I am a passenger and I ride through the city's backside.

Cat e Darko

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    «Cristo!» sbottò, all'ennesimo spegnimento della macchina: alla radio davano The passenger di Iggy Pop, bruscamente interrotta. «Per quale cazzo di motivo deve finire sempre così quando guido!» continuò a borbottare, poggiando la testa sulle mani che ancora stringevano il volante, strette attorno ad esso. Era la seconda volta che prendeva il furgone del ristorante per delle commissioni e la prima volta si era ritrovata sulla Kagaiten, tutta la storia di quelle maledetta cupola - nemmeno ci voleva ripensare -, la seconda invece, a quanto pareva, era andata meglio, ma non si stava affatto divertendo. Erano almeno trenta minuti che cercava di riaccendere quell'auto arrivando a fatica alla stazione di servizio che poteva vedere da lontano: di uscire da lì, non se ne parlava. Aveva provato a chiamare il carro attrezzi, ma le avevano detto che se era così vicina allora avrebbe fatto meglio a cercare di arrivare da sé alla stazione. Grazie, molto cortesi, davvero. Presto detto infatti, Cat aveva cominciato ad arrancare, ritrovandosi per poco a non battere la testa contro il vetro per tutti i sobbalzi. Di base, non le piaceva guidare: aveva preso la patente ma non aveva mai comprato un automobile, la trovava inutile in una cittadina come Besaid, all'interno della quale riusciva bene o male a muoversi a piedi, con taxi o con passaggi vari. E poi, come detto, guidare non le piaceva, lo faceva solo per obbligo.
    Riaccese l'automobile e premette l'acceleratore con forza, cercando di farle fare quegli ultimi metri che la separavano dalla stazione di servizio: la benzina c'era, a guardare le spie probabilmente c'era da cambiare l'olio, ma forse il danno era più esteso. Doveva parlare con i signori Jung in caso, ma prima c'era da risolvere tutto, ritornare in centro e portar loro il carico della giornata. Dopo un'altra mezz'ora, minuto più, minuto meno, arrivò alla stazione, piazzandosi esattamente all'ingresso, nel posto peggiore: provò ancora a far ripartire l'auto ma ogni tentativo fu inutile, così rinunciò e scese, provando a spostarla di peso. Inutile, anche quello, ma con la sua corporatura risultò un tentativo persino patetico. Attorno a lei non c'era nessuno, si augurò che non fosse un qualche giorno di festa e di non aver beccato l'unica stazione di servizio chiusa a Besaid. Si protese all'interno del furgone e schiacciò il clacson un paio di volte, per attirare l'attenzione di chi - qualora ci fosse stato davvero qualcuno - stesse lavorando lì, dovunque fosse. Niente. Cat sospirò e si guardò un po' intorno, guardando le automobili che sfrecciavano lungo la strada: nessuno che aveva bisogno di far rifornimento quella mattina a quanto pareva. Erano circa le 9 ed era in giro da più di un'ora. La mattinata era partita col botto, davvero. I suoi datori di lavoro l'avevano chiamata la sera prima, chiedendole se fosse possibile per lei andare a prendere tovaglie, bacchette e quant'altro dal loro fornitore in vista di un evento che avrebbero dovuto tenere al di fuori del Banchan. C'era il catering, ma avevano preferito far da sé e portare ogni cosa per non andar fuori tema e vedere un kimchi mangiato con delle forchette. «Certo, andrò domattina.» aveva risposto, senza problemi, alzandosi di buon ora per prendere il furgone e guidare fino al deposito del fornitore, non aveva messo in conto quel piccolo incidente che, come tutte le cose quando non andavano come desiderava, la stava facendo parecchio irritare.
    Prese il cellulare componendo ancora il numero del carro attrezzi. avendo ormai rinunciato alla possibilità che la stazione di servizio fosse aperta, ma si ritrovò ad attendere con una fastidiosa musichina d'attesa che pareva infinita. Bene. Ottimo. Cat sospirò ancora, più rassegnata che arrabbiata ormai, rimanendo a fissare la strada mentre il cellulare, in viva voce, continuava a dire "Siete in attesa di essere collegati con l'interno desiderato, si prega di non riagganciare per non perdere la priorità acquisita.", la peggior compagnia di sempre. D'un tratto tuttavia sentì una voce che le suonò stranamente familiare. Non poté vedere chi fosse da dov'era, si trovava esattamente dal lato opposto, verso la stazione di servizio, mentre invece Cat se ne stava seduta al sedile del conducente, gambe protese al di fuori dell'abitacolo, dando le spalle a quel posto e guardando piuttosto le automobili che non accennavano ad accostare. Si voltò, vedendo soltanto dal finestrino del passeggero una mezza silhouette senza testa, così decise di scendere e di guardare meglio chi le aveva parlato, sperando fosse il dipendente della stazione: lo guardò per un momento in silenzio, strabuzzando lievemente gli occhi. Non vedeva Darko da quando aveva rischiato di morire, da quel periodo in cui si era lasciata andare senza alcun rispetto né verso se stessa né verso gli altri. Le sembrava uscito da un sogno, identico, come immortalato in quegli istanti alla scogliera. Erano passati cinque anni per lei, forse sei, non se lo ricordava di preciso, ma il tempo era diventato così liquido da allora, e lei era stata ancora così sola prima di trovare veramente una strada, qualcuno a cui legarsi per continuare o, anzi, per cominciare a vivere davvero. Riguardando indietro a quei momenti si sentiva quasi un'estranea che guardava una ragazzina problematica destreggiarsi con cose più grandi di lei: era cambiata, sia mentalmente che esternamente. I suoi tratti erano rimasti quelli delicati della diciannovenne ma aveva più forme, era diventata più donna, si curava decisamente di più e si truccava meno: a quel tempo, era convinta che abbondare di ombretto nero sugli occhi glieli facesse risaltare di più. «Ciao.» Che altro dire? Una piccola parte di lei sperava quasi che non la riconoscesse. D'altra parte non sarebbe stato strano, poteva essere una persona somigliante, molto somigliante, ma più grande. Nell'ottica di Darko, poteva esser morta, poteva esser sua sorella dopotutto. Lui probabilmente l'aveva data per morta visto come si erano lasciati. Da allora, Cat non aveva mai avuto il coraggio di rapportarsi con Darko, aveva sempre evitato le zone dove sapeva di poterlo trovare: provava vergogna per quello che era accaduto e, col passare del tempo, era finita col mettere quell'episodio in un cassetto, seppellendolo con l'uomo che aveva fatto da spettatore. Non l'aveva raccontato nemmeno ad Hobi che, tuttavia, sapeva perfettamente che oltre gli occhioni blu di lei vi era più di quanto lei stessa volesse lasciare intendere: non le piaceva farsi compatire, giudicare per il suo passato e per quello che aveva vissuto, tendeva a tenersi tutto dentro, fingendo che nulla fosse mai accaduto. Era complicato superare certe cose, era più facile tenerle ben celate, persino dai suoi stessi pensieri, anche se era ben conscia che prima o poi non sarebbe riuscita a dire di no all'aiuto che il suo migliore amico, quasi un fratello mai avuto per lei, ostinatamente le offriva in ogni maniera. «Non parte più. Credo sia l'olio.» disse soltanto, senza distogliere lo sguardo da lui. Non distoglieva più lo sguardo dalle persone, lo reggeva, preferiva farlo. Da qualche parte aveva letto che poteva esser interpretato come indice di sicurezza. Più guardava Darko però, più si rendeva conto che quella flebile speranza che potesse non associare il suo volto a quello della ragazza della scogliera si rendeva vana: che pensiero stupido era stato.
