contro la mascella di Yoongi, schiudendosi in una tenera cascata di baci, tutti volti a rimarcare il suo invito. Era un contatto col passato che Jimin voleva ricreare, stavolta per costruire ricordi nuovi e meravigliosi con Yoongi - sperando davvero che la sua idea non l'avrebbe intristito. All'interno nel dosirak, il maggiore avrebbe trovato, in una sezione vuota dello scatolino, un biglietto con la scritta "Verresti al prom con me? ♡", attentamente tracciata con una penna blu su un fogliettino color rosa pastello. Lo sguardo di Jimin si fece quindi più esitante, seppur pieno di speranza ed emozione. Lo so che può sembrare banale ma... Ho pensato che visto che da ragazzini non abbiamo potuto godere di queste esperienze, forse il prom potrebbe essere una bella occasione per stare insieme. E poi.. Volevo chiedertelo da giorni hyung! Pronunciando ogni parola in maniera leggermente più concitata, Jimin era certo di essere alla mercè del suo cuore ormai inferocito, teso verso Yoongi in una corsa perpetua, sin da quando si erano conosciuti. Proprio come allora, erano entrambi seduti sul tetto di una scuola, con del cibo e nient'altro di più se non la compagnia reciproca, l'unica cosa davvero importante per entrambi.

    ◊◊◊

    14-02-2020.
    Il gran giorno, o meglio la grande serata era arrivata, e Jimin aveva approntato ogni dettaglio prima del tempo. Grazie all'aiuto provvidenziale di Marina, aveva indossato un outfit semiformale e parecchio particolare, scegliendo una camicia scintillante divisa a metà nelle tinte: da una parte infatti si presentava nera, e dall'altra bianca, ben sposandosi con la sfumatura corvina dei suoi capelli, mentre a ricoprire la parte inferiore del corpo era un paio di pantaloni neri impreziositi da una striscia laterale ugualmente brillante e chiara, che riprendeva il taglio della camicia. Ad ornargli il collo, invece, c'era una sottilissima collanina in argento, accompagnata sempre al polso dal braccialetto che Yoongi gli aveva dato in dono undici anni prima. Jimin non avrebbe potuto prevedere come si sarebbe sviluppata la serata, ma sperando nel più bramoso e dolce dei finali, decise di optare anche per qualcosa di più ardito e riservato agli occhi del compagno; sotto la camicia infatti indossava una maglia bianca ma finissima e semitrasparente, che nascondeva un gioiello ad impreziosirgli l'addome così come adam, jimin ain't playin. Pronto in leggero anticipo, Jimin racchiuse tra le mani il corsage che avrebbe regalato a Yoongi, ed avendolo realizzato egli stesso al negozio di Elsa, pensò di impiegare il fiore preferito del compagno, creando per lui un ornamento per il prom con un hibiscus bianco. Non avrebbe dovuto sentirsi così emozionato per un semplice evento di San Valentino, eppure quella serata sarebbe stata il degno coronamento di anni d'esperienze ed amore mancati, e questo non poté che mandare Jimin in completo subbuglio, ora che era stato baciato dalla fortuna che gli aveva permesso di ritrovare il suo migliore amico e amore della vita; e proprio in vista di San Valentino, aveva approntato anche il migliore dei veicoli che avrebbe potuto desiderare di condividere con Yoongi per il tragitto e forse anche il dopo-festa. Si trattava di un piccolo van dai colori sbiaditi, molto simile a quello che il più grande aveva utilizzato nella loro prima uscita in spiaggia, il cui interno però era decorato in modo tale da ospitarli in un ambiente accogliente e certamente romantico, con tanto di coperte e piccole luci (x, x, x), che li avrebbe accompagnati ovunque avrebbero desiderato andare, e che Jimin sperava sarebbe stato di gradimento del compagno. Si assicurò quindi che tutto fosse al proprio posto, e controllato l'orario per l'ultima volta, si avviò a casa di Yoongi, inviandogli un messaggio non appena arrivato. Uscì quindi dal van, ed appoggiato al cofano, attese a braccia conserte l'uscita dell'amato, che una volta vicino a lui, non sfuggì alla tenera stretta del suo abbraccio. Sei così bello, hyung. Commentò Jimin a bassa voce, accarezzando i lineamenti di Yoongi con lo sguardo prima di tornare così al suo e lasciargli un bacio sulle labbra, legando poi il corsage al suo polso. Ti piace? Lo interrogò quindi, vagamente esitante, ed una volta ricevuta la risposta di cui necessitava, Jimin sorrise ed avvolse una mano attorno a quella di Yoongi, distanziandolo da sè solo per fargli compiere una piccola giravolta ed ammirarlo un po' più lungamente. Potresti essere un ulzzang boy, sai? Si complimentò lui ridacchiando, sinceramente affascinato dal look elegante dell'altro ragazzo, che poi invitò a salire sul van - non prima di aver scambiato con lui un altro bacio ed avergli mostrato la sorpresa che aveva organizzato sul retro del furgoncino. Scusa se.. sembra troppo, ma ho pensato che sarebbe stata una bella idea passare la serata insieme. Suggerì vagamente più timido, nell'indicare lo scenario che ora era davanti agli occhi entrambi, e quando Yoongi gli ebbe espresso i suoi commenti ed impressioni a riguardo, Jimin pensò che sarebbe stato un buon momento per entrambi per avviarsi a scuola.
    Il tragitto verso il liceo di Besaid si rivelò relativamente breve, e dopo aver parcheggiato, Jimin offrì il braccio a Yoongi, in modo che potesse intrecciarvi il suo. Ma chi è venuto qui col trattore? Si chiese sovrappensiero, prima di avviarsi con il compagno in direzione dell'entrata. La palestra era stata trasformata a dovere nella perfetta location per un prom in stile Americano, e nonostante Jimin non avesse mai avuto l'opportunità di parteciparvi, l'atmosfera lo colpì subito positivamente, non solo per la rilassatezza degli avventori e per il design degli spazi, ma anche e soprattutto per via della presenza di Yoongi, che rendeva tutto ancor più bello e reale. L'arco di luci che sboccava nell'angolo dedicato alle foto conduceva anche da un tizio alquanto singolare, che agli occhi di Jimin assomigliava un sacco ad un pancake bruciato che urlava un po' troppo. Ciao! SCOSSA?!! Dite scossa?! SCo...Sss..Aa...? Increspate dal dubbio, le sopracciglia di Jimin ne esprimevano silenziosamente tutte le perplessità, così come lo sguardo che da CC8 era scivolato su Yoongi. Per me non è umano- Ipotizzò lui, avvicinando le labbra all'orecchio del compagno per non offendere con la sua deduzione il povero CC8. Sco-oo-oss-a... La presa sulla mano di Yoongi allora si allentò solo per estrarre dalla tasca un powerbank per telefono, uno che Jimin si era portato dietro per ricaricare il cellulare una volta terminata la serata. Forse ha le batterie scariche. Sei scarico, hum.. signore? La testa di CC8 allora prese a muoversi in dei tic che tanto parevano un gesto d'assenso, e Jimin allora rubò un altro sguardo all'amato, ridacchiando per la situazione assurda, ed una volta ottenuto un qualsiasi cenno da lui, i due si adoperarono per riportare le batterie bruciate di CC8 ad uno stato quantomeno operativo. No, non lì hyung. Mormorò Jimin, intrappolando il labbro inferiore in un leggero morso e socchiudendo gli occhi. Ah! Ecco bravo, lì! Esultò in un soffio rivolgendosi a Yoongi e sollevando finalmente la camicia... di Carlone ma che birbony che sieteeEEEE nel collegare il powerbank alla porta USB che guardacaso si trovava nell'ombelico del robot, Yoongi completò l'ardua impresa, mentre Jimin si concesse di rilasciare un sospiro di sollievo per fortuna aveva dovuto controllare solo l'ombelico di CC8 nel vedere il singolare tipetto ritornare ad aprire gli occhi ora che era stato collegato a una fonte d'energia. GRAZIE GRAZIE!! MA E' MAGNIFICO, PROFESSORESSE?! SCOSSA?! Agguantando quindi la mano di Yoongi, Jimin lo trasse a se, rivolgendosi così a lui. Mi sa che le professoresse siamo noi, quindi tanto vale farci fare il servizio fotografico, no hyung? Dopo avergli rivolto la domanda tutto divertito, i click della macchina di Carlone illuminarono praticamente del tutto quella parte di palestra, nel ritrarre la coppia in qualsiasi posa possibile, che fosse una Jojo Pose oppure qualsiasi altro quadretto immaginabile. Solo quando sentì di essere diventato completamente cieco per lo sparaflash, Jimin salutò CC8 con un gentile cenno della mano, regalandogli pure il suo powerbank, prima di spostarsi con Yoongi oltre l'arco luminoso.
    La prima persona che gli occhi del più giovane riuscirono a distinguere fu Kaja, o perlomeno l'ombra di Kaja, a cui Yoongi fu il primo ad avvicinarsi. «Kaja? Come stai bene! Ma sei da sola?» Ancora un po' allucinato, Jimin allora ritenne opportuno avvicinarsi, abbracciando il solo braccio di Kaja e sbagliando appena traiettoria, stampandole un bacetto sulla spalla invece che sulla guancia quello è la vendetta dello smooch ai gokart. Ciao Kaja! Ma perchè hai una bretellina sulla faccia? Domandò lui, prima di tornare al fianco di Yoongi e cercare nuovamente la sua mano per paura di capitombolare da un momento all'altro. «Ciao, non volevo interrompervi». Solo allora, miracolosamente ed improvvisamente, lo sguardo di Jimin rinsavì fino a diventare un 13/10 eagle scream per poter inquadrare la figura a cui apparteneva la voce maschile appena udita. Yoongi parve invece ancora preso dal trip, stringendo mani e rubando bicchieri, con le pupille un attimino dilatate. «Io sono Yoongi! Ma quanti siete? Due... tre... sette... avete già figliato? Complimenti! Chuka-hehyo! Come si chiama il primo? Jimin che ci fai là in mezzo?» Gonfiando le guance nel trattenere una risata per poi sbuffarla appena appena, Jimin tirò con delicatezza Yoongi verso di sè, in modo da abbracciarlo, non causare alcun danno, ed al tempo stesso offrirgli la stabilità di cui aveva bisogno dopo la poderosa sparaflashata. Sono qui, hyung. Stampando un bacio tra i capelli dell'altro, Jimin diresse poi la sua completa attenzione su Erik e Kaja, che parevano essere molto in armonia, almeno a giudicare da un primo sguardo. E' bello conoscerti Erik. Mi raccomando, prenditi cura di Kaja, è il nostro gioiello! Affermò lui un po' Gollum, mantenendo il suo tipico tono amichevole e pacato mentre Yoongi si occupava di fare il poliziotto cattivo lanciando segnali minatori al povero Erik, prima che entrambi salutassero la coppia calorosamente e proseguissero con le loro rispettive serate. Dopo Kaja, fu il momento di incontrare Samantha, la deliziosa insegnante di Norvegese di Yoongi, che fu il primo a salutarla gentilmente, introducendo Jimin subito dopo. «Oggi sto facendo un sacco di pratica, me la sto cavando, no?» Stringendo Yoongi a sè molto orgoglioso dei progressi linguistici che aveva ottenuto nei mesi di residenza in Norvegia, Jimin si ritrovava sempre ad avvertire il cuore sprofondargli nel petto per la gioia ogni volta che il compagno lo presentava ad altri avventori come il suo ragazzo, faticando nel contenere la felicità che quelle poche parole gli provocavano. Ciao, Sam! Yoongi mi ha parlato tanto di te, come sei graziosa! Commentò dolcemente Jimin, prima di essere anticipato dal compagno nel fare la conoscenza anche dell'accompagnatore della ragazza, un giovane alquanto prestante, che per osservare per intero costrinse Jimin a sollevare il mento. Wa... Borbottò pianissimo lui, constatando l'altezza non indifferente di quello che doveva essere Adam, stringendosi a Yoongi leggermente di più. «Adam, che piacere conoscerti!» Allora, Jimin imitò i movimenti del fidanzato, stringendo la mano di Adam in una stretta amichevole, prima di lasciare sia lui che la tenera Sam alla loro serata.
    Beviamo? Domandò allora Jimin, pronunciando direttamente quella sola parola convinto che Yoongi avrebbe approvato la sua proposta. Allora, subito dopo la comparsa della mitologica ragazza arcobaleno vicino al punch, i due ragazzi si dedicarono ad una serie di brindisi che videro l'allegrezza alle porte, favorita anche dai suoni psichedelici delle grida dei tre urlatori seriali sul palco (AAAAAA). Dopo aver attutito l'impatto del punch alcolico con del cibo, Jimin fu veloce nel trascinare Yoongi via dal resto della festa ma ben poco lontano, fermandolo morbidamente contro la parete del corridoio, avvicinandosi così a lui per lasciargli un soffice bacio sulle labbra, ben presto approfondito in un contatto più intenso ed umido, prolungato fin quando il respiro accompagnò entrambi in quei gesti amorosi. Lo volevo fare sin da quando ero un ragazzino. Mormorò Jimin, senza distaccarsi completamente dal corpo di Yoongi al quale era quasi appoggiato, incapace di fermare il leggero rossore che gli tinse le guance in segno di timidezza. Ti ho amato sin da quando ero un ragazzino. Il respiro impercettibilmente spezzato si infranse contro la guancia di Yoongi, colto da altri teneri baci che seguirono quella confessione tenera e bruciante, pronta a lasciare le sue tracce ovunque sul cuore e sulla pelle del più grande, ora lambita dalle labbra di Jimin in una moltitudine di dolcezze, che dal viso di Yoongi si spostarono giù per la sua mascella, sino ad incontrare il collo del ragazzo e poi nuovamente le sue labbra, catturate in tocchi più esigenti e meno precisi. Più i baci si susseguivano in una rincorsa non affrettata ma bramosa, più Jimin percepiva i suoi occhi inumidirsi, scintillare in anni di emozioni che rinchiuse dentro di lui si erano finalmente liberate, sgorgando bollenti e silenziose fuori dai suoi occhi, tra le sue labbra e sulla sua lingua, ancora impegnate a raccogliere quelle di Yoongi in altri baci. Jimin strinse allora il compagno a sè, e separandosi da lui solo svariati minuti dopo, si accorse del brano che lì per lì attirò il suo udito. Vuoi ballare con me, hyung? Propose allora ad un respiro di distanza da Yoongi, e notando la sua timidezza, ne approfittò per dedicargli qualche altra dolce attenzione, carezzandogli la schiena ed un braccio sino a giungere nuovamente alla sua mano, che intrecciò alla propria nel condurlo nuovamente in palestra. Una volta in pista, lo sguardo del più giovane allora si diresse nuovamente verso Kaja, intenta ad unirsi in dei baci con Erik, e allora Jimin sorrise compiaciuto, ritornando ad osservare il suo adorato compagno. Abbracciami, non ti preoccupare di niente. Gli suggerì pacatamente, guidando le loro mani unite sin dietro al proprio collo, per poter avvicinare Yoongi a sè ed accompagnarlo tranquillamente a ritmo di musica, almeno finchè il maggiore non fece un passo indietro, portandogli vicino all'orecchio una cuffietta, collegata al suo cellulare. Cos'è hyung? Domandò curioso lui, portando le iridi castane in quelle del compagno, che gli spiegò di aver preparato qualcosa di "molto meglio di qualsiasi musica che potrebbero mai suonare qui". Jimin allora si concesse di emettere una lieve risata, accostando la cuffietta al padiglione auricolare per sentir emergere della musica che non aveva mai ascoltato prima ma le cui note avevano già iniziato a vibrare all'unisono col battito del suo cuore, teso verso quello di Yoongi in ogni battito. Jimin allora si avvicinò a lui ulteriormente, posando la guancia contro la sua spalla mentre continuava ad ascoltare, commosso dal pensiero che il compagno avesse speso tempo ed energie per comporre quel lento solo ed esclusivamente per lui, per loro, per potersi muovere come sempre avevano fatto, sempre in contrappunto, sempre controcorrente. Solo sul finire del brano, nuovamente con gli occhi lucidi, Jimin sollevò il viso per lasciare che si incontrasse con quello di Yoongi, unendo le labbra alle sue in un altro lungo bacio. Andiamo via, hyung? Voglio stare con te. Propose infine Jimin, indicando con un quasi impercettibile cenno del capo l'esterno della scuola, incoraggiando così il compagno a proseguire la loro serata in un ambiente più tranquillo in cui viversi nella serata più romantica dell'anno.
     
    .
  2.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Cittadini
    Posts
    889
    Reputation
    +1,248

    Status
    Anonymes!

    Yoongi&Jimin
    warning: contenuti romanticosi, procedere con cautela


    Saltellando fra un piede e l'altro, Yoongi cercava di trattenere più calore possibile che, nell'attendere l'arrivo di Jimin, sembrava essere sul punto di abbandonarlo una volta per tutte. Non fu, però, più necessario preoccuparsi di quel problema una volta che le sue labbra furono raggiunte da quelle di Jimin, portandolo a sgranare gli occhi per poi rilassarsi di conseguenza in quei contatti, che pure erano stati preannunciati da una breve carezza contro la propria guancia. Dopo averlo salutato con un piccolo sorrisetto, allora Yoongi si guardò attorno, rendendo evidenti all'altro le perplessità che gli stavano animando i pensieri. «Jimin ah... che ci facciamo qui?» Gli domandò piano, mentre lo seguiva fra i corridoi di quell'edificio a lui sconosciuto ma che, in fin dei conti, non sembrava essere tanto differente da quello che aveva attraversato anni prima in compagnia di Jimin. Una luce calda li accompagnò fino a quando non raggiunsero il tetto e, senza svincolare la presa dalla mano di Jimin, Yoongi fu rapido a captare la presenza di qualcosa a dir poco insolito poco distante da loro. Serio in viso, cercando di trattenere le risate di sorpresa che le accortezze di Jimin avevano fatto nascere in lui, osservò il compagno parlare e poi ghignò appena, domandandogli quali fossero le sue vere intenzioni. Curioso del piano escogitato da Jimin, il maggiore si zittì per seguirlo, prendendo posto al suo fianco e lasciando che le mani accogliessero fra i palmi il dosirak. «Ne sei sicuro?» Lo punzecchiò non appena lo sentì pronunciare "ora che sono cresciuto", un sorrisetto che trattenne a stento sulle labbra. Aprì quindi la piccola scatola, curioso di sapere cos'avrebbe trovato al suo interno; oltre a del riso, una sezione di verdure accuratamente ritagliate a forma di cuore e un po' di carne, lo sguardo si posò su un piccolo biglietto che fu rapido nell'afferrare. «Aww... una confessione sul tetto? Sei proprio un nostalgico», commentò scuotendo appena il capo, ripiegandolo non appena Jimin ultimò il suo discorso. Yoongi stava urlando a tutto volume dentro di sé, ma ovviamente avrebbe dimostrato una facciata cool, sapendo che avrebbe pianto come un disperato durante la serata che avrebbe passato insieme a Jimin. Quindi, messo da parte l'adorabile dosirak - non ne vedeva di così belli da... beh, non ne aveva mai visto uno così accuratamente dettagliato -, si protese verso l'altro, raccogliendogli il viso fra le mani. «Forse... credo di non avere altri impegni e non me l'ha ancora chiesto qualcun'altro, quindi...» Posò un bacio sulla punta del naso del compagno e si ritirò, solo per agguantare le bacchette e iniziare a mangiare. «Penso di poter venire con te». Annuì e prima che Jimin potesse prenderlo in giro per il rossore che sentiva farsi più vivo sulle guance, gli portò un boccone di riso alle labbra.

    ♡ ♡ ♡

    14.02.2020. Osservò l'orario sul quadrante dell'orologio da polso solo per essere battuto da un tintinnio proveniente dal cellulare, che gli comunicò che era giunta l'ora di scendere. Raccolse quindi frettolosamente gli ultimi oggetti indispensabili per quella serata e, dopo essersi ammantato in diversi giri di sciarpa, uscì di casa, pronto a salutare Jimin. «Sei in orario, Jimin ah», affermò non riuscendo a nascondere un tono più sorpreso e a tratti divertito, alzando un sopracciglio nel squadrarlo da testa a piedi. Nel vederlo, Yoongi si sentì un po' sposato. Che pensava di fare appoggiato così sulla vettura? Si avvicinò a passo deciso solo per essere abbracciato, a tal punto distratto dalla presenza dell'altro che nemmeno riuscì a far caso al particolare mezzo che aveva scelto per accompagnarli al prom, pronto a nascondere il viso contro il collo di Jimin non appena riuscì a captare quel complimento mormorato. Anche tu. Gli sorrise, consapevole che la risposta fosse ben evidente nello sguardo che rivolse a Jimin, accogliendo il fugace bacio che l'altro gli lasciò sulle labbra con serenità. Stava per rispondere a quelle iniziali tenerezze ma fu interrotto dai movimenti di Jimin che, scostando con delicatezza il braccialetto che aveva ripreso ad indossare ormai da tempo, gli legò al polso quello che doveva essere il suo corsage. Per forza Jimin aveva scelto il suo fiore preferito, che probabilmente il maggiore gli aveva confessato una volta chissà quanto tempo prima, portandolo prematuramente sul punto di piangere: Yoongi non era per niente pronto a quella serata. Annuì un paio di volte abbassando lo sguardo giusto per evitare che Jimin potesse coglierne la lucidità, tirando una sola volta con il naso prima di rispondergli un "sì" sussurrato. Sapeva che l'altro l'avrebbe compreso, ormai abituato alla timidezza delle volte ingombrante di Yoongi e, forse per farlo rallegrare, lo invitò a fare una veloce giravolta su se stesso. «Potresti essere un ulzzang boy, sai?» Nel fronteggiare di nuovo Jimin inclinò appena il viso, confuso da quell'osservazione: certo, aveva speso qualche ora nello scegliere il vestito (x) per l'occasione, ma sapeva che sarebbe stato solo la timida ombra del compagno. In fondo, non gli dispiaceva. Appena rosso in viso, sventolò una mano in tutta risposta, rifiutando il dolce commento dell'altro solo per essere nuovamente attaccato dalle attenzioni dell'altro, ricambiando, seppur confusamente, il bacio ricevuto. Infine, fu ben felice di passare in secondo piano quando Jimin gli mostrò il retro del van che aveva addobbato nei minimi dettagli. Non convinto dello stato della sua voce e non volendo sentirla incrinarsi, si limitò a mostrargli un "okay" con il pollice, e rimase in silenzio almeno fino a quando, preso posto accanto a Jimin si allungò verso di lui per posargli un bacio sulla guancia. «E comunque non è troppo, è nel tuo stile», lo rassicurò, volutamente vago e forse intenzionato a punzecchiarlo giusto un po'. Quindi si sotterrò nel suo cappotto e l'ampia sciarpa, facendo evadere solo le dita dalla lunga manica per poter appoggiarle contro il dorso della mano di Jimin, impegnata a stringere il cambio della vettura.
    «Ma chi è venuto qui col trattore?» Intrecciò il braccio con quello del compagno e, troppo impegnato a giocherellare ancora con il corsage che gli era stato donato da Jimin, nemmeno alzò lo sguardo per cogliere ciò a cui stava facendo riferimento Jimin. Semplicemente, nel sentire la parola "trattore", iniziò a mormorare fra sé e sé il motivetto di una canzone che gli parve più adatta - un remix di un certo RM e Lil Nas X. Fu ben contento, però, di notare quanto si fossero impegnati per rendere la palestra dell'istituto scolastico un vero e proprio gioiello scintillante; sembrava non mancare nulla all'appello, anche se probabilmente avrebbero potuto fare di meglio con le selezioni di quello che doveva essere il fotografo della serata. Forse un taglio di budget? Lo scrutò a lungo, avendo la vaga impressione di averlo già visto da qualche parte, fino a quando il sussurro di Jimin non lo riportò all'attenzione. «Jimin ah... così si dice alla persona?» Lo rimproverò bonariamente in uno spigliato satoori, piazzandogli un paio di buffetti sul fondoschiena nel pronunciare piano quelle parole; provava una certa simpatia per quello strano personaggio che sembrava essere sul punto di spegnersi e immaginò fosse necessario intervenire prima che fosse troppo tardi! Per questo sorrise nel veder Jimin farsi avanti, orgoglioso delle sue buone maniere, anche se fu lui poi a ritrovarsi il power bank fra le mani. «Va bene qui?» Interrogò Jimin una volta raggiunte le spalle del tipo, pronto a infilare il cavo nell'unica presa naturale che gli venne in mente. «No, non lì hyung». Eppure nella maggior parte dei film coi robot i loro punti d'alimentazione si trovavano... sulla nuca! Yoongi fece spallucce, affidandosi al buon senso del compagno senza farsi distrarre troppo dalle sue insolite reazioni e si accucciò davanti a CC8, pronto a servirlo. «Ah! Ecco bravo, lì!» Coordinò i movimenti con l'altro e senza ulteriori affanni la spina trovò la presa di CC8. Rialzatosi dopo aver fatto scivolare il power bank all'interno della tasca del peculiare fotografo sei felice di vedermi o è un power bank quello batté i palmi soddisfatto e ne poggiò uno contro la spalla di Jimin, sorridente. «Visto? È entrato senza nemmeno usare il lubr-» Ma le parole di Yoongi vennero interrotte dall'entusiasmo di CC8, che sembrava VERAMENTE EUFORICO di far loro una moltitudine di foto per ringraziarli della gentilezza ricevuta. «Mi sa che le professoresse siamo noi, quindi tanto vale farci fare il servizio fotografico, no hyung?» Cosa poteva andare storto? Yoongi, uomo delle tenebre e piumone tirato fino a sopra i capelli, non pensava di poter essere testimone di una luce più accecante di quando sbloccava il cellulare nel mezzo della notte - eppure fu costretto a ricredersi. Pur mettendo tutto se stesso in delle pose di un photoshoot improvvisato, doveva ammettere che i risultati del flash sui suoi occhi sensibili furono ben evidenti.
    «Kaja? Come stai bene! Ma sei da sola?» La interrogò civettuolo, facendo il finto tonto mentre le lanciava qualche occhiolino furbo. C'era da chiedersi, forse, se fossero tic dovuti all'effetto del flash o movimenti intenzionali. «Quanto soju avete bevuto prima di venire qui? Potevate lasciarne un goccio anche per me! Comunque non sono sola…» Soju? C'era del soju e nessuno gliel'aveva detto? Tornò presto con l'attenzione (più o meno) su Kaja, anche se da lì a poco vennero raggiunti dal misterioso accompagnatore dell'amica. «Ciao, non volevo interrompervi». Ancora allucinato per via del flash della fotocamera, Yoongi avrebbe dovuto fare affidamento sulla memoria di qualche momento prima per inquadrare il viso del tipo che gli stava porgendo la mano. A tal punto confuso che stava per afferrare il bicchiere che Erik porse a Kaja (senza nascondere di essere rimasto un po' deluso), Yoongi allungò la mano verso l'amica e gliela strinse pure con vigore, contento di fare la conoscenza - dell'altro. «Piacere Erik, io sono Yoongi! Lui è Jimin, il mio ragazzo. Ma quanti siete? Due... tre... sette... avete già figliato? Complimenti! Chuka-hehyo! Come si chiama il primo? Jimin che ci fai là in mezzo?» Si può togliere un uomo dalla Corea, ma non la Corea dall'uomo (?). Si rivelò, quindi, il solito tradizionalista: subito a chiedere dei figli e del matrimonio e del dress-code. Gli occhi gli stavano giocando davvero un brutto scherzo, mischiando le facce dei tre, moltiplicandole a dismisura come se avesse gettato lo sguardo in un divertente caleidoscopio e sperò, prima di imbarazzare ulteriormente la migliore amica, che il suo ragazzo intervenisse per mettere in riga il più grande. Non sapeva bene per quale ragione, eppure aveva fatto ridere sia il suo ragazzo sia l'amica: che non fossero in grado di vedere ciò che lui aveva avuto l'opportunità di ammirare? Tanta roba, eh Di certo la testata che Kaja fece fare ad entrambi non aiutò, ma come tenerle il broncio? Un abbraccio era pur sempre un abbraccio e, confuso e felice, lo ricambiò con tenerezza. «Sono qui, hyung», immediatamente si fece più mansueto, distratto dalle attenzioni che Jimin gli rivolse e contro la cui spalla adagiò con naturalezza la guancia. Nel frattempo, approfittando di un piccolo scambio di battute fra Kaja e Jimin, Yoongi infine riuscì ad inquadrare la faccia di Erik. Sentendo scattare in lui uno strano senso di protezione, iniziò a lanciargli segretamente tutti i gang sign che gli passarono per la testa, come a volergli far capire che Yoongi era un tipo da non sottovalutare. Quando Jimin si voltò a guardarlo, il maggiore innocentemente sciolse la mano in un adorabile saluto rivolto alla coppia e, scambiato con Erik l'ultimo segno conclusivo (alla "ti tengo d'occhio"), i quattro si divisero. Sembrava soddisfatto: era andato tutto liscio e di sicuro non aveva messo in imbarazzo Kaja. Dopo non molto ebbe anche l'occasione di imbattersi in Samantha, l'indispensabile insegnante di Norvegese (una sorta di gufetto di Duolingo molto meno minaccioso) che gli aveva permesso di abituarsi a quella lingua. La salutò sorridente, complimentandosi anche con lei e presentandole di conseguenza Jimin, di cui le aveva già parlato in passato. «Oggi sto facendo un sacco di pratica», scherzò riferendosi all'utilizzare, nel parlare con le persone che aveva salutato fino a quel momento, il norvegese, «me la sto cavando, no?» Interrogò prima Sam e poi Jimin che, da quando aveva imparato a presentare come il suo ragazzo l'avrebbe introdotto così anche ai muri. Non fu difficile accorgersi della presenza di quello che, per via della vicinanza a Samantha, ipotizzò essere il suo accompagnatore; la differenza d'altezza della coppia poteva rappresentare, ovviamente per difetto, l'idea che Yoongi aveva nella sua testa del centimetro di statura che aveva in più rispetto a Jimin, il suo ragazzo. «Adam, che piacere conoscerti!» Commentò sereno, questa volta riuscendo a stringere la mano alla persona giusta.
    Augurato anche a loro un buon procedimento di serata, era tempo di eat some cake, mama far calare di nuovo l'atmosfera romantica e intima fra i due, che Jimin propose di inaugurare con un breve pit stop alla zona dove erano stati sistemati l'immancabile punch e il cibo. «Credo che mi manchino Romina e i Pipitigni», mormorò con sguardo assorto mentre cercava di comprendere quale specie di tortura acustica tre insoliti soggetti stavano cercando di mettere in scena sul palco: ma chi li aveva invitati? e perché? Ogni volta che si faceva troppe domande finiva in situazioni poco piacevoli e, per questo, si limitò a farsi i fatti suoi nello scegliere un altra piccola pietanza dal buffet. Prima ancora che riuscisse a deglutire l'ennesimo tramezzino alcolico (incapace ormai di distinguere un sapore dall'altro talmente era stato caricato il punch), avvertì una mano di Jimin afferrarlo per trascinarlo fuori da quell'ambiente e farlo adagiare contro la parete di un corridoio lì fuori. Si portò le dita della mano destra contro le labbra, nascondendo un sorrisetto complice non appena la mente si rischiarò dal fracasso che i due si erano lasciati alle spalle. «Qui?» Lo interrogò fintamente imbarazzato dall'idea di lasciarsi andare a più intimi contatti, raggiunto poco dopo dalle labbra di Jimin che fu ben felice di accogliere, spostando le dita in tenere carezze contro le guance dell'altro. Cercando di regolare il respiro dopo una scia di piacevoli baci, non poté fare a meno di tubare mentre guardava Jimin proferire quella segreta confessione, sfiorando le guance del più giovane che si erano tinte di un rossore appena percepibile. «Lo so, lo so», sussurrò di rimando e sorridente, finendo per accarezzarne la nuca e seguendone i movimenti con la coda dell'occhio, piazzando quanti più baci riuscisse a dare all'altro fra una risatina e l'altra. Tornò ad abbandonarsi fra le braccia e le labbra dell'amato, percependo il nascere e morire una serie di sorrisi che non riuscì a trattenere per quanto comunque s'impegnasse - non poteva fare a meno di pensare a quanto lo riempisse di gioia quel momento, a quanto quella realtà così comune, in fondo, avesse finalmente deciso di entrare anche nella sua vita per renderlo a tal punto felice. «Jimin ah, non piangere... anche hyung ti ama, non preoccuparti», fu pronto a rincuorarlo non appena ne avvertì le lacrime, interrompendo i baci con quelle rassicuranti e affettuose parole. E di questo passo farai piangere anche me. Lasciò che la testa si adagiasse contro la parete e, raccolti in un silenzioso abbraccio in cui cullò l'innamorato, sperò che le carezze che fece scivolare contro la schiena di Jimin potessero calmarlo. Si stava bene, insieme. Si stava bene, quando ciò che poteva percepire erano solo i loro battiti e respiri regolari. "Qui non si sente niente". Forse era meglio così; il rumore non avrebbe mai potuto prendere spazio fra loro. Non erano nient'altro che due minuscoli punti nell'universo connessi da una linea sottile, ma resistente, a tal punto forte da resistere per tutti quegli anni, dando loro la possibilità di ritrovarsi. Terminò pensiero sdolcinato nell'adagiare un bacio fra i capelli di Jimin, stringendolo di più di conseguenza.
    Un piccolo grugnito di dissenso fu la prima reazione che Jimin ottenne a seguito della sua proposta ma non sarebbe stato difficile convincere il maggiore. «Aah... lo sai che non sono bravo!» Si lamentò abbassando le spalle, pronto a dondolare in modo imbarazzante insieme all'altro che, pur occupandosi di tutt'altro settore della danza, di sicuro sarebbe stato in grado di fare bella figura - a differenza sua. Proprio come immaginava, bastarono pochi accorgimenti per trascinarlo in pista e, fin troppo attento ai propri movimenti non fece nemmeno caso a tutte le altre coppie impegnate nei loro mondi tanto quanto loro due. «Abbracciami, non ti preoccupare di niente», sbuffò in risposta al suggerimento dell'altro che, con una dolcezza infinita, stava cercando di metterlo a suo agio in quella situazione. Si lasciò quindi guidare per un po', almeno fino a quando la musica che stavano riproducendo in quel momento non lo innervosì a tal punto da fargli fare un intero cambio di programma; aveva in mente di fargli ascoltare quella composizione una volta terminata la serata, magari in un secondo momento, tuttavia trovò quella scena particolarmente calzante. «Questo non è un lento, è una schifezza», borbottò contrariato, trafficando fra le tasche della giacca del suo completo per poter estrarre un paio di cuffiette. Ben presto una finì nell'orecchio di Jimin e l'altra nel suo. Regolò il volume e tornò ad aggrapparsi all'altro, finendo con il mento contro la spalla dell'altro. «Cos'è? È molto meglio di qualsiasi musica potrebbero suonare qui», decretò infine, forse più duro nel tono perché giusto un po' imbarazzato di quello che l'altro avrebbe potuto pensare di quel regalo. Era stato difficile recuperare i vecchi spartiti di quando aveva composto quella che divenne parte iniziale di quella melodia; risalivano al tempo della scuola a Seoul, quando componeva pensando solo a Jimin. Raccontavano con freschezza del loro primo incontro, delle timide prove d'affetto che mai avrebbe potuto dimenticare, delle risate e delle lacrime legate alle giornate scolastiche, di tutte quelle volte che avrebbe voluto confessare l'innocente sentimento che provava per l'altro. Quelle note vennero raggiunte da una parte più lenta, quasi pesante, perché Yoongi non avrebbe mai voluto nascondere nulla a Jimin e sapeva che l'altro sarebbe stato capace di entrare in sintonia con quegli anni grigi, cupi, privati della reciproca luce. Infine arrivò più presente e vivo il ricongiungersi dei loro destini. Sentiva l'odore del negozio di fiori di Jimin fra le narici, le mani attorno al suo corpo, le labbra pronte ad amarlo. Ma tutto questo gliel'avrebbe potuto spiegare in un secondo momento. Sul finire della canzone, nell'avvertire l'altro muoversi dalla posizione in cui sembravano essersi fermati in eterno, anche Yoongi alzò il capo, incontrando di nuovo lo sguardo lucido e altrettanto innamorato di Jimin; immaginò che quel bacio potesse coronare alla perfezione quella composizione incompleta. «Non è ancora finita, scusami. Ho pensato che... ci sarà tanto altro da aggiungere, no?» Più timido di prima, appoggiò la fronte contro quella di Jimin, sperando che il desiderio di continuare quella melodia che li rappresentava fosse reciproco. «Andiamo via, hyung? Voglio stare con te». Inutile a dirsi che anche Yoongi, satollo di cibo e d'affetto, non vedeva l'ora di alzare i tacchi per abbandonarsi quella palestra alle spalle. Non che avesse disprezzato la serata - passata in compagnia di un incantevole accompagnatore - ma temeva che potesse degenerare... come sempre, del tutto, a Besaid. Annuì velocemente e, raccogliendo i fianchi dell'altro con un abbraccio, indirizzò entrambi verso l'uscita. C'era qualcosa che non quadrava... la cintura di Jimin era così alta? Un veloce sguardo poté fargli capire che le dita non stavano affatto sfiorando quell'area, ma piuttosto poco sopra il bacino di Jimin. «Uuh, Jimin ah... che cos'è questo?» Tentennò, immaginando che avrebbe potuto conoscerne la risposta fra non molto.