    D'un tratto, la musica d'attesa si bloccò: «Salve, servizio carro attrezzi e rimozione forzata. Come posso esserle utile?» Cat si spostò da lì e si protese in auto, poggiando un ginocchio sul sedile per raggiungere il cellulare che aveva poggiato nel vano portadocumenti. «Ho risolto, arrivederci.» disse solo, riagganciando e infilandosi il telefono nella tasca dei jeans. «E' passato un po' di tempo.» esordì, una volta fuori, trovando molto stupida ed ironica quella frase tanto laconica ed evasiva. «Come te la passi?» Peggio ancora, ma d'altra parte che altro poteva dire? "Ciao, sono ancora in vita. Mi dispiace di averti fatto vedere come mi sono quasi ammazzata ed essere sparita nel nulla, ma, sai com'è, avevo un po' paura di farmi rivedere da te. Più che paura la definirei vergogna. Sì, era decisamente vergogna. Cosa dovresti dire a qualcuno dinanzi al quale ti sei quasi ammazzata?! Tra l'altro, qualcuno che non è nemmeno un tuo amico, ma il tuo pusher. Al tempo mi sembrò la cosa più sicura sparire, poi ti ho ficcato in un antro dei miei pensieri, chiuso la porta a chiave e gettato quest'ultima all'interno di un profondo abisso dal quale non si poteva più ripescare. Che dici, mi capisci ora?" Più o meno erano questi i suoi pensieri, conditi da qualche imprecazione in più, messa qua a là a decoro. Forse il "Come te la passi?", in quest'ottica, suonava quasi una frase sensata.
     
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    Con un calcio lasciò che il cubo marrone fatto di cartone e carta da imballaggio scivolasse lungo il pavimento, raggiungendo il muro di fondo della stanza, vicino la porta che dava al retro del negozio. Con un tonfo sordo, il materiale andò a scontrarsi violentemente contro la parete bianca, fermandosi immediatamente la dove Darko lo aveva spinto. Si voltò verso il lato opposto, posando lo sguardo sul ragazzo che continuava a blaterare senza sosta mentre, con le ricevute della consegna fra le mani, controllava che l’ordine fosse stato rispettato dai fornitori. «Ora passami quello scatolone, JJ.» disse, allungando una mano verso una delle scatole marroni poste sul pavimento vicino la cassa. Al che, senza lasciare i fogli, JJ prese a spingere il cartone con entrambe le mani nella direzione di Darko, facendosi strada nello stretto corridoio che divideva la parete a scaffali ripieni di sigarette e il bancone giallo sul quale erano posizionate due casse. «Era uno scoppiato, te lo assicuro.» continuava il ragazzo, la voce uno sbuffo d’ossigeno dovuto allo sforzo compiuto per raggiungere Darko, in piedi con una mano poggiata sullo scaffale vuoto e pronto per esser riempito. «Ti credo.» rispose solamente, abbassandosi per strappare via lo scotch da imballaggio che avvolgeva la scatola. L’aprì, tirando fuori le stecche di Tiedemanns avvolte nella carta patinata e trasparente che andò a strappare via per iniziare a sistemare i pacchetti di sigarette l’uno davanti l’altro, in righe omogenee sullo scaffale. «Non ho fatto in tempo a fermarlo, e poi non volevo rincorrerlo e lasciare il negozio senza sorveglianza. Ha preso solo un paio di bott-» continuò, JJ, restando impalato di fianco a Darko mentre cercava di giustificarsi per il piccolo furto avvenuto nel negozio due notti prima. Sospirò appena, Darko, lasciando andare l’ultimo pacco di sigarette sullo scaffale e voltandosi in direzione dell’altro, gli occhi blu che si piantavano in quelli nocciola di JJ. «JJ. Stop.» disse, sollevando una mano e posandola sul petto dell’amico, lo vide trasalire leggermente, quasi si aspettasse un rimprovero che non sarebbe arrivato. «Ho detto che è ok. Ci penso io, ci sono i video delle telecamere. Rilassati.» cercò di tranquillizzarlo Darko, per l’ennesima volta. Difatti, del furto ne avevamo parlato almeno altre quattro volte, da quando era avvenuto, e Darko cominciava a detestare la voce di JJ. «Hai finito di controllare le ricevute?» chiese allora, abbassandosi nuovamente per afferrare l’ennesima stecca dal cartone. «Subito!» rispose JJ, voltandosi per tornare in direzione dei cartoni accatastati di fianco all’ingresso della zona bancone riservata al personale. «Ma che diavolo… Darko? Penso di attirare strana clientela.» la voce di JJ risuonò più tranquilla, eppure le sue parole non poterono far altro che attirare l’attenzione di Darko, il quale si voltò per seguire lo sguardo del ragazzo verso la vetrata del negozio, in direzione di un camioncino fermo esattamente sullo sbocco d’entrata delle auto. Schiuse le labbra, scuotendo il capo, mentre faceva scivolare la stecca delle sigarette nuovamente nel cartone, oltrepassandolo per vedere cosa stesse accadendo. «Dovrei licenziarti per questo.» disse solamente una volta raggiunto JJ e fermatosi al suo fianco, gli occhi di entrambi che puntavano al furgoncino dal quale, qualche secondo dopo, rimbombò il suono del clacson. «Finisci di controllare queste dannate ricevute, JJ. Me la vedo io.» disse solamente, allontanandosi da lui ed avviandosi all’esterno del piccolo edificio che ospitava il negozio adiacente alle pompe della benzina. A passo lento si ritrovò ad andare incontro al furgoncino, ritrovandosi di fianco ad esso e cercando di cogliere all’interno della propria visuale anche la figura del conducente. Si sporse appena, abbassando la testa e riconoscendo dei lineamenti sottili, femminili, minuti. «Spero che il carroccio abbia un guasto, perché solo un idiota parcheggerebbe proprio in quel punto.» disse a voce alta una volta avvicinatosi al lato del passeggero. Vide la sagoma della donna saltare giù, un tonfo leggero si espanse nell’aria quando le piante di quei piedi sottili andarono ad incontrare la durezza dell’asfalto per poi condurla di fronte a Darko. «Ciao.» la voce di Cat lo sorprese e non poco. Non aveva visto il suo viso chiaro per due lunghi anni, dalla notte durante il quale lui le aveva salvato la pelle dopo uno stupido tentativo di quella che a lui era sembrata una resa. Non l’aveva più cercata, non l’aveva mai più vista neanche di sfuggita o per sbaglio. Era stato come se la sagoma della ragazza si fosse dissolta insieme al resto di quella notte ormai lontana, appassita con il sorgere del sole la mattina dopo quel trambusto. Per qualche tempo, dopo quell’accaduto, Darko si era domandato cosa ne fosse stato di lei. Poi, come un oggetto di plastica che non viene assorbito dall’acqua del mare ma continua ad essere spinto verso la riva, anche il ricordo di Cat era stato spinto altrove, in un luogo che non avrebbe potuto renderlo parte di se stesso. Non l’aveva dimenticata, questo no, ma semplicemente l’aveva lasciata alle spalle, come aveva fatto con tante altre cose, senza tornare mai a domandarsi cosa sarebbe stato se. «Non parte più. Credo sia l’olio.» comunicò la giovane puntando i suoi occhi blu elettrici in quelli azzurri di Darko, il quale si era fermato a qualche passo da lei, quasi necessitasse di qualche istante per elaborare effettivamente ciò che il destino gli aveva messo sul cammino, di nuovo. «Ci do un’occhiata, ma prima dobbiamo spostarla di qui.» rispose il ragazzo, allora. Sollevò il mento e si avvicinò nuovamente al veicolo immobile, appena prima di vedere Cat rifiondarsi all’interno dell’auto per afferrare il cellulare, forse chiudere una chiamata, e riaffiorare nuovamente all’esterno dell’abitacolo. «E' passato un po' di tempo. Come te la passi?» chiese allora Cat una volta tornata di fronte a lui. Annuì appena, Darko, scrollando le spalle e tornando a guardare la ragazza in volto. «Alla grande.» rispose lui, avvicinandosi di più a lei per studiarne i lineamenti decisamente più induriti, eppure nel complesso sembravano darle un’aria sana, pulita, tutto quello che non era stata solo due anni prima. «Ti trovo bene, piccola Cat.» aggiunse subito dopo, sorridendo