    Purtroppo non ho una reference per la composizione, ma ho pensato che questa potesse avvicinarsi più o meno... enjoy! abbassate il volume Ewuiwua l'amore ♡ Ewuiwua Carmen? ♡

    E come sempre il blingee, tanti baci~
    K0raypp
     
    .
  3.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    16,567
    Reputation
    +2,797
    Location
    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

    Status
    Anonymes!
    Sam & Adam

    Non riusciva davvero a trattenersi nella pelle all’idea di dover andare ad un ballo con Adam quella sera. Quando lui glielo aveva proposto, per festeggiare insieme San Valentino, non aveva potuto credere alle sue orecchie. Adam era un uomo solitario, che preferiva il silenzio e la tranquillità della montagna e dei boschi ai luoghi affollati e chiassosi e non le risultava che fosse un amante del ballo, ma aveva comunque apprezzato incredibilmente quell’invito, accettando immediatamente senza neanche pensarci. Glielo aveva chiesto sotto un splendido cielo stellato, dopo una placida passeggiata al parco in compagnia dei fedeli Maina e Thunder che spesso Adam portava con sé nelle ore libere dal lavoro. Erano mesi ormai che si frequentavano come una coppia, facendo via via tanti piccoli passi verso un roseo futuro insieme. Ci aveva messo un po’ di tempo a decidere di buttarsi in quella nuova avventura, ad accettare che qualcuno potesse prendere quel posto rimasto vuoto all’interno del suo cuore che a volte ancora sapeva farle male, ma più il tempo passava e più era sicura di aver fatto la scelta giusta nell’accettare i sentimenti di Adam e rivelargli i suoi. Dopo la proposta aveva quindi immediatamente contattato Malice, scoprendo che anche lei sarebbe andata al Prom con il misterioso uomo di cui le parlava ormai da qualche tempo. A quanto pare, finalmente, avrebbe potuto incontrare il famigerato Wade e valutare con i suoi occhi se potesse o meno approvare la loro frequentazione. Ovviamente Malice avrebbe comunque continuato sulla sua strada, forte delle sue idee, ma Sam sentiva la necessità di esprimere il suo parere e di tenere d’occhio la situazione. Erano andate insieme a cercare i loro vestiti per il Prom perché tra le due, senza dubbio, Malice era quella che aveva più gusto e dava a Sam sempre degli ottimi consigli in fatto di vestiti per essere pronta per le giuste occasioni. Era diventata un po’ la sua guru della moda anche se, volendo, avrebbe potuto chiedere aiuto anche al suo amico Valentin. Il problema, in questo caso, era che si sarebbe trovata con indosso un abito di alta sartoria che di certo non avrebbe saputo come portare, visto che lei e l’alta moda erano sempre stati due mondi paralleli, destinati a non incontrarsi mai. Gli aveva comunque inviato una foto dal camerino, quando si era convinta di aver trovato il vestito giusto, sperando in un suo commento positivo. Avevano fatto il giro di tutti i negozi di Besaid e misurato praticamente ogni cosa della loro taglia ma finalmente erano riuscite a trovare quello che stavano cercando, perfettamente in tempo per organizzare la loro preparazione per il fatidico giorno.
    Dato che l’adorabile quartetto si sarebbe recato al Prom insieme lei aveva portato tutte le sue cose a casa della sorella di Fae, per prepararsi insieme a lei e avere l’aiuto di Margareth per quanto riguardava trucco e parrucco. Si era fatta dare un passaggio in auto da suo cugino così da evitare di stropicciare il vestito durante il trasporto. A questo aveva abbinato un paio di scarpe dal colore tenue, una giacca bianca piuttosto semplice per proteggersi dal freddo e una pochette glitterata che le aveva regalato Fae qualche tempo prima e che lei non aveva mai avuto l’occasione di usare. Era da giorni che non vedeva l’ora che il momento arrivasse e più il tempo passava e più lei andava in fibrillazione. Si sentiva un po’ come al termine della sera dell’Iniziazione all’interno della Squad, come se avesse bevuto qualche bicchiere di troppo, eppure non aveva toccato neanche un goccio di alcol. Fae aveva tentato di farla entrare dalla finestra anche lì, ma alla fine vedendola carica di tutte quelle buste aveva avuto pietà di lei e aveva lasciato che Margareth le aprisse la porta principale. Stare di nuovo insieme alle due Olsen la riportò alla sua infanzia, quando trascorreva tantissimo tempo insieme a loro a casa di Lorelai e sorrise, cercando di sforzarsi di non piangere per la commozione. Sarebbe stata una lunga, lunghissima serata, se già iniziava a rivangare il passato così presto. La piccola Lilian, la nipotina di Fae, era stata praticamente in mezzo ad ogni preparazione, cercando di aiutare sua madre nel trucco delle ragazze, cercando di farsi truccare a sua volta per poter andare al ballo. Aveva persino sfoderato un vestitino in stile principessa, che aveva chiesto a Sam di chiuderle visto che lei non riusciva ad arrivare alla cerniera a lampo che aveva sulla schiena. Non aveva saputo se scoppiare a ridere o se sgridare Fae quando aveva deciso di chiuderla dentro un armadio, così che le lasciasse preparare in pace. Era adorabile con la nipotina nelle giornate buone, ma quando anche lei aveva qualcosa da fare non ce n’era proprio per nessuno. Dopo pochi minuti comunque, al ritorno della sorella, fu costretta a liberare il piccolo demonio che riprese a saltellare euforico come se nulla fosse successo. Si avvicinò poi a lei, continuando a saltellare, portando le labbra ad un passo dal suo orecchio. -Lo sai chi mi porterà al ballo? - chiese, con un larghissimo sorriso, guardandola dritta in volto con aria felice. Sam scosse il capo, curiosa però di scoprire il misterioso segreto della serata. -A te posso dirlo. Mi porterà zio Wade! - terminò, piuttosto soddisfatta, per poi riprendere a correre per la stanza senza una meta precisa. Wade? Ma che strano, aveva proprio lo stesso nome dell’accompagnatore di Malice, che fosse solo una strana coincidenza?
    Dopo qualche ora di urla, calze che volavano e polvere di trucco che si spandeva in ogni dove riuscirono finalmente a guardarsi allo specchio e ammirare il risultato finale. Margareth era stata molto brava nell’aiutarle a truccarsi e pettinarsi, tanto che sembrava che fossero appena uscite da una seduta di bellezza. -Wow, ma dove hai imparato? - chiese quindi Sam, che invece non era mai stata molto brava in quel genere di cose. Non aveva mai capito come si mettesse il mascara e quindi fingeva che la scusa per la sua assenza fosse che gli dava fastidio agli occhi, anche se ovviamente nessuno ci credeva. Fae a quel punto aveva sfoderato una riserva di alcolici che aveva tenuto nascosta chissà dove e aveva iniziato ad offrire bicchierini a tutte, come se fosse stata lei la padrona di casa. -Ma se sicura che poi riuscirò comunque a stare in piedi? - chiese all’amica, che annuì con uno sguardo furbetto che le lasciò intendere che fosse ovviamente una menzogna, ma mandò giù comunque i primi due bicchierini. Per fortuna Fae per quella volta era stata previdente e quindi aveva riempito quelli di Sam solo a metà, per fare in modo che almeno riuscisse ad arrivare al mezzo di locomozione che le avrebbe condotte al Prom. Aveva riso, iniziando a sentire l’alcol entrare in circolo dopo tutti quegli assaggini, mentre Maggie raccontava alcuni aneddoti di diversi anni prima, quando entrambe erano ancora quasi delle bambine. A ripensarci le venne da sorridere. Avevano fatto un sacco di strada da quando erano solo due bimbe pestifere che andavano in giro a combinare qualche guaio e ancora ne avevano tanta davanti da fare, ma era certa che avrebbero continuato a percorrerla insieme, continuando a sostenersi l’un l’altra.
    Indossare il vestito, dopo aver bevuto un po’, era risultato più complicato del previsto ed era quasi caduta come un sacco di patate a terra per almeno due volte mentre cercava di tirarlo su, lasciando poi che qualcuno le sistemasse la zip dato che se fosse stato per lei si sarebbe persino dimenticata di chiuderlo. Battè le palpebre un paio di volte, come se non fosse del tutto riuscita ad afferrare le parole di Fae quando le disse che era molto bella con quell’abito, per poi lasciare che un sorriso un po’ beota le comparisse sul volto prima di abbracciarla forte, posando la testa contro la sua spalla. -Anche tu sei bellissima amore mio. - disse, con aria sognante, prima di stamparle un bacio sulla guancia e iniziare a fare qualche piroetta sul posto, cercando di capire se la gonna del vestito si allargava oppure no, senza risultato ovviamente. Margareth a quel punto venne in suo soccorso, costringendola a mangiare qualche salatino per aiutarla a riprendersi dall’alcol, scoccando un’occhiata severa in direzione della sorella minore. Fu però l’aria fresca della sera a permetterle di riprendere un minimo di coscienza, quando uscirono dalla dimora Olsen, trovandosi davanti un trattore super accessoriato e addobbato a festa, con tanto di rose rosso e adorabili cavalieri a guidare il baldo destriero. Guardò per un momento il cielo scuro, illuminato da tantissime stelle, mentre sentiva al suo fianco la borsa di Fae emettere uno strano tintinnio. -Ma che cosa hai preso? Le ballerine volanti? - chiese, memore di vecchie esperienze, per poi stringersi appena nelle spalle quando l’amica non rispose e cercare di percorrere la distanza che la separava dal veicolo senza inciampare sui suoi stessi piedi. Sorrise, in direzione di Ivar, che l’aiutò a salire sul trattore multiaccessoriato che avevano preso per l’occasione. -Stai davvero bene stasera. - si complimentò con lui, prima di salire e raggiungere quindi il suo ragazzo. Sorrise ancora più radiosa quando lo vide, lasciandosi stringere dalle sue forti braccia per evitare che potesse cadere giù dal mezzo di trasporto. -Ciao, anche tu. - gli rispose, lasciando un leggero bacio sulle labbra di lui, per poi posare il capo biondo sulla sua spalla e lasciare che il suo profumo la inebriasse, come faceva ogni volta che stavano vicini. Aveva messo la stessa camicia del loro primo appuntamento e questo contribuì a mandare la sua testa sulle nuvole, al ricordo di quella splendida giornata che avevano trascorso insieme, dopo un inizio un po’ travagliato. Non si era ovviamente aspettata di vederlo indossare un abito per l’occasione, non lo faceva mai, ma per lei era sempre perfetto così com’era.
    Gli offrì il braccio, quando lui le porse il corsage che aveva preparato per lei e quasi scoppiò a piangere dall’emozione quando lo vide. Era così elegante e delicato che era evidente che lo avesse pensato in ogni minimo dettaglio. -E’ meraviglioso. - ammise, rimanendo a rimirarlo per qualche momento mentre cercava di trattenere qualche lacrima di emozione per evitare che l’attento lavoro di Margareth venisse distrutto appena fuori dalla porta di casa. Fae nel frattempo aveva preso a strillare nel momento esatto in cui aveva visto Ivar, erano una coppia splendida ed era felice che finalmente fossero riusciti a comprenderlo anche loro. Partirono per presto alla volta della scuola, accompagnati dalla proteste di Fae che cercava di far andare il trattore più velocemente a suon di parole, nella speranza di non perdersi le parti migliori della festa. Secondo lei, in ogni caso, la festa non sarebbe potuta davvero iniziare senza di loro, quindi non si mostrò affatto turbato del loro parziale ritardo. All’ingresso della palestra furono accolti da uno strano soggetto che urlava strane come -SCOSSA??!! DITE... SCOSSAAAAAA?!?!? - sbraitava, senza che lei riuscisse a comprenderne il motivo, iniziando a scattare qua e là senza avere un reale target. Ma era davvero con loro che stava parlando? Nella speranza di riuscire ad avere qualche foto di gruppo e poi alcune delle singole coppie Adam tentò di proporre un cambio di fotografo, ma CC-8 parve impazzire, spandendo dei fumi sinistri in lungo e in largo mentre inveiva contro Adam, che dubitò guardò nella sua direzione in cerca di aiuto. Lei lo strinsè a sé, facendogli poi un leggero cenno con le dita vicino alla testa, come a dirgli che secondo lei il tizio non stava molto bene. dopo diversi minuti di peripezie comunque la squad riuscì ad uscire vittoriosa dall’avventura, anche se il guardiacaccia non sembrava più riuscire a vedere nulla. doveva essere la vendetta di CC-8 per il suo tentativo di spodestarlo.
    Non riuscì a trattenere le risate, quando vide una povera nonnetta iniziare a rotolare e fare strike, ma tentò comunque di aiutare il suo ragazzo a ritrovare la retta via e impedire che continuasse a buttare giù i vari birilli umani fermi in piedi in mezzo alla sala. Stringendo la mano di Adam dalla sua e allontanandosi per qualche tempo dagli altri amici, si avviò in giro per la sala, per scambiare quattro chiacchiere con le altre persone che conosceva. Si mosse velocemente verso Yoongi, il ragazzo che stava aiutando ad imparare il norvegese e con cui nel tempo aveva stretto un ottimo rapporto. Sorrise radiosa nel vederlo insieme al suo ragazzo che era davvero molto curiosa di conoscere visto che Yoongi in qualche occasione le aveva accennato qualcosa sul suo conto. -Stai benissimo. - gli disse, abbracciandolo forte e continuando a sorridere, prima che lui cercasse di farle notare i suoi progressi con la pratica del norvegese. Stava diventando sempre più bravo e anche se il suo accento era ancora piuttosto marcato, la sua parlata diveniva sempre più fluente. -Assolutamente si. - lo rassicurò, quando chiese la sua opinioni, prima che anche il suo ragazzo facesse lo stesso. -Anche per me è un piacere Jimin, anche io ho sentito molto parlare di te. - gli disse, senza alcuna vergogna, stringendo appena la mano di lui nel presentarsi, inclinando appena il capo, piuttosto lusingata dal complimento del ragazzo. -Siete una coppia meravigliosa. - disse, rivolgendo un leggero occhiolino a Yoongi prima di presentare loro Adam. -Ehi, che fai zitto? Ragazzi, lui è Adam. - disse quindi, mentre un sorriso radioso compariva sul suo volto nell’introdurlo ad altre persone. Era così felice di poterlo avere al suo fianco che non poteva fare a meno di illuminare la stanza ogni volta che ne parlava. Lasciò che si salutassero e scambiarono insieme alcune parole. Sembravano entrambi un po’ brilli ma preferì non commentare a riguardo, lasciandoli poi velocemente tornare alla loro festa. Si avviarono verso il tavolo del buffet, prendendo una prima foccaccina e un bicchiere di punch, che aveva un sospetto sapore di zucca, oltre al livello decisamente eccessivo di alcol per i suoi standard. Bastò un primo sorso infatti a farle bruciare la gola.
    Intravide Malice, non troppo distante da lei, salutarla con la mano e poi portare le mani a congiungersi per formare un cuore nella sua direzione. Fece per avvicinarsi nella sua direzione, continuando a tenere stretta la mano di Adam nella sua, ma venne presto placcata in un abbraccio decisamente inaspettato da parte dell’accompagnatore di Malice, che sembrava sin troppo euforica di conoscerla, finalmente. Si presentò presto, confermando di essere il famoso Wade e Sam lo squadrò per qualche momento, con gli occhi ridotti quasi a due fessure, analizzandolo con attenzione prima di proferire parola. -Sai.. sei esattamente come Mal ti descrive. Ma ancora non sono sicura che tu te la meriti. - biascicò quasi, mostrando che il puch iniziava a fare il suo effetto e che quindi non fosse del tutto lucida. -Lei è il mio raggio di sole. - aggiunse, stringendo forte Malice in un abbraccio, prima di stamparle un bacio sulla guancia. -Però.. - iniziò a dire, per poi fermarsi, non riuscendo più a ricordare esattamente che cosa stesse dicendo. -Però… siete molto carini. - constatò alla fine, per poi cercare di presentare loro Adam, che fortunatamente riuscì molto meglio nell’intento da solo. Muovendosi di nuovo verso il tavolo del buffet, per cercare di far scendere almeno un po’ la sua eccessiva allegria, individuò anche Ophelia. Era felice che anche lei fosse al Prom e che avesse trovato qualcuno con cui condividere una cosa come quella. Era lieta che, finalmente, sembrasse essersi tolta dalla testa il suo ex e stesse cercando di voltare pagina anche se lui era tornato in città. -Anche tu. - le disse, stringendola forte a sua volta. Ancora non aveva dimenticato il pessimo incubo di Halloween che avevano condiviso ma sapeva che un giorno ne avrebbero rise tranquille, pensando a quanto erano state buffe nella loro lotta improvvisata. Seguì la sua mano, notando la figura di Liv, la nipote della proprietaria del locale dove si recavano spesso insieme e la salutò con un cenno della mano, annuendo quando Ophelia le fece notare che il suo accompagnatore era piuttosto carino. Non sapeva che Liv uscisse con qualcuno, ma in fondo lei era sempre stata uno spirito libero, impossibile da imbrigliare.
    Si fermò un momento, in mezzo a tutta quella folla, quando Adam strinse impercettibilmente la sua mano, accarezzandone appena il dorso, forse in cerca di un po’ di rassicurazione. Lui non aveva mai amato al folla e immaginava che per lui avere a che fare con tutte quelle persone non doveva essere affatto semplice. -Sono davvero felice di essere qui con te. - gli disse quindi, sollevandosi appena sulle punte dei piedi per riuscire ad avvicinare il volto a quello di lui, strofinando poi delicatamente il naso contro quello del suo ragazzo, lasciandosi andare ad un nuovo sorriso, giusto un attimo prima che Liv e il suo accompagnatore li raggiungessero per un giro di saluti. Chissà perché non aveva mai pensato che lei e Adam potessero conoscersi ma non le dispiacque l’idea di avere qualche altro amico in comune. Annuì, lieta di prendere una boccata d’aria fresca, quando il ragazzo le chiese di accompagnarlo fuori. -Sì, si muore di caldo qui dentro. - disse, anche se in realtà era soltanto colpa dell’alcol, visto che ancora non avevano iniziato a ballare. Anche l’esterno era stato addobbato in ogni dettaglio e per un momento si perse nell’ammirare quelle splendide decorazioni, prima che Adam iniziasse a parlare, dopo una piccola pausa in cui entrambi si erano beati di un po’ di quel silenzio. Le espresse la sua felicità, avvolgendola stretta in un abbraccio che sapeva trasmetterle tutto il suo calore e il suo affetto. Era bello perdersi tra le sue braccia, la faceva sentire al sicuro, felice, perfettamente a suo agio. Sentiva i loro cuori battere all’unisono, come se seguissero una musica tutta loro, fatta di piccoli gesti e di tanta felicità, di attimi magici che però risultavano così assolutamente naturali da farle chiedere come avesse fatto per tutto quel tempo ad essere felice senza di lui. Sorrise, stringendosi più forte a lui quando parlò ancora, poche ma dolcissime parole, accompagnate da un tenero bacio sulla sua fronte. -Ti amo, Adam. - mormorò, teneramente, dopo qualche momento di silenzio, sollevando il capo per accogliere le labbra di lui in un tenero bacio. Le capitava spesso di sentire la mancanza di quei contatti, delle sensazioni che soltanto lui era mai stato in grado di trasmetterle. Era davvero felice, come non credeva di poter più riuscire ad essere dopo tutto quel tempo trascorso a chiudersi in se stessa e impedirsi di avere una nuova occasione.
    Un leggero brontolio proveniente dal suo stomaco la costrinse ad allontanarsi appena, ridacchiando. -Credo di aver bisogno di qualcosa da mettere sono i denti, vieni con me? - chiese, offrendogli di nuovo la sua mano e facendosi scortare all’interno, dove riempì un piatto con un buon numero di ottime focaccine, giusto qualche attimo prima che Fae la richiamasse con un urlo, facendo girare praticamente mezza sala nella loro direzione, mentre lei si ficcava un’intera focaccina in bocca, osservandola quindi a bocca piena. La mascherò con una mano, quando la sentì riportare alla luce l’aneddoto del ragazzo scodella, meravigliata di non essere mai riuscita a fare 1+1 prima di quel momento e capire che in fin dei conti si trattasse di Ivar. Lei si strinse nelle spalle, rivolgendole un’occhiata divertita, come a dirle che certi segreti non erano fatti per essere rivelati senza un buon motivo. Poi, dopo aver mandato giù una buona quantità di cibo, si avvicinò all’amico, allungando una mano verso di lui e chiedendogli così di farle compagnia per un ballo scatenato che a lei ricordava tanto la canzoncina di Duloc che avevano cantato insieme la sera in cui si era unita ufficialmente alla Squad.
     
    .
  4.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    2,692
    Reputation
    +2,159

    Status
    Anonymes!
    A7s8eKc
    | IVAR WESENLUND | 26 y.o | #faevar
    Fae Olsen & Ivar Wesenlund

    Ci aveva messo giorni per decidere di chiedere a Fae di andare a quel ballo. Non che non fossero abbastanza in confidenza, sia chiaro, potevano dirsi qualsiasi cosa ormai. La verità era che si sentiva un po' stupido ad invitarla in maniera del tutto formale a una cazzata del genere. Insomma, il ballo della scuola... avevano passato da un pezzo l'età del prom! E invece lei se ne era uscita con quel volantino, ed era bastato un solo sguardo per esclamare all'unisono "andiamoci!". L'imbarazzo era scemato, così come i tremila dubbi che lo attanagliavano ogni volta. E poi ci andavano anche Adam e Sam, sarebbe stato divertente! Proprio l'amico lo invitò a casa sua per prepararsi insieme. Quella era solo la prova generale del matrimonio dei #Sadam, Ivar lo sapeva e fanghirlava dentro come un Valentin davanti alla confezione di Rouge de Chanel(?) #wat. Si recò a casa sua alla buon ora, anche se più che prepararsi in realtà cazzeggiarono allegramente, fumando qualche mezza canna e bevendo birra -non troppa, o avrebbero slargato i bottoni della camicia sks- giusto per partire col piede giusto. Mentre Adam si sistemava nella sua stanza, Ivar approfittò dello specchio sul soppalco per darsi una sistemata. Anche quella volta però, i topini tornarono a fargli visita, armati di ago, filo e merletti. "Adam, ma una cazzo di trappola in questa casa no eh?" Urlò all'amico, nell'altra stanza. Non che odiasse i topi, ma insomma...dov'erano finite le norme igieniche? Le prassi sanitarie? I topi avevano portato la peste nel 1300 Adrian lo sapeva e infatti ogni volta che vedeva un topo scappava e andava a purificarsi al santo sepolcro di Gerusalemme(?) "Buoni stavolta con gli aghi, non servono i merletti! Ma cavolo, perché tutti hanno una fata madrina e io devo avere le pantegane come stilisti?" Si rivolse alla piccola popolazione di topini canterini che si era radunata intorno a lui, neanche fosse stato Salveeni al comizio della Lega in Oombria. La risposta era che CinderIvar aveva i topi, come nella fiaba, e che Grimilde stava in un'altra storia. Ma si sa, Besaid è un posto magico, e certe cose non devi nemmeno azzardarti a pensarle, perché accadono davvero. Dalla finestra aperta, una scia di glitter entrò come una nube, svolazzando e poi prendendo forma corporea. Al suo cospetto si materializzò Malgy, vestito da fata madrina, con tanto di abito azzurro glitterato. Era un po' Elsa e un po' Azzurrina(?) il fantasma della bambina. Anche gli immancabili occhiali da sole erano glitterati sui bordi. "Salagadula, chittesegula, bidibibodibibù. Ecco zia Malgy che viene in aiut, bidibibodibibù!" Si presentò, cantando. Ivar nemmeno si sorprese più di tanto...ormai quelle cose erano all'ordine del giorno. "Tesòro, fatti aiutare tesoro, fatti aiutare". Recitò zia Malgy apprensiva (chiudendo esageratamente la “o” di tesoro) come nel messaggio spam del forum, girando intorno a Ivar. Con un colpo di bacchetta cambiò i suoi abiti, che erano esattamente quelli che aveva portato per l'occasione, praticamente glieli mise e basta. Certo ce voleva la fata madrina pe fa sta cazzata. Che poi voleva li sordi? Quanto piglia una fata madrina all'ora? C'avrà la partita Iva o starà a contratto? Queste so domande eh. Comunque, Ivar aveva optato per uno spezzato, non troppo formale, a cui aveva aggiunto una piccola rosellina il legno da portare sul taschino. I capelli erano tirati indietro, come sempre, anche se non riusciva più a legarli da quando li aveva tagliati, dopo che una sera con, la Squad, Fae aveva deciso di giocare alla parrucchiera ubriaca, facendo tremila scalette in testa a tutti. Zia Malgy lo guardò soddisfatta: "Tanta roba eh". *insert gif* commentò, spruzzandogli del profumo addosso. Non che Ivar puzzasse, ma quello era Yssallorooon sks. In tutto ciò Adam non se lo stava cagando di striscio, e non si stava preoccupando minimamente del fatto che casa sua fosse invasa da sorci, fate e chi più ne ha più ne metta. "Guindi adesso che manca, tesoro? Ah si. Vai a prendermi una zucca!". Eseguendo gli ordini senza fare domande, Ivar si precipitò a sceglierne una. Adam tanto ne aveva tremila avanti casa, la sua era tipo la capanna di Hagrid. Peccato che Adam non avesse ippogrifi e che quindi le zucche per la maggior parte marcissero. Un peccato, proprio l'anno prima l'amico aveva vinto il primo premio alla Sagra, per la zucca più grande, con un esemplare di 620 kg (che affettuosamente chiamava "il mio bambino di 7328279 mesi" #wat) ma cosa cazzo sto scrivendo. Porse la zucca a zia Malgy, che subito iniziò a trasformarla...prima in una pecora arancione, poi in un portaombrelli, poi in un dildo, poi nell'albero azzurro, ma arancione. Alla fine scazzó, lanciando la bacchetta di plastica."Sendi prendi la macchina tua, che io non c'ho fandasia!" Sentenziò, senza che nessuno glielo chiedesse, prima di lanciare un bacio volante e sparire in una nuvola di glitter. Per un attimo il falegname si chiese se non avesse avuto un'allucinazione. I suoi pensieri però furono interrotti da Adam, che spuntò dalla porta vestito di tutto punto. Per in attimo Ivar si sentì sposato come Yoongi. "Wow, che eleganza!" Si complimentò con la sua dolce metà(?), rispondendo al suo complimento, di rimando, in un do ut des di komplimenti senza kritike molto bll. Il guardiacaccia gli lanciò le chiavi di casa, sentenziando un "Chiudi tu, io prendo il trattore". Doveva immaginarlo che l'amico non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di andare a comandare. Ivar aveva pure pulito la macchina, cosa che non faceva dal 2014 più o meno -altro che coronavirus, anche la poliomielite (che non ho idea di cosa cazzo sia) ti pigliavi in macchina sua. Vabbe, avere la macchina pulita comunque non sarebbe stato un male, come diceva il Don: "faccenda fatta, Dio la benedica". Così si chiuse la porta alle spalle e salì sul trattore del comando, tutto perfettamente addobbato a festa, nemmeno fosse la sagra della mietitura. "Lo sai che a Sant'Anna è vietato prendere i mezzi agricoli?" Se ne uscì, totalmente a caso, con una di quelle robe da contadino che aveva sentito dire. Perché si, saranno stati pure tutti in tiro, ma sempre contadini rimanevano. Senza contare che l’inverno in Norvegia non perdona, e loro tutti belli in giacchettina quasi morirono di freddo. Perché da “andiamo a comandare” a “andiamo a morì de freddo” era un attimo. Adam parcheggiò il mezzo avanti casa Olsen, e Ivar scese gentilmente aiutato da Adam, che per poco non lo fece cadere a faccia in avanti sul breccino del cortile. Le ragazze uscirono quasi subito, splendide nei loro abiti da sera: uno lungo da principessa per Sam, e uno corto e scintillante per la sua Fae. Aiutò la prima a salire, tirandola su di peso. ”Buonasera principessa!” Le sorrise. ”Stai davvero bene stasera” ”Anche tu, sei favolosa!” Rispose. Era proprio bella, Sam. Poi udì Fae urlare con gli ultrasuoni, mentre correva verso di lui. ”Shpumino mio bellisssssimo, vanvulino arcobalenooooaaaa!” Allargò le braccia e la prese in braccio al volo. Poco importava che fosse mezza nuda, tanto erano davanti casa sua(?). ”AMORISSIMA SHPIMISSIMA BELLISSIMA PICCOLISSIMA DOLCISSIMA KOALISSIMA MIAAA! MA SEI ROSA????” Le fece eco, urlando come se stesse urlando a Maina. Perché loro erano coglioni, si, ma erano coglioni insieme <3 Smise di stritolarla solo per darle un bacio, e solo dopo potè vederla per bene, alla luce. ”Sei bellissima, come sempre”. Le sussurrò all’orecchio, prima di tirare su anche lei per farla salire su quel trattore immenso. Lo zaino di Fae tintinnava, e ciò lo rese orgoglioso(?). Sapeva già cosa conteneva, e non erano addobbi natalizi(?). Si sedette accanto a lei, mentre Adam partiva a ben 20 km/h e falciava l’aria con la superbia da comandante(?). ”Ah!” Si ricordò del corsage solo quando vide Adam dare il suo a Sam. Che fidanzato screanzato che era! Per Fae aveva confezionato lui stesso un corsage di rose (su disegno di Ophelia). Sulla più grande aveva utilizzato la sua particolarità, quanto bastava per renderla nera, morta. L’aveva poi trattata con della lacca per far sì che non si sgretolasse, e l’aveva aggiunta ad altri piccoli fiorellini bianchi, vivi. ”In memoria dei vecchi tempi”. Sussurrò, legandoglielo al polso e dandole un bacio delicato sulle labbra. Era stato quello l’inizio. Una rosa priva di vita in mezzo al caos.
    Ci misero un po’ ad arrivare, ma probabilmente non erano gli unici in ritardo. All’esterno la gente si ammassava per entrare nell’edificio. Ah, quanti ricordi aveva di quella scuola! Non tutti piacevoli, ma non era stata colpa della scuola se la sua vita era stata un continuo mainagioia. Sorpassò uno che parlava di Teutoqualcosa e dei romani (#lizception), e prese la sua Fae per mano. All’ingresso incontrarono un pazzo cheli fermò per fare delle foto. Sembrava si fosse iniettato una dose tagliata male, dato che continuava a scattare e ripetere ”SCOSSAAAA???” di continuo. Aveva anche un powerbank che penzolava dai pantaloni, ma non volle chiedersi se fosse uno strano piercing. Si mise in posa, prima insieme alla squad, facendo facce brutte per rovinare la foto. Perchè come dicevano sul titanic: “Indossiamo il nostro abito migliore e siamo pronti ad affondare da coglione”#cos. Per un attimo temette per la vita di Adam, che non parlava mai, ma per una parola che aveva detto aveva fatto incazzare quell’essere, che aveva iniziato a friggere(?). ”Stiamo calmi, signori, manteniamo l’ordine” Placò gli animi, per poi agguantare Fae per i fianchi e stamparle un bacio per la foto. Non aveva mai avuto foto decenti, nei prom a cui era andato – colpa forse di quella fottuta acconciatura a scodella che sua madre continuava a fargli- e non avrebbe iniziato ora. Si sentiva felice, però, ad essere lì con Fae. Dopo tutto quello che avevano passato nemmeno sembrava reale, quella felicità. Era qualcosa di fragile, che da un minuto all’altro temeva di perdere. E per questo, proprio perché sapeva quanto la felicità fosse effimera, non poteva fare a meno di viverne ogni istante, di cercare la sua mano, o quelle labbra che tanto aveva desiderato e mai si era concesso. Abbandonarono per un attimo Sam e Adam per svolgere la loro missione da teppisti e salvare il prom: correggere il punch. Perché erano un po’ alterati, ma non troppo. E il disagio senza alcol non avveniva mai! Così, con le sue spallucce, fece da palo, coprendo Fae mentre svuotava bottiglie su bottiglie nel punch. Che salvatrice del popolo era, che paladina! ”Oh, quelli dello schiantoAAAOOO stanno autografando le mutand, corri!” Disse per allontanare uno che si era avvicinato, prima che la sua dolce consorte potesse sbarazzarsi dell’arma del delitto. Brindò con lei e bevve un po’ di quel liquido alcolico. Ora si che si cominciava a ragionare. Mentre Fae smessaggiava con chissà chi –e se avesse saputo che era Nikolaj probabilmente avrebbe distrutto il locale- si avvicinò ad Ophelia per salutarla. ”Ehi, bionda! Sei magnifica! Hai visto il corsage di Fae? E’ venuto bene!” Le disse, dato che l’idea era stata proprio sua. ”Oh, perdonami. Sono Ivar!” Fece per stringere la mano al suo partner, un uomo che non aveva mai visto in giro. ”Beh, buona serata!” Si congedò infine, facendo l’occhiolino ad Ophelia e tornando a cercare Fae o i suoi amici. Superò Liz e Mornie, che indossavano un corsage a forma di vanvulino e ballavano scatenate e ubriachissime sulle note di “AAAA”, mentre palpavano gli addominali dei manzi che passavano perché oh, queste faticano sempre, damoje na gioia. Trovò finalmente Fae a scofanarsi di cibo e seguì il suo esempio, fin quando lei non ebbe l’illuminazione. ”Somigli tanto ad un ragazzino che aveva i capelli a scodella, quando ero all’ultimo anno. Penso mi odiasse. Andava sempre in giro con un gruppo di ragazzine ben vestite. Anche Sam trascorreva spesso del tempo assieme a loro, ne ero un po’ gelosa. Non ricordo come si chiamassero, ma credo che Sam abbia ancora contatti con tutte e tre. Alla fine era una bella cerchia, proteggevano il ragazzo scodella con onore." Ivar restò basito. Cioè, lo aveva chiamato “RAGAZZO SCODELLA”?? ”Amore, fai due più due…” Disse solamente, prima che lei avesse una seconda epifania e corresse da Sam. ”SAM! Perché non mi hai mai detto che sto insieme al ragazzo scodella???” Sbottò a ridere, cingendole le spalle con il braccio. ”Vedi il karma? Son tutti così i film coi teenage drama. La reginetta finisce con lo sfigato! E poi negli anni duemila la scodella era di moda...” Disse, anche se non era vero, e lui glielo diceva sempre a sua madre che sembrava Fra Tuck, ma quella niente, continuava a tagliarglieli. ”Ok, ho passato un periodaccio, non farmici pensare.” Ammise sincero, ridendo. Ormai quello era passato, e di certo non era stata la cosa più brutta della sua vita. Qualcuno gli sbattè contro, e Ivar si trovò a rovesciargli l’intero bicchiere addosso. Ma il malcapitato era CC8, che iniziò a friggere e a sfiaccolare, coi circuiti che perdevano tensione. ”Oucheee sgranouchee prezzemolo e finouchee mi sento poco bene ho preso la SCOSSSSAAAAAAAAaaaa” Urlò, poi la sua voce si affievolì, finchè non si accasciò a terra. Tristemente, degli addetti alle pulizie portarono via la salma del robot, nell’indifferenza generale. Quel giorno Carlone avrebbe festeggiato san Valentino dallo sfasciacarrozze #sad. ”Ti rubo un attimo la dama!” Disse ad adam, quando partì una musica simile a Duloc. Prese Sam per la vita a mo’ di valzer e iniziò a saltellare come se stesse ballando una polka. ”E’ la nostra canzone(?)! Esordì. ”Questa è Duloooc la perfetta città!” Iniziò a cantare, anche se la canzone non era quella. La lasciò andare, quando invece partì un tango. Sfilò una rosa da un tavolo(?) e se la mise in bocca, per poi prendere Adam per la vita e iniziare a ballare come se fosse un professionista, con tanto di passi scattosi e strascicati, e facendogli fare un casquet degno del ballo delle debuttanti. Invasati dall’alcol, provarono anche a fare una presa alla dirty dancing, con Adam che faceva Patrick Swayze, perché nessuno mette Ivar in un angolo(?). Calmandosi e bevendo un po’, durante i balli successivi si mosse leggermente ondeggiando, fin quando non arrivò il momento del lento. Si avvicinò alla sua compagna, e le cinse la vita esile con le braccia. Glielo aveva già detto e non era necessario ripeterlo, ma la trovava bellissima. Poggiò la guancia sulla sua, mentre la musica iniziava a cullarli. "Se avessi saputo prima quanto mi fai stare bene, ti avrei fatto il filo già ai tempi del liceo” Rise, non sapendo cosa rispondere, mentre il suo cuore prendeva a battere leggermente più forte. ”Sei sicura? Aveva una fottuta scodella in testa!” Ivar si che sapeva rovinare i momenti romantici. "O probabilmente no. Però… per fortuna hai cambiato barbiere.” Ecco qua. ”Se lo avessi saputo, lo avrei fatto prima!” La strinse a sé, ancora di più. Se solo avesse saputo che una cosa del genere, che tanta felicità fosse stata possibile, l’avrebbe cercata prima. Se avesse saputo quanto dolce sarebbe stato condividere la vita con lei, avrebbe rischiato tutto molto prima, pur di averla. Ma forse era quello il momento giusto. Forse erano loro ad essere giusti in quel momento, in quel posto, tra quelle braccia. Forse era quella congiunzione astrale a rendere tutto perfetto. ”Sei una persona meravigliosa e io sono contenta di poter essere al tuo fianco. Rendi migliore anche me”. Sorrise, sfiorando il suo naso con quello di lei. ”Come posso rendere migliore qualcosa che è già perfetto? Tu mi completi, Fae Olsen, in una maniera così semplice che stento ancora a crederci..” Le lasciò un bacio dolce tra i capelli, fino a che quel lento non terminò, fin quando il caos non tornò a investirli. Cercò di tamponare l’alcol con il cibo, mentre la serata proseguiva.
    ”Che ne dici? Torniamo? Mi gira un po’ la testa e i tacchi iniziano a farmi male, non sono abituata.” La seguì all’esterno, e si tolse la giacca, appoggiandogliela sulle spalle, per poi cingerla in un abbraccio, per scaldarla. ”Certo. Ma dobbiamo aspettare Adam, ho la macchina a casa sua”. Per un attimo si maledisse, per non averla presa. "Dormi da me? Ci vediamo i video di Nifty sul telefono prima di dormire, te lo prometto.” Sorrise. Sembrava banale, quello, eppure era la cosa più dolce che qualcuno gli avesse mai detto. Non aveva mai avuto qualcuno che lo capisse tanto a fondo, qualcuno con cui condividere dei futili gesti quotidiani e renderli speciali. Le scansò i capelli e glieli mise dietro le orecchie. ”Non pensavo esattamente ai video di Nifty, ma ci si può ragionare…” Sorrise, malizioso, baciando delicatamente le sue labbra, una due, tre volte. Non si sarebbe mai stancato di farlo. Mai di averla nella sua vita, mai di sentire quel sapore, di infilare le dita tra quei capelli. ”Io con te rinasco.” Sussurrò, tra un bacio e l’altro, prima che Adam e Sam uscissero e si unissero a loro. Tutto era quiete, finalmente. E forse quella quiete non sarebbe durata che un battito di ciglia. Ma era abbastanza. Era tutto.
    Non ho riletto raga so ubriaca, non so cosa cazzo ho scritto
     
    .
  5.     +9   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Vice
    Posts
    5,941
    Reputation
    +4,099

    Status
    Offline
    warnings: è un fazzolettone, ci sono delle vecchiette che rotolano e contenuti mlmlmlositenerosi~
    Tuxedo Mask (Eva) ♥ gymbunny69 (Jungkook)

    «Ta-dah!» Lo sguardo luminoso e speranzoso di Jungkook si spense come una candelina su una torta di compleanno una volta posatosi sull'espressione visibilmente delusa di Joon. Oh, naturalmente non si trattava di un moto severo e scuro dei suoi lineamenti, ma piuttosto di tratti tinti di pura compassione, che fece immediatamente intuire al ragazzo più giovane di aver toppato del tutto il suo outfit. Effettivamente, non era stato graziato con un senso dello stile adatto ad un'occasione elegante come quella di un prom, difatti ora che era davanti agli occhi attenti di Joon, Jungkook non poteva negare di assomigliare tanto ad un quindicenne appena uscito da scuola: indossava un completo troppo largo per lui, che per quanto non lo vestisse troppo male, non fasciava adeguatamente le sue forme, anche per via della mancanza d'ordine con cui Jungkook si era preparato. «Non va, vero?» Avvicinatosi al suo migliore amico, Joon gli posò una mano su una spalla, muovendo la testa in un leggero cenno incoraggiante. Ti fidi di me, Jungkook? Domandò il maggiore, caricando le sue gentili parole di decisione e solennità. Senza neanche riflettere un secondo, la chioma scura di Jungkook fornì la risposta che l'altro stava cercando, spostandosi in un'espressione d'assenso ben convinta. Bene, allora lascia fare a me! Trillò lui, sorridendo caldamente al più giovane mentre lo riconduceva nella stanza da cui era appena uscito; aprì le ante dello spazioso armadio, e dopo avervi armeggiato per qualche momento, posò sul letto tutti gli indumenti che riteneva avrebbero fatto al caso loro. Prima di dare però a Jungkook il via per vestirsi, Joon lo prese per mano e lo condusse in soggiorno, dove lo invitò a sedersi sul divano. Aspetta qui, arrivo subito. Gli indicò, e convinto che l'amico avesse pensato già ad ogni cosa, il ragazzo più piccolo annuì appena, cambiando la sua posa in modo da sedersi più comodamente a gambe incrociate su quei soffici cuscini. Joon fu di ritorno pochi minuti dopo, portando con sè tutto il necessario che sarebbe servito per - a giudicare dall'equipaggiamento da lui riportato - tingere le palpebre di Jungkook con un velo di trucco, mirato a valorizzare le sue iridi. Allora il ragazzo chiuse gli occhi, lasciando che Joon si occupasse di quei dettagli, rilassandosi a tal punto da avvertire il torpore iniziare a sopraffarlo. Mmm, penso che questo trucco sia proprio riuscito, modestamente! Ora vai a cambiarti, così dopo posso aggiustarti i capelli, va bene? Felicissimo di essere l'oggetto delle cure così premurose di Joonie, Jungkook si catapultò fuori dal soggiorno, seguendo ogni sua indicazione e preparandosi indossando i vestiti che l'altro aveva scelto per lui, riemergendo nel suo campo visivo solo una volta pronto. Joon gli aveva proposto un outfit semplice ma d'effetto, la cui parte superiore era costituita da un dolcevita ed una giacca blu, impreziositi da una collana in argento, e la cui parte inferiore era invece formata da un paio di pantaloni della stessa tinta e da una cintura con dettagli che riprendevano il colore del gioiello.
    O-oh, Jungkook, sei bellissimo! Il commento entusiasta ma posato di Joon lasciò sbocciare un sorriso sulle labbra del più giovane, che poco abituato a quel tipo d'abbigliamento più elegante ed ai complimenti appena ricevuti, avvertì chiaramente un velo d'imbarazzo ricoprirgli le guance. Joon, tuttavia, aveva compiuto un'ottima scelta; diversamente dall’outfit precedente, il tessuto che ora ricopriva le membra solide di Jungkook ne valorizzava tutti i pregi, abbracciandole molto più adeguatamente del primo completo jungboobs!!!!. Dunque, dopo aver accontentato l'ultima richiesta dell'altro di tenere le Vans scure indosso ed aver ravvivato le sue ciocche nere, Joon potè dirsi quasi del tutto soddisfatto, concludendo la preparazione regalando al migliore amico un fiore da mettere all'occhiello, ironicamente proprio quello selvatico e delicato della carota, dopo mesi e mesi di teneri scherzi ed associazioni tracciate tra i teneri sorrisi di Jungkook e le espressioni dolci dei conigli, peraltro suoi animali preferiti. Haha non potevo scegliere fiore migliore per te, no? Sei perfetto, spero che ti divertirai un mondo Jungkook! Incapace di trattenere un altro cenno felice, Jungkook si avvicinò a Joon per piantargli un paio di dolci bacetti al centro della guancia, esternando per quanto possibile la sua riconoscenza al migliore amico. «Grazie Joonie.. Speriamo! Ti manderò tante foto, va bene?» Nel tracciare ogni parola con le mani, lo sguardo di Jungkook ne tradiva l'umore speranzoso, data l'importanza che aveva per lui questo tipo di evento; nato e cresciuto per la prima parte della sua vita in America, avrebbe tanto voluto partecipare ad un prom scolastico. Tuttavia, l'evolversi del suo futuro l'aveva condotto in acque molto più turbolente e lontane da quel tipo di realtà, e per questo, non aveva avuto occasione di vivere un evento tanto normale quanto memorabile come quello a cui avrebbe partecipato quella sera stessa. Per questa ragione, aveva deciso di parteciparvi anche da solo, contento di poter agguantare questa opportunità anche in assenza dei suoi amici, tutti impegnati in un modo o nell'altro per il loro San Valentino. Avviatosi quindi all'ingresso di casa di Joonie assieme a lui e non dovendosi preoccupare di accompagnare nessun altro all'evento, Jungkook agguantò lo skate che aveva lasciato vicino alla porta, e si voltò nuovamente verso il migliore amico, pronto a salutarlo. Se hai bisogno di qualcosa chiamami, okay? Buona serata Jungkook! Asserì Joonie con un velo di commozione negli occhi, un po' come una mamma premurosa che vede andar via dal nido il suo prezioso bambino mamajoon ç.ç, che avvicinatosi a lui ricercò un bacio sulla guancia prima di annuire e lasciare definitivamente l'abitazione.
    Dopo aver percorso un tratto a piedi per uscire dalla foresta in cui Joon abitava, Jungkook utilizzò il suo fidatissimo skate per percorrere il resto del tragitto, e nel giro di un quarto d'ora, potè già intravedere la sagoma della scuola emergere dal panorama di fronte a lui. Avvertì, allora, il cuore accelerare quasi impercettibilmente nei suoi battiti, pronto ad assorbire le emozioni che si sarebbero susseguite di lì a poco in quella serata certamente indimenticabile, e nel spostare il peso del corpo sulla parte posteriore dello skate, Jungkook potè finalmente frenare, occupando così un intero posto auto con il suo solo piccolo mezzo. Una volta sceso, si portò le mani ai fianchi, interrogando la scena che si era manifestata davanti ai suoi occhi: furgone - moto glitterata - skate - moto badass - macchinonadiniko(?). Qualcosa non va. Pensò seriamente, prima di aggrottare le sopracciglia e scuotere appena il capo, pronto ad attuare il piano B.

    Io sono muto, per questo ho scritto qua.
    Lui è Naruto-Bernie, col trattino.
    Per favore, non lo faccia toccare da nessuno.
    Non volevo parcheggiarlo perchè, se veniva qualcuno col trattore e lo schiacciava? NONO.
    Allora, la prego, lo tenga lei. LO PROTEGGA CON LA VITA, PER FAVORE.
    Grazie ❤️

    Tao tao (cit.). Ecco fatto. Fiero di sè e finalmente più tranquillo, Jungkook piazzò con entusiasmo il bigliettino appena scritto sul tavolo del guardaroba, risvegliando dalla sua pennichella di bellezza la signora anziana e un po' tremolante addetta a quel servizio - era Rachida btw, troppo stanca perchè di ritorno dal Lupanare. Prendendo in mano il foglietto ed osservando il ragazzo di fronte a lei con un'aria vacua e confusa, si vide scivolare da sotto al tavolo il glorioso Naruto-Bernie (col trattino), e staccando in un gesto automatico ed ancora incredulo il numeretto apposito da rendere per recuperarlo, sbattè un paio di volte le palpebre con aria incerta. Io boh le vede tute in questa cità di mati. Tengo io Bianca e Bernie no ti preocupa. Poi mi dai numero che gioco a lotto ma solo quando riprende. Jungkook allora sorrise felicissimo, prendendo il piccolo post-it con il proprio numero e ringraziando gentilmente con un cenno della testa la signora. Era pronto ad entrare. Effettivamente, era davvero tutto come l'aveva immaginato, o forse anche meglio! La palestra brillava di piccole luci ed era già popolata da un numero discreto di avventori, che come scintillanti pianeti popolavano quella costellazione luminosa. La fila però era ferma vicino al tizio delle foto, che a giudicare dai suoi movimenti doveva essere proprio lui, il fantastico CC8! Jungkook l'aveva riconosciuto da quando si era imboscato nel pubblico di Wominy e Donne per spiare le imprese di Joon e fare il tifo per lui, e da quel momento era stato amore a prima vista: i mean, come non innamorarsi di quegli occhee sgranouchee! SCOSSA?!!? Felice come il fanboy dell'anno, Jungkook si avvicinò al robot e si fece fare una foto mossa, prima di osservarlo con più attenzione - ma è felice di vedermi o quello è un powerbank? (cit.) - ed avvolgergli le spalle con un braccio, fulmineo nell'agguantare il proprio telefono e scattare almeno una trentina di selfie con lui, che nel pieno del corto circuito sfarfallava di brutto. CC8 era arrivato persino a sparaflasharsi da solo così tante volte con la fotocamera - convinto di dover fare selfie anche con quella - che stava per sfiorare il fatal error, allora Jungkook slacciò prontamente la presa su di lui, ringraziandolo affabilmente, e dirigendosi così oltre l'arco luminoso, in modo da condividere con Joon le prime immagini della serata - sia della palestra, che con CC8 per ricordargli anche delle mootande di albanone.
    La serata sarebbe entrata ben presto nel vivo, e Jungkook pensò quindi d'iniziare subito a divertirsi, appropinquandosi svelto e silenzioso al buffet. Bere alcool come latte, e bere latte come alcool. Quelle si che erano regole di vita da rispettare, e come degno Karate Kid degli alcolisti anonimi, Jungkook si scolò mezza punch bowl da solo perchè "aveva giusto un po' di sete" e proprio colto in flagrante mentre era sul punto di far fare la stessa fine alle focaccine, venne riconosciuto da Serena, che non mancò di rivolgergli un dolce saluto, guadagnando in risposta un'espressione del tutto positivamente sorpresa. La sua era una presenza davvero gradita nella vita di Jungkook, che l'apprezzava molto e non esitava nel definirla una tenerissima amica, sin dal primo giorno in cui avevano avuto modo di parlare in biblioteca. Sollevato di poter utilizzare la lingua dei segni ed essere capito senza alcuna difficoltà, allora il ragazzo si avvicinò ulteriormente a lei per avvolgerla in un amichevole abbraccio. «Ciao Serena! Sei splendida con questo vestito!» Si complimentò sinceramente lui, muovendo le mani in rapidi ed affabili gesti, teso a far capire all'altra quanto fosse lieto di vederla. «Chi è il fortunato o la fortunata?» Jungoo, say no more, ecco che dal buffet emerse la date di Serena, ovvero un ragazzo molto carino e dall'aria di essere uno proprio sveglio; Jungkook fu colto dalla sensazione che fosse uno a cui piaceva spaccare le strade e collezionare cose creepy come le tibie. Boh, prime impressioni. Gli era stato presentato come Adrian, e Jungkook gli strinse la mano in segno di saluto, prima di sollevare i pollici in su ed esprimere così la sua felicità «E' proprio carino il tuo ragazzo Serena, divertitevi un sacco!» Si raccomandò lui, lanciando un'occhiolino alla ragazza prima che la coppia si okay sia io che jungoo vogliamo la #SEREDRIAN proseguisse nella sua serata e Jungkook con la propria. Molleggiato! Da bravissima PR qual'era, Liv si presentò nella visuale del giovane con un radioso sorriso sulle labbra, e salutandola con un complice high five, Jungkook si dimostrò più che felice d'incontrarla. «Liv! Che bella che sei!» I gesti più semplici da lui utilizzati erano volti a farsi capire in modo che l'amica ricevesse il complimento con chiarezza, e nel compierli, Jungkook rivolse un tenero sorriso alla ragazza. Era ormai da un anno che frequentava il B-Side, allenandosi e lavorando lì, e Liv era senza alcuna fatica diventata una conoscenza molto gradita, a cui Jungkook si era presto affezionato. Ebbe modo di salutare anche Julian, che aveva conosciuto anch'egli in palestra, e dopo che ricevette anche lui dei sinceri complimenti sul suo look, Jungkook si allontanò dalla coppia affabilmente, attirato dalla casciara sul palco. Mi sono perso Romina & Pipitigni, non posso perdere anche loro! Insinuandosi quindi tra la folla, riuscì a vedere da vicino i tre unici, splendidi, meravigliosi, fantasmagorici LO SCHIANTOAHEEEEEAAAAA!!! Tanto era l'entusiasmo, che Jungkook avviò una videochiamata con Joon, che colto nel bel mezzo di un appuntamento galante con un ammiratore segreto Hobi coi baffi finti, si era dovuto sorbire dieci minuti di twerk a ritmo ed urla ininterrotte, che ovviamente tanto piacevano a Jungkook perchè facevano un po' metal. Aveva perfino provato a pogare con qualcuno, ma dopo che la terza vecchietta era capitombolata e aveva fatto strike assieme a quelle giavellottate via da Adam, la proloco aveva dovuto riunirsi in un meeting estemporaneo, decidendo con quella task force d’emergenza che assieme all'elezione del Re e la Reginetta della serata, avrebbero dovuto anche contare i punti del bowling di besa(wii)d sports tzindgheim. Probabilmente sulla soglia del titolo olimpico dopo aver crashato 75 vecchietti ed aver chiesto scusa ad ognuno di loro mentre rotolavano, Jungkook sprofondò su una sedia, con mezzo litro di punch in una caraffa, pronto a scolarselo alla prima occasione, ora che i primi tre litri avevano iniziato ad andargli alla testa, ed a provocargli un lieve formicolio alle dita (cit. Legolas).
    Momentaneamente, le aaaAAAAeeeEEEaaaaAAAlevatevichemorite delle ugole d'oro dei tre Re Ma(l)gy di Besaid si erano fermate, e le tante coppie partecipanti avevano iniziato a popolare la pista da ballo, per condividere dei momenti divertenti ed intimi sotto lo scroscio della musica più ritmata. Jungkook le seguiva timidamente con lo sguardo con un leggero sorriso in volto, nonostante le sue iridi brillanti e scure si stessero velando di una sottile malinconia, forse anche per via dell'alcool giunto finalmente in circolo. Gli sarebbe mai capitato di essere stretto amorevolmente da qualcuno a quel modo? Per quanto fosse felice di potersi vivere anche da solo, degli insidiosi dubbi avevano iniziato a serpeggiare nei suoi pensieri, oscurandoli della loro precedente luce e positività. Forse era arrivato il momento di andare; Jungkook non avrebbe voluto ricordare il suo primo ed unico prom come un evento agrodolce, e prima che il suo umore potesse scivolare in acque più dense e profonde, avvicinò una mano al bicchiere - dapprima vuoto - notando che però gli era stato riempito. Nessuno dovrebbe essere triste il giorno del proprio prom, non credi? Sollevando lo sguardo dall'alcolico rosso ora a sua disposizione e seguendo il suono di quella voce profonda e calda, Jungkook incontrò un'immagine alquanto singolare: un giovane davvero elegante, fasciato in un abito che tanto ricordava quello di un dandy ottocentesco, lo ricopriva di audaci sguardi, intrecciandosi ai propri vagamente più timidi. Parte del suo volto era ricoperto da una maschera bianca molto simile a quella che Jungkook una volta aveva visto in tv quando Joon gli aveva proposto di guardare Il fantasma dell'Opera, film che poi l'aveva fatto cadere nel loop dei Nightwish autobiografico; quell'accessorio particolare però non faceva che rendere lo sconosciuto ancor più affascinante, una persona tanto vicina quanto sfuggente, e Jungkook non si sarebbe certo tirato indietro nel rincorrerlo, se lui l'avesse desiderato. Si soffermò quindi ad osservarlo, in maniera forse meno discreta di quanto avrebbe voluto, lasciando scivolare il tocco invisibile delle iridi dalla testa ai piedi dell'altro, non mancando di notare la sua notevole bellezza anche se parzialmente celata. Anche il misterioso Milord pareva star studiando le forme di Jungkook con lo sguardo, prima di avvicinarsi a lui. Che bella giacca, sei molto.. sei elegante. Cinguettò lo splendido sconosciuto, al che Jungkook abbassò lo sguardo sulle dita sottili ed inanellate dell'altro, che danzavano proprio sull'orlo della sua giacca scura. «Uh.. No io sono Jungkook-» Il primo impulso, dopo aver mimato quelle parole che neanche sapeva sarebbero state comprese, fu quello di sbattere la testa contro il tavolo. Ma si può?! Prese quindi un profondo respiro, discretamente, tuffando poi una mano nella tasca dei pantaloni, da cui estrasse lo stesso piccolo blocchetto di post-it che aveva utilizzato per comunicare con Rachida al guardaroba assieme ad una penna, iniziando presto a scrivere tutto ciò che avrebbe voluto dire in quel momento. "Mi chiamo Jungkook, e tu? Se non vuoi dirmelo posso chiamarti Milord - hahah -, sai, come Tuxedo Mask? Comunque, mi piace quella maschera che hai addosso, e non solo. Sei bellissimo." Dopo aver passato il foglietto nelle mani dell'altro, Jungkook si posò due dita sulle labbra, prima di mimare un gesto di negazione, nel far capire all'altro di non poter parlare.
    Il misterioso Milord parve essere molto felice di ricevere e leggere quel piccolo biglietto, e dopo aver spostato la sedia fino a sfiorare le ginocchia di Jungkook con le proprie, si rivelò interessato nel proseguire la conversazione, avviando quello che sembrava un vero e proprio corteggiamento, a cui Jungkook avrebbe senza dubbio ceduto molto facilmente. Assottigliando quindi lo sguardo, proprio quest'ultimo indicò il suo interlocutore sconosciuto, mimando conseguentemente un cuore con le dita, chiedendogli nel più elementare dei modi se fosse l'accompagnatore di qualcuno o fosse invece da solo. Una volta ricevuta la risposta che cercava, decise di agguantare l'opportunità che gli era stata regalata per pura fortuna e benevolenza dall'universo, coronando i suoi desideri per la serata, nel condividerla almeno per un po' in dolce compagnia. Allora, senza perder tempo, Jungkook si sollevò dalla sedia, sfiorando con due dita il mento del giovane di fronte a lui, chiedendogli così di seguirlo con lo sguardo. Spostò quindi la mano sulla propria giacca, avvolgendo il fiore ancora fermo nell'occhiello, sfilandolo da esso per poi offrirlo in dono all'altro ragazzo. «Vorresti.. Ballare con me?» Domandò in gesti lenti e semplici, senza mai distogliere le iridi da quelle dell'altro, rapite dalla loro luce tanto quanto colte in un bagliore speranzoso. La mano del ragazzo misterioso allora raggiunse quella di Jungkook, catturando così il fiore tra le dita ed accettando così la proposta appena rivoltagli. Non si separarono di molto dalla zona ombrosa vicina ai tavoli, restando in disparte al limitare della pista ora che la musica si era assopita in melodie più dolci ed intime; qualcosa sembrava essere terribilmente giusta nel percepire il calore di quelle braccia sconosciute attorno ai fianchi, nell'osservare quelle iridi taglienti e brillanti dagli occhi socchiusi e nell'avvertire il lieve tocco di quelle soffici ciocche azzurre tra le dita. Forse, avrebbe dovuto sembrare una sensazione aliena quella di stringersi ad un completo estraneo, eppure Jungkook non avvertiva alcun dubbio: nonostante non avesse idea di chi fosse il ragazzo che si muoveva insieme a lui a distanza di un respiro, avvertiva chiaramente un'intesa condivisa tra loro, e gli piaceva. Voleva solo viverla, lasciando che il presente lasciasse le sue tracce su entrambi, in qualsiasi modo si sarebbe rivelato a loro. Tra sè e sè, Jungkook ringraziò quel meraviglioso ragazzo sconosciuto per aver indossato una maschera che lasciasse libere le sue labbra, su cui il suo sguardo cadde più volte, convinto nel fare un passo avanti solo quando anche l'altro si fu avvicinato il punto tale da sfiorare il naso con quello di Jungkook. Dalla nuca del ragazzo, una delle sue mani scivolò contro la pelle dorata della sua mascella, lasciandovi una carezza che accompagnò l'azzerarsi di ogni distanza, non appena le labbra del giovane sconosciuto non si schiusero contro quelle di Jungkook in un caldo bacio che ne chiamò un altro ed un altro ancora, in un susseguirsi di gesti dapprima leggermente esitanti e poi sempre più decisi ed appassionati. Jungkook sembrò essere scivolato in uno stato di dolcissima confusione, spinto sempre più profondamente in essa dalla tenue pressione dei baci dell'altro colati tra le sue labbra, sul suo volto e contro il suo collo.
    In pochi minuti, i passi di entrambi iniziarono a scrosciare tra i corridoi della scuola, e la porta del bagno dei ragazzi venne spalancata ed in fretta richiusa dall'abbraccio in cui erano intrecciati Jungkook ed il suo misterioso amante, troppo occupati nel cercarsi vicendevolmente per sprecare il loro prezioso tempo sotto gli occhi di tutti. Unite in lunghi baci, le labbra dell'uno e dell'altro si rincorrevano fino a che il respiro di entrambi li accompagnava, ed ora impegnate in un dolce ma affamato studio, le mani di Jungkook si spostavano in ampie carezze contro le membra dell'altro - una tra i suoi capelli e l'altra a percorrergli il torace, superando quella deliziosa giacca nera per tastare la pelle ricoperta solo dalla stoffa leggera della camicia bianca. Jungkook avrebbe tanto voluto sussurrare una cascata di apprezzamenti contro l'orecchio del giovane, fargli capire anche vocalmente quanto l’attraesse, ma non potendo farlo, avvicinò di più a sè il suo corpo, attirandolo verso il proprio nell'avvolgere i fianchi dell'altro nei palmi caldi in una salda presa e lasciando appoggiare del tutto a sè l'amante, che a sua volta lo teneva fermo contro il pannello ligneo della porta. Dal proprio canto, il giovane sembrò apprezzare le attenzioni e la corporatura di Jungkook, offerte a lui in un allettante invito. Separatosi quindi dalle labbra del ragazzo con un sordido schiocco, proprio Jungkook strofinò piano la guancia contro quella dell'altro, irradiando col suo respiro caldo il suo orecchio ed il suo collo, inspirandone il buon profumo e slacciando il fiocco che lo ornava solo per lasciarvi una scia di soffici ed umidi baci e lasciarvi sbocciare dei segni più scuri al loro passaggio. Si fermò in quei gesti progressivamente più bramosi non appena il suo corpo si mosse in un leggero sussulto, nell'avvertire le carezze del ragazzo oltre la stoffa del dolcevita che gli fasciava il torace e sulla pelle bollente, tanto ardente quanto i battiti cardiaci ora accelerati assieme al respiro fattosi corto, nel rispecchiare il nugolo di elettrica emozione che era diventato Jungkook in quei momenti sempre più concitati. Sotto le mani e le labbra dell'altro i suoi occhi divennero lucidi, sporcati da un desiderio più vivo che li costrinse a chiudersi del tutto, nel godere pienamente di ogni attenzione che il giovane sconosciuto aveva deciso di riservargli. Forse con leggera impazienza, Jungkook si fece ancora più vicino, catturando altri baci dalle labbra dell'amante, nel circondare i passanti dei suoi pantaloni con gli indici per trarlo a sè maggiormente, e proprio quando era deciso a spostare il suo tocco ancora più in basso, una delle mani dell'altro gli circondò il polso, fermandolo nei movimenti. Jungkook.. Ancora distratto dai baci che continuavano a susseguirsi nonostante il mormorio che l'aveva appena richiamato, Jungkook sfiatò appena dal naso, in segno di leggera frustrazione. L'altra mano del ragazzo si posò sulla sua guancia, catturando definitivamente la sua attenzione. Jungkook, perdonami, devo andare ora. Si è fatto tardi per me.. Del tutto confuso da quelle parole, Jungkook sbattè le palpebre un paio di volte, nel tentativo di chiarire i propri pensieri e le le proprie percezioni, per vedersi però scivolare via dalle braccia il corpo dell'altro, che con calma si diresse verso l'ingresso. Seguendolo quindi a grandi passi, gli afferrò con delicatezza la mano prima che potesse varcare la soglia della scuola. Scrisse allora velocemente qualcosa su uno dei piccoli fogli che aveva portato con sè, rivolgendo immediatamente il blocchetto agli occhi del giovane. "Ho fatto qualcosa che non va? Mi dispiace.." Ottenuta la rassicurazione di non aver creato alcun tipo di problema al ragazzo misterioso, Jungkook lo osservò qualche istante, supplichevole, ancora con le guance arrossate e le labbra appena più turgide da tutti i baci che aveva scambiato proprio con lui. Non puoi restare? Pensò riprendendo la sua mano, per tirarla appena appena verso di sè. Oh.. Dovrei ridarti questo.. Sussurrò il giovane con la maschera, raggiungendo con le dita lo stelo del fiore che ora ornava la sua giacca, guadagnando un poderoso cenno di negazione da parte di Jungkook, che toccando prima il proprio petto con una mano e poi indicando l'altro gli suggerì invece di tenerlo, prima di riprendere i post-it. "Tienilo, così ti ricorderai di me, almeno per un po'!" Gli scrisse, distendendo le labbra in un leggero sorriso, prima di spalancare gli occhi nel venire raggiunto in un veloce passo dall'amante, che gli lasciò un ultimo lungo bacio da capogiro sulle labbra, seguito da un altro più breve e tenero che anticipò la scomparsa del ragazzo oltre la porta della scuola. Prendendo un respiro ampio e sedendo sulle scale esterne che conducevano all'entrata, ora fuori dall'ingresso principale ed abbracciato dall'aria serale e fredda d’inverno, Jungkook non ne avvertì neanche un minimo il pizzicore, bruciato dalla fiamma invisibile ma viva di quell'incontro breve ma certamente intenso. «Wow..» Nonostante dalle labbra non uscì alcun suono, Jungkook poteva avvertire ancora il rumore assordante del cuore farsi largo nel costato, battere feroce per quel ragazzo misterioso che gli aveva riempito lo sguardo, le braccia ed ogni angolo della mente con la sua presenza, in un prezioso regalo per un San Valentino memorabile.
     