lievemente nella sua direzione. Era strano ritrovarsi di fronte a lei, dopo tutto quel tempo in cui avevano perso le tracce l’uno dell’altra e viceversa. Non sapeva effettivamente se lei lo avesse evitato dopo quella notte per quello che aveva visto o anche solo per quello che lui le aveva detto, eppure in cuor suo Darko sapeva che era stato giusto così, giusto il modo in cui i loro percorsi si erano separati improvvisamente e drasticamente. Era felice di vedersela davanti, in quel preciso istante, e poter così constatare quanta vita albergasse ancora sotto quella pelle pallida e dietro quelle iridi azzurre, una vita che non aveva mai visto risplendere così luminosa dentro di lei. «Vai da quel lato e spingi, io farò lo stesso da questo lato, basteranno un paio di metri, ok?» comunicò Darko, indicando il lato dell’autista ed incitandola a raggiungerlo, mentre lui apriva lo sportello dal lato del passeggero e, posizionatosi dinanzi l’angolo d’apertura dal quale partiva anche lo specchietto retrovisore, prese a spingere nel momento in cui Cat iniziò a fare lo stesso. «Ce la fai?» chiese voltandosi nella sua direzione mentre con il busto iniziava a spingere avanti a se, una delle mani ferma sul cruscotto dell’auto e l’altra sull’estremità dello sportello aperto. Seppur lentamente, l’auto prese ad avanzare sotto la pressione delle loro spinte, raggiungendo così il marciapiede che divideva la strada di città dal piazzale quadrato che ospitava le pompe della benzina a qualche metro di distanza. «Ok, stop, pausa.» disse a voce alta lasciando andare la presa sul cruscotto ed allontanandosi dall’auto, chiudendo poi lo sportello e facendo il giro per raggiungere la parte anteriore del furgoncino ed aprire così il cofano. Sollevò la stecca di metallo infilandola nell’apposito aggancio e lasciando che la parte del motore rimanesse scoperta ai suoi occhi. Si chinò in direzione del groviglio nero alla ricerca della sacca dell’olio, svitandone il tappo e, infilando la seconda stecca più sottile, la tirò nuovamente fuori per controllare il livello del liquido restante al suo interno. «Sì, decisamente. Hai rischiato di bruciare il motore.» sentenziò, sollevando nuovamente il viso e roteandolo in direzione di Cat tornò a puntare gli occhi su di lei. Si strofinò i palmi delle mani l’uno contro l’altro per cacciar via i segni di polvere nera misto ad olio usurato, compiendo qualche passo in direzione della stazione di servizio. «Torno subito.» si congedò da lei, prima di darle le spalle per entrare nel negozio e riuscirne, qualche minuto dopo, armato di salviette umidificate fatte apposta per le auto e un piccolo barile di olio. La raggiunse nuovamente, mettendosi all’opera e riempiendo la sacca dell’olio fino al punto consigliato. «Allora, cosa ci fai da queste parti? Un tempo ci bazzicavi spesso, poi hai tradito la parte sud della città per trasferirti nella zona est e fare l’artista, magari?» chiese con tono divertito mentre continuava a tenere il barile d’olio sull’imbuto, il quale lasciava scivolare lentamente il fluido all’interno della sacca apposita. Gli occhi azzurri si spostavano dal motore al viso di Cat, poco distante da lui, riconoscendo su di esso un tempo che, invece, sul proprio sembrava non essersi nemmeno poggiato. Per essere passati solo due anni, la ragazza sembrava essere cresciuta molto in fretta, sembrava una di quelle inspiegabili cose che Darko sapeva perfettamente di cosa lei fosse capace. Un tuffo in un passato che, a vederlo sotto quella chiara luce mattutina, sembrava essersi allargato più di quanto realmente sarebbe stato possibile.
     
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    La voce di Darko le suonò subito familiare, come quella delle sigle di vecchi telefilm che si guardano da bambini e che, per qualche motivo, risentendole danno sempre una sensazione di tepore casalingo. Il tempo per Cat era stato relativo, soprattutto durante il loro periodo di frequentazione e immediatamente dopo: si era lasciata andare, provava quasi vergogna per quella sé, così piccola ed immatura, così fragile e allo stesso tempo così resistente all'apparenza. Si era sempre considerata una ragazza forte, una che riesce a resistere a tutti i problemi che il destino le pone dinanzi, eppure, col tempo, si era resa conto di essere assimilabile ad un pezzo di vetro: all'apparenza sembra rigido, pesante, consistente, ma basta un urto appena più forte per farlo rompere, ridurlo in tanti piccoli pezzettini che nessuno, nemmeno il più abile degli artigiani, sarebbe stato in grado di rimettere insieme. Era quello che stava per succedere quella sera in spiaggia: stava per frantumarsi, era lì lì, ad un passo dall'oblio che l'avrebbe liberata da tutto il dolore che non era più in grado di contenere, come una grossa anfora ormai troppo colma, sul punto di scoppiare. Si era chiesta cosa sarebbe successo se non ci fosse stato lui con lei, se non l'avesse strattonata - mentalmente e fisicamente - riportandola con i piedi per terra: se ci fosse stato qualcuno di più gentile probabilmente ci avrebbe riprovato da sola, in un altro momento, sparendo dalla vita di tutti, senza che nessuno guardasse indietro e la cercasse.
    Dopotutto ad aspettare Cat non c'era nessun altro al di fuori di se stessa.
    Ma c'era stato Darko per lei, in un modo così violento da scuoterla più di tutta la droga che aveva assunto durante quegli anni: l'aveva fatta riflettere, posta dinanzi all'evidenza di quanto stupida fosse stata, di quanto non avesse collegato il cervello e si fosse lasciata andare, egoisticamente, incurante degli altri e senza nessun rispetto verso se stessa ed il prossimo. Forse non erano state quelle le sue intenzioni. Chissà. Avrebbe voluto chiederglielo, proprio in quel momento, avrebbe desiderato potergli fare tutte le domande che l'avevano attanagliata in passato e, soprattutto, avrebbe desiderato potersi scusare. A modo suo, in una maniera non troppo esplicita e di sicuro non canonica.
    «Ci do un’occhiata, ma prima dobbiamo spostarla di qui.» le disse lui invece, frase alla quale annuì prima di rientrare all'interno dell'auto per riagganciare la chiamata che, ormai, non le serviva più. Darko era uguale a come lo ricordava, aveva la stessa aria da "cattivo ragazzo" - così l'aveva tacciato in precedenza, nei suoi ricordi - e la stessa espressione con un sorriso appena accennato. Lo vedeva lievemente più basso però, ora che si era avvicinato, sebbene forse fosse stata lei a crescere un po', a farsi un briciolo più donna e meno adolescente ribelle. «Ti trovo bene, piccola Cat.» Le era sempre piaciuto quella sorta di soprannome, forse più un vezzeggiativo, con cui si appellava a lei ogni volta che le rivolgeva la parola. «Grazie. Tu sei sempre il solito, ma forse la luce del sole ti sta meglio.» rispose, con un sorriso a sua volta. Si diresse dall'altro lato dell'auto rivolgendo appena uno sguardo a Darko che le diede indicazioni su quando e fino a quanto spingere il veicolo. «Ce la fai?» «Ah, ah.» asserì, facendo pressione sull'auto fino a quando non prese a muoversi, arrivando fino ad un piazzale poco distante dalle pompe di benzina. Cat tirò il freno a mano e poi si sistemò accanto al ragazzo che stava dando un'occhiata a quello che per lei non erano che tubi e cavi privi di senso: non le piaceva la meccanica e non le piacevano le auto. Aveva indovinato però: era davvero l'olio esausto e per poco non aveva bruciato il motore. Quello sarebbe stato un guaio piuttosto grosso. «Sono stata fortunata quindi.» fece, lievemente sovrappensiero. Si era fermata a pensare a quanto avrebbe dovuto spendere se fosse stata lei a distruggere l'auto: le avrebbero fatto pagare il conto oppure avrebbero capito che quel maledetto furgone era ormai da buttare? Preferiva non indagare.