    .
  6.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Cittadini
    Posts
    889
    Reputation
    +1,248

    Status
    Anonymes!

    EVA/Aksell&Jungkook
    warning: contenuti mlml-mosi? non troppo, quasi per niente

    3HCiKcQ
    Reputava assurdo di essere stato incaricato di occuparsi di una missione (sempre fosse possibile pensarla come tale) del genere. La sua magica prom-posal gli era giunta direttamente da un superiore che, chissà per qualche strano motivo, l'aveva piazzato a fare il tipo del guardaroba alla serata che si sarebbe tenuta al liceo della città. L'obiettivo? Accalappiare più informazioni possibili... e come riuscirci meglio se non mettendo praticamente le mani nelle tasche della gente? Mi sembra giusto. Magnifico. E che altro? Ovviamente non avrebbe dovuto aspettare molto prima di ricevere una seconda brutta notizia: Delilah, un'adorabile ragazza che intratteneva (chissà con che coraggio) il suo tempo con Nikolaj, l'aveva contattato per renderlo un improvvisato autista della coppia. Un po' attratto dall'idea di poter guidare uno dei numerosi macchinoni di Nikolaj, alla fine il ragazzo decise di acconsentire alla richiesta con tanto di finto entusiasmo ma più sinceri auguri per la buona riuscita della serata. Così, comodamente seduto dietro il volante, attendeva il ritorno della giovane mentre schioccava le dita a ritmo di musica. Put your head on my shoulder. Hold me in your arms, baby. Oh, Paul Anka... solo tu puoi capirmi, sospirò innamorato della voce del cantante che, melliflua, stava dilettando Aksell con una tenera serenata aiutandolo a calmare i nervi. Non appena notò l'arrivo di entrambi cercò di trattenere le risate per l'improponibile posizione che il corpo di Nikolaj era costretto a sopportare e, affrettandosi ad aprire la portiera a Delilah, le rivolse in un sussurro amichevole i complimenti per l'outfit scelto. «E lui...», mormorò abbandonandosi ad una piccola smorfia infastidita, sostituita velocemente da un sorriso tirato, «siete una coppia stupenda». E così, accompagnati da quella soundtrack (che no, non avrebbe cambiato, aveva lui il comando dell'aux quindi si sarebbero sorbiti anche Frank Sinatra) adatta sia al ritrovamento di cadaveri o scene di truculenti assassini sia a più romantiche esperienze come quelle di appoggiare la testa contro la spalla dell'innamorato durante il lento al ballo scolastico, i tre raggiunsero la destinazione. Ripeté i gesti di prima e, dopo averli guardati allontanarsi per un po', gettò lo sguardo fra le proprie mani; delle caramelle come ricompensa non erano ciò che si aspettava di ricevere, ma gli sarebbero pur sempre tornate utili in un futuro: da quando l'ultima persona che aveva caricato su si era lamentata della falsa pubblicità sul furgone (su cui era possibile leggere "free candy") immaginò di dover rimediare prima di ricevere troppi bassi voti per il suo servizio come Uber. Riposte accuratamente le caramelle all'interno della tasca del suo blazer color camoscio, allora Aksell si incamminò verso la postazione da cui avrebbe potuto svolgere il resto del suo impiego per la serata.
    Abituato com'era a lavorare fra grucce, aste, appendiabiti e con pesanti cappotti non fu per lui un problema adattarsi a quel piccolo lavoretto per cui non sarebbe nemmeno stato pagato - fra l'altro. La parte più stressante, in ogni caso, fu quella di avere a che fare con una signora parecchio vispa e dall'accento marcato. Sembrava essere molto rrrrabiata! per il ritardo di Aksell che, però, fu rapido ad entrare nelle grazie della signora non appena tirò fuori dalla tasca dei pantaloni quello che non era un bastoncino d'incenso e che avrebbe fatto rilassare Rachida in men che non si dica. Dopodiché gli chiese più volte che tipo di puffo fosse (facendo riferimento al colore dei suoi capelli o forse a qualcos'altro?), se grande pufo o picolo pufo, occupandosi a modo suo di prendere gli indumenti delle persone e staccare bigliettini; a lui spettava il resto, ovvero quello di frugare nell'ombra fra borse, portafogli o documenti che venivano lasciati, riuscendo a ricreare una mappa mentale delle coppie presenti. E, quando ciò non era possibile, semplicemente si acquattava sotto il bancone e spiava i passanti. Erik e Kaja? E Jesper e Ophelia? Questa non me l'aspettavo! Forse stava raccogliendo un tipo un po' diverso (e inutile) di dati, ma fra informatore e accanito di gossip alla fine non c'era poi così tanta differenza. Ad ogni modo la serata sembrò procedere tranquilla e mano a mano la gente terminò di affluire al guardaroba a cui un tipo niente male aveva perfino piazzato uno skateboard. Aksell ipotizzò fosse giunto il momento di andarsene per ficcare il naso da qualche altra parte, almeno fino a quando Rachida non parve riprendersi dall'ultimo pisolino momentaneo, chiedendo al grande puffo di cantargli una canzone dato che indossava una maglietta bianca con scritto "celine" sopra. «Solo per te, Rachida». Sussurrò ammiccante, però facendosi mentalmente il segno della croce per scongiurare ogni attacco da parte della donna. Quindi Aksell prese ad intonare la celebre colonna sonora di Titanic mentre la collega l'accompagnava con un flauto traverso tirato fuori da chissà dove. Forse era meglio non chiederselo. E così, afferrato uno scialle fra i tanti per rendere l'effetto evanescente e puro di quella composizione, si prodigò in uno stacchetto musicale con tanto trasporto da portare alle lacrime entrambi - forse ancora un po' sotto l'effetto dell'incenso magico recuperato all'angolo de "Lo Chicos Buenos o Malos". «Once! More! You o~open the do-» Sembrava che inavvertitamente non solo le cabine della famosa nave fossero state inondate d'acqua e, ritrovatosi più vicino di quanto sperava l'alito della donna, Aksell lanciò un urletto di paura quando riconobbe il cuore dell'oceano fra il seno di Rachida. «Ora dipinge me come una dele tue ragase franciese, pufo» Mai una missione era stata più pericolosa di quella. Poteva avvertire la tensione palpabile nell'aria, oltre ad essere quasi del tutto convinto che qualcos'altro veniva palpato in quei cruciali secondi che l'avrebbero diviso fra dannazione e salvezza. Quando, però, Rachida gli pestò per sbaglio le Weston marron camel, allora Aksell capì che doveva assolutamente mettersi in salvo: lo potevano pure uccidere, ma sporcagli le scarpe no! «Mi spezzeresti il cuore, Rachida! Non posso amare una donna che non può essere del tutto mia!» Esclamò con una certa concitazione, divincolandosi e saltando alla olio cuore il bancone. «E poi... io sono felice con me stesso in una libertà che coincide con me!» La salutò con un bacio volante e in fretta e in furia si nascose nel backstage del palco, alla ricerca di un nuovo travestimento. Pur disturbato dagli indicibili schiamazzi dello Schianto (però Facchy, se doveva essere sincero, era il suo ultimate), fece scorrere velocemente le dita fra le opzioni a sua disposizione e, con attenzione, si premurò di scegliere uno fra gli abiti da scena meno pacchiano (x). Addobbatosi perfino con un fiocco al collo, fu pronto a calarsi fra i comuni mortali per spiarli più da vicino, con tanto di maschera (x) - perché, ovviamente, chi avrebbe fatto caso ad un tipo del genere coi capelli blu e perfino la maschera à la Fantôme de l'Opéra? Optando per un luogo apparentemente meno affollato si ritrovò, sfortunatamente, ad avere a che fare con una sorta di uomo robot un po' bruciacchiato (anche nei circuiti) che non aveva proprio intenzione di lasciarlo in pace. Prima Rachida e ora CC8? Ma che avevano tutti questi PNG? «SCOSSA???!!??» E ti pareva. Con poche e rapide falcate fu subito sulla strana creatura in preda a bizze e rapidi guizzi d'elettricità e gli mascherò l'obiettivo della fotocamera con il palmo della mano. Però, prima che lanciasse un fastidioso allarme anti-furto, Aksell fu veloce nel scivolare via anche da quella situazione sperando di non aver attratto l'attenzione di nessuno. Non c'era da preoccuparsi, a quanto poteva notare, dato che tutti erano fin troppo impegnati a consumare litri su litri d'alcool o fare una conoscenza più approfondita e reciproca delle loro bocche. Un po' disgustato - o forse un po' invidioso - da tutto il gruppo di persone che, chi più o chi meno, emanava forti energie ormonali, si trascinò fra i tavoli proprio quando le luci calarono per dare spazio alle coppie di abbandonarsi ad un romantico lento.
    Vagò per un po' come un anima in pena fino a quando lo sguardo scuro non si posò sulle invitanti forme di un giovane che, colto nel momento di osservare quel manipolo di persone impegnate a ballare, mutò l'espressione in una che rasentava quasi la tristezza. Colpito dalla dolcezza dei lineamenti dell'altro, Aksell si avvicinò e, approfittando della distrazione dell'altro, si fece carico di riempirgli il bicchiere vuoto versando all'interno di esso un po' del liquido di una caraffa poco distante dai due - e che aveva notato il giovane utilizzare. «Nessuno dovrebbe essere triste il giorno del proprio prom, non credi?» Ora che la distanza fra loro era stata ridotta dai passi di Aksell, il giovane colse l'occasione per osservare meglio l'altro, senza apparire per il momento troppo invadente. Non riuscì a fare a meno di notare di aver incuriosito l'altro ragazzo che, a differenza di quanto aveva immaginato, dava quasi l'impressione di essere tanto interessato a lui quanto pareva esserlo Aksell. «Che bella giacca», gli sorrise per la prima volta, allungando pacatamente una mano per far scorrere due dita contro il bavero dal taglio classico. Dentellato, per essere precisi! Le lezioni e gli insegnamenti di Brenda non potevano che arrivare in soccorso in un momento come quello. Abbinato ad un dolcevita, certo, avrebbe fatto normalmente torcere il naso a Aksell ma, distratto com'era dal come il torace ne era deliziosamente fasciato, per poco non s'incartò fra le sue stesse parole. «Sei molto... sei elegante. Il blu poi è uno fra i miei colori preferiti», concluse lasciandosi andare ad una piccola risata e, nell'inclinare appena il volto e far muovere insieme alcune ciocche di capelli, volle far notare quel punto in comune con lo sconosciuto. Lo sguardo fu rapido a captare un movimento di labbra a cui si unì un confuso gesticolare, anche se Aksell non riuscì ben a cogliere ciò che l'altro avesse appena pronunciato; eppure la musica non era a tal punto assordante come qualche tempo prima. Che fosse privo di voce? La risposta gli arrivò di lì a poco sotto forma di post-it: "mi chiamo Jungkook, e tu? Se non vuoi dirmelo posso chiamarti Milord - hahah -, sai, come Tuxedo Mask? Comunque, mi piace quella maschera che hai addosso, e non solo. Sei bellissimo". Contento e rasserenato di aver trovato il giovane sulla sua stessa lunghezza d'onda, Aksell cercò di non crogiolarsi eccessivamente in quel complimento nero su bianco che rilesse giusto un paio di volte. Sembrava una persona interessante o, per lo meno, abbastanza spigliata da accettare il singolare approccio di Aksell e rispondergli con tanto di battutine su chissà quale strano personaggio - lo avrebbe ricercato una volta fatto ritorno a casa. «Non amo il mio nome... quindi puoi chiamarmi come vuoi, Jungkook». Rilassò, quindi, le membra contro una sedia che posizionò accanto al ragazzo, mentre un sorriso affabile e sornione non smetteva di arricciargli le labbra. «Non vorrei rovinare l'atmosfera», continuò quasi per giustificarsi del volume basso nel parlare, riferendosi alla musica più lenta e intima che aveva inondato la palestra, spingendo le coppie a stringersi fra loro in teneri abbracci. Lo sguardo vagò per qualche secondo fra la folla, tornando poi lungo tutto il corpo dell'altro, di cui parve non voler risparmiarsi un solo millimetro. «Oh, ora riesco a notarlo meglio» E, mentre parlava piano, si fece d'un tratto vicino, oltrepassando volontariamente lo spazio personale dell'altro che, da quanto riusciva a leggere dalla sua postura, non sembrava poi così avverso dall'avere un perfetto sconosciuto trapassare quei confini. Sorridente ed incuriosito, accavallò le gambe lasciando penzolare un piede in movimenti lenti, quasi paragonabili alla coda di un felino parecchio curioso, che stava scrutando e studiando la preda prima di avventarcisi sopra. Fece sì che un braccio si appoggiasse contro un angolo dello schienale della sedia di Jungkook e, con un fluido movimento del polso che terminò con l'alzarsi dell'indice, andò a sfiorare la lunghezza della sua mascella. «Hai dei bellissimi occhi... e il trucco ti sta davvero bene», sincero nel tono e nelle intenzioni, poté notare anche quanto morbida fosse la pelle di quel ragazzo, tanto che avrebbe voluto indugiare di più in quel contatto per ultimare una carezza sulla sua guancia. Fra mortaio e pestello qualcuno sembrava essere stato in grado di frantumare qualche astro dal cielo e, raccolta la polvere che ne sarebbe risultata, l'avrebbe lasciata cadere nei pozzi profondi che costituivano gli occhi del giovane. «Sembri un cerbiatto». Gli confessò infine, portandosi lo stesso dito contro le labbra per accarezzarle, fintamente soprappensiero, osservando le reazioni di Jungkook attraverso le palpebre socchiuse. Gli occhi parvero brillargli non appena riuscì a notare un velato rossore presentarsi sulle gote dell'altro e, divertito da quella situazione, quasi pronto a giocherellare con il giovane, non si aspettò di certo di essere interrotto da una domanda dell'altro. «No, sono solo», fu rapido nel rispondere, curioso di conoscere quali fossero le intenzioni di Jungkook. Lo osservò alzarsi e accogliendo il delicato dono dell'altro fra le dita, che sistemò nel taschino non avendo a disposizione altro spazio, annuì una sola volta per poi unirsi al ragazzo in quel ballo. Le sue mani trovarono con naturalezza la loro posizione, cingendo in una stretta delicata ma presente i fianchi di Jungkook; ebbe l'occasione di scrutarne meglio il viso, ma non che ne avesse davvero bisogno: l'aveva trovato adorabile dal primo momento in cui aveva avuto la possibilità di posare lo sguardo su di lui. Come una scintilla, come l'essere attraversato da un velenoso pungiglione, sapeva di avere effetto su Jungkook tanto quanto il giovane l'aveva su di lui e, in fondo, non sembrava preoccuparsene più di tanto. Ondeggiando nella penombra, al limitare dello sguardo e dell'attenzione dei più, lontani dalla calca e dai riflettori che, pur bassi, illuminavano la pista da ballo, i due ballerini sembravano aver trovato il loro posto. Una traiettoria di scarto ma non per questo da compiere in solitudine. Trattenendo a stenti un piccolo ghigno, Aksell fece quasi finta di non notare tutte le volte che gli occhi dell'altro saettarono fino ad atterrare sulle sue labbra. Vuoi un bacio, Jungkook? Lo interrogò con lo sguardo, studiandolo attraverso la impercettibile barriera delle ciglia socchiuse. Se c'era un elemento che lo meravigliava era la fiducia che, quasi immediatamente, sembrava aver destato nei comportamenti di Jungkook. Tuttavia non poteva fare a meno di chiedersi... perché era lui a considerarsi quello pericoloso fra i due? Aveva di certo il vantaggio di poterlo chiamare per nome, eppure nessuno poteva assicurargli che colui che stava stringendo fra le braccia non fosse altro che un inganno, almeno tanto quanto lui. Le corna di cervo si sarebbero potute tramutare in quelle del demonio. Voglio baciarti anch'io. Si frenò dall'ondeggiare e, inclinando di poco il volto incontrò infine le labbra di Jungkook. Incapace di chiudere del tutto gli occhi per abbandonarsi a quei piacevoli contatti, Aksell ne osservò compiaciuto le risposte mentre si abituava a coordinare quel nuovo tipo di danza insieme all'altro. Avrebbe potuto continuare per un tempo indefinito, tanto gli parvero deliziose e morbide quelle labbra da cui si staccò con una certa riluttanza, ma solo per poter esplorare altri parti della pelle dell'altro, che costellò di calorose attenzioni fintantoché non fu proprio la stoffa del dolcevita a fermarlo. Rialzò allora il viso, sostituendo alle labbra le dita, accarezzando distrattamente il labbro inferiore del giovane con il pollice.
    «Vuoi sapere un segreto?» Ne catturò un'ultima volta le labbra in un bacio e, lasciando scivolare le mani contro il costato dell'altro, arrivò ad intrecciare le dita con le sue; con un cenno della testa lo intimò a seguirlo, accelerando i passi solo quando avvertì l'urgenza di raggiungere la meta così da poter riprendere ciò che erano stati costretti ad interrompere qualche momento prima. Era iniziato come un gioco di seduzione e, quindi, perché non continuare con quello stesso ritmo che aveva fatto accendere la scintilla d'interesse in Aksell? «Solo se ti comporterai bene, però. Sarà una ricompensa», lo informò con un tono stranamente tenero, inserendo quei sussurri lascivi all'interno dell’orecchio dell'altro non appena gli fece poggiare le spalle contro la porta chiusa dei bagni. Non era certo il posto più romantico per intrattenersi in quelle attività, ma immaginò che si trattasse dell'unico luogo abbastanza vicino dove potessero ritrovare un po' di intimità, lontani dagli sguardi altrui. Procedette quindi a dare un colpetto contro l'interruttore delle luci e, non appena il neon fu del tutto spento, i corpi di entrambi furono inghiottiti da un'avvolgente tenebra. Riprendendo quasi ad un ritmo erratico ed affamato le labbra dell'altro si lasciò scivolare la maschera dal viso e, abbandonata su un lavandino poco distante da loro, si occupò di indagare al buio il corpo dell'altro; sorpreso dalla vigorosità delle membra e delle reazioni di Jungkook, Aksell trattenne a stento una piccola risata che era proprio sul punto di librarsi dalle labbra, ormai non più distinguibili nei loro confini: dove finiva lui e iniziava l'altro? «Sei davvero carino, lo sai? E posso dirlo anche al buio...» scherzò, pur sincero, non appena quella scia di baci s'interruppe, dandogli il tempo di godersi gli ansiti del giovane a cui si era avvicinato a tal punto da invadere le gambe dell'altro con le sue. Con rapidità afferrò il morbido fiocco che l'altro gli aveva slacciato per adagiarlo contro le sue spalle, usandolo per attirare il viso di Jungkook contro il proprio collo proprio per invitarlo a fare di più, a martoriargli il collo come meglio preferisse. Iniziò ad intuire la piega che avrebbe preso quell'incontro non appena poté avvertire le mani di Jungkook contro la propria cintura e, sul punto di assecondarlo, notò con grande disappunto l'accendersi di una piccola spia luminosa al suo polso. Non ci credo. Impietrito dal fastidio, stava quasi per mettersi a piangere: perché il dovere doveva richiamarlo proprio in un momento come quello? Permettendosi di essere pervaso da quella sensazione di disgusto fu quasi glaciale nel parlare al giovane e nel raggiungere il suo polso, che pure avrebbe voluto spingere più in basso. Si calò nuovamente la maschera sul viso e, scusandosi, si lasciò alle spalle quella scena che tanto non avrebbe voluto interrompere.
    Estrasse con rabbia il cellulare dalla propria tasca e, preso com'era da quell'assurda situazione, nemmeno riuscì ad accorgersi di essere stato seguito. Strano. Si girò a fissare Jungkook per qualche secondo. Indeciso sull'abbandonarlo una seconda volta o rispondergli, Aksell si portò il foglietto alle labbra, nascondendo un piccolo sorriso. Si era praticamente sciolto. «Assolutamente nulla. Mi dispiace di averti interrotto così, ma è urgente», fu veloce nel spiegargli, pur rimanendo estremamente vago, non immaginando di poter troncare in modo brusco i ponti con una persona come il giovane di fronte a sé. Ancora una volta soggiogato dalle sue stesse impressioni, si lasciò andare all'immaginazione, sognando di aver potuto condividere alcuni momenti speciali con una persona realmente dolce come lo era Jungkook. Avvertì la mano dell'altro strattonarlo e per poco l'espressione serena di Aksell non si incrinò in un sorriso intenerito. Vorrei poter restare, nell'abbassare lo sguardo su di sé notò tante piccole corolle bianche e, facendo per sfilarsele dal taschino, venne però interrotto dai gesti di Jungkook, che gli piazzò un ulteriore post-it contro il dorso della mano. Aksell rimase in silenzio per qualche secondo, completamente catturato dallo splendente eppure appena accennato sorriso che il giovane gli rivolse. «Come potrei dimenticarti», gli mormorò, affrettandosi a eliminare per l'ultima volta la distanza fra loro, raccogliendo il viso di Jungkook fra le mani solo per lasciargli un ultimo e lungo bacio sulle labbra, attento a stampare vicendevolmente lo spettro delle loro bocche l'una sull'altra. «Giocheremo di nuovo insieme, sì?» E lo salutò un'ultima volta, nascondendo con attenzione i fogliettini fra le tasche dei pantaloni, consapevole di aver potuto passare uno dei migliori San Valentino della sua esistenza - anche se in compagnia di uno sconosciuto.
     
    .
  7.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Be The Brave

    Group
    Member
    Posts
    96
    Reputation
    +210

    Status
    Anonymes!
    Lola | infermiera | [◄Lola & Cyd]
    “Non negarti nulla”
    Si era promessa al suo arrivo a Besaid,quando aveva capito ormai che la sua vita avrebbe preso una piega nuova ma soprattutto inaspettata che ribaltava ogni sua convinzione e che la portava davanti a nuove consapevolezze.
    “Non negarti nulla”
    Perché aveva vissuto tutta la vita con dei preconcetti inculcati da altri e forse aveva finito con il perdersi alcune cose che agendo con il cuore avrebbe affrontato diversamente.
    Il punto chiave ora era: rinnovarsi.
    La persona che era stata un tempo non voleva ci fosse più,troppo presa a pensare e riflettere troppo. Niente più pregiudizi e niente più muri e questo l’aveva messa a diretto contatto con la realtà della cosa: avrebbe detto di sì.
    Le aveva portato una ventata di benessere che non credeva possibile dopo il tragico crollo emotivo che aveva avuto negli ultimi tempi ed ora era pronta a scoprire ogni lato di se,pronta ad ogni esperienza, non importava quanto assurda o fuori dalle sue corde sarebbe stata ma si era promessa che non avrebbe vissuto più con la mentalità di un tempo,non si sarebbe chiusa in se stessa per le delusioni ricevute ma al contrario sarebbe rinata dalle proprie ceneri come una fiammeggiante fenice pronta a una nuova vita.
    E quella nuova realtà,non lo si poteva certo negare,l’aveva messa davanti a situazioni tragicomiche molto diverse da ciò che era abituata a vivere e sebbene di alcune non ne andasse particolarmente fiera,poteva se non altro dire sul sicuro che era stata sincera e spietatamente aperta.
    Non mentiva: era rinata.
    Rideva più spesso,aveva iniziato a divertirsi di nuovo,e sebbene ancora non avesse incontrato nessuno in città con cui legare particolarmente a livello di amicizia,sebbene fosse solita uscire con alcuni dei suoi compagni all’ospedale,sapeva che presto o tardi avrebbe avuto modo di conoscere anche persone al di fuori.
    Era stato proprio frequentando un bar della città che era venuta a sapere della serata per la quale si accingeva a prepararsi.
    Se ne stava in pausa pranzo prima di riattaccare il turno, in uno di quei giorni in cui aveva preferito un po’ di aria fresca e di sole sulla pelle circondata da persone sconosciute e rumorose,piuttosto che la saletta del personale dove seduta sul divanetto posto all’angolo della stanza,consumava le sue insalate di quinoa. Erano entrati un gruppo di ragazzi,che per argomentazioni e frenesia - oltre che per l’aspetto - potevano avere all’incirca la sua età; e avevano iniziato a parlare di un ballo organizzato in concomitanza con la “non festività” di San Valentino,che si sarebbe tenuto nella palestra del liceo della cittadina.
    Qualcosa nella sua testa si era acceso immediatamente ricordandole i tempi del liceo e di tutte le cose di cui si era privata proprio per quei preconcetti non suoi ma dei quali si era fidata in pieno.
    Aveva avuto nell’immediato la sensazione di un momento che si ricreava e qualcosa che suonava come una seconda occasione.
    Finito il pranzo era tornata tra le corsie dell’ospedale ma non era riuscita più a smettere di pensare a ciò che aveva sentito,e soprattutto la sensazione come di un urgenza,di voler far parte di qualcosa che prima di quel momento e di quel proprio cambiamento personale,non avrebbe mai neppure preso in considerazione; dopotutto dal suo arrivo a Besaid non sarebbe stata certo quella la cosa più assurda e avventata che aveva fatto.
    Dunque alla fine aveva smesso di rimuginarci su e aveva scelto di decapitare la testa del toro con taglio netto e deciso e non avendo alcun “uomo” a cui si sentiva di chiedere di andarci assieme,decise comunque che vi avrebbe partecipato da sola, pronta a lasciarsi stupire dalla piegha che avrebbe potuto prendere la serata.
    Così per quella giornata in particolare aveva richiesto in ospedale un cambio turno,appoggiata dalle compagne di stage che sostenevano questa sua decisione di rimettersi in carreggiata immediatamente con una motivazione che faceva invidia a chiunque.
    Si era fatta un bel bagno caldo e per un istante aveva valutato la possibilità di star facendo una stupidaggine e che forse sarebbe stato meglio arrivare al ballo preparate con almeno un amica a suo sostegno come “accompagnatrice”; tuttavia le avevano assicurato che non tutti partecipavano in coppia e che all’ingresso personale addetto si sarebbe premurato di smistare accuratamente chi non avesse avuto un cavaliere/regina.
    Investita da questa nuova onda di positività e curiosa su chi la “freccia di cupido” sarebbe andata a parare,indossò uno dei nuovi abiti acquistati nei primi mesi di arrivo in città,quando faceva shopping terapeutico mentre visitava Besaid.
    Si trattava di un vestito rosso mono spalla e incredibilmente semplice. Aderente nella prima parte e finendo per allargarsi dolcemente oltre i fianchi come una liscia e morbida coda di volpe di fuoco.
    La spalla esile lasciata completamente nuda le provoca una serie di brividi a contatto con l’aria un po’ fresca della sera,tuttavia non se ne curò,forse ancora avvolta in una nuvola di euforia ben mascherata.
    Giunse alla festa con un taxi,preferendo non andarsene in giro a piedi tutta sola. All’ingresso un giovane uomo che indossava uno di quei cerchietti che si trovano in ogni forma e dimensione quando si tratta di festività come halloween o Natale e in quel caso specifico era formato da due molle che ondeggiavano ad ogni movimento della testa del tipo,e sulle cui estremità vi erano due cuori luminosi che lampeggiavano ininterrottamente e che quasi la accecarono al punto che in modo del tutto involontario,i propri occhi azzurri iniziarono ad aprirsi e chiudersi nemmeno avesse uno spasmo.
    oh porca miseria! imprecò sbattendo ripetutamente le palpebre per riprendere controllo delle pupille.
    C’erano due ragazze davanti a lei in fila ad attendere di venir accoppiate; Lola si guardò attorno e quasi non le venne un colpo quando riconobbe la figura scheletrica di Cyd nemmeno tanto lontano da dove era lei.
    Spalancò gli occhi e si fece avanti rispetto alle ragazze,accovacciandosi e spostandosi ad ogni loro movimento nel tentativo di restare coperta e non visibile da lui.
    Non che Cyd fosse il genere di persona dalla quale nascondersi.. ma diciamo che la loro “esperienza” assieme era finita in modo un tantino brusco se vogliamo essere delicate.
    Cyd era .... era esattamente parte integrante del discorso che si era fatta nella sua testa per tutto il giorno: “fai cose nuove che la vecchia Lola non farebbe,agisci un po’ di istinto e non pensare” . Ecco... se in quel momento non aveva pensato,l’aver provato a stare con Cyd era frutto di un ubriachezza mentale che lei neppure si spiegava. Lui era .... lontano anni luce dal suo tipo di uomo ideale e soprattutto da ogni uomo/ragazzo ella avesse mai frequentato.
    Era irrispettoso,volgare,spinto,terribilmente poco incline al dignitoso ed aveva uno stile di vita che lei avrebbe considerato un suicidio sociale. Ciononostante aveva rappresentato per lei la possibilità di rompere i propri schemi e andare oltre a ciò che aveva sempre fatto,sempre creduto e sempre voluto.
    “Prova” si era detta “nel peggiore dei casi cosa può succedere?” . Beh...era accaduto di tutto.
    La cosa risaliva a una manciata di mesi fa; quando aveva scelto di restare a Besaid ufficialmente e aveva lasciato la camera dell’hotel decisa a trovarsi un appartamento.
    Tra la visione di una casa e l’altra si era fermata in una cioccolateria per recuperare un po’ di energie e li aveva trovato Cyd intento a molestare i clienti , nonostante il modo che aveva di comunicare con là proprietaria del locale le aveva dato da pensare che fosse un cliente abituale - un po’ insolito - a cui era concesso tutto piuttosto che una sana strigliata e un calcio nelle palle fuori dal locale.
    Le si era avvicinato per infastidirla come faceva con chiunque li dentro e chissà cosa le era capitato era entrata da sola e uscita con lui che tra una molestia verbale e l’altra l’aveva accompagnata per tutto il giro delle case fino a scegliere l’appartamento in cui trasferirsi.
    Non mentiva,sapeva che forse lui era rimasto li con lei non per solidarietà o bontà d’animo ma perché sperava di fare zup zup con il suo biscotto nella propria tazza di latte, tuffandosi a bomba come un adolescente ubriaco. Ciononostante Lola non si era tirata indietro provando a tenere alti i propositi per la nuova se stessa e lasciandosi andare senza alcun timore o pregiudizio.
    Sbagliava.
    Perché nel giro di un mese la situazione era diventata catastrofica e le era parso che Cyd - il quale si era trasferito da lei praticamente nell’immediato senza neppure chiedere il permesso - era risultato capace di far uscire il peggio di lei,peggio che neppure Lola stessa sapeva di avere.
    Litigavano dalla mattina alla sera,più precisamente per l’imbarazzante modo di essere di quel tale,che osava scortesia in ogni cosa facesse e si muoveva per la casa in modo così scoordinato da sembrare una scimmia ubriaca,urtando ogni cosa trovasse sul suo cammino e mandando la rossa al manicomio.
    E dire che sapeva di non essere una persona facile tuttavia non credeva che al mondo potessero esistere esseri tanto geneticamente predisposti per rendere la vita impossibile a chiunque gravitasse attorno a loro.
    Morale della favola? Aveva finito per cacciarlo lanciandogli contro il cactus più spinoso che trovava al solo scopo di provocargli del male fisico.
    Giunta al suo turno la voce del ragazzo all’entrata là riporto’ con la testa alla realtà ma Lola fingeva di non sentire pur essendo rimasta priva di siepe umana a nasconderla alla vista del biondo.porca miseria! Porca miseria! Porca miseria! brontolo’ a denti stretti e si rizzò immediatamente sistemandosi capelli e lisciando il vestito cercavo una molletta per capelli! Mi deve essere caduta, che sbadata! si giustificò mentre il tale dal cerchietto cuoricinoso che tutto sembrava tranne che un giovane cupido, prendeva il suo biglietto domandandole “sola?”
    . Oh ci siamo. Ora sarebbe stata accoppiata ad un aitante uomo e sarebbe scomparsa all’interno mescolandosi con la folla e tanti cari saluti a quel deficiente.
    Annui’ con un sorriso debole in tutta risposta quando Cyd li raggiunse,probabilmente provando a scavallare la fila - sarebbe stato proprio da lui - to’ ! Ciao squilibrata! la guardò di traverso manco l’avesse trovata a fuggire da un manicomio l’ultima volta che si erano visti; al che cupido li guardò come se avesse appena ricevuto l’idea del secolo e indicò entrambi oh perfetto! Vedo che vi conoscete ! Dunque la coppia si forma già da se.. entrate e divertitevi .
    Che?
    Cosa? Tutto qui? Nessun test attitudinale per decidere chi è perfetto per chi? Nessuna domanda?
    Lola spalancò gli occhi no no no no nono no ... l’ho già detto no? Cosa si è fumato per caso ? Polvere di fata? Non esiste che io passi un altro istante della mia vita con questo ... justin timberlake dei poveri! sbotto’,ma il giovane cupido le rivolse un alzata di mano come a dire che non poteva farci nulla e passò alla coppia successiva.
    Lola si girò verso Cyd, era sicura che se fossero stati in un cartone animato o un fumetto sarebbe stata disegnata con del fumo che le usciva dalle orecchie e dalla testa. perché cavolo sei qui dannazione? Non hai qualcuno da molestare come tuo solito? O qualche casa NON tua da occupare ? lo rimproverò in tono retorico perché sapeva che tanto le uniche risposte che avrebbe potuto ricevere da lui erano insulti e niente di più, mentre a malincuore faceva il suo ingresso nella palestra addobbata ad arte.
    Come se non bastava ci si mise immediatamente quello stupido robot formato Carlo Conti a motivarli per una foto iniziale certo immortaliamo pure questo momento! commentò sarcastica. Il robot si mosse verso di loro nel tentativo di farli avvicinare ma più lo faceva più loro si distaccavano,alla fine disse che avrebbe scattato al tre e lei, restando il più possibile staccata da lui e quasi aspettandosi una palpata fulminea per rischiare la pellaccia, mostrò un sorriso finto come le bancarelle Made in Cina del mercato - e digrignò i denti scooooosssaaa! Si ... te la darei volentieri... fulminea e potente così da stecchire le ultime ossa che ti restano! brontolo’ sottovoce senza neppure notare come fosse venuta la foto, ma precedendolo senza guardarsi indietro verso l'entrata dove, doveva ammettere, sembrava quasi di essere stati catapultati in uno di quei telefilm per adolescenti al ballo scolastico di fine anno.
    Mostrò un espressione fugace e soddisfatta che però sparì immediatamente, ora come ora si sentiva troppo demoralizzata per poter pensare di mantenere lo stesso livello di positività con cui era uscita di casa.
    Fanculo al Karma pensò,di persone sconosciute in quella città doveva beccarsi proprio la meno appropriata ad una festa del genere e che per giunta rappresentava ormai un incubo per lei.
    Come se non bastasse non aveva ancora stretto amicizie in città, nessuno che avrebbe potuto incontrare e al quale correre mollando li la lastra di un cavaliere.
    Provò ad attraversare la sala, sicura che lui invece – che aveva molestato tutta la città – avrebbe trovato qualcuno con cui parlare o stare e l'avrebbe lasciata in pace.
    Passò in rassegna le coppie presenti, tutti perfettamente fasciati nei loro abiti eleganti, alcuni indossavano persino il corsage, quel bellissimo fiore da polso segno di qualcuno che nel venire a prenderti aveva speso un minuto del suo tempo per pensare alla donna che avrebbe portato al ballo.
    L'aria fresca fuori l'aiutò per qualche istante a riprendere controllo dei nervi; si abbracciò le esili spalle scoperte per la brezza fresca che la investì nell'immediato e si sedette sugli scalini ad osservare l'assemblaggio di coppie presenti anche all'esterno.
    In realtà non ebbe fisicamente la possobilità di constatare quanto fosse rimasta li – non avendo orologio addosso – ma sospettò abbastanza dato che dall'interno sentì giungere la musica e la parte esterna quasi si svotò.
    Attese ancora qualche minuto, ma poi socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, consapevole del fatto che ora sarebbe stato impossibile trovare qualcuno solo a quella festa dato che “l'accoppiamento” avveniva all'entrata, dunque sbuffò oh al diavolo! si rimise in piedi, si lisciò il vestito e dopo essere rientrata e aver messo almeno cinque minuti prima di scovare quel deficiente in mezzo alla folla, si precipitò verso di lui con passo incalzante e l'espressione motivata. Lo attirò a se per ballare e gli puntò il dito contro il viso senza tuttavia sfiorarlo se mi tocchi il culo ti affogo nella ciotola del ponch!. In realtà riuscì a sopportare parte di quel ballo finchè non giunse il lento e allora la vicinanza e i ricordi delle loro liti la mandarono così tanto fuori di testa che alzò gli occhi al cielo e si staccò.
    Buttò l’occhio sulla zona cibo,e prego’ Zeus che qualcuno avesse già corretto le vaschette di punch dentro al quale sarebbe volentieri affogata in quel momento. no, non ce la posso fare! gli disse frettolosa e lo mollò precipitandosi in zona rinfresco.
    Ora che tutti erano immedesimati nell'adolescente che era in loro e presi dalla canzone non avrebbero fatto caso a lei che, con l'arte del bricolage che gi aveva insegnato un suo compagno di università,fece una sorta di cannuccia gigante infilando cannucce più piccole una dentro l'altra; allungò la cannuccia gigante dentro la ciotola del ponch e si nascose per terra dietro al tavolo iniziando a tirar su alcool sperando di restare così stordita da non ricordarsi di quell'incubo.
    Si destò dal suo sogno ad occhi aperti solo quando sentì il tipico rumore di un bicchiere svuotato al che imprecò di nuovo, rammaricata, e si costrinse ad alzarsi per constatare di persona che s'era bevuta tutta la scodela mentre tutto il resto della sala era distratto dal lento.
    Una coda dell'occhio e vide Cyd guardarsi intorno – probabilmente cercandola - . Lei di riflesso si alzò e come una furia attarversò la sala sfrecciando verso i bagni.


     
    .
  8.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,188
    Reputation
    +1,555
    Location
    Al di là dei sogni

    Status
    Anonymes!
    [ Jesper & Ophelia - II parte ]

    Ophelia Jensen-Spector | '94 | proiezione mentale | sheet
    Aveva già provato quella sensazione tanto tempo prima: la mancanza di fiato, le gambe che tremavano, il cuore che batteva all’impazzata come a voler sfondare lo sterno. Le sembrava di impazzire e quel luogo affollato, la faceva stare ancora peggio. Aveva bisogno di aria ed aveva bisogno di togliersi quell’immagine della testa anche se, sapeva che l’avrebbe tormentata da lì ai prossimi giorni. Era strano provare tutto quello, per una persona che non vedevi più da ben due anni. Era strano convivere con sentimenti così contrastanti da farti male. Era semplicemente è totalmente strano. Ophelia non aveva mai amato prima di lui ed in quel momento, si era accorta di non aver mai smesso di farlo, seppur le cose erano cambiate di gran lunga. Era stato come uno schiaffo in pieno volto, nell’esatto istante in cui sei sovrappensiero e lo senti tutto, a piena mano, bracciante e difficile da metabolizzare. Bruciava, bruciava ancora dopo tutto quel tempo, dopo non averlo visto, dopo non averlo frequentato. Lui aveva rubato una parte di lei che sarebbe stata per sempre sua e forse, quella era una delle parti a cui Ophelia era più affezionata. Inferno e paradiso, bianco o nero: non c’erano state vie di mezzo con lui, soprattutto i primi tempi, eppure quando stava bene, stava così bene che era capace di cancellare l’inferno e le difficoltà quando le si mostravano di fronte. Ne valeva la pena e nonostante tutto, non si era mai pentita di quella scelta, di averlo scelto. C’era voluto un bel po di tempo per farlo, ma quando il suo cuore si era rivolto a lui, l’aveva fatto in modo completo e totale, in modo così profondo che tutt’oggi faceva male.
    L’aria del giardino aveva finalmente reso possibile ad Ophelia di respirare. La mano sul petto, poteva percepire il respiro tornare a farsi regolare ed i battiti del suo cuore rallentare. Jesper la raggiunse pochi istanti dopo, mentre lei con gli occhi cercava un posto meno affollato e soprattutto meno pieno di coppiette amoreggianti. Doveva parlare con lui, doveva dirgli la verità perché non si meritava altro da lei. Stai bene? le chiese, puntando i suoi occhi celesti in quelli altrettanto chiari della ragazza, mentre con un tocco delicato della mano portava via i capelli sciolti dal volto di lei. Va meglio ammise, prima di prendere a camminare per il giardinetto, alla ricerca di un angolo buio. Dobbiamo parlare.. ammise, prendendo posto in quell’unica panchina malconcia, che sembrava essere stata snobbata da tutti gli altri. Il cielo era terso e cosparso di stelle luminose. Chi era? domandò pacato lui, prendendo posto al fianco della ragazza, che si voltò in sua direzione. Era sempre stato più intelligente di quanto volesse dimostrare e, un acuto osservatore. D’altronde con il lavoro che faceva, erano i dettagli a fare la differenza e se anche Ophelia aveva pensato di aver tenuto un profilo basso, Jesper di era accorto di quello sguardo che lei ed Erik si erano scambiati. Era il mio ex fidanzato spiegò lei, le mani in grembo a giocare l’una con l’altra per affievolire la tensione Siamo stati insieme quattro anni, prima che lui decidesse di lasciarmi qui a Besaid ed andarsene senza una spiegazione continuò, tornando a guardare il volto pensieroso del ragazzo. Pensavo che due anni fossero in grado di cancellare il dolore e la mancanza, ma vederlo qui insieme ad un’altra mi ha devastata dentro confessò, prima di prendere coraggio per ammettere un'altra verità ma penso tu sappia esattamente, cosa voglio dire.. lo sguardo di Jesper di posò in quello di lei, cercando di carpire il significato di quelle parole ho visto come guardi Hazel, come cambia il tuo sguardo quando qualcuno si avvicina troppo a lei sorrise dolcemente, facendo intendere che non aveva intenzione di giudicare, che non aveva intenzione di diffondere al mondo quella verità. Ophelia era riservata ed un amica fidata, e anche se non avrebbe mai potuto capire quel loro rapporto, non lo avrebbe mai giudicato perché credeva nella libertà di pensiero e dell’amore. Tutte le donne dovrebbero essere guardate così ammise, forse con un po’ di malinconia nella voce di tempi lontani dove gli occhi che la guardavano in quel modo, dolce e attento, colmo di desiderio ed amore, erano proprio quelli della sua persona. Sai, vorrei tanto che le cose tra noi funzionassero. Sei una persona splendida ma i nostri cuori sono altrove e dobbiamo soltanto avere il coraggio di ammetterlo e di affrontare le situazione ammise Io sono così confusa.. così arrabbiata e colma di risentimento nei suoi confronti per quello che mi ha fatto passare, per non avermi detto niente prima di partire, per non essere tornato prima di dimenticare tutto.. eppure non riesco ad odiarlo, non riesco a starci lontano come dovrei spiegò ancora, alzando appena le spalle in un moto di resa. Era stata bene quei mesi con Jesper, condividevano moltissime cose e questa affinità li avvicinava, forse più come amici che fidanzati eppure, Ophelia aveva tanto sperato che le cose con lui potessero andare bene. Ed erano andate, almeno per un po’. Lasciò la sua testa appoggiarsi sulla spalla di Jesper seduto al suo fianco, ascoltando il silenzio della notte per un po’ e godendosi la sua vicinanza.
     
    .
  9.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Sakura Blossom

    Group
    Member
    Posts
    981
    Reputation
    +2,142
    Location
    Far Away

    Status
    Anonymes!
    Jesper Mads Saetre

    Jesper&Ophelia – Parte II

    Stretti in un ballo lento ondeggiavano dolcemente seguendo una melodia dai toni delicati. I loro corpi si accarezzavano ad ogni movimento anche attraverso la stoffa dei loro abiti leggeri. Sorrideva Jesper mentre Ophelia poggiava la sua guancia su quella di lui, si sentiva sereno quando era con lei, come se il mondo non potesse scalfirlo. Era un’emozione completamente diversa rispetto a quella che gli provocava la vicinanza con Hazel, uno tsunami emotivo lo travolgeva in sua presenza. Perdeva il controllo di quella sua perfetta compostezza e sentiva il viscerale desiderio di annullare ogni tipo di distanza tra di loro, in qualche modo questo accadeva anche con Ophelia, ma era una sensazione molto più delicata di cui non aveva paura. Come poteva spiegare la differenza tra le due donne che costellavano la sua vita? Una era come la pace di un lago al tramonto, l’altra era come il mare in tempesta. Per un attimo chiuse gli occhi per eliminare quei pensieri dalla testa e il suo istinto lo condusse a far volteggiare la sua compagna di ballo in una frizzante piroetta. Fu un istante, il viso di Ophelia si rabbuiò mentre volteggiava nel suo abito sui toni di un notturno cielo stellato. Il contatto tra le loro mani si annullò, la ragazza tremava come se avesse visto un fantasma e dopo aver sussurrato un ”Ho… ho bisogno di uscire.” si dileguò tra le coppie in movimento per raggiungere il giardino esterno.
    L’aria fresca della sera gli accarezzò il viso donandogli una lucidità che non si era nemmeno reso conto di aver perso tra i bicchieri di alcool, il ballo e quell’atmosfera particolare dalle luci soffuse. ”Stai bene?” domandò mentre seguiva i passi di Ophelia che pareva alla ricerca di qualcosa, si fermò solo quando individuò una panchina più defilata che nessuno pareva aver ancora notato. In quel giardino era pieno di coppie che si baciavano sotto i raggi argentei della luna, mentre in quell’istante la sua accompagnatrice disse quelle parole che nessun uomo vorrebbe mai sentir pronunciare dalla propria ragazza. ”Dobbiamo parlare.” si sedettero l’uno accanto all’altra lasciando per un istante che il silenzio li cullasse nella quiete della notte. Jesper si voltò a guardare la sua splendida accompagnatrice e pronunciò quelle due parole che probabilmente racchiudevano il motivo della sua fuga dalla pista da ballo. ”Chi era?” non cosa, non come, ma chi. Aveva intuito che Ophelia avesse visto qualcuno che l’aveva turbata con la sua presenza a quel Prom che avrebbe dovuto essere la loro occasione per passare del tempo insieme senza pensieri. ”Era il mio ex fidanzato. Siamo stati insieme quattro anni, prima che lui decidesse di lasciarmi qui a Besaid ed andarsene senza una spiegazione. Pensavo che due anni potessero cancellare il dolore e la mancanza, ma vederlo qui insieme ad un’altra mi ha devastata dentro.” osservò le mani minute della ragazza che s’inseguivano sul proprio grembo e poi il suo sguardo triste, colmo di un sentimento che lui comprendeva sin troppo bene. Quante volte aveva mostrato il suo miglior sorriso di circostanza mentre moriva dentro, spettatore degli amori di Hazel o semplicemente di piccoli gesti di confidenza che gli bruciavano il cuore come un mozzicone di sigaretta acceso. ”Ma penso che tu sappia esattamente, cosa voglio dire.” per un attimo Jesper trattenne il fiato anche se non avrebbe voluto. Le posò la mano sulla sua con gentilezza, avvicinando il viso a quello di lei per guardarla negli occhi. ”Non lasciare che gli altri ti facciano sprofondare. Non meriti di soffrire così, sei una persona così luminosa dentro.” non aggiunse altro, non voleva attaccare o giudicare oppure dire qualcosa fuori luogo che potesse incupire ancora di più l’umore di Ophelia. Era una situazione così strana e delicata al contempo, non era abituato ad esternare i propri sentimenti liberamente, era sempre stato il più estroverso in famiglia, ma non fino in fondo. Allontanò lo sguardo dalla ragazza quando nominò Hazel a voce alta, nessuno aveva mai pronunciato il suo nome legato a quella verità ingombrante che li legava e li allontanava allo stesso tempo. Non c’era traccia di rimprovero o giudizio nella voce di Ophelia, anzi aggiunse qualcosa che lo stupì. ”Tutte le donne dovrebbero essere guardate così.” le rivolse un sorriso stiracchiato, non aveva mai affrontato l’argomento liberamente e fosse stato per lui non sarebbe mai stato pronto a farlo. Eppure quella malinconia che volava nell’aria mescolata a quelle confessioni fin troppo intime fece sì che parlasse con onestà. ”Non credo di averlo mai detto a voce alta, ma Hazel è la persona che vorrei al mio fianco ad ogni risveglio. Troppo romantico, vero? Dio, tutte queste luci e cuori ovunque mi hanno plagiato!” finse un brivido scherzoso per stemperare l’atmosfera un po’ pesante che si stava creando. Eppure mano a mano che quella conversazione andava avanti tutto aveva più senso, e quando Ophelia disse che i loro cuori erano altrove non sentì quel dolore al petto che avrebbe dovuto percepire forte come un colpo netto. Sentì l’istinto di tirare un sospiro di sollievo, non perché la sua relazione con la biondina fosse un peso, bensì perché per la prima volta dopo tanti anni non aveva bisogno di dover dare spiegazioni o di doversi giustificare per ciò che provava per Hazel. Trattenne quel sospiro per evitare che venisse frainteso e rimase in ascolto della voce di Ophelia che portava a galla un segreto che aveva rinchiuso in un cassetto per tutta la vita. ”Anche io vorrei che le cose andassero diversamente, ma dobbiamo essere onesti con noi stessi prima di ogni altra cosa.” era d’accordo con lei, come avrebbe potuto essere altrimenti? Gli dispiaceva che le loro strade stessero per separarsi in veste di fidanzati, ma non si sarebbero di certo persi come amici. La lasciò sfogare i suoi sentimenti e quando poggiò la testa sulla sua spalla sorrise al cielo invernale sentendo uno strano calore irradiarsi nel petto. Aveva davvero detto a voce alta quello che custodiva gelosamente solo per se’ da sempre? Nonostante fosse riuscito ad essere estremamente sincero con Ophelia nulla sarebbe stato semplice dopo quel passo. Dopo la morte illusoria di Halloween si era allontanato da Hazel cercando una strada diversa per colmare quel vuoto infinito dentro la gabbia toracica. E adesso? E adesso decise di godersi il silenzio della notte e il tepore del corpo di Ophelia contro il suo.
     
    .
  10.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Cittadini
    Posts
    16,567
    Reputation
    +2,797
    Location
    ..un luogo al di là del tempo e dello spazio..