    Si poggiò contro l'automobile mentre Darko si allontanava per entrare all'interno della stazione di servizio, fermandosi ad osservare la sua figura da quella prospettiva. Aveva inclinato il capo, senza accorgersene. Prima che tornasse da lei distolse lo sguardo e prese il cellulare, scrivendo rapidamente un messaggio ai suoi datori di lavoro, spiegando che avrebbe tardato un po': con ogni probabilità avrebbero letto il messaggio in ritardo, ma aveva preferito esser precisa, nonostante tutto. Ripose lo smartphone in tasca e sollevò lo sguardo verso il ragazzo che intanto, era ritornato ed aveva cominciato a riempire la sacca dell'olio con un barile che teneva con l'altro braccio.
    «Allora, cosa ci fai da queste parti? Un tempo ci bazzicavi spesso, poi hai tradito la parte sud della città per trasferirti nella zona est e fare l’artista, magari?» Cat chinò appena lo sguardo e sorrise, scuotendo la testa. Era una bella immagine quella di lei che si dilettava a creare quadri o sculture e che viveva della propria arte, ma poco aveva a che fare con la realtà. «Carina come idea.» gli disse, rialzando lo sguardo verso di lui. «Adesso vivo vicino al centro, condividendo l'appartamento con un amico ed un cane.» Non era del tutto certa che definire Leo come un amico fosse la definizione più corretta, era più un tipo che aveva portato a casa vedendolo disperato. Non se ne era pentita, mai, ed era stata contenta di aver portato nella sua routine qualcuno di nuovo. Certo, non era proprio una ventata d'aria fresca, soprattutto all'inizio era stato difficile capire come prenderlo, ma si era affezionata a lui ed era ormai contenta di vederselo in giro per una casa che, forse, era stata sempre un po' troppo vuota per una come lei. «Ma non faccio l'artista, lavoro al Banchan, il ristorante coreano, non so se ci sei mai passato.» Probabilmente no, almeno non durante il suo turno. Di sicuro le sarebbe venuto un colpo ritrovandoselo come cliente lì, senza essere avvisata: era già stato abbastanza sconvolgente vederselo lì, ma quantomeno era da sola e non doveva pensare ai bibimbap e ai bulgogi da portare ai tavoli. «Ogni tanto fingo anche di studiare. Mi sono iscritta a giurisprudenza, anche se non so se ci resterò.» L'unico sprone che aveva era quello di non voler gettare anni alle ortiche: si era impegnata per dare gli esami, aveva davvero faticato a reggere i ritmi del ristorante e quelli dell'università, ma una parte di lei desiderava mollare tutto quello stress e fare altro, magari prendersi delle ferie e fare un bel viaggio. «Tu invece, hai novità interessanti? Questo posto è tuo oppure ci lavori soltanto?» domandò, guardandolo negli occhi. Faticava un po' a reggere il suo sguardo, lo distoglieva, di tanto in tanto, nel parlare, guardando quello o l'altro passante. Si sentiva ancora a disagio, come se gli occhi di Darko, sebbene tacessero, le ricordassero senza mezzi termini quanto era accaduto. «Sembra proprio passata una vita.» mormorò, fissando un cartello pubblicitario dall'altro lato della strada. Parlò come fosse un pensiero, detto fra sé e sé ma che Darko udì perfettamente. «Dall'ultima volta che ci siamo visti intendo.» aggiunse, voltandosi verso di lui. «Direi "bei tempi" ma credo suonerebbe un po' infelice.» Aveva deciso di usare l'unica arma che possedeva e che maneggiava con abilità quando si trovava in difficoltà, quella sua pungente ironia, talvolta così brutta da essere più assimilabile a del black humour. «Comunque mi fa piacere vedere che stai bene. Non vedo nessuna fede al dito quindi immagino che ancora tu non abbia messo la "testa a posto".» Lasciò andare una leggera risata per il pensiero che si fece sfuggire dalle labbra: «La Cat di qualche anno fa sarebbe contenta di saperlo.» gli disse, con un sorriso ancora stampato sulle labbra,forse persino di tenerezza per quella cotta adolescenziale. Immaginarsi comunque Darko sposato con qualcuno oppure padre di famiglia, nell'ottica della famiglia delle pubblicità che si vedevano in giro, era però davvero strano: aveva più l'aria di uno che sarebbe rimasto scapolo a vita, magari ritrovandosi per sbaglio con un figlio a carico che avrebbe deciso di vedere soltanto una volta cresciuto. Pur pensando questo, però, Cat non sarebbe mai riuscita a definirlo una cattiva persona, nonostante quanto faceva per vivere. Le era stato più vicino di tanti altri, forse di chiunque avesse incrociato lungo il suo cammino e, a modo suo, senza neanche sapere di star facendo qualcosa di simile, l'aveva aiutata. Doveva dirgli qualcosa a riguardo, voleva farlo, ma probabilmente quel desiderio non era grande quanto la vergogna e l'imbarazzo che provava nei suoi confronti per quello che aveva fatto la sua sé del passato, ormai così distante dalla sua sé del presente.
     
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    Non aveva dimenticato tutto ciò che era accaduto quell’ultima sera trascorsa assieme a Cat. Nelle mente di Darko non era sbiadito nulla, neanche lo sguardo spaventato della ragazza solo qualche istante dopo aver compreso cosa realmente fosse accaduto. Un silenzio che veniva rotto da un sibilo innaturale, un caos che li aveva visti catapultati per terra, contro le rocce, l’uno attaccato all’altra per paura forse di perdersi per sempre. Aveva avuto timore, darko, nel momento stesso in cui i passi di Cat erano diventati sempre più incerti, portandola a piantare i piedi quasi sul vuoto. L’aveva tirata via, contro di se, sottraendola ai tranelli che la sua stessa mente le aveva giocato. Non era stato un eroe, non si era sentito qualcuno che aveva compiuto un gesto eclatante per il quale meritasse poi un ringraziamento. Lo aveva fatto perché Darko non avrebbe mai voluto essere lo spettatore di quella forma di fragilità.
    «Grazie. Tu sei sempre il solito, ma forse la luce del sole ti sta meglio.» scherzò Cat sorridendo nella sua direzione. Posò ancora lo sguardo su di lei, Darko, mentre un angolino delle labbra si sollevava all’insù in un sorriso un po’ compiaciuto. «Buono a sapersi, vuol dire che non sono invecchiato, o forse solo invecchiato bene.» rispose lui, sollevando il mento nella direzione di Cat appena prima di spostarsi verso il sedile del passeggero per aiutarla a spingere e, quindi, spostare l’auto. In gesti quasi automatici, Darko aprì il cofano anteriore del camioncino per dare un’occhiata al motore e, constatare, che effettivamente fosse proprio la mancanza di olio il problema. «Sono stata fortunata quindi.» commentò Cat nell’udire le parole dell’altro, appena prima che lui si dirigesse nuovamente verso la stazione di servizio per poi tornare subito dopo con un piccolo barile ripieno dello stesso liquido denso.