    Status
    Anonymes!
    source
    Sam & Adam

    Strinse la mano di Ivar, lasciandosi condurre verso la pista da ballo per dare inizio ad un bizzarro valzer dal retrogusto di polka, dove i due saltellavano senza davvero seguire il ritmo della canzone. Si conoscevano da tantissimo tempo, quando non erano altro che due bambini che frequentavano la stessa classe, ma avevano legato subito, senza che ci fosse quasi il bisogno di parlare. Gli voleva bene ed era felice di vederlo sorridere di nuovo, dopo quanto era accaduto con Astrid, dopo la tristezza che lo aveva avvolto quando lei era andata via ed era tornata senza avere più memoria di lui. Aveva seguito tutti i retroscena della loro relazione lasciando che fosse lui a decidere cosa fare, ma si era mostrata decisamente d’accordo quando lui aveva scelto di ricominciare, mettendo da parte qualcosa che lo stava solo facendo soffrire. Vederlo con Fae ora era come vedere un Ivar nuovo e sebbene di norma tenesse sotto controllo tutti i ragazzi delle sue amiche per essere certa che questi non le facessero soffrire, nel loro caso non aveva avuto alcuna minaccia da lanciare. Li conosceva entrambi da così tanto che non c’erano parole da dire, se non che il cuore le scoppiava di gioia ogni volta che li vedeva insieme. Sorrise, annuendo energicamente tra un saltello e l’altro quando lui le fece notare che quella era la loro canzone. Non era vero ovviamente, nessuno stava trasmettendo la canzone di Duloc, ma c’era un motivetto che la ricordava e quindi per loro lo era diventata automaticamente. -Sì, sì, è proprio lei. - confermò quindi, forse semplicemente in preda alla sbornia e quindi incapace di riconoscere davvero le cose. Iniziarono a cantarla a volume sin troppo alto, fieri della loro performance, sotto lo sguardo poco convinto delle coppie che avevano intorno. Si strinse a lui per un momento, in un forte abbraccio, prima di lasciarlo andare. -Sono felice, davvero felice. - mormorò, con il viso nascosto contro il petto dell’amico, prima di sollevare lo sguardo su di lui e sorridere. Non era chiaro se fosse felice per lui o per se stessa, ma non doveva esserlo in effetti visto che grazie alla loro amicizia avevano condiviso spesso momenti belli e meno belli e quindi la felicità di uno era spesso stata anche quella dell’altra e viceversa. Sorrise di nuovo, dandogli un leggero bacio sulla guancia, prima di lasciarlo andare in direzione di Adam, quando partì una musica più simile al tango e recuperare invece Fae.
    Mentre Ivar e Adam ballavano come se fossero stati due professionisti nel film di Dirty Dancing lei invitò Fae a ballare, prendendo la sua mano e tentando di farle fare una piroetta, che non venne molto bene visto che l’amica era più alta di lei, ma in fondo erano le intenzioni quello che valevano, non la riuscita. La musica un po’ più sensuale in sottofondo le fece tornare alla mente le coreografie che Fae le aveva insegnato la sera dell’iniziazione e anche le tante giornate trascorse insieme ad ascoltare la musica. Anche se quella sarebbe dovuta essere una semplice festa, all’insegna del romanticismo e del divertimento lei si stava lasciando prendere un po’ troppo dai ricordi del passato. Forse era colpa di tutto l’alcol che aveva benvenuto, o forse era la vicinanza dei suoi amici e la felicità ritrovata dopo quell’ultimo anno un po’ burrascoso. -Ti ricordi quando venivamo qui a vedere le partite? - chiese, guardandosi appena attorno soffermandosi per qualche momento sulle gradinate, lasciando che i ricordi le riempissero la mente mentre si rivedeva di nuovo ragazzina con l’amica al suo fianco con i capelli ancora del suo colore naturale, prima che iniziassero a mutare con delle tinte sempre più stravaganti fino ad assumere i colori dell’arcobaleno. -Qualche volta mi manca tutto quello. - disse, con una leggera punta di malinconia, con gli occhi appena lucidi, ma sempre un gran sorriso stampato sulle labbra. -Promettimi che non ci separeremo mai, qualunque cosa accada. - le chiese, puntando il suo sguardo azzurro in quello dell’amica, come se un’improvvisa paura l’avesse avvolta, impedendole di continuare a respirare. -Ti voglio bene, non dimenticarlo mai. - le disse, prima di sciogliere il loro abbraccio e lasciarla andare tra le braccia di Ivar, con un ultimo leggero sorriso, facendosi avvolgere a sua volta tra quelle di Adam mentre continuavano a muoversi al ritmo delle canzoni più disparate. Tra un ballo e l’altro uscì velocemente dalla pista per andare a recuperare qualche altra focaccina e un altro bicchiere di punch, incurante del mal di testa che avrebbe avuto il giorno successivo per poi abbandonare tutto su un tavolino quando sentì la musica farsi più lenta, andando ad afferrare la mano di Adam, dentro la quale la sua sembra quasi scomparire.
    I suoi occhi azzurri come il cielo si specchiarono in quelli più scuri di lui mentre, mantenendo una breve distanza l’uno dall’altra, raggiungevano una posizione non troppo centrale all’interno della posta. Ora che tutto si era fatto molto più personale non voleva più trovarsi in mezzo alla folla. Perché quando era con lui non esisteva nient’altro, nessun altro, si sentiva completa, come se tutti i pezzetti di sé avessero trovato il loro posto perfetto incastrandosi con quelli di Adam. Si mosse piano, tenendo le mani sulle spalle di Adam, ondeggiando lentamente, seguendo il ritmo di quella musica lenta e dolce che avvolgeva lo spazio tutto attorno a loro. Sentiva la testa farsi via via sempre più pesante, per colpa di tutto quello che aveva bevuto, ma cercò di mantenersi in piedi mentre impercettibilmente andava ad aggrapparsi a lui, la sua roccia in mezzo all’oceano, che le avrebbe sempre offerto un porto sicuro in mezzo alla tempesta. Era una sensazione così piacevole che non riusciva a ricordare di averne mai provato di simili. Con Fred non era mai stato lo stesso, c’era sempre stata quella punta di insicurezza, di paura, con Adam invece tutto sembrava così assolutamente naturale da non avere mai il bisogno di pensare prima di agire quando si trovava in sua compagnia. Sebbene fosse sempre stata una ragazza socievole e aperta nei confronti degli altri, certe volte si sentiva come una tempesta, implacabile e distruttiva, che non sapeva dove sarebbe andata ad infrangersi e dove si sarebbe placata. Adam era la sua montagna di placida calma, ferma e impavida, impossibile da abbattere. Era tutto perfetto senza neanche il bisogno di dover organizzare nulla perché nella loro semplicità avevano trovato la chiave di volta per far funzionare quella sinfonia. Gli sorrise, inclinando appena il capo di lato, per poterlo osservare meglio. -Sai, quando abbiamo parlato del ballo non pensavo che tutto sarebbe stato così perfetto. - disse, in tutta onestà, continuando a guardarlo, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. Sebbene fosse stata in preda all’ansia per giorni davanti a quell’idea, pensava che tutto sommato non sarebbe stato nulla di sensazionale, una sciocchezza da ragazzini e nulla più, invece ora che ci si trovava dentro tutto le sembrava decisamente più reale. -Forse avevi ragione, forse non sbaglieremo affatto. - continuò, citando le parole che lui le aveva detto qualche mese prima, quando lei aveva bussato alla sua porta per chiarire la fuga che aveva messo in atto quando lui aveva teneramente rivelato i sentimenti che provava per lei. Ricordava la paura che aveva provato in quel momento, quella molla che era scattata dentro di lei facendola allontanare da lui fino a che non era riuscita a fare un po’ di luce all’interno dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Era scappata come un uragano in preda al caos ed era tornata indietro con la stessa intensità, pronta a buttare fuori tutto quello che aveva dentro. Quasi le sembrava assurdo ora avere temuto così tanto qualcosa di così assurdamente bello e piacevole.
    Si sollevò sulle punte dei piedi per riuscire a colmare la distanza di altezza, evidente anche se lei aveva indosso dei tacchi abbastanza alti quella sera, così da congiungere di nuovo le sue labbra con quelle di lui. era diventato come l’aria per lei ormai, necessario, sotto ogni aspetto. Per vivere, per respirare, per potersi sentire completa. Iniziò come un bacio tenero e appena accennato, poi, velocemente, divenne un po’ più intenso e desiderato mentre una delle sue mani si spostava dalla sua spalla per andare a scivolare tra i capelli di lui, dove si perse per qualche momento, giocherellandovi senza bisogno di chiedere il permesso. Inspirò a pieni polmoni il suo profumo, così fresco e piacevole. Sapeva di autunno e di montagna, di boschi innevati e di sentieri ancora da percorrere, sapeva di casa, di lui. Mordicchiò appena le sue labbra, teneramente, allontanandosi appena, rimanendo a pochi centimetri da lui, soltanto quando la musica scemò, lasciando il posto ad un silenzio carico di emozioni. Solo in quel momento, mentre la sua presa sulle sue spalle si fece meno salda, si sentì di nuovo per un momento come se il pavimento sotto di lei fosse in continuo movimento e non fermo e stabile come era sempre stato. Si lasciò andare ad una leggera risatina un po’ brilla mentre il suo sguardo si abbassava sui suoi piedi e la sua testa girava appena, costringendola a stringersi di nuovo a lui. Avrebbero dovuto attendere l’elezione della coppia principe del ballo, per applaudirli e assistere alla loro salita sul palco, ma se doveva essere onesta in quel momento non le importava affatto. Poteva aver vinto chiunque, ma per quanto le riguardava loro erano una coppia assolutamente perfetta e potevano quindi godersi qualche momento da soli, senza tutto quel chiasso e quella musica. -Credo di aver bevuto un po’ troppo, ti va se usciamo un po’? - gli chiese, ancora con il sorriso stampato sulle labbra, mentre cercava di recuperare un po’ di equilibrio. -Andiamo a prenderci la nostra corona da soli. - continuò, lasciando un altro tenero bacio sulle labbra di lui, prima di dirigersi verso l’esterno, dove il cielo si era fatto ancora più scuro e le stelle sembravano brillare più forti di prima.
    Inspirò a pieni polmoni l’aria fresca e pulita, trattenendosi sulla soglia per un momento, con la mano stretta in quella di lui, che non sembrava più voler lasciare andare, come se quel contatto la completasse. Sentiva freddo senza di lui. La temperatura un po’ più calda del corpo di Adam rispetto al suo si era fatta sentire da primo istante e quella sensazione di calore era divenuta per lei rassicurante, le faceva capire che lui era lì, accanto a lei e che non sarebbe più andato via. Fece una leggera giravolta, sollevando la mano di lui insieme alla sua, lasciandosi andare ad una leggera risata cristallina, prima di adocchiare una panchina non troppo distante dall’ingresso e avviarsi in quella direzione. Faceva una certa fatica a mantenersi in piedi in equilibrio, quindi decise quando meno di sfilarsi le scarpe, così da poter essere un po’ più stabile, tenendole nella mano libera. Aspettò che fosse lui a sedersi per primo, per poi accomodarsi sopra di lui, lasciando le scarpe sul bordo della panchina e stringendo le braccia attorno al suo collo, posando il capo contro il suo petto, chiudendo gli occhi mentre ascoltava il battito del cuore di Adam, l’unico suono che poteva raggiungere le sue orecchie in quel momento. Era bello, rilassante e in quel momento non voleva fare nulla che non fosse quello, anche perché non si sentiva abbastanza lucida per poter pensare troppo. -E’ stata una serata splendida. - mugugnò appena, senza voler accennare a staccarsi da lui e ad abbandonare il dolce tepore che sentiva quando stava tra le sue braccia. -Sembra tutto così giusto e naturale che mi chiedo perché io mi sia posta tutti quei dubbi. - aggiunse, con una leggera risatina e la voce un po’ più strascicata. Avrebbe fatto meglio a bere un po’ meno ma in fondo con Adam e il resto della squad al suo fianco non aveva molto da temere. -Vorrei che questa serata non finisse mai. - continuò, sollevando piano il capo per guardarlo di nuovo, con aria beata, come se stesse guardando il panorama più bello che potesse esistere sulla faccia della Terra. Era tardi, sapeva di avere bisogno di qualcosa che la aiutasse con la sbornia per evitare di fare qualche pessima figura o di parlare a vanvera e che quindi presto sarebbero dovuti tornare a casa, ma voleva godersi quella solitudine ancora per un po’, senza impicci, senza drammi, senza pensieri. Soltanto il ragazzo che amava e un cielo stellato sopra la testa.
     
    .
  11.     +8   +1   -1
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Member
    Posts
    8,416
    Reputation
    +712

    Status
    Anonymes!
    tumblr_inline_noryb9wzQ21ql0qbb_500

    BLUEBELL SERENA BLYTHE ❖
    Serena&Adrian - prom

    L’ennesima forcina le venne infilata tra i capelli, sfregandole fastidiosamente contro la cute. Serena serrò le labbra, cercando di concentrarsi su qualcosa che non fosse l’articolato raccolto in cui, da almeno due ore, Martha le stava sistemando i capelli. Nonostante in seguito all’invito di Adrian – invito che, a dirla tutta, l’aveva sorpresa non poco – avesse fatto del suo meglio per comportarsi in maniera normale e non destare sospetti, il sesto senso di Martha Harlan doveva aver captato qualcosa e, come solo una madre sa fare, aveva messo la figlia alle strette sino a quando, stremata, Serena aveva ammesso di avere ricevuto un invito per il ballo. Nel giro di 24 ore la sua intera esistenza era stata radicalmente ribaltata: più eccitata di un’adolescente, Martha l’aveva trascinata a provare vestiti, scarpe e qualunque tipo di accessorio per l’occasione, continuando a tentare di scoprire – senza grossi risultati - chi fosse il suo accompagnatore. Inutile dirlo, il nome di Adrian era saltato fuori più volte, esplicitamente o meno, ma Serena si era limitata a rivolgere a sua madre un’espressione neutra, negando qualunque insinuazione con un credibilissimo «Non ho idea di cosa tu stia parlando». Quel teatrino era andato avanti per un paio di giorni, con tanto di interrogatorio last-minute, sino a quando posta davanti alla minaccia (?) di estrometterla dai preparativi per la serata, la dottoressa Harlan aveva momentaneamente accettato la sconfitta, non senza un certo sdegno. Numerosi aneddoti circa la gravidanza e descrizioni splatter sul parto e le lunghe ore di travaglio, nient’affatto menzionate per farla sentire in colpa e spingerla a confidarsi, Martha aveva trasformato la sua camera da letto in una vera e propria postazione trucco degna della Fashion Week. «Quindi… a che ora arriverà il tuo uomo del mistero?» Attraverso il riflesso nello specchio, Serena la vide gettarle un’occhiata troppo studiata per risultare casuale. Roteò gli occhi al cielo, scuotendo il capo e rischiando di far crollare l’acconciatura. Non avrebbe detto una parola di più. «Oh, andiamo! Sono tua madre! Dovresti dirmi tutto della tua vita. Quando sei triste, quando sei felice, quando sei emozionata. Perché sei emozionata, vero? Altrimenti non dovresti uscire con questo… chiunque sia. Se non sei emozionata vuol dire che non ti piace abbastanza!» Sistemò l’ennesima forcina, con più forza, facendo sobbalzare Serena sulla sedia. «Non posso dirti qualcosa che ancora non so, mamma.» Replicò, con un sospiro, massaggiandosi l’attaccatura dei capelli. Non era nemmeno uscita di casa ed aveva già mal di testa. «Voglio solo divertirmi e godermi la serata senza troppe aspettative.» Sebbene lo desiderasse davvero, quella risposta suonò piuttosto debole. L’invito di Adrian era giunto del tutto inaspettato e più ci rifletteva, più si sentiva confusa al riguardo. Il giovane archeologo era una persona socievole ed era sempre stato cordiale nei suoi confronti ma, non essendosi mai trovata in una situazione simile, Serena non era certa di quanto fosse stato influenzato dallo zampino di Martha e di quanto, invece, l’invito denotasse un interesse del tutto personale. Quale fosse la natura di tale interesse, poi, era qualcosa a cui aveva preferito non pensare. Era pur sempre il primo ballo a cui partecipava, nonché il suo primo appuntamento – romantico o amichevole che fosse – e, forse per inesperienza, forse per inclinazione caratteriale, Serena si sentiva un fascio di nervi. Quella mattina, stesa nel letto, aveva vagliato tutti i peggiori scenari possibili, a partire da piccole cose come ballare fuori tempo (?) sino alla possibilità non troppo improbabile di inciampare rovinosamente nell’orlo del vestito, davanti a centinaia di sconosciuti. Si torse nervosamente le dita, in un gesto nervoso del tutto inconscio. Martha le diede una piccola pacca sulla spalla, riportandola alla realtà. «Ecco, finito!» Spostando lo sguardo dal riflesso materno sino al proprio, Serena impiegò qualche istante a riconoscersi. Battè le palpebre, stupita. Era valsa la pena di dribblare tutte le sue domande, Martha aveva fatto davvero un ottimo lavoro. «Allora, che ne dici?» Gongolò, senza lasciarle il tempo di rispondere. «Alzati, devi ancora indossare il vestito, le scarpe… ah! E gli orecchini. Non dimenticarti gli orecchini di tua nonna, portano fortuna!» La povera Serena non fece in tempo a dire nulla che, spingendola in piedi, Martha le sfilò la vestaglia e le mise in mano il vestito. Proprio in quell’istante lo schermo del cellulare di Serena si illuminò, il messaggio inviato da Adrian in sovraimpressione. Lo afferrò di scatto, prima che Martha potesse leggere, accorgendosi solo in quel momento di essere in ritardo. «Ma… è tardissimo!» Far aspettare Adrian non era certo il modo migliore di iniziare la serata. Spostò lo sguardo su Martha, in cerca di aiuto. «Non sono pronta e lui è già qui sotto!» Si sventolò con una mano, le guance arrossate per il nervosismo. Stava per caso per avere un attacco di panico? “Respira, Serena. Respira. Non è niente di grave. Devi solo vesrtirti.” Più facile a dirsi che a farsi, considerando che non era solita indossare abiti lunghi e tacchi a spillo nella vita di tutti i giorni. Come minimo avrebbe impiegato un quarto d’ora solo per scendere le scale. «Ora gli scrivo un mess-» Martha le strappò il telefono di mano con la prontezza di un ninja, lanciandolo sul letto. «NOOOO. Non ti preoccupare, scendo io a tenergli compagnia!» Raggiunse la porta lesta come una faina, gli occhi chiari che brillavano di aspettativa. «Tu pensa a vestirti, non ti preoccupare di nulla!» Con un piede già fuori dalla porta, Martha si voltò di nuovo verso Serena, puntandole contro l’indice. «E non indossare il reggiseno. Ne abbiamo già parlato: sotto la seta si vede, ed è orribile. Approfitta della gioventù, finchè puoi. Quando ero giovane, i-» Orripilata all’idea di scoprire dettagli imbarazzanti su sua madre, i fervidi anni 80 (?) e la trasgressione dei capelli cotonati, Serena chiuse letteralmente la porta in faccia a Martha, salvo poi realizzare che così facendo l’intero piano messo a punto con Adrian era appena andato a farsi benedire. «Accidenti!» Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Ormai era troppo tardi per tornare indietro. Una volta scesa al piano di sotto, Martha doveva aver scoperto l’identità del suo accompagnatore e, di conseguenza, braccato Adrian come un segugio con la volpe in fuga solo similitudini di qualità in questo post; corri, Adrian, corriiiih. Rassegnata al triste destino che attendeva entrambi di lì a poco, indossò velocemente il vestito e gli orecchini di perle. Scivolò nei tacchi – assolutamente necessari, a sentire sua madre! – e recuperò la pochette. Prese qualche respiro profondo e infine aprì la porta, pronta a scendere. Dilungare ulteriormente il tete-a-tete tra Adrian e Martha sarebbe stato crudele, da parte sua; non che il giovane archeologo potesse scamparle in eterno: conoscendo sua madre, Serena era certa che i riferimenti al loro appuntamento non sarebbero andati sprecati, nei giorni a seguire. La scena che vide sporgendosi appena dal parapetto sopra alle scale era esattamente quella che si era immaginata, con tanto dell’alcol come ospite d’onore: seduto sul divano in una posa tanto rigida che sembrava fatto di legno, Adrian era incredibilmente a disagio mentre, allegra come non mai, Martha chiacchierava con nonchalance di chissà quale argomento. Serena soffocò un gemito disperato. Riuscire a fuggire di casa sarebbe stata un’impresa. “Non puoi restare quassù per sempre.” Si fece coraggio e scese le scale più lentamente del solito, nella speranza di non inciampare inavvertitamente nei gradini. Si sentì piuttosto ridicola, quasi fosse la protagonista di un film adolescenziale, la cui discesa dalle scale era solitamente accompagnata da luci soffuse e sguardo sognante da parte dell’infatuata controparte. Quando lo sguardo di Adrian si posò su di lei, una vampata di rossore si espanse sul viso, accompagnata da una spiacevole sensazione di caldo e Serena si sentì sin troppo nuda. Non era abituata a trovarsi al centro dell’attenzione, né ad indossare tessuti tanto leggeri. Con l’ultimo passo, si strinse nelle spalle, rivolgendo ad Adrian un sorriso timido ed imbarazzato. Era strano vederlo vestito in maniera tanto elegante, ma lo smoking scuro gli stava davvero bene. Gli dava un’aria più seria, adulta. «Uhhh, Serena. Siediti, siediti che ti preparo un drink!» Martha la fece accomodare accanto ad Adrian, mettendole in mano un bicchiere ricolmo di liquido alcolico. Considerando che Serena non aveva nemmeno cenato per il nervosismo, bere alcol ancor prima di arrivare alla festa non era la scelta più saggia ma iniziò a sorseggiarne lentamente il contenuto, sperando che Martha esaurisse a breve gli argomenti di conversazione. «Che ne dici, Adrian? Non è bellissima? Gli orecchini appartengono alla nostra famiglia da generazioni! Li indossavo persino il giorno del mio matrimonio, sìsì!» Dalla padella alla brace, insomma. Serena scolò il contenuto del proprio bicchiere in un solo sorso, piuttosto impressionante per una persona quasi astemia. A mali estremi, estremi rimedi. Forse da brilla avrebbe dimenticato tutti i discorsi inopportuni di sua madre che, nel mentre, era passata a parlare di salme di Santi e della loro morte orribile. Una cosa davvero romantica, non c’è che dire. «Ehm, mamma…» Iniziò, tentando di sviare il discorso. Adrian le venne in aiuto, facendo notare che era giunto il momento di andare e richiamò prontamente il taxi. «Ma come, nemmeno una foto? Aspettate, ah ecco! Abbracciatevi, su. Più vicini. Adrian, mettile un braccio attorno alle spalle, per lo meno. Sembrate due stoccafissi, le mummie egiziane sono più rilassate di voi. Un bel sorriso, dite TEODORICO.» Il flash del cellulare accecò entrambi. «Ciao mamma, buona serata!» Senza aspettare il secondo scatto, Serena afferrò il cappotto con una mano e Adrian con l’altra, seguendolo rapidamente – per quanto i tacchi permettessero – sino al taxi. Solo allora Serena riuscì a rilassarsi un poco. Scrollò le spalle, sentendo la testa particolarmente leggera. «Mi dispiace per mia madre. Spero che non ti abbia messo troppo a disagio.» Mormorò, rivolgendogli un sorriso di scuse. Non lo faceva apposta ma talvolta l’euforia di Martha diventava un po’ inopportuna. «Ah, questo è per te!» Lasciò che Adrian le sistemasse il corsage al polso, mantenendo lo sguardo fisso sulle sue labbra. Quando lui ebbe finito di parlare, avvicinò il polso al viso, osservando la piccola composizione di fiori e resti archeologici. «Lo hai fatto tu?» Domandò, affascinata. Era una composizione molto bella e indubbiamente personale; non aveva mai ricevuto un regalo realizzato apposta per lei. «E’ bellissimo, davvero. Mi piace tantissimo.» Anche se non aveva idea del valore delle anfore olearie africane – né, di preciso, di come fossero fatte – quel piccolo regalo era perfetto. «E sei bellissima. Dico davvero, divina!» Se non fosse stata già brilla, quel complimento l’avrebbe fatta arrossire sino alla punta delle orecchie. Scostò un boccolo che sfuggiva al raccolto, imbarazzata e lusingata al tempo stesso. Non aveva mai dato troppa importanza all’aspetto fisico ma, seppur inesperta a livello sentimentale, Serena era pur sempre una donna – ed anche una piuttosto romantica, stando ai titoli presenti nella su libreria. «Grazie. Anche tu stai molto bene, la giacca ti dona. Dovresti metterla più spesso.» Parlò quasi senza accorgersene, più sincera e diretta del solito grazie al coraggio liquido che aveva ingerito poco prima.
    Scesero dal taxi e seguirono la folla in direzione della scuola superiore di Besaid, appositamente decorata per l’occasione. Era tutto molto scenografico, proprio come nei film americani. Entrò assieme ad Adrian, appoggiata al suo braccio, e si sistemarono in fila, in attesa che giungesse il loro turno di fare la foto. Non che Serena ci tenesse particolarmente – quella scattata da Martha era già abbastanza – ma sembrava una tappa obbligatoria della serata. Mentre erano in attesa, Adrian salutò una ragazza dai grandi occhi chiari, molto carina. Serena le rivolse un sorriso ma prima che potesse presentarsi, un uomo con indosso una maschera rossa sollevò Adrian a tradimento, trascinandolo a fare foto improbabili. Serena rimase a fissarli, interdetta, prima di ricordare dove avesse già visto quella maschera. “Ma certo! Era l’uomo-tutina sdraiato in braccio alla Regina all’evento di Natale!” Provò uno strano deja-vu nel rivederlo lì e sperò ardentemente che la serata non comprendesse esterne, spogliarelli di dubbio gusto o raggruppamenti ariani di Teena. Dopo essere riuscito nel suo intento (?), l’uomo mascherato le lanciò un bacio volante e sparì assieme alla sua graziosa accompagnatrice mntre Adrian, spettinato e sdegnato, tornava verso di lei. «E’ un tuo amico?» Domandò, incuriosita. Non avrebbe mai pensato che un tipo come Adrian potesse avere conoscenze tanto pittoresche.
    L’esperienza della second foto non fu certo migliore di quella scattata da Martha. Dovettero ripeterla più volte ma, infine, furono liberi di andare, frastornati dalla scossa e intontiti dal flash. Troppo concentrata sul mantenere l’equilibrio sui tacchi, lasciò che Adrian la guidasse in mezzo alla folla. La mano dell’archeologo attorno alla sua era calda, piacevole. Il ragazzo le porse un drink e, dopo aver brindato, Serena ne finì il contenuto, incurante dell’odore sospetto (?). «Ma almeno cantano bene?» Domandò ad Adrian, osservando i componenti della band che si sgolavano dal palco, compiendo sempre gli stessi movimenti della bocca. Alcuni tra i presenti non sembravano propriamente entusiasti, a tal punto che Malgy – ma era ovunque, com’è possibile? Era forse la patrona di Besaid? – aveva iniziato a improvvisare balletti di dubbio gusto, aggrappandosi all’asta del microfono come al palo da pole-dance #BesaidGotTalentprossimoevento. “Certo che è proprio snodata.” Pensò, invidiosa, ricordando quanta fatica avesse fatto per riuscire ad aprire le anche, durante i primi mesi di yoga. Proprio in quel momento intravide Liv farsi largo tra la folla. Le rivolse un largo sorriso un po’ ebete, ricambiando l’abbraccio dell’amica. «Liv! Come stai? Con chi sei venuta?» Domandò, curiosa, sino a quando i suoi occhi non si posarono su un uomo attraente e molto elegante. “Oh, wow.” Gli porse la mano, presentandosi con un sorriso. «Serena, piacere. E lui è… Adrian.» Incespicò un poco, incerta su quale fosse il modo migliore per presentarlo. Optò per il nome, sperando così di evitare ulteriori imbarazzi anche se, conoscendo Liv, sospettava che l’amica le avrebbe fatto il terzo grado, il giorno dopo. Quello, però, non era il momento di preoccuparsi di simili piccolezze, soprattutto perché Serena avrebbe potuto indagare a sua volta sul misterioso moro sparito in giardino. Si concessero qualche stupida mossa di danza, girando gli uni attorno agli altri. Per lo più, Serena ondeggiò sul posto, sperando che i suoi movimenti si accompagnassero bene al ritmo della musica o che, in alternativa, la maggior parte dei presenti fosse abbastanza ubriaca da non far caso a lei. Quando Liv la salutò, le guance le facevano male dal ridere. Dopo pochi minuti Adrian la lasciò momentaneamente sola per una pausa sigaretta e Serena ne approfittò per bere un altro bicchiere di qualcosadidolceecolorato, guardandosi attorno. Scorse così Nikolaj Mordersonn, il capo di suo padre, in compagnia di una ragazza bionda e molto bella. Sperando di non essere stata notata, si nascose dietro ad una delle colonne. Lei e Nikolaj avevano scambiato sì e no due parole, in occasioni formali o cene di lavoro, ma la presenza del giovane la faceva sempre sentire a disagio, senza un motivo vero e proprio. Forse era colpa dei suoi soldi, della sua aria impeccabile o degli occhi chiari e rotondi.
    Nascosta lì dietro, riconobbe il viso familiare di Jungkook, attratto dal buffet come i bambini dalle caramelle. Gli si avvicinò, posando una mano sul suo braccio per attirarne l’attenzione. Jungkook era non udente, esattamente come lei. Era l’unico che conosceva, in Norvegia, ed era una buona valvola di sfogo quando si trattava di affrontare temi o problematiche che, per ovvi motivi, lui era in grado di comprendere più di chiunque altro. «Jung! Come stai? Non sapevo saresti venuto.» Comunicò con il linguaggio dei segni, prima di stringergli delicatamente la mano. «Cosa ne pensi della band?» Aggiunse, in un becero tentativo di fare dell’ironia, per poi guardarsi attorno alla ricerca dell’accompagnatore dell’amico. «Sei solo?» Ma prima che Jungkook potesse rispondere, Adrian tornò dalla pausa sigaretta e Serena ne approfittò per presentarli. «Adrian, lui è Jungkook. Lavora in biblioteca.» E viceversa, premurandosi di aggiungere il dettaglio che Adrian lavorava con le ossa, invece. Ottimi spunti di conversazione, insomma. Jungoo augurò loro di divertirsi e, dopo un ultimo occhiolino, sparì tra la folla. «Jungoo pensa che tu sia il mio ragazzo.» Rivelò ad Adrian, con una risatina ebbra. Non sapeva perché ma quell’idea la divertiva non poco. L’archeologo le propose di ballare e, nel giro di poco, si ritrovarono in pista, forse più scoordinati ed impacciati che mai. Ad un certo punto la musica doveva essere cambiata in un lento perché Adrian la abbracciò, guidandola in un ballo su cui Serena dovette riversare tutta la sua attenzione. Era così concentrata a non inciampare nei suoi stessi piedi – o peggio, pestare quelli di Adrian con i tacchi assassini che indossava – che nemmeno si accorse della mano di Adrian sul suo fianco. Ne avvertì il calore sul collo e sollevò istintivamente il viso, nell’eventualità che Adrian stesse parlando. Ciò che accadde la colse alla sprovvista, a tal punto che in un primo momento Serena rimase immobile, incapace di rispondere al bacio. Fu una strana sensazione, qualcosa che non aveva mai provato prima. Le labbra di Adrian sulle sue erano calde, morbide e con un leggero sentore fruttato di alcol, misto a quello più intenso del tabacco. Serena non era una fumatrice, ma non le diede fastidio. Non ci fece nemmeno caso, ricambiando istintivamente quelle effusioni, facilitata dall’alcol. Non aveva immaginato così il suo primo bacio ma, probabilmente, fu una fortuna che avesse bevuto. Da sobria sarebbe stata tanto nervosa da rischiare di restare di sasso, con gli occhi spalancati a fissare il viso di Adrian a pochi millimetri dal suo, o a preoccuparsi di quale fosse il senso migliore per muovere la lingua: orario, antiorario o a casaccio? «Ehm…ho appena rovinato tutto?» Serena battè le palpebre un paio di volte, nel tentativo di aggrapparsi alla poca lucidità rimasta. «Adrian…» Tentò di parlare, ma l’archeologo aveva già iniziato un monologo personale, citando eventi e persone di cui, per lo più, Serena ignorava i dettagli, se non che erano tutti accomunati da una vena tragica. Sembrava su di giri e, forse, un po’ spaventato. Prese un respiro profondo. «Adrian.» Ripetette, con più decisione. «Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando.» O meglio, della maggior parte di tali eventi storici. Riprese a parlare immediatamente, per evitare che Adrian interpretasse la sua frase come un invito a fornirle ulteriori delucidazioni. «Comunque…» Esitò per un istante. Ora che aveva recuperato un briciolo di lucidità, l’imbarazzo minacciava di avere la meglio. “Ho baciato Adrian. Adrian mi ha baciato. Con la lingua. Oddio e se bacio male? Magari ho pure sbavato?! Oppure il rossetto è appiccicoso, o anche…” Mille pensieri dello stesso tipo le avevano affollato la mente, facendola impallidire un poco. Deglutì, torcendosi nervosamente le dita. «Non hai rovinato niente.» Balbettò infine, senza guardarlo. Il cuore aveva preso a batterle violentemente nel petto e, forse per colpa dell’alcol, si sentiva stranamente leggera, come se la testa fosse staccata dal resto del corpo e galleggiasse a qualche metro da terra. «Davvero, non… non preoccuparti. È stato bello. Cioè, mi è piaciuto Che cosa imbarazzante da dire. Spaventosamente imbarazzante. Se il suo potere glielo avesse permesso, avrebbe fatto sì che la terra si aprisse in due sotto i suoi piedi e la inghiottisse definitivamente. Purtroppo, però, possedeva una particolarità decisamente inutile in quel frangente, forse persino terrificante: l’ultima cosa che voleva era percepirsi attraverso la mente di Adrian. «E poi ormai è successo, quindi.» Si strinse nelle spalle, come a voler alleggerire la situazione. Di certo Adrian non poteva restituirle il suo primo bacio, perciò non aveva senso farne una questione tanto importante. Pregò internamente che l’archeologo non sospettasse nulla della sua mancanza di esperienza – dare il primo bacio a 26 anni era davvero imbarazzante, quasi patetico. «Se ti va potremmo… potremmo farlo di nuovo?» Domandò, incerta, inclinando appena il viso di lato per farlo combaciare meglio con quello di lui. Prese il viso del ragazzo tra le mani e si sollevò sulla punta dei piedi sino a posare le labbra su quelle di lui, abbastanza lentamente da permettergli di fermarla, se avesse voluto. Era raro che Serena decidesse di prendere l’iniziativa, ma quella sera era diverso. Si sentiva diversa. E voleva vivere tutte le inaspettate sorprese che quella serata le avrebbe riservato.
     
    .
  12.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I’m falling apart, I’m barely breathing. With a broken heart.

    Group
    Sindaco
    Posts
    6,842
    Reputation
    +3,691
    Location
    From Mars?