    Nell’aria aleggiava una strana sensazione, sicuramente per entrambi, come quando la voglia di riconciliarsi sbatte ferocemente contro un muro fatto di imbarazzo e lieve tensione. Pensando a lei, durante i due anni trascorsi senza che si fossero visti anche solo per sbaglio, Darko non aveva mai provato rancore o rabbia, forse tutto il contrario. La piccola Cat aveva preso spazio nello scompartimento dei pensieri semplici, un po’ genuini, quelli che non avrebbe mai trasformato in parole a voce alta. Era stato molto affezionato a lei nel prima, l’aveva vista quasi come una piccola sorella, un componente importante di una famiglia che si era creato solo nella sua testa e che mai aveva avuto a che fare con i legami di sangue. Perché per Darko era stato sempre più semplice sentirsi a casa per strada, che all’interno delle proprie asettiche mure domestiche, laddove effettivamente non aveva mai avuto un vero e proprio spazio dopo che suo padre era andato via e sua madre aveva deciso di rifarsi una vita assieme a qualcun altro. «Carina come idea. Adesso vivo vicino al centro, condividendo l'appartamento con un amico ed un cane.» udì le parole di Cat e, di tanto in tanto, tornava a sollevare le iridi per posarle sul viso di lei, distaccandosi dalla scia di olio sottilissima che, lenta e inesorabile, scivolava nell’imbuto e veniva assorbita dal buco nero della tanica incastrata nel motore sotto di esso. Chinava il capo, controllava che non avesse raggiunto il limite e tornava a dedicare la propria attenzione su Cat, quasi dovesse controllare entrambi, l’olio e la ragazza che, nel giro di due anni, inspiegabilmente era divenuta una donna a tutti gli effetti, distaccandosi completamente dal ricordo che invece animava ancora la mente di Darko. «Ma non faccio l'artista, lavoro al Banchan, il ristorante coreano, non so se ci sei mai passato. Ogni tanto fingo anche di studiare. Mi sono iscritta a giurisprudenza, anche se non so se ci resterò.» aggiunse lei, aggiornandolo sulla sua nuova vita, anch’essa terribilmente differente da quella che lui un tempo aveva abbracciato con la propria. Annuì interessato e, voltandosi ancora verso di lei, sorrise genuinamente. Aveva compiuto drastici cambiamenti nel giro di due anni e Darko non poteva che essere felice per lei, sperando con tutto se stesso che quelle brutte esperienze del “prima” fossero ormai andate, gettate via, dimenticate per sempre. Lui, invece, era rimasto nello stesso punto in cui si era ritrovato due anni prima, riconoscendo quanto effettivamente poco fosse cambiato della sua vita in quel periodo. L’unica vera sorpresa, l’unico evento che aveva scombussolato il terreno sotto le suole delle sue consumate scarpe da ginnastica, era stato l’arrivo di un paio di occhi identici ai suoi incorniciati da ciuffi di capelli biondo cenere. Inaspettata, Malia sembrava essere sbucata per stravolgere completamente non solo la sua esistenza, ma tutto quello che fino a quel momento l’aveva guidata. «Il centro, un amico e un cane, ristorante coreano.. l’università!» esclamò, elencando nuovamente tutte le informazioni che Cat gli aveva appena servito. Scosse il capo, sorridendo ancora e tornando a controllare brevemente il livello dell’olio, si risollevò appena voltandosi nella direzione della ragazza. «Giurisprudenza. Davvero?» chiese, stupito, mentre si lasciava andare ad una risatina leggera ma divertita. Era piacevolmente colpito da tutto quello che Cat gli aveva appena detto e non riusciva a smettere di pensare che, quei due anni lontana da lui e da tutto quel mondo, non avevano fatto altro che indirizzare la vita della ragazza proprio lì dove avrebbe dovuto essere. «Cerca di finirla, st’università, che magari potrebbe servirmi presto un avvocato.» scherzò Darko, abbassando nuovamente lo sguardo sul motore mentre, raggiunto il livello di olio prestabilito, posava il barile per terra e andava a richiudere la tanica. Tirò fuori una salvietta e si pulì le mani prima di richiudere anche il cofano dell’auto con un tonfo. «Tu invece, hai novità interessanti? Questo posto è tuo oppure ci lavori soltanto?» domandò allora Cat, sollevando gli occhi su di lui e cercando forse per la prima volta di tenerlo legato a quello di Darko. Al che annuì, lui, sbarazzandosi della salvietta ormai nera e lasciando che cadesse sul barile dell’olio posato per terra di fianco alle sue gambe. «E’ mio. Sai, chi come me non è cervellone non pensa certo di iscriversi all’università. E a parte questa no, nessuna novità. La mia vita è esattamente come la ricordi anche tu.» aggiunse, sollevando appena le spalle e sorridendo quasi amaramente a Cat mentre andava a poggiarsi con la schiena al cofano del camioncino bianco, incrociando le braccia al petto senza mai interrompere il contatto visivo con lei, quasi divertito da quanto l’altra invece si sentisse forse non esattamente a proprio agio nel farlo. Lo aveva notato, uno sguardo tentennante che, forse un po’ timido e imbarazzato, forse pregno di un silente senso di colpa, cercava di evitarlo troppo spesso. «Sembra proprio passata una vita.» sussurrò lei, piano, riferendosi a quella stessa vita all’interno del quale però lui era ancora dentro, lo stesso spazio al centro del quale un tempo vi era stata anche lei e che, improvvisamente, aveva abbandonato per scappare da una realtà che non avrebbe potuto farle ancora bene. E Darko lo aveva compreso, lo aveva accettato, senza remore. Anzi, era stato contento per lei per il modo e il coraggio con cui, dandosi una spinta energica, aveva abbandonato il ripido burrone oltre il quale si era esposta per troppo tempo, rischiando una caduta definitiva. «Dall'ultima volta che ci siamo visti intendo. Direi "bei tempi" ma credo suonerebbe un po' infelice.» commentò allora Cat, ancora. Darko si ritrovò a sorridere ancora una volta, abbassando lo sguardo sull’asfalto mentre, dietro quelle iridi chiare, vecchie immagini prendevano nuovamente vita, sensazioni che si era lasciato indietro, quella stessa morsa allo stomaco che lo aveva afferrato nel momento in cui le sue dita si erano strette attorno al corpo fragile e magro di una Cat più giovane, una Cat un po’ persa in un limbo che lui effettivamente non avrebbe mai potuto conoscere per davvero. Eppure, quando risollevò lo sguardo sul viso chiaro di lei, pensò a quanto effettivamente fosse consapevole del fatto che, se fosse accaduto ancora, avrebbe tentato nuovamente e in ogni modo di riportarla con i piedi per terra, esattamente come aveva fatto solo due anni prima. «Ne è passata di vita, da allora… Guardandoti ora ne sono addirittura contento, piccola Cat. Sarebbe stato infelice se non fosse stato così.» aggiunse lui, il tono della voce tremendamente serio, lo sguardo appena corrucciato, come se dietro quelle iridi chiare frullassero idee e pensieri che, compiuto un solo passo falso, avrebbero potuto esser divenuti reali. «Comunque mi fa piacere vedere che stai bene. Non vedo nessuna fede al dito quindi immagino che ancora tu non abbia messo la "testa a posto”. La Cat di qualche anno fa sarebbe contenta di saperlo.» rise di gusto a quelle parole, una confessione che diveniva reale se pronunciata soprattutto da lei. Si chinò appena nella sua direzione, un sorriso divertito e stirato si aprì d’istinto mentre quella frase prendeva sempre più significato nella testa del ragazzo. Non ci aveva mai pensato, non a lei comunque, in quel senso. Non aveva mai provato attrazione per Cat, l’aveva vista sempre come uno scrigno piccolissimo e fragile contentente sì, certe magie misteriose e difficili da scoprire, e per Darko quei ciuffi di capelli scuri e ribelli avevano sempre e solo significato affetto, mai sesso o amore. A guardarla ora, dopo la vita passata di cui lei aveva parlato, si sentì addirittura quasi un idiota a non averci davvero mai pensato, neanche col senno di poi. Era una bella ragazza, divenuta ormai donna, la lingua affilata e sempre pronta ad una battaglia di parole, era sicuro ne uscisse spesso vincitrice. «Per me non avere la fede al dito è come avere la testa a posto, piccola Cat.» commentò lui, allora, divertito. «La Cat di qualche anno fa era davvero sempre alla ricerca di guai allora. Amicizie sbagliate, divertimenti sbagliati, cotte decisamente sbagliate.» aggiunse, inarcando appena le sopracciglia. Incredibile come, con delle sembianze del tutto nuove, anche vecchie abitudini potessero tornare ad essere nuovamente interessanti. Lei, vecchia abitudine, tornava a farsi scoprire da Darko sotto una nuova luce, del tutto diversa, e quel cambiamento rendeva le cose terribilmente interessanti per lui, abituato a scavare nel terreno fino a raggiungere l'oro, qualcosa che avrebbe potuto portargli una ricchezza ben diversa da tutto il resto. «Cosa cerca la Cat di ora, invece?» chiese, chinando il capo da un lato e, assottigliando appena le palpebre, lasciò che il proprio sguardo si fermasse nel suo, curioso di capire quando effettivamente di quella persona fosse rimasta dentro di lei, dietro quelle guance pulite e quei capelli più ordinati.