    Status
    Anonymes!
    Sic mundus creatus est - Così è stato creato il mondo. Si ripeteva all’infinito sullo schermo. Intrippato di fronte ad esso e alla disperata ricerca di un significato nascosto, Magnus seguiva con sguardo rapito i personaggi di Dark viaggiare nel tempo mentre affondava le dita nella coppa delle patatine per poi ritirarle verso la bocca così da inghiottirne una manciata. Le briciole ricadevano dai suoi comodissimi pantaloni della tuta fin giù al tessuto del divano. Se Isie lo avesse visto, lo avrebbe messo in punizione con la faccia al muro per almeno venti minuti, giusto il tempo che le sarebbe servito per snervarsi non potendo rivolgergli la parola lei stessa. Certo, quei venti minuti erano si una goduria per Magnus, che ogni tanto necessitava decisamente un po’ di silenzio e assenza della voce di Isolde, sempre pronta a ribeccare e richiamare la sua attenzione con qualche ottava di troppo. (?)
    Quando entrò per ricordargli che in circa due ore, sette minuti e ventisei secondi dovevano andare allo stramaledetto prom organizzato al liceo di Besaid, Magnus schiuse le labbra con un boccone di patatine ancora ferme ed inumidite sulla lingua, le dita affondate nella coppa, le sopracciglia appena increspate; insomma, tutto di lui se ne stava immobile sotto lo sguardo di Isie come a volerle dire “ti prego, giuro che per un mese intero mi toglierò le scarpe prima di metter piede in casa così da non insozzare il pavimento, ma risparmiami questa sofferenza adolescenziale”.
    Sarebbe stato bello anche solo credere che potesse funzionare. L’unica cosa che però fece effetto -e non su di lei, ma su di lui- furono le due strisce che tirò via dalla superficie del tavolino in soggiorno appena prima di uscire di casa, quando impettito nel suo smoking non faceva altro che passarsi la mano nei capelli ricci. In tutto quel grigiore, qualcosa sembrò luccicare all’improvviso nell’attimo stesso in cui le caviglie sottili di Isie apparirono in cima alle scale: lentamente, gradino dopo gradino, le gambe snelle della bionda ne accompagnarono la figura curata ed elegante fin giù al pian terreno, laddove Magnus l’aveva attesa per quello che aveva creduto essere un tempo incredibilmente interminabile. Non appena i suoi occhi stanchi si erano posati sulla silhouette della donna, le mani si erano strette in due pugni fermi e la schiena gli si era quasi completamente irrigidita. Come quando una folata di vento smuove le foglie secche dal terreno creando trambusto eppur naturalezza nel paesaggio, così quell’immagine aveva scosso pensieri che da qualche tempo a quella parte si erano perfettamente amalgamati alla sua quotidianità, tanto da mimetizzarsi ad essa e fargli credere addirittura di essersi completamente dissolti nel nulla. Ma quei pensieri, che più che altro erano paure, giacevano silenti nella sua mente e riapparivano in momenti come quello: Isolde, meravigliosa avvolta in quel vestito color crema puntellato d’oro nel mezzo, non poteva di certo aver davvero scelto di stare con uno come Magnus. Lui stentava ancora così tanto a crederci. La ragazza dovette sollevare la mano nella sua direzione e schioccare due dita davanti ai suoi occhi per richiamarlo al mondo terreno. Scus- bofonchiò il più piccolo dei Nyström, tossendo improvvisamente e lasciando che lo sguardo magnetico di Isie attirasse quello di lui al suo, decisamente più dolce e in fibrillazione. Cercò di ridarsi quindi un contegno, ricordandosi nuovamente come mai la ragazza fosse vestita così bene e dove fossero quindi diretti per trascorrere la serata. Aveva dovuto interrompere il bingewatching di Dark per quella stronzata. Stai benissimo. Forse un po’ troppo sfavillante, non stiamo andando al red carpet degli oscar. sentenziò lui, punzecchiandola. Ci provava a farle i complimenti, lo faceva davvero, ma non riusciva mai a risparmiarsi qualche commento che avrebbe potuto mandarla su di giri. Adorava quando increspava le sopracciglia e schiudeva le labbra per poi rivolgergli un’occhiata teatralmente incredula. Sapevano bene entrambi quanto Isie ci tenesse alla propria figura e quanto amore e attenzione riservasse ormai da diverso tempo a se stessa. Era, dopotutto, proprio una di quelle piccole cose che adorava e detestava di lei. Quando poi lei gli sistemò fra le mani un pacchetto di cartone con su la scritta amazon dicendogli di aprirlo, Magnus sapeva perfettamente che non avrebbe avuto davvero più alcun modo per svignarsela. Lo aprì scostandone il coperchio e vi trovò al suo interno il corsage ed i fiorellini da taschino che avrebbero condiviso. Tirò fuori entrambi, indossando il proprio e, dopo aver agguantato con delicatezza ma noia il braccio di Isie, l’aiutò a sistemarsi il suo. Dopotutto, sotto effetto di stupefacenti, forse c’erano addirittura possibilità che potesse divertirsi. Magari. Insomma.

    Giunti alla scuola, un gregge di gente se ne stava in fila per fare una foto sotto un arco spennacchiato ma almeno ricoperto di lampadine a risparmio energetico. Il tipo che scattava le foto sembrava appena uscito dall’isola dei famosi, ma quella ambientata nel 2134, con i robot e tutta quella roba fantascientifica. Quando giunse il loro turno -nel frattempo Isie aveva salutato una cosa come ventiquattro persone, Magnus zero- si sforzò almeno di afferrare la vita della bionda per stringerla appena a sé mentre tentava di sollevare gli angoli delle labbra in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. Due cose dolci insieme non aveva ancora imparato a farle, il più piccolo dei Nyström. Superata la prima sfida -i muscoli del volto ancora ticchettavano per lo sforzo di un sorriso- si addentrarono nella palestra, che a primo impatto gli ricordò un wc pubblico: sul soffitto, dei teli di stoffa bianca richiamavano il ricordo della carta igienica un po’ ovunque. Lo stronzo difatti neanche tardò ad arrivare: Wade apparve di fronte a loro esattamente due secondi dopo, accompagnato dalla bellissima Malice. Non potè evitare di scuotere la testa, roteando poi gli occhi al cielo senza avere neanche la minima intenzione di mascherare il proprio disappunto -esattamente come l’altro aveva fatto. Ah beh, guarda chi si vede! Attento a cosa bevi stasera, mofo, non si sa mai! un fruscio fastidioso ed inarrestabile, sentiva quella voce nei corridoi del Perception quasi ogni giorno e puntualmente gli veniva istintivo afferrare il manico della pistola con la voglia di piantargli un colpo almeno in una gamba. Insomma, niente di mortale, solo un po’ di dolore. (?) Ma per il bene di Isie provava a mandare giù il rospo, presto a furia di ingurgitare avrebbe avuto una bella gastroenterite però. Malice. Stai bene vestita. si complimentò in maniera piuttosto “singolare” con la ragazza ignorando completamente il commento / minaccia dell’uomo di fianco a lei. Ora vogliate scusarci, torniamo a fare come se non fossimo costretti a vederci tutti i giorni, o quasi. affermò facendo spallucce e voltandosi poi verso Isie, mentre con il braccio avvolto attorno alla schiena magra di lei se l’avvicinava di più, quasi volesse allontanarla dalle bad vibes del tipo, e la spinse quindi oltre la coppia, diretto verso il tavolo del punch laddove altri due tipi stranissimi stavano armeggiando con delle bottiglie di vetro e le caraffe del punch. Non appena ebbe lasciato la mano di Isolde per avviarsi al tavolo e servirsi da bere, il tizio prese ad urlare cose come “”Oh, quelli dello schiantoAAAOOO stanno autografando le mutand, corri!” e Magnus si ritrovò ad annuire e cambiare rotta, avvicinandosi nuovamente ad Isie per trascinarla via da quel pazzo. (?) Non sono abbastanza fatto per stare in questo posto, in mezzo a questa gente, sai cosa significa per me? si lamentò poco dopo, sospirando profondamente mentre si avviavano in direzione della pista da ballo, le luci si affievolivano leggermente per rendere l’atmosfera più intima mentre una musica lenta apriva le danze. Isie aveva giocato sporco: dirgli che ci sarebbe andata con qualcun altro se lui non avesse accettato non era regolare. Era naturale che gli desse fastidio, non avrebbe mai potuto accettare di affidarla a qualcun altro che non fosse lui. Non si fidava di nessuno, non avrebbe concepito niente, neanche uno sguardo di striscio posatosi su di lei. Vorrei tanto essere ciò di cui hai bisogno. sussurrò avvicinandosi a lei e stringendo la sua vita fra le proprie mani mentre si muoveva senza ritmo, avanti e indietro, cercando di imitare quello che facevano gli altri partecipanti. Loro, meno esposti alla luce ed esattamente nell’angolo meno trafficato della palestra, ruotavano silenziosi attorno alle manifestazioni d’amore più esplicite che potessero cogliere fra quelle mura. Anche Magnus avrebbe voluto concedersi qualche piacere in più, la soddisfazione di essere accomunato a lei anche ufficialmente, e non solo ufficiosamente. Eppure, tutta la situazione con Roger Lennox sembrava l’equivalente di un ostacolo impossibile da scavalcare, almeno fino a quando avesse vissuto vita propria. Forse c’era una scappatoia a tutto quello, ma aveva un prezzo che Magnus non si sentiva ancora pronto a pagare. D’altro canto, non voleva mettere Isie in pericolo, e quel segreto che ormai da diverso tempo condividevano sembrava ingigantirsi ad ogni passo. Magnus credette, come sentiva in quell’istante lui stesso, che i suoi occhi non riuscissero ormai neanche più a mascherare quanto tenesse a lei: erano forse l’unica parte di lui che non recitava mai. Rincorse una delle sua mani con la propria, ritrovandola per tenerla stretta palmo contro palmo, mentre le dita si intrecciavano alle sue. Abbassò lo sguardo su di esse, chinando il capo di lato e lasciando che le iridi grigiastre scivolassero sulla pelle candida di Isie, dal braccio fino al polso. Si avvicinò appena di più a lei tanto da riuscire ad avvertire il suo respiro dolce tintinnare nelle sue orecchie, il profumo che dilagava dalle sue narici fino ai polmoni, li riempiva di quelle note floreali che ormai conosceva a memoria. Io non posso chiedere di meglio, ma tu puoi ancora farlo… sussurrò alle sue orecchie, piano, come se avesse addirittura paura a dirlo. Eppure restò immobile, senza voltarsi a cercare il suo sguardo, altrimenti lei avrebbe annullato quel suo coraggio. Dopotutto, Isie aveva un potere su di lui che neanche Magnus riusciva a comprendere: era riuscita persino a trascinarlo a quella festa del cavolo, iniziava a pensare che avrebbe potuto costringerlo a fare ogni cosa nella vita, se davvero ne avessero trascorso il resto insieme. Se dal punto di vista più romantico avevano appena iniziato a conoscersi, da quello lavorativo sembravano camminare all’unisono, crescendo insieme e sviluppando una sorta di connessione che Magnus non aveva mai immaginato potesse avere con alcun essere vivente al mondo. Era la sua mente e il suo braccio, lo erano entrambi, e vi era sempre sufficiente spazio per le idee che mettevano nel mezzo. Bastava loro un’occhiata, per esempio al Perception, e già sapevano quale sarebbe stata la mossa successiva.
    Quando il lento terminò, Magnus si staccò appena da lei per tornare a guardarla negli occhi. Visto che ti ho accontentata venendo qui ed essendoci anche rimasto senza fiatare più di tanto, ti va ora di tornare finalmente a casa? Non ho alcuna intenzione di sorbirmi un altro urlo isterico da uno di quei tre sul palco. sentenziò, questa volta serissimo, mentre indicava stufato in direzione delle casse. Allungò poi una mano verso di lei attendendo che la sua si posasse sul proprio palmo e, quando lo fece, la trascinò via dolcemente verso l'esterno della scuola, laddove le lanterne illuminavano il parco antistante. Non aveva potuto darle neanche un bacio, Magnus non si concedeva momenti come quello quando erano in pubblico, e non per proteggere se stesso, ma per permettere ad entrambi di non invischiarsi in situazioni di cui sarebbe stato difficile dare delle spiegazioni, poiché scavare per riceverne alcune li avrebbe portati troppo a fondo.
    Non aveva nessun indole romantica, Magnus, ma quando Isie si fermò qualche istante per osservare il cielo stellato che si stiracchiava sulle loro teste, Magnus non potè far a meno di pensare a quanto effettivamente fosse contento di averla al proprio fianco, nonostante tutto. Tutto ciò che era accaduto, da quando l’aveva incontrata, era stato quello che l’aveva anche portato a provare dei sentimenti fortissimi per lei, neanche lo sapeva ancora cosa fosse l’amore, ma aveva il suo profumo e di questo ne era certo. La strinse a se avvolgendo le braccia attorno al suo busto e, inclinando il proprio capo in direzione del suo collo, premette le labbra su di esso per qualche breve istante. Era forse arrivato il momento di pagare quel prezzo e di averla quindi anche alla luce del sole?
    Non ho riletto. Ciaone.
     
    .
  13.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    All hype, no heart

    Group
    Vice
    Posts
    1,452
    Reputation
    +2,808
    Location
    kensington gardens.

    Status
    Anonymes!



    L'euforia affluiva nella vene di Malice e la costringeva, sotto forma di piccole scariche elettriche, a moto perpetuo. Sebbene la vecchia sé continuasse a prepararsi al peggio - gli ultimi mesi erano stati troppo belli per essere veri - la "nuova" non desiderava altro che lasciarsi sopraffare da Wade. Era insensato, per non dire estremamente pericoloso, ma frequentando il mercenario Malice si era scoperta capace di provare sentimenti che la paura aveva da tempo assopito. Come le farfalle nello stomaco, che giurava di sentirle agitarsi in un punto imprecisato dell'addome, scatenate e più febbrili con lo scorrere dei minuti che mancavano all'incontro con l'uomo. Lanciò un'occhiata obliqua all'orologio a parete che sorvegliava ticchettando il microscopico soggiorno. Dieci minuti e sarebbe piombato lì sconvolgendola come solo lui sapeva fare, imprevedibile, buffo e sexy in una volta sola, e lei doveva farsi trovare più pronta che mai. Non ad arginarlo, bensì a farsi travolgere. Wade era riuscito a colmare la distanza che le sue mani con i loro guanti da sempre creavano tra lei e gli altri, uno spazio vuoto della lunghezza delle sue dita tese. Le aveva odiate e, al tempo stesso, si era sentita sicura dietro la corazza degli arti superiori, lontana dal dolore e della sofferenza. Nell'abbassare gli occhi sullo specchio verticale, a Malice sembrò che il ticchettio dell'orologio gli si fosse insinuato dentro, dritto al posto del cuore. Dal riflesso, uno sguardo azzurrino le rivolse un sorriso incerto sistemandosi le pieghe del lungo vestito nero che si soffermarono sull'abbellimento di pietrucce all'altezza della vita. A destra e a sinistra roteò il busto, e riverberi di luce esplosero dalle gemme come piccole stelle notturne. Non era da lei tutto quel brillio. Di nuovo, la vecchia lei aveva alzato gli occhi al cielo e mostrato la lingua ad ogni San Valentino e prom che aveva mancato, perché a lei non interessavano quelle cose. Un anno solo aveva preso parte al famigerato ballo scolastico, solo perché sarebbe andata con Sam. E invece eccola lì a tormentarsi i lunghi capelli scuri che Isie aveva sistemato lateralmente con l'ausilio di una gran quantità di forcine e mollette brillanti a forma di stella ghiacciata -"dio mio Mal, ma stanno mai in ordine?"- gli occhi indugianti sulla vertiginosa scollatura, una v che a strapiombo sul seno. Aveva riposto la sua fiducia nelle mani di Isolde e l'effetto finale l'aveva lasciata a bocca aperta. La donna era andata via venti minuti prima, un turbinio di borse, tessuti e trucchi a farle da strascico insieme al profumo che si lasciava sempre dietro come una scia deliziosa, e Malice ancora non era riuscita a distogliere lo sguardo dallo specchio. Era strano, pensò, sentirsi più nuda di quando indossava gli abitini striminziti del Perception. Vulnerabile, era questa la parola giusta, dolce e spaventosa al tempo stesso. Anche quelle sensazioni facevano parte dell'effetto Wade. Come se avesse sentito i suoi pensieri, il campanello si mise a suonare impazzito, sbloccando finalmente i muscoli di Malice che volò alla porta. Wade era in perfetto orario. -Chi è?- chiese alzando la voce per farsi sentire attraverso lo spesso legno." Sono Batman." Arricciò il nasino, divertita. Odiava Batman. - Ha sbagliato porta: io aspetto Spiderman. - Non poteva ancora vederla, Wade, ma sorrideva già tanto da dare vita alle fossette sulle guance. Non riuscì ad aspettare più di tanto e spalancò la porta, impaziente di vederlo. La gravità ebbe la meglio anche sulla sua, di mascella, aperta in un sorriso sbalordito. - Oh wow! - Era la prima volta, in effetti, che il mercenario si presentasse con qualcosa di diverso dalla tutina rossa o dal vestito sbrilluccicante di Jessica rabbit. Non avrebbe mai di certo immaginato di vederlo in completo e con tanto di cravatta! La cosa curiosa? Le piaceva così tanto che non aveva pensato neanche per un secondo ai suoi vestiti in una circostanza particolare come quella: era pronta ad andare al prom con a fianco la tutina di latex aderente senza imbarazzo anzi, con estremo orgoglio. - Grazie, anche tu stai da urlo. - Fece un fischio d'apprezzamento - sapeva essere così scaricatrice di porto - stiracchiando poi le labbra in un sorriso affettuoso quando Wade le sistemò il corsage sul polso. - Hai pensato proprio a tutto vedo...- Dalle apparenze forse non si sarebbe detto che, fra pistole, maschere e battute oscene, in Wade si aprissero diversi e altri mondi. La ragazza aveva fatto presto a scoprire in lui una personalità attenta e precisa quando lo voleva, capace di un'accortezza a tratti disarmante. Fu colta alla sprovvista da quel bacio che, nonostante a fior di labbra, fu in grado di raggiungerla nel profondo. Si sarebbe mai abituata? Sperava di noi. "Mia signora, il suo destriero la attende, non certo perchè volevo sentirla appolipata a me già dal primo minuto, nono!" Scoppiò a ridere di una risata cristallina come acqua scrociante d'inverno. Lanciò nuovamente lo sguardo in direzione dell'orologio a parete mentre la risata si affievoliva e il collo tornava a raddrizzarsi. - Sono già 5 minuti esatti che non ti "appolipo", rimediamo? - Afferrò la piccola borsetta con la mano destra per poi imporgli di girarsi di schiena. Riuscì con qualche molta difficoltà a salirgli a cavalluccio sulla schiena, le cosce strette introno ai fianchi di Wade proprio come se fossero già in moto. Scalciando col tacco la sedia che aveva usato per arrampicarsi meglio e con le braccia intorno al collo dell'uomo, Malice allungò in avanti il braccio con la pochette. - Verso l'infinito e oltre! - Esclamò ridendo mentre la porta di casa si chiudeva alle loro spalle.
    Wade le faceva bene al cuore.

    Il tragitto sembrò scorrere veloce come il cielo sopra le loro teste e, in men che non si dica, si ritrovarono a camminare verso la scuola, le braccia unite alle estremità dalle mani intrecciate. Era pazzesco sentire il palmo caldo di Wade contro il proprio. "Certo che sarà fighissimo un prom americano in Norvegia, babes! Quello che ho passato negli States è stato proprio uno schifo quindi mi sento proprio euforico, che ne so magari danno la zuppa di balena al posto del punch!" La testolina mora e tutta onde di Malice si alzò verso di lui per guardargli il profilo affilato, le sopracciglia alzate dalla sorpresa. - Non è il tuo primo prom?????? - Non voleva sembrare scortese ma la notizia l'aveva stupita e, per quanto volesse, Malice non riusciva mai a nascondere le proprie emozioni. Le si leggeva in faccia tutto. Probabilmente se l'era sempre immaginato così, armato fino ai denti e un po' folle, ma probabilmente non era davvero nato con la tutina sexy e il chimichanga in mano. Un'ombra scurì l'azzurro cielo dei suoi occhi, in quel momento si rese conto di quanto ancora ignorasse di Wade e del suo passato. Fu una questione di istanti, nuvole passeggere scacciate via dalla mano di Wade che con un guizzo si stringeva di più alla sua. All'interno della scuola, Malice osservava ammaliata chiunque e qualunque cose le capitasse a tiro d'occhi, il viso illuminato. A differenza delle altre ragazze, non era mai stata ossessionata dal prom o dal matrimonio, quindi non aveva mai sognato ad occhi aperti su come sarebbero stati. Eppure, se ci avesse dovuto dedicare un pensiero, ballo e cavaliere se li sarebbe immaginati proprio così. Un ciuffo di capelli castani le attraversò la parte inferiore del campo visivo emanando una certa famigliarità che la spinse a decidere di voler sapere a che testa appartenesse. - Hermione! - Esclamò, la voce più alta del previsto a causa dell'emozione. - Ma guarda che bel pezzo di figo che sei... Hai anche lasciato i testi di testo a casa! CHE SHOCK! Chi è che è riuscita a fare l'impossibile? Io sto con --- - Non fece in tempo a finire la frase che un bolide di carne e ossa placcò l'ossatura fragile di Adrian, facendola temere di avergli rotto qualche cosa. Sospirò con la risata in bocca e in quel momento lo sguardo si posò su una ragazza poco distante da loro che osservava la scena. Malice roteò gli occhi in sua direzione come a dirle silenziosamente "mah, gli uomini". Dal modo in cui guardava Adrian, aveva capito che doveva essere la sua accompagnatrice. Le tese la mano stringendola con enfasi. - Io sono Malice, piacere! Non sai il miracolo che hai compiuto... Lanciò un'occhiata a Adrian che lottava per districarsi dalla stretta mortale di Wade. Non sembrava molto felice in quel momento, ma Malice sapeva che per invitarla lì, quella ragazza dai capelli rossi doveva essergli in qualche modo importante. E, per lei, solo quello importava. E poi, Serene le ispirava già simpatia. - Sento già che diventeremo grandi amiche. - Le rivolse l'ultimo grande sorriso, prima di lasciarsi prendere per mano da Wade. - Hai finito di pomiciare con la principessa? Sono un po' gelosa.- scherzò mentre, per mettersi in posa davanti a quello strano fotografo, gli metteva un braccio intorno al collo massiccio costringendolo a chinarsi un po' per far aderire le loro guance. 1, 2, 3... - VA BEEEENEEEE! - Urlò fortissimo, rintronata a sua volta dal grido di Wade nel timpano.
    Si era ripresa in fretta dal flash accecante perché aveva chiuso gli occhi. Non l'aveva fatto apposta, ci avrebbe guadagnato una foto oscena ma almeno aveva salvato le iridi dal friggersi. Sorrideva e sorrideva, le sembrava di non fare altro da due ore non-stop, tanto che le guance cominciavano a formicolarle. Era impossibile evitarlo e, riconoscendo Delilah nelle braccia che la strinsero improvvisamente da dietro, decise che avrebbe sopportato quel piccolo dolore in cambio di tanta felicità. - Ciao Deli. - Si incassò nelle spalle per stringerla meglio, prodigandosi poi nella piccola piroetta voluta dall'amica. - Come fai a splendere sempre in questo modo? - Era una domanda retorica, ma non era la prima volta che Malice si trovava a osservare la biondina come un lampo nel buio. Irradiava stalattiti di luce, Delilah, e non solo grazie ai glitter sulle guance. Allungò l'indice verso di lei, cercando di afferrarne e appiccicarselo in faccia. - Ecco, dammi un po' della tua luce.- Le fece l'occhiolino, la punta della lingua a incastro fra gli incisivi, visibili attraverso le labbra a sorriso. Lasciò che Wade si presentasse, ridendo come una scema alla sua battuta. Per fortuna anche Delilah sembrò trovare l'uomo curiosamente divertente, Malice appuntò mentalmente quello come uno dei tanti altri motivi che aveva per volerle bene. Neanche due passi che l'iperattivo Wady la spinse verso il magnifico esemplare di Isolde, unico nel suo genere - diffidate delle imitazioni. Era a dir poco strepitosa in quell'outfit da paura. Del resto, in fatto di eleganza Isie era sempre una garanzia. La abbracciò stretta subito dopo Wade, l'arto opposto a quello dell'uomo che le avvolgeva delicatamente le spalle, attenta a non rovinarle la pettinatura. - Grazie ancora per l'aiuto prima. Senza di te sarei venuta in pigiama. - Le disse piano all'orecchio un istante prima di lasciarla andare, senza però averle piantato un bacino sulla guancia. Wade si interruppe e, incuriosita da quella novità, Malice puntò lo sguardo alla sinistra dell'amica-boss. Gli occhi azzurri si assottigliarono posandosi sulla figura burbera di...- Magnus. - disse imitandone il tono piatto, quasi formale. Non l'aveva ancora inquadrato a dovere, e la sensazione scomoda che provava ogni volta si era acuita dopo le confuse confessioni di Isie. Non voleva che la dona soffrisse ancora, sopratutto se per uno come lui. - Ti ringrazio. Anche la tua permanente è venuta benissimo oggi. - E senza preavviso allungò il braccio a tastare i ricciolini che Magnus si ritrovava al posto dei capelli. Un affronto, ne era sicura, ma che le fece tornare il solito sorriso sulle labbra. Con un ultimo bacio lanciato a Isie con la mano, Malice accolse più che volentieri la proposta di abbuffarsi con indecenza. Attaccarono il buffet senza mezze misure, Wade la conosceva già talmente bene da tentarla con i suoi stuzzichini preferiti. Tra un bicchiere di punch - piacevolmente corrotto da qualcuno - e una pizzetta, Malice gridò un "FAE TI AMO" a random dopo aver visto l'amica multicolor a qualche metro di distanza da loro.
    Aveva appena posato il piattino che, poco distante, intravide Sam tra la folla. Subito gli indici e i pollici si unirono a formare un cuore che Mal fece anche palpitare con un movimento delle braccia. La sua piccola Sam. Un po' barcollante sui tacchi vertiginosi che Isie l'aveva forzata a indossare, Malice avanzò con le braccia tese verso l'amica ma, ancora una volta, fu preceduta dal suo esuberate accompagnatore. "-Sai.. sei esattamente come Mal ti descrive." Cercando di farlo mentre Wade non guardava, Malice indicò con l'indice il posteriore dell'uomo mimando con il labiale "hai visto che culetto?". Il punch corretto doveva esserle ormai arrivato anche alle punte dei capelli di Sam, perché non era certamente da lei minacciare qualcuno così. Si lasciò stringere, ricambiando l'abbraccio con forza. - E tu il mio, sunshine!- Rispose prolungando la stretta il più possibile prima di lasciar andare l'amica, continuando però a circondarle il fianco con un braccio. L'altro, più libero, andava a stringere la mano del tipo accanto a Sam. -È enorme!- le biascicò all'orecchio in quello che voleva essere un sussurro ma che forse aveva sentito anche il DJ dall'altro capo della palestra. In effetti, dalle loro basse stature, Adam sembrava un coso tutto muscoli e altezza. Un bel coso, insomma. - Fidati, ha parlato più a me di te! Sono così felice di conoscerti, io sono team Adam sin dall'inizio. - Al complimento di Sam, tornò a cercare il fianco tonico di Wade e ci si annidò contro, a incastro tra la spalla e il braccio dell'uomo. - Riportala a casa sana e salva altrimenti ti spezzo le bambine. Tivibi Sam, e anche a te Adamo!- Lanciò baci a tutti e in qualche modo riuscirono a farsi trascinare dalla folla, le sempre ancorata al fianco del mercenario. Ci si sarebbe fusa volentieri, fra quelle costole. "Sai che sei bellissima? E che mi fai sentire davvero felice? Capisci sei.. sei meglio di tutto e di tutti, sei... molto… meglio dei chimichanga! Sono davvero super duper entusiasta che tu sia qui con me, non potevo sperare in una date migliore! E va bene wii ora divento cheesy e puoi darmi un pugno in faccia. " Colta allo sprovvista, Malice piegò la testa di lato e lo osservò per qualche secondo, mortalmente seria. Come era riuscito lui a fare in modo che, dall'aver paura di sfiorare chiunque, Malice fosse passata a non poter fare a meno di toccarlo? In effetti, lo notava solo ora, per tutta la serata non aveva fatto altro che cercarlo con le mani, aggrappandosi ai lembi della giacca o ai passanti della cintura qualora lui avesse le mani impegnate altrove. All'improvviso fece una cosa che beh oddio, forse da lei ubriaca ci si sarebbe potuti aspettare. Preso fin troppo alla lettera, Malice diede un pugno sulla guancia di Wade. ALT NO PANICO.In fin dei conti si tratta pur sempre di un tappo di sughero con due braccia molli, forse non si può neanche definire pugno quello che provò a sganciare al mercenario. - OHMIODIOSCUSA! - Arrossì violentemente per l'imbarazzo - e per il punchhh grazie fae - tastando goffamente la guancia dell'uomo per assicurarsi che stesse bene. Era un po' stordita e decisamente presa in contropiede da tutte quelle emozioni che, doveva ammetterlo, la sconquassavano dall'interno. Gli buttò le braccia al collo, appendendocisi senza remore con viso affondato nell'incavo del suo collo. - Mi dispiace tantissimo. - Le veniva un po' da piangere - colpa dell'alcool - ma scoppiò a ridere (? la coerenza? ) quando Wade la rimise giù, tranquillizzandola. -Potrei essere un vero mercenario, che dici?- Si lasciò condurre al centro della pista e, una volta che il ballo più lento riecheggiò nella palestra, tutto il casino sembrò spegnersi, sostituito da mormorii affettuosi. Malice si tolse i tacchi che abbandonò per terra (col rischio di ammazzare qualcuno) e si strinse all'uomo, fronte contro fronte. Era un po' stanca ma, come se non avvertisse alcuna fatica, il corpo continuava a mandarle scariche elettriche lì dove si univa a quello di Wade. Salì con i piedi nudi sulle scarpe lucidissime dell'altro, le mani aggrappate alle spalle larghe e chiuse gli occhi. - In realtà volevo dirti una cosa anche io, prima. - Il respiro di Wade le scaldava le guance arrossate. - Non sono mai stata così felice come in questo momento. Come con te. - Aveva aperto gli occhi che, resi più azzurri dal trucco scuro, alla luce soffusa dardeggiavano in quelli di Wade. - E invece ti ho preso a pugni. Così, per coerenza. - Le scappò da sorridere, liberando anche le fossette sulle guance. Con una mossa da film anni 50, Wade la spinse in una giravolta con tanto di casquet finale che le arrestò il cuore. Si strinse con più forza a lui. Non appena le loro bocche si furono unite in quel bacio, la paura di cadere fu spazzata via in un istante. Quasi come grazie al battito d'ali di una farfalla.


    Non ho riletto, perdonate gli erroracci che sicuramente mi sono sfuggiti. Ancora, se ho dimenticato qualcuno con cui far interagire Malice please, let me know! Non l'ho fatto apposta, sono solo smemorata <3


    Edited by E.T.PhoneHome - 29/2/2020, 19:21
     
    .
  14.     +6   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    171
    Reputation
    +146

    Status
    Anonymes!

    SCANLAN "CYD" HANEGAN

    IRISH DRUG ADDICT .. ICE ICE BABY .. HOMELESS .. BARISTA BOLGEN


    Rimirava la propria immagine, l'obliato dannato, senza riuscire a distogliere lo sguardo da laddove vecchi sfregi e cicatrici continuavano a rammentargli quell'ingiusto ed infausto passato. Passato d'un altro uomo, ragazzo che ora crede di non esser mai realmente stato. Fonte e centro di mille e più dolori, Scanlan Hanegan difficilmente accettava l'angoscia e l'agonia ch'egli stesso, seppur ancora nel profondo, sapeva d'aver causato ad altri. Si sentiva a disagio nel proprio corpo di ragazzino, nel proprio volto ricoperto di sangue e bluastre macchie ad adornarlo. Eppure la ribellione dei propri capelli quasi bianchi venne placata, distrutta, e la sgualcita felpa bucherellata da una e più sigarette venne sostituita con uno scuro, grigio ed elegante completo, vestito rubato fatto a misura - per qualcun altro. Non v'era alcuna imperfezione, o almeno apparente, laddove un tempo puro caos aveva osato regnare. Non v’era alcun difetto laddove impertinente macchia d’indelebile peccato aveva sfregiato e crudelmente punito chiunque avesse cercato di farla cancellare o sgrassare. Perché v’era dell’unto, disgustosa e vomitevole sporcizia, nel passato di chi non osava mai più ricordare. Voragini aperte, voragini sommerse da tal asfissiante mosaico d’immagini, continuarono ad importunare il celeste sguardo che di rimando tristemente gli sorrideva. Ricambiò la smorfia, il debole fantasma di fronte al proprio antico riflesso, mentre il nodo d’un elegante papillon nero si stringeva, si arrotolava attorno al colletto, alla pelle come un cappio. Si sentì soffocare, ardere dal dolore che di lì a qualche ora, si sarebbe per sempre inflitto. "Perché cazzo gli ho scritto? Non verrà mai." [1] Indugiò sul cosa e sul perché di quel suo contaminare, continuar distruggere anche quando desolata, l’ormai bramata landa d’un sfarzoso castello, era già precedentemente stata rasa al suolo, del tutto abbattuta. Un’impagliata fortezza, del tutto inesistente attorniata da leggiadre e flebili carte che, come l’ultima speranza all’interno d’un animo ormai tumefatto riposava, sarebbe per sempre scomparsa, scemata nel vento di pura e perfida vergogna. «Potrei vomitare, cazzo.» Sospirò agganciandosi alla pregiata stoffa che, come infido cappio, continuava a minacciar esatta sentenza. Se solo si fosse animata cercando una qualche stupida via d’uscita, egli spirando avrebbe molto probabilmente innalzato un unico e giubilo grido di vittoria: nonostante la fortuna segnata dalla fama dell’essersene per sempre andato, egli sarebbe morto sentendosi forse per un sol istante vivo... se solo lui si fosse presentato.