     
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    Il volto di Darko in quegli anni, ben più lunghi per la "piccola Cat" rispetto a quanto non lo fossero stati per lui, era cambiato, ma solo di poco: aveva la stessa espressione di sempre che, a rivederla lì, in un luogo totalmente diverso rispetto a quello che frequentava un tempo con lui, la faceva sentire catapultata in un periodo che non desiderava ripetere. Cat non era una che tendeva a dimenticare il passato, anzi, ogni suo piccolo ricordo era stampato in maniera indelebile nella sua mente: nonostante le droghe assunte, aveva sempre avuto un'ottima memoria, sia a breve che a lungo termine. Si ricordava perfettamente cos'era accaduto poco prima, come l'espressione, sempre bonaria e un po' da bello e maledetto che trionfava sul viso di Darko, si era tramutata in qualcosa di diverso, meno gentile, quasi come un rimprovero. Era stato forse uno dei primi che riceveva, se non il primo in assoluto, alla veneranda età di 18 anni. Era una ragazzina, immatura nel corpo e nella mente, soprattutto nella mente che mai era stata scolpita dall'esperienza di un genitore, che avrebbe potuto aiutarla, farle trovare forse una strada da percorrere. A pensarci bene, era assurdo che fosse stato proprio il suo pusher a ricoprire un ruolo tanto ingrato come quello di colui che la tirava, letteralmente, via da un precipizio. «Sei invecchiato bene, dai. Te lo concedo.» gli rispose dunque, allargando di poco il suo sorriso e spostando lo sguardo verso l'auto, trainandola insieme a lui - aiutandolo solo parzialmente in realtà - verso un luogo più consono al cambio dell'acqua, dell'olio o di qualunque altra cosa non andasse in quel furgoncino.
    Passò brevemente in rassegna la sua vita, riassumendo in poche parole tutto quello che era successo in quegli anni: sì, ne erano davvero cambiate di cose, e non le dispiaceva poterlo dire con un pizzico di soddisfazione nella voce, come se fosse davvero fiera di quello che aveva combinato, che aveva creato. Cat si era davvero fatta da sola, almeno per quanto riguardava la sua istruzione: era sempre stata affascinata dal conoscere, dal poter studiare, vedendo i libri come un semplice modo per diventare "migliori", per così dire, non come un obbligo. A guardarla, negli anni in cui avrebbe dovuto frequentare le superiori, nessuno avrebbe mai pensato che una come lei avrebbe potuto leggere e divorare testi su testi, appassionandosi a materie e a lingue definite morte. Si era spesso ritrovata a pensare che nella storia antica, nei testi di Cicerone, Catullo, persino nelle commedie di Terenzio, ci fosse qualcosa da imparare: Historia magistra vitae. Magari prima o poi se lo sarebbe tatuato da qualche parte. «Proprio giurisprudenza, sì.» confermò, alzando di poco le spalle, come a sottintendere un "che posso dire?" nella sua stessa mimica. «Ti lascerò il mio numero per il futuro allora, anche se non so se sarò un buon avvocato o no.» Per quanto le piacesse infatti il diritto e tutto ciò che lo riguardava, temeva che non sarebbe stata abbastanza forte da poter reggere la pressione in tribunale. Si reputava tale, spesso, ma in certi casi finiva con lo sciogliersi come neve al sole: accumulava, accumulava e accumulava e, alla fine, esplodeva. Era l'unico modo che conosceva per vivere. «E poi dipende. A me piacerebbe specializzarmi nel diritto minorile e spero che papà Darko non abbia mai di questi problemi.» confessò, non riuscendo a trattenere un sorriso nel pensarlo genitore. Non di cattiveria o altro, anzi, stranamente lo vedeva piuttosto bene come padre: si immaginava dei bambini biondi girargli intorno e urlare "papà, papà" con dei sorrisoni a trentadue denti e delle piccole manine che cercavano le sue più grandi e meno morbide: una scena da famigliola felice, del mulino bianco.
    «E’ mio. Sai, chi come me non è cervellone non pensa certo di iscriversi all’università. E a parte questa no, nessuna novità. La mia vita è esattamente come la ricordi anche tu.» «Ah, ecco perché volevi l'avvocato.» rispose, inclinando un po' la testa e sporgendosi lievemente verso di lui. «C'è stato un upgrade però, non è proprio proprio la stessa vita di sempre.» aggiunse, indicando con l'indice la stazione di servizio, che non c'era un tempo. Era strano come le cose fossero in grado di cambiare sempre, pur rimanendo in parte sempre le stesse: lei era diversa, si sentiva diversa, ma lo era davvero? In fondo al cuore, aveva davvero superato ciò che l'aveva portata dov'era stata anni prima? «Ne è passata di vita, da allora…» «Più di quanta ne credi.» fece lei, chinando un po' lo sguardo: croce e delizia la sua particolarità, di cui ormai faceva quasi a meno. A che le serviva poter bloccare il tempo per tanto? E la solitudine? Ripensandoci, poteva ancora sentirne il sapore amaro: era finita col circondarsi di persone, di debolezze per certi punti di vista. Sarebbe stato così facile ormai ferirla, toccava semplicemente sfiorare Hobi, Leo, la sua piccola palla di pelo. Il fatto di non esser più sola, però, la rallegrava, non poteva esser diverso. Sollevò lo sguardo verso Darko, ascoltando con attenzione le sue parole abbinate all'espressione di cui si sporcavano i suoi occhi: forse era la prima volta che lo vedeva così serio. Non rispose, non avrebbe saputo che dire d'altra parte. Chinò di nuovo lo sguardo, osservando le sue scarpe come se fossero l'oggetto più interessante della storia: un modo banale per glissare quando qualcuno colpiva un nervo scoperto o, come in quel caso, la facevano sentire 'amata', in un certo senso. A Cat bastava davvero poco per essere felice. Si circondava di oggetti, di vestiti, di futilità: aveva un armadio ricolmo di abiti ed accessori rubati, che si divertiva a indossare ad arte. Vanitosa, fin troppo, eppure sapeva che non erano che una sorta di maschera: si sentiva a suo agio con quegli abiti, come se si costringesse ad essere contenta delle cose sbagliate, non volendosi accettare davvero per quella che era davvero.
    «Per me non avere la fede al dito è come avere la testa a posto, piccola Cat.» «Che bad boy che sei, non ti smentisci mai.» lo canzonò, con un tono ironico ma divertito. «E dire che ti vedo bene con una famigliola felice alle spalle, secondo me saresti migliore di tanti uomini sposati con la loro stessa ipocrisia.» mormorò, lasciando cadere l'argomento, confessandogli della sua cotta adolescenziale nei suoi confronti. Sì, decisamente guai e amicizie sbagliate per la piccola Cat. «Aw, non pensavo l'avrei mai detto ma sei proprio severo con te stesso.» fece, allungando una mano verso la sua spalla e poggiandola su di essa, mentre il suo sguardo si addolciva lievemente per un secondo, espressione che sciolse di lì ad un attimo lasciando che un sorriso si facesse largo. La mano scivolò da lui ai suoi fianchi, alzandosi poi verso i suoi capelli, sciogliendo la coda di cavallo e liberando i lievi boccoli della sua chioma. «Cosa cerca la Cat di ora, invece?» Una bella domanda, dalla risposta un po' meno affascinante forse. «Onestamente?» rispose, alzando poi le spalle. Layla era fra le sue canzoni preferite, la versione acustica era quella che preferiva, a volta la ascoltava come fosse una sorta di strano calmante: si faceva cullare dalla voce di Eric Clapton, quasi addormentandosi mentre parlava a quella fantomatica Layla, nome che aveva deciso di assumere di tanto in tanto, preferendolo al suo quando non le andava a genio qualcuno o quando, più semplicemente, desiderava non farsi riconoscere da chi l'aveva vista in passato.
    What'll you do when you get lonely and nobody's waiting by your side?
    You've been running and hiding much too long, you know, it's just your foolish pride.

    L'aveva sempre trovata straordinariamente azzeccata per lei, come se l'avesse scritta guardando al suo modo di vivere, di scappare perennemente. Cosa voleva in quel momento? Forse, anche se non era facile da ammettere, desiderava solo la cosa più ovvia di tutte. «Credo che l'unica cosa che realmente mi interessa sia un po' di stabilità, non essere più così...» Eccola, stava arrivando, la parola che la torturava alle volte e che, anche in quell'occasione, come se glielo dovesse, stava facendo la sua comparsata. «Sola.» Sorrise lievemente, si infilò la mano nella tasca della giacca e tirò fuori il pacchetto di sigarette, facendone scivolare una fuori con un gesto veloce: lo passò a Darko, mentre con l'altra mano se l'accendeva. Inspirò profondamente, spedendo la nuvoletta di fumo dall'altra parte rispetto a lui, continuando a guardare verso la strada, con i suoi occhi che, con quella luce, sembravano quasi di ghiaccio. «Non mi riferisco a relazioni e cose del genere eh, non credo che ci sarei tagliata.» si affrettò a chiarire, non volendo fraintendesse: non era mai stata una da grande amore e grandi sogni, nemmeno li voleva dei figli, non reputandosi all'altezza di poter gestire tali responsabilità e non avendo nemmeno un gran istinto materno. «In quel periodo mi sentivo davvero in quel modo e mi è sempre pesato molto. Alla fine, poi, non era solo una sensazione, credo lo fossi davvero.» Sola, s'intendeva, ma non voleva ripeterlo ancora. Si voltò a guardarlo, con una smorfia sul volto, quasi di tenerezza. «Ho una particolarità un po' strana, oltre che inutile. E' una mezza cazzata col tempo.» spiegò, male, come sempre quando la citava. Bloccò per un secondo ogni cosa, si spostò e si posizionò alle spalle di lui, mettendogli le mani sugli occhi prima di far fluire nuovamente tutto: «Buh.» Aveva fatto qualcosa di simile anche sulla scogliera. Sorrise, tornando al proprio posto. «Diciamo pure che il fatto che mi siano sbucate le tette e che sia cresciuta di, boh - Quanti anni sono passati? Cinque? Facciamo cinque. - cinque anni nonostante ne siano passati soltanto due, è legato a questo.» Non sapeva perché gli stesse dando tutte quelle spiegazioni. Voleva, anche se non del tutto: Darko era stato un tassello importante della sua vita, ben più importante per lei di quanto non lo fosse stata lei per lui probabilmente. Sentiva di doverlo fare. «Mi dispiace per quello che è successo quel giorno.» Non lo stava più guardando, si stava tacitamente vergognando di sé, pur non lasciando che dalle sue parole trasparisse il suo sentire: aveva un tono meno sicuro del solito, molto più remissivo, che raramente le si sentiva usare. Rimase per un attimo in silenzio, ponderando con attenzione le parole da pronunciare in seguito: «A volte ho pensato di cercarti però, sai com'è, l'orgoglio Sollevò le spalle, tornando con gli occhi nei suoi: «Alla fine ho preferito cambiare 'compagnia' e rifornirmi altrove.» E solo per non vederlo. Doveva essergli grata anche per quello dunque: era a causa sua che era incappata in Milo. «Però, ora che la Cat venticinquenne ha fatto questo grande passo ed ha sconfitto il suo acerrimo nemico» e si riferiva ancora una volta al suo maledetto orgoglio - foolish era proprio l'aggettivo corretto, proprio come aveva detto Clapton - «posso tornare da te e magari ripargarti con una... cena?» Proprio il massimo per scusarsi di un tentato suicidio. «Sono un po' povera per offrirti di più, mi spiace.» Era assurdo quanto fosse brava con gli sconosciuti e quanto invece faticasse ad essere totalmente onesta con qualcuno che le era più vicino, ma aveva fatto già tanto per quella giornata, sconfiggendo, almeno per quel giorno, il suo "acerrimo nemico" e parlando a cuore aperto: una cena, così come il lasciargli il suo numero qualora avesse davvero avuto bisogno di supporto legale, non era che il minimo sebbene, ad essere davvero totalmente sinceri, ancora una volta lo stava facendo più per sé che per lui. Rivoleva Darko nella sua vita, certo, non in veste di fuga, non come una volta, ma se non quello, magari, come amico. Le era stato vicino più di chiunque altro durante quel periodo e gliene era grata, ben più di quanto non desse a vedere. «Giuro, non ho nessuna cotta per te ormai. Mi sono fatta grande.» aggiunse, tentando di smorzare lievemente la tensione che, forse, sentiva solo lei. Maledetti sentimenti.

    Edited by Nana . - 21/1/2021, 12:00
     
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    C’erano parti di sé che a distanza di tempo avevano iniziato a sembrare l’eco di alcuni vecchi sogni, una vergogna che avrebbe voluto dimenticare anche lui. Sembravano essere l’insieme di alcuni frammenti di ricordi che ancora tornavano a far male, sensi di colpa che mai, in tutti quegli anni, si erano poi davvero affievoliti, nonostante. Non era mai stato nella posizione di Cat, non aveva mai lontanamente pensato di poter sparire dalla faccia della terra facendo così magari un favore a sé stesso, anzi. Se mai c’era stato un pensiero come quello, l’unico favore che avrebbe fatto sarebbe stato indirizzato a qualche altro, secondi e terzi individui che dal contatto con lui erano rimasti scottati, alcuni addirittura per sempre, senza avere la possibilità di tornare indietro e fargli capire quanto erroneo fosse il mondo intero, persino quello in cui lui credeva ancora, quello che Darko pensava l’avesse tirato su e formato. Per un periodo aveva vissuto nel mezzo, tra la realtà e il sogno, lo stato di sonnolenza poco reattiva ma altrettanto creativa: l’aveva creato per lui e per Silje, ci si erano rinchiusi all’interno di quelle mura senza davvero avere la voglia di sbucare fuori, di uscire allo scoperto e affrontare quella verità dal quale continuavano a nascondersi. All’esterno, nessuno dei due aveva la capacità di controllare niente, al contrario di quando invece socchiudevano le palpebre e si lasciavano andare, mano nella mano.
    Sensi di colpa, gli stessi che lo tormentavano ancora nel presente per non aver fatto abbastanza, per non averla fermata, per non aver compreso quanto a largo si fossero spinti, neanche la corrente dell’oceano era stata più capace di riportarli a riva. Eppure, con Cat era stato diverso, con lei aveva imparato a trattenere e impedire. Aveva compreso quanto essenziale fosse, dopotutto, cancellare i punti e mettere le virgole alle frasi, alle vite. Alla sua. Spettatore di un gesto folle, certamente non più di quanto lo era stata la sua esistenza fino a quella sera, Darko aveva letteralmente invertito il corso degli eventi e l’aveva trattenuta contro per impedire a se stesso e a lei di assistere e compiere un gesto di cui, con molte probabilità, avrebbero potuto pentirsi. Lo spacco che era sopraggiunto nel dopo era stata un’altra questione, inadeguatezza mista a vergogna per una realtà di cui i loro occhi si erano voluti privare fino a quel momento.