    No. Alcun ardente, infuocato corpo se non il suo apparve all'entrata dell'infame palestra che con al quanto ridicole celebrazioni, l'aveva indotto a provarci seppur non in maniera esplicita, del tutto nascosta, quasi segreta. Sospirò accendendosi l'ennesima sigaretta della serata mentre lievemente tirato, il completo come un busto, armatura pesante, gli limitò più di qualche movimento. Inveì silenzioso, l'irlandese, mentre la sigaretta veniva alternata a qualche piccola, circolare e colorata pasticca. Fu sul punto d'andarsene calciando l'asfalto, urlando al cielo per la propria ingenua ed infantile stupidità, allontanarsi senza mai più voltarsi quando coppia dopo coppia, il parcheggio dinanzi l'imponente e grosso edificio non si riempì, facendo suonare nella sua testa mille ed uno campanelli d'allarme. La cosa gli piacque, l'affascinò e lo eccitò allo stesso tempo costringendo lo scheletrico corpo a roteare su se stesso assieme a pupille celesti, del tutto dilatate. «Vai a farti fottere. - Sei veramente grassa. - Madonna, ma che ti sei messo in testa? - Levati dal cazzo. - Ehi amico, stasera non te la dà quella.» Sorriso, risata, ringhio, urla. Cyd si fece largo tra la folla a suon di schiettezza ed insulti prima di raggiungere in definitiva l'altarino degli scemi all'entrata. Si sfregò le mani quasi contento, il perfido ragazzino, mentre cacciando la lingua fuori in un gesto tra saluto e follia, non s'avvicinò al corpo chino d'una ragazza avvolta di rosso intenta a cercare... Lola?! «Non ci credo... Ciao squilibrata!» Sorriso a cinquantasei denti pallidi, bianchi quanto pelle e capelli, Cyd schioccò la lingua osservando l'ex, la stessa donna che da lì a qualche mese l'aveva costretto a sopravvivere dietro il magazzino del Bolgen e l'aveva cacciato a suon di cocci, piatti e bicchieri infranti. «No no no no nono no...» Cominciò come una litania, sinfonia d'una maledizione nascosta, quel continuo e lento lamento della ragazza ora arrabbiata, ora sconvolta, ora delusa mentre ancor silenzioso, l'irlandese assaporò quel piccolo momento di folle vittoria, vendetta. Anche se mai veramente sua, ella gli tolse la casa, una vita che poteva esser simile al normale, una... cazzate. S'era fottuto tutto nel momento esatto in cui decise di portarsi a letto qualcuno di cui non solo aveva già dimenticato il nome, ma persino il volto. Aveva rubato, maledetto, distrutto qualsiasi cosa - materiale e non. Tra tutti i gironi ardenti dell'Inferno, egli l'aveva toccati tutti. Così si cucì le labbra in quell’ambigua maschera di pura gioia, pura allegria tanto consone, tanto vicina all’evento. Un tripudio d’amore e felicità e, nonostante gli venne da pisciarci sopra con un bel rutto finale, il reietto per eccellenza ne rimase estasiato.L’accompagnò dentro, ci si fece la foto e accettò quel primo riluttante ballo senza proferir mezza parola, tentare anche solo un qualche tipo di attentato in quanto egli, di presenza e basta, riuscì a mandare fuori di testa la ragazza. Non si preoccupò troppo dell’intervallo in cui Lola scomparve, anzi, stupendo più di qualcuno in sala se ne rimase immobile ad aspettare, paziente e tenace in quella postura a lui tanto sconosciuta, distante. Vi si aggrappò con feroca, quasi violenza, fermo immobile su quel punto, quel pensiero che riuscì a stenti a cacciare l’altro realmente rosso, realmente in fiamme e non solo d’apparenza, d'immagine. Fu sul punto di crollare, abbassare le barricate mentre un altro stupefacente di dubbio gusto e natura sfiorava le sue labbra sottili. Un calmante? Xanax. Sedativo per cavalli. Medicina per il macello. Cosa? Sospirò, Cyd, in preda a quella continua guerra nel petto, ghiaccio contro fuoco, fuoco contro ghiaccio. Fece qualche passo avanti e indietro mentre isterica, Lola sembrò fare tutto da sola, dal litigare, urlare a sparire di nuovo. Sulle prime non la rincorse né disse nulla ma rimase nuovamente immobile come imbambolato, intrappolato nella cruda realtà del suo tempo: nessuno sarebbe arrivato per restare né mai l’avrebbe accettato. Si morse un labbro tra il triste ed il desolato mentre sguardi e parole indiscreti su possibile teatrino o scenetta ch’egli come un scimmione avrebbe potuto tirar su e trasmettere, gli scivolarono addosso come l’intera serata. Che fine aveva fatto Cyd? Che fine stava facendo la sua vita? "Ma che cazzo sto dicendo." Più un'affermazione che tempestiva domanda, il condannato scosse la testa con furore mentre più veloci del suo stesso pensiero, i piedi si rimisero in moto. Cercò banalmente a stento di capire che direzione la ragazza avesse potuto aver preso, ritrovandosi a setacciare un po' a caso un po' per nascosto divertimento gli angoli più remoti della palestra. Un magazzino. Uno spogliatoio. Un corridoio che portava a chissà che cosa. Un ufficio. I bagni? Cazzo. I bagni. «Piccole zoccolette, vi levate dalle balle?» Aprì la porta dei bagni femminili con un certo tipo di serietà in viso, voce profonda e perentoria. Alcun sorriso o malizia colorò il suo volto e nessuno dei presenti osò contraddirlo o contrastarlo. Alcune ragazze intente a truccarsi uscirono in fretta tacitamente maledicendolo ed odiandolo. «Ehi rossa, lo so che sei qui.» Dita e mani tinte d'inchiostro danzarono lungo il petto alla ricerca del maledetto papillon annodato attorno al collo che con non poca fatica ed impazienza lo slegarono. Si tolse la giacca con fare lento, quasi calcolato, per poi poggiarla sopra un lavandino accanto. «Lo so quanto ti piacciono queste puttanate, Lola.» S'abbassò a controllare dove fosse, cubicolo dopo cubicolo, cercando mentalmente di ricordare del bello in mezzo a tutto quel marcio fra litigate, offese e botte in cui lei spesso professava ogni qual volta egli mutava, si trasformava in un vero e proprio animale. [2] «Lola?» Rosso acceso come il sangue, la rabbia, l'amore, il fuoco. Colse la stoffa colorata del suo vestito con un po' di titubanza per poi raddrizzarsi e con tocco leggero cercar di spostare la porta, aprirla. Con sua sorpresa la trovò aperta e ci mise poco ad incrociare lo sguardo carico d'angoscia e furore gemello al suo ma tinto d'odio nell'incontrarlo. Cazzo. Era bellissima. «Mhm.» Si morse un labbro, il dannato, mentre un sottile e chiaro sopracciglio s'incurvò con quel fare ambiguo, malizioso. Eccolo, Cyd. Egli non fu né mai sarebbe stato fidanzato, coniuge o compagno di qualcuno. Era moralmente impossibile. Eppure era la sua perdizione ad attirare e respingere, insetto sopra miele, insetto sopra catrame. Si morse il labbro ancora, un passo per volta sino a raggiungerla, quasi sfiorarla. Non parlò, non disse nulla, il respiro acre pregno di fumo a confondersi con quello di lei, dolce, zuccherato. «Mhm.» Provò a baciarla. Provò ad avvicinarsi ancora, prenderla come quando dopo ogni litigata, schiaffo, urla, ella si faceva prendere mutando frustrazione, rabbia e dolore in puro e carnale sfogo. Forse era per questo che quella strana e malsana relazione era riuscita a durare quant'è durata: diventavano una cosa sola, corpo contro corpo, in quel coro di gemiti ed ansimi ad odiarsi a vicenda persino nel sesso. E per un periodo Cyd ne sarebbe rimasto convinto: sarebbe rimasta la migliore nel suo harem immaginario di creature ammaliate, prese, accarezzate, baciate e addirittura violate. Cercò d'approfondire il bacio mentre invadente, la lingua si fece strada tra morbide e carnose labbra finché mani, dita, braccia sporche d'inchiostro non l'avvolgevano in vita, perlustravano, toccavano. «Fammi vedere quanto mi odi.» Lieve ed appena percettibile, Cyd si lasciò sfuggire un sussurro mentre languide, le labbra carezzavano prima un orecchio sino a delinearne il collo. Non sembrò ribellarsi. Anzi. Fuoco. Si sentì tutto un fuoco. Impazzì. Fuoco. Volle combatterlo e nel combatterlo la baciò ancora e ancora e ancora. [3]


    --------
    [1] mi riferisco al sms mandato a roy.
    [2] in questa role qui Cyd viene sfrattato di casa da Lola e decide di trasferirsi al Bolgen
    [3] non ha ancora accettato né sa come farlo il fatto che gli possa piacere un uomo, quindi lo combatterà con tutte le sue forze

    <3 e niente. è un cyd un po' diverso dal solito ma spero che vi possa "piacere" almeno un pochino! besos
     
    .
  15.     +7   +1   -1
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Member
    Posts
    8,416
    Reputation
    +712

    Status
    Anonymes!
    tumblr_mlhb9zXjph1r91jaao1_250

    ISOLDE JASMIJN DEWITT-LENNOX ➽
    #Magsie - prom

    Sistemò l’ultima forcina tra le ciocche ribelli di Malice e le rivolse un sorriso soddisfatto, battendo tra loro le mani pallide. «Ecco fatto. Sei stupenda. Wade resterà senza parole!» La voce delicata risuonò piena di allegria ed eccitazione mentre, trafelata, Isolde indossava il lungo cappotto di pregiata lana grigia. Si era messa davvero d’impegno per aiutare Malice a prepararsi per la sua prima uscita formale in pubblico assieme a Wade e, doveva ammetterlo, il risultato finale era davvero strabiliante. Malice era bellissima e, se non fosse già stato cotto a puntino, la sua sola vista avrebbe fatto innamorare il mercenario seduta stante. «Mi raccomando, cerca di non giocare con i capelli sino a stasera. E magari passaci un’ultima spruzzata di lacca, prima di uscire.» Si sporse verso Malice e le lasciò un bacetto sulla guancia morbida, i gomiti piegati a reggere due pesanti borse ricolme di ogni tipo di bene di vitale importanza per l’occasione. «Ci vediamo più tardi, dolcezza.» La salutò con un ultimo sfarfallio delle dita sottili, sormontate da unghie curate in una graziosa french manicure, e sparì oltre la porta. Qualche minuto più tardi, la sua fiammeggiante decappottabile rossa – con la capotte chiusa, data la temperatura invernale - sfrecciava a tutta velocità per le strade di Besaid. Parcheggiò nel vialetto del complesso in cui abitava e, destreggiandosi sugli stivaletti col tacco, raggiunse l’entrata. La chiave scattò all’interno della serratura e Isolde entrò in casa, carica di borse piene di abiti, cosmetici e accessori per i capelli. «Magnus?» Chiamò, lasciando il materiale alla base delle scale, avanzando verso la zona giorno. Superato il corridoio, la scena che le si presentò in salotto era esattamente la medesima di qualche ora prima, quando prima di dirigersi a casa di Malice si era fermata per una rapida sessione di pettegolezzi e messa in piega, durata qualcosa come due ore e mezza, dalla parrucchiera: seduto sul divano con indosso quegli orrendi pantaloni della tuta, Magnus stava ingurgitando manciate di patatine untissime e insalubri, lo sguardo fisso sullo schermo del televisore. Il sopracciglio destro non potè che svettare appena verso l’alto, tradendo un certo disappunto. Piccata, aprì la bocca ma, ripensandoci, la richiuse immediatamente. Non era il caso di litigare proprio in quel momento. Una discussione avrebbe fornito a Magnus la scusa perfetta per rinunciare al Prom di quella sera e, dato l’entusiasmo con cui il sicario aveva accettato di accompagnarla, dopo che in risposta alle sue lamentele Isolde si era limitata a scrollare le spalle e rassicurarlo che, se lui detestava profondamente l’idea, avrebbe trovato un altro accompagnatore. Per un istante, l’espressione sul viso di Magnus si era gelata. Preso in contropiede, l’aveva fissata in silenzio per un paio di secondi, forse valutando mentalmente se avrebbe davvero messo in atto quella minaccia e, infine, aveva ingoiato il rospo con la stessa espressione contrariata di un bambino obbligato a finire le verdure. Ah. Aveva forse toccato un tasto dolente? Facendo appello a tutta la – poca, pochissima – pazienza di cui era dotata, si obbligò a scacciare il pensiero delle macchie di unto e dei germi che avrebbero pullulato sul suo nuovissimo divano color tortora. “Calmati, Isie. Potrebbe andare peggio. Potrebbe posare i piedi sul tavolino da caffè.” E quella, miei cari, sarebbe stata una vera e propria sentenza di morte. Si schiarì la voce per attirare la sua attenzione – diamine, non solo non l’aveva salutata, ma non aveva nemmeno notato la sua nuova piega, con la riga laterale anziché al centro! – e rivolse a Magnus un sorriso, gli angoli delle labbra un po’ troppo tirati perché risultasse sincero; a dirla tutta, le iridi chiare brillavano in maniera quasi inquietante. «Vado di sopra a prepararmi. Dovresti iniziare anche tu, mancano circa…» Gettò un’occhiata all’orologio in salotto. «due ore, sette minuti e ventisei secondi all’inizio della festa.» Gli ricordò, sostenendo il suo sguardo senza vacillare, la mente troppo occupata a resistere all’impulso di correre a recuperare lo spray igienizzante. Invece, con grande autocontrollo, sparì al piano di sopra per una seconda sessione di trucco e parrucco. Quando scese di sotto, quasi due ore più tardi, il fisico magro era fasciato da uno sfavillante abito pieno di applicazioni di svarowksi no, non il dottore, miste a un tessuto semi-trasparente che sfociava in un teatrale effetto vedo-non vedo. Probabilmente era un po’ eccessivo per una festa organizzata alle scuole superiori di una minuscola città come Besaid, ma chiunque conoscesse Isie sapeva che era una ferma sostenitrice del fare le cose in grande. Tuttavia, più che per mera vanità, la giovane imprenditrice desiderava che quella serata fosse perfetta per un motivo ben preciso: per la prima volta da quando avevano raggiunto una precaria sintonia, lei e Magnus avrebbero partecipato a un evento formale insieme. Certo, in mezzo ad occhi indiscreti e sconosciuti avrebbero comunque dovuto evitare palesi manifestazioni di affetto che avrebbero potuto tradire in qualche modo ciò che nascondevano a porte chiuse, nelle rispettive abitazioni o tra le mura del Perception ma, per lo meno, avrebbero potuto trascorrere una bella serata; il Prom, dopotutto, era la scusa perfetta per mantenere una certa vicinanza fisica senza destare sospetti. Sentendosi emozionata al pari di un’adolescente, Isie si ritrovò a tremare appena nel scendere le scale, il respiro eccessivamente lento e controllato nel tentativo di controllare il battito cardiaco più accelerato del normale. Lo sguardo chiaro, con la pupilla talmente dilatata da rendere il contorno azzurro solo un mero confine, rimase indissolubilmente fermo su Magnus, l’unico punto fermo della sua esistenza, perfetta metafora del Nord verso cui, come l’ago di una bussola, Isolde si volgeva costantemente attratta da una forza invisibile. Era insolitamente elegante, la linea delle spalle esaltata dalla giacca di uno smoking scuro, i lineamenti pallidi ed affilati e gli occhi chiari che spiccavano in quel contrasto di colori. Lo squadrò da capo a piedi e le labbra rosse si incurvarono in un sorriso malizioso. Le piaceva ciò che vedeva, eccome. «Sei pronto?» Gli domandò una volta che lo ebbe raggiunto, sistemandogli delicatamente la cravatta. Roetò gli occhi al cielo alle sue parole, rifilandogli un piccolo colpetto sul petto. «Grazie. Anche se avresti potuto fermarti a “Stai benissimo”.» Replicò, leggermente piccata. Conosceva ogni aspetto di Magnus ed era conscia della sua indole brusca, talvolta persino rude, assai lontana da smancerie e complimenti verbali. Lo amava anche e a dispetto di quel suo modo di fare e, anche potendo, non avrebbe cambiato nulla di lui – beh, forse due o tre pessime abitudini – ma, come donna, voleva essere attraente e desiderabile, ai suoi occhi. «Mi piaci così.» Replicò. «Dovresti indossare più spesso qualcosa di simile.» Glielo ripeteva in continuazione ma, puntualmente, Magnus si presentava con t-shirt slavate e orridi pantaloni della tuta che, pur mettendo in risalto il suo fondoschiena, erano così casual da procurare ad Isolde l’impellente bisogno di spogliarlo o, in alternativa, accarezzare assiduamente il suo paio preferito di Louboutin. Lanciò a Magnus un’occhiata soddisfatta. «Credo che stasera mi divertirò molto a svestirti.» Disse, in maniera innocente e casuale, quasi stessero parlando del tempo. Nell’incontrare il suo sguardo, però, non riuscì a nascondere un lampo di malizia, mordicchiandosi il labbro inferiore. Gli mise in mano un pacchettino ripescato dalla pochette. «Aprilo.» Lo incitò, divertita dalla sua espressione sorpresa. In realtà, la tradizione avrebbe voluto che fosse il cavaliere ad occuparsi di dettagli come il corsage ma, previdente e maniaca del controllo com’era, Isolde aveva giocato d’anticipo, sospettando che Magnus non fosse nemmeno a conoscenza di quali fossero le prassi dettate dal galateo. Seguì i suoi movimenti con lo sguardo, orgogliosa di condividere quel piccolo cadeaux che li distingueva dal resto delle coppie.
    All’ingresso, un nutrito gruppo di persone appositamente imbellettate per l’occasione, attendeva il proprio turno di scattare una foto ricordo. «Oh, anche le foto. Che cosa carina!» Trillò, emozionata, battendo tra loro le mani e voltandosi verso Magnus per prendere posizione. Posò una mano sulla spalla dell’uomo e sorrise in direzione della macchina fotografica, ma il fotografo – una sorta di robot all’avanguardia – li tenne fermi sul posto per almeno tre scatti, a tal punto che verso la fine Isie si ritrovò a battere freneticamente le palpebre, accecata dalla luce del flash. Se la foto fosse venuta bene avrebbe sempre potuto sistemarla in una cornice e ritagliare un piccolo spazio sul comodino o sul caminetto in salotto. Doveva ammettere che per essere all’interno di una scuola, il risultato finale delle decorazioni del Prom era davvero sorprendente. Teli bianchi di seta ricoprivano il soffitto, intonati ai festoni delle tende, e diverse luci erano disposte lungo le pareti della sala – forse una palestra? – in modo da creare un’atmosfera soffusa; peccato, però, che il led fosse un po’ troppo freddo per dare il risultato sperato. Guardandosi attorno, Isolde scorse qualche viso conosciuto e, rivolgendo larghi sorrisi che avrebbero potuto illuminare la stanza, si assicurò di salutare quello e quell’altro, senza lasciare il fianco di Magnus. Poco distante, riconobbe il profilo di Delilah, fasciata da un outfit tutto tulle e trasparenze. “Uh, sexy!” Ricambiò il saluto della ragazza e mandò un bacetto volante in direzione di Niko, facendogli l’occhiolino. Aveva scelto davvero un’accompagnatrice d’eccezione. «Boss! Boss! Ciao, come sei bella, woot woot!» Wade, adorabile come sempre, si fece largo tra la folla, trascinando con sé Malice. Isie sorrise ad entrambi, gli occhi chiari che correvano dall’uno all’altra. Le piaceva vederli assieme, li trovava molto teneri e l’idea che l’amore fosse sbocciato anche grazie al Perception, la faceva sentire un po’ come la Cupido della situazione, solo più bionda, donna e sensuale. «Il mio bodyguard preferito!» Esclamò, avvicinandosi per salutare entrambi e distanziandosi, così, di qualche passo da Magnus. «Honey, so quanto sei affezionato alla tua divisa da lavoro, ma… wow. Dovresti metterti in ghingheri più spesso. Sono sicura che la tua bellissima dama concorda con me!» Scherzò, rivolgendo un’occhiata d’intesa a Malice, ancora più bella di come l’aveva lasciata quel pomeriggio. In compagnia di Wade risplendeva, raggiante. “Ah, l’amore.” Nel mentre, non le era sfuggita l’espressione sorpresa di Wade, quando si era accorto che il suo accompagnatore era proprio Magnus.«Ho dovuto trascinarlo fuori di casa, altrimenti avrebbe passato tutta la notte a guardare qualche strana serie tv. Di quel passo mi avrebbe sformato il divano.» Ironizzò, senza alcuna serietà, allungando una mano a toccare il braccio di Magnus in un gesto delicato, ma affettuoso. Ricambiò l’abbraccio dell’amica per poi scrollare appena la mano. «Oh, sciocchezze! Sei stupenda di tuo, io ho solo dato il tocco finale. Sono a tua disposizione per ogni occasione, tesoro.» Era il minimo che potesse fare dopo che Malice si era subita i suoi pianti sconnessi e l’instabilità emotiva di cui era stata preda durante la rottura con Magnus. Le sarebbe sempre stata grata per la dolcezza e il sostegno che le aveva dedicato, pari unicamente a quello che aveva sperimentato durante l’infanzia. Malice era preziosa e Isolde non lo avrebbe mai dimenticato. Rassegnata, si scambiò un’occhiata divertita con la giovane mentre i rispettivi accompagnatori si cimentavano nell’ennesimo battibecco, più divertita che seccata. La sua espressione però cambiò repentinamente quando udì il complimento che Magnus rivolse a Malice, ma prima che potesse intervenire, chiaramente indignata, per difendere non solo Malice ma anche l’operato per cui aveva speso ore e una quantità indefinita di fermacapelli, la ballerina gli rispose a tono, allungando persino una mano a toccare i ricci di Magnus. Isolde ridacchiò apertamente, scambiando un’occhiata solidale e profondamente femminile con Malice. «Touchè.» Sussurrò a Magnus mentre, salutata la coppia, si dirigevano verso il tavolo delle bevande, la mano di lui posata sulla sua spalla a circondarle le spalle in un abbraccio e guidarla attraverso la folla.«Non sono abbastanza fatto per stare in questo posto, in mezzo a questa gente, sai cosa significa per me?» Con un movimento delicato, Isolde cercò la mano di Magnus, le dita che si sfiorarono dolcemente prima di intrecciarsi in una presa morbida, gentile, ma salda. Un piccolo gesto che, forse, avrebbe potuto trasmettergli un po’ di conforto. Sebbene Magnus spesse essere irruento e catastrofico anche per piccole cose, osservandolo nel corso degli anni Isolde aveva compreso che una parte di lui si sentisse realmente estranea agli ambienti sociali, in particolare quelli in cui si riunivano individui dal temperamento eccessivamente espansivo o colorito. In un certo senso, e al di là delle naturali differenze personali, il rapporto tra Magnus e Wade ne era l’esempio lampante. «Non dobbiamo stare per forza in mezzo a loro.» Replicò, dolcemente, raggiungendo un angolo non troppo illuminato della pista da ballo. Desiderava passare del tempo con lui, concedersi una serata fuori dal rifugio sicuro della loro intimità, ma non così tanto da arrivare consciamente a turbarlo. «L’unica persona che mi interessa sei tu. Siamo io e te. Dimenticati del resto.» Da quando si erano chiariti e il loro rapporto aveva intrapreso uno sviluppo più stabile e scorrevole, Isolde aveva rivalutato consciamente le proprie priorità, accettando che Magnus occupasse il primo posto della lista da più di tempo di quanto era disposta ad ammettere ad alta voce. «Prometto che non resteremo a lungo. Sarei di nuovo a casa, in tuta, prima di quanto immagini.» La sua voce si addolcì ulteriormente mentre, nel pronunciare quelle parole, Isolde ripensava a quel pomeriggio. Spesso e volentieri le abitudini di Magus mal si accordavano con quelle di Isolde, in particolare le più recenti sviluppate in seguito alla morte di Gregory e alla consuetudine di non dover più condividere i propri spazi, ma i picchi di irritazione momentanea divenivano superflui, inutili, quando si soffermava a pensare a piccole scene di vita quotidiana a cui, in realtà, non avrebbe mai rinunciato. Magnus seduto sul divano davanti a qualche programma televisivo, ad attenderla di ritorno da chissà quale commissione, era una di quelle. Ora aveva qualcuno da cui tornare. Aveva lui. «Vorrei tanto essere ciò di cui hai bisogno.» Si fece più vicina a lui, le mani che anziché fermarsi sulle spalle circondarono il collo di Magnus, in un abbraccio più intimo dei contatti che si erano concessi sino a quel momento, come se, in quelle sue parole, si nascondesse il timore che d’un tratto il sicario potesse dissolversi nel nulla. Aveva rischiato di perderlo una volta, non lo avrebbe sopportato se fosse accaduto una seconda. «Credi davvero che io possa aver bisogno di altro?» Cercò il suo sguardo, alla ricerca di una reazione sincera. Anche se non lo aveva mai ammesso, le incertezze di Magnus la spaventavano. A dispetto delle apparenze, Isolde non era un’ingenua. Sapeva che le preoccupazioni di Magnus erano fondate e che, trasformando i loro tete-a-tete in qualcosa di più profondo, avevano complicato ulteriormente la vita di entrambi, stringendo volontariamente il metaforico cappio al collo. Era solo questione di fortuna – forse di tempo, od entrambi – prima che commettessero un errore e la spada di Damocle si abbattesse su di loro. Sarebbe stato illusorio pensare di poter vivere come stavano facendo per sempre, al sicuro, lontani da ogni pericolo. Purtroppo, però, il mondo della corruzione era l’ambiente più imprevedibile e sporco di tutti, qualcosa di cui anche due persone come loro, vicine e protette dai pesci più grossi, dovevano preoccuparsi. Presto o tardi sarebbe giunto il momento di prendere una decisione e, se la Dea Bendata avesse deciso in loro favore, con un piccolo aiuto avrebbe potuto congiungersi con il momento propizio per compiere una mossa plateale e definitiva. Per Isolde, aveva senso rischiare. Era evidente, chiaro come il sole a mezzogiorno: accettare le condizioni ed i soprusi altrui ti dilaniava giorno dopo giorno, strappando ogni briciolo di liberà e sino a trasformare le persone nel guscio di ciò che un tempo erano state. Non avrebbe permesso che accadesse a Magnus. «Per un periodo, ho avuto tutto quello di cui avevo bisogno, forse persino di più. Ma non era quello che volevo.» E in quella sottile differenza vi era un baratro incolmabile. Non avrebbe accettato passivamente qualcosa che non desiderava, tantomeno qualcuno. Le lunghe dita di Magnus si chiusero attorno alla sua mano. Palmo contro palmo, Isie percepiva il suo calore contro il proprio, concentrato in quell’unico punto, come se i loro cuori, speculari e congiunti, si fossero uniti in quel breve contatto. L’odore familiare di Magnus la circondò in un abbraccio invisibile. Era quasi doloroso averlo così vicino senza poterlo baciare. Gettò una rapida occhiata alle sue labbra, il profilo aguzzo, mentre lui si sporgeva verso di lei, così vicino da sussurrarle all’orecchio. Dopo qualche secondo di silenzio, Isolde scosse il capo. «No. Non è vero.» Inspirò. «Sarebbe più semplice se fosse così, ma io e te… in noi non c’è nulla di semplice.» “Non nel lavoro, non nelle amicizie, in nessun aspetto della vita.” «Non siamo fatti per un lavoro d’ufficio, una coscienza pulita ed una vita tranquilla. Noi non apparteniamo a quel mondo.» Stranamente, non vi era rimpianto nelle sue parole. «Non mi serve niente di meglio di quello che ho adesso.» Anche provandoci, non sarebbe riuscita a fare a meno di lui ed andare avanti, creando una nuova vita di cui Magnus non avrebbe fatto parte. Era illusorio anche solo pensare a una tale possibilità. Proprio come Magnus, Isolde non era in grado di mettere distanza tra loro e, soprattutto, non aveva intenzione di farlo. Nessun altro avrebbe potuto amarla, comprenderla. Magnus conosceva quasi ogni suo piccolo segreto, tutto ciò che era bello in lei ed anche, in particolare, i suoi lati più mostruosi. Il fatto che fosse in grado di amarla comunque, lo rendeva la cosa migliore che avrebbe potuto chiedere. La musica sciamò ed il lento terminò. Nel sentire le parole di Magnus, Isolde sorrise, l’ombra di una risata che si disperdeva nella canzone successiva. Doveva dargli ragione, almeno su quello. «Hai ragione. Ti sei meritato un po’ di clemenza.» Scherzò, posando la mano sulla sua con un movimento elegante. «O forse no. Mi sento particolarmente fastidiosa, stasera.» Aggiunse, lasciando che la scortasse sino all’uscita. La serata era stata piacevole ma, potendo scegliere, Isolde preferiva trascorrere ciò che ne restava in casa, dove erano liberi di essere sé stessi, briciole di patatine e pantaloni inguardabili compresi. Fuori dall’edificio, l’aria invernale si insinuò sotto la giacca elegante, facendola rabbrividire appena. Era una notte limpida, priva di nuvoloni minacciosi carichi di pioggia. Il cielo era sgombro e scuro, un manto di velluto su cui risplendevano una miriade di stelle, brillanti come gemme preziose. Era uno spettacolo mozzafiato. Strinse delicatamente la mano di Magnus e ne carezzò il dorso con il pollice, trattenendolo debolmente. Avvertendo lo sguardo argenteo del suo accompagnatore su di sé, si girò nella sua direzione, alla ricerca di una muta risposta. Seppur distratta, modificò istintivamente la propria postura per accoglierlo in quell’abbraccio, gli arti che si stringevano delicatamente attorno alle sue spalle e dietro la sua schiena, in perfetta armonia con i movimenti di lui. Percorse la sua schiena con i polpastrelli della mano destra, in una lenta carezza che terminò tra i capelli ricci e morbidi. Il respiro di Magnus le sfiorava la pelle, procurandole dei piccoli brividi per lo sbalzo di temperatura e, quando si ritrasse, il punto in cui aveva premuto le labbra bruciava come un tizzone. Lo guardò per qualche istante, riempiendo la distanza tra loro di un passo. Si sollevò sulle punte e fece scorrere le mani sino a incorniciargli gentilmente la mandibola. Dolcemente, lo invitò ad inclinare il volto nella sua direzione, fronte contro fronte, senza dire una parola per un lasso di tempo indefinibile ma, per Isolde, sempre troppo breve sino a quando un vociare in lontananza li obbligò a separarsi. Le mani della donna scivolarono lungo le spalle, le braccia, sino ad incontrare ancora una volta quelle di Magnus. Ne liberò una e lo condusse sino all’auto che li attendeva e che, nel giro di poco, li avrebbe ricondotti a casa. Mentre il paesaggio notturno di Besaid sfrecciava fuori dl finestrino e l’abitacolo lussuoso offriva loro un riparo sicuro, Isolde si sporse verso di lui, alla ricerca del primo – ma non certo l’ultimo – bacio di quella notte.
     
    .
30 replies since 14/2/2020, 02:34   1210 views
  Share  
.
Top
Top