    Sentirla parlare di quello che aveva fatto durante quel periodo di tempo in cui non si erano visti, udire la voce risuonare così adulta fuori dalle sue labbra, le stesse che solo due anni prima avrebbe pagato pur di vederle aperte in un sorriso sincero, tutto della nuova Cat, non più tanto piccola, sembrava riempirlo di un sentimento di orgoglio, qualcosa di cui forse non aveva il diritto di esser fiero ma che, chissà per quale assurdo motivo, gli faceva letteralmente bene. «E poi dipende. A me piacerebbe specializzarmi nel diritto minorile e spero che papà Darko non abbia mai di questi problemi.» spiegò ancora lei, rivolgendogli un caldo sorriso, qualcosa di inaspettato e divertente al tempo stesso. Inarcò le sopracciglia mentre andava a scuotere leggermente il capo, brevemente ammutolito da quanto quella affermazione rivelasse ora molto di lui, lo stesso Darko che solo qualche mese prima ci avrebbe riso sopra e avrebbe lasciato nel dimenticatoio anche quella conversazione. Ma il moto delle cose continuava a cambiare, tutto il mondo continuava a farlo e, di riflesso, anche la sua vita, persino nei punti più insignificanti del suo percorso, quelli che si guardano con la coda dell’occhio perché decisamente improbabile che cambino per davvero. E lì, in quei punti cardinali, qualcosa di statico si era lasciato sovrapporre dal cambiamento, lo stesso che ancora stentava a credere potesse essere reale. Sospirò piano, dopo aver abbassato nuovamente gli occhi sulla tanica di olio che continuava a svuotarsi nel serbatoio, sotto le sue mani. «Non sai quanto lo spero anche io.» si ridusse a rispondere a quella affermazione, quasi come un sussurro rimasto incastrato fra polmoni e gola per tutto quel tempo. Aveva riportato alla luce domande che si era posto diverse notti dopo quell’incontro al luna park con Mae e la piccola Malia, domande che solo poco tempo prima non avevano avuto neanche alcuna ragione d’esistere sotto la lingua.
    Fortunatamente, la conversazione proseguì ancora, sebbene sempre nella stessa direzione. Parlarono dei cambiamenti nella vita di Darko, quella che lui riteneva essere rimasta uguale per tutto quel tempo, due anni lunghissimi in cui persino il cielo e la terra avevano fatto a cambio di posto. Ammetterlo, però, richiedeva un’attenzione ai particolari che Darko non aveva mai considerato: viveva a quel modo da una vita intera, da quando suo padre era andato via e aveva deciso il suo destino, da quando suo fratello era quasi morto per colpa sua, da quando aveva iniziato a considerare importanti cose che per altri non lo erano affatto, da quando Silje era morta per colpa sua. E, forse non meno rilevante, da quando Cat aveva capito quanto importante fosse tutto quello: l’esistenza, pregna di errori e tremende decisioni, non era poi davvero così male, sembrava loro solo esserci voluto un po’ di tempo per capirlo. «Più di quanta ne credi.» gli aveva risposto lei, chinando poi il capo verso il basso e distogliendo lo sguardo dall’altro. Le parole gli vennero fuori seriose eppure così cariche di significato, almeno per lui. Ci aveva pensato spesso a lei e a tutto quello che si erano detti l’ultima volta, al modo in cui glielo aveva detto. Ma era stato solo arrabbiato, si era creduto incapace di poter fare del bene, a quel tempo, e sebbene l’idea di saltare non l’avesse piantata lui nella mente di Cat, qualcosa dentro al suo petto si era incrinato irrimediabilmente nel momento in cui aveva compreso cosa lei stesse per fare. La ragazza, comunque, non rispose a quelle sue affermazioni, a quella significativa dichiarazione d’affetto che lui sembrava rivolgerle ora, dopo tutto quel tempo, e da un certo punto di vista Darko le fu grata, come se le parole di lui bastassero per entrambi e per comprendere quanto in realtà avessero tenuto l’uno all’altra, nonostante tutto e nonostante il modo in cui le loro strade si erano separate repentinamente. Ciò che avvenne dopo, quello che lei disse, fu qualcosa di tremendamente ricercato, come se Cat sapesse perfettamente di cosa lui potesse avere bisogno in quel momento e stesse decidendo di condividere con lui un pensiero che forse l’avrebbe aiutato a compiere le future decisioni, qualcosa del quale non avrebbe voluto pentirsi e che gli avrebbe dato la spinta per intraprendere un percorso nuovo, qualcosa che l’aveva spaventato per parecchio tempo. «Che bad boy che sei, non ti smentisci mai. E dire che ti vedo bene con una famigliola felice alle spalle, secondo me saresti migliore di tanti uomini sposati con la loro stessa ipocrisia.» mormorò Cat, la voce seria forse tanto quanto quella di Darko poco prima, se non di più. Con il fondoschiena poggiato contro il cofano del camioncino bianco con il quale era rimasta a terra poco prima lei, Darko serrò le labbra ed incrociò le braccia al petto, spostando lo sguardo da quello blu elettrico della ragazza e posandolo in direzione dell’asfalto, un’ombra scura di pensieri che andava a depositarsi sulle sue spalle, le stesse che si erano scontrate e lo avevano riparato per anni da tutta quell’infelicità di cui lui stesso aveva pure dovuto farsi carico per anni e anni, fin quando non aveva completamente tagliato il cordone ombelicale da qualsiasi figura genitoriale avesse mai incontrato durante la propria infanzia. Era rimasto solo lui e nient’altro, niente madre o padre, niente esempi di figure adulte cui aspirare. Si era costruito da solo, si era fatto da solo, e probabilmente non sarebbe stato il padre più strabiliante del pianeta, anzi, forse nella top 15 dei pessimi, eppure ci avrebbe dovuto provare, piano piano, provando ad essere per Malia anche solo una figura protettiva tra le cui braccia avrebbe potuto nascondersi nei momenti del bisogno. Era quello che lui non aveva mai avuto, quindi partire da lì avrebbe potuto essere un inizio. «Quando arriverà il momento di metter su famiglia, se mai dovesse arrivare, te lo farò sapere.» scherzò quindi, tornando a rilassare le spalle e sollevando lo sguardo nuovamente nella direzione di Cat, le sorrise divertito. E ancora, ennesime confessioni fra due anime affini che per qualche stupida sbandata sembrano essersi perse per strada. La cotta. Darko era stata la cotta di Cat? Non fu capace di trattenere l’ennesima risata divertita nell’udire quelle parole, le stesse che andò a ripetere ancora una volta enfatizzando il concetto, lo stesso che li aveva portati dov’erano: le situazioni complesse e forse sbagliate, le scelte di vita che avrebbero facilmente potuto essere discutibili. «Aw, non pensavo l'avrei mai detto ma sei proprio severo con te stesso.» commentò lei, allungando una mano verso la sua spalla per posare il palmo su di essa mentre ogni tratto del viso di lei si addolciva. «…E, in più, dimostravi almeno la metà dei miei anni, che ti credi?» rispose allora lui, chinandosi brevemente nella sua direzione per aggrapparsi al suo sguardo con il proprio mentre, chinato il capo verso il suo, si avvicinava a lei con la spalla e lasciava che questa si scontrasse a quella più magra di lei. Quando tornò indietro, le labbra stentavano a tornare alla loro posizione originaria, rimanendo schiuse in un piccolo sorriso divertito per tutto il tempo, anche quando tornò a posare la propria attenzione su di lei, la Cat di quel tempo, quella nuova di cui sembrava riconoscere a tratti solo un lontano riflesso, lo stesso che appariva ogni volta in cui la figura magra di lei si avvicinava ai vetri dell’automobile. Sfuggente, distaccato, distorto: cosa aveva conosciuto di lei, fino a quel momento? E cosa sembrava essere cambiato? «Credo che l'unica cosa che realmente mi interessa sia un po' di stabilità, non essere più così… sola.» rispose allora lei, iniziando a spiegarsi a lui per quello che un tempo era stata e per quello che invece era divenuta in quel periodo di tempo trascorso distanti. Gli offrì una sigaretta, che accettò sfilandola con facilità dal pacchetto allungato nella sua direzione. La incastrò fra le labbra per poi avvicinarsi a lei e, dopo aver chinato il viso in direzione delle sue mani, se la lasciò accendere. Un lungo sospiro, una boccata di veleno vacuo che entrava e fuoriusciva sotto forma di nuvola di fumo. «Non mi riferisco a relazioni e cose del genere eh, non credo che ci sarei tagliata. In quel periodo mi sentivo davvero in quel modo e mi è sempre pesato molto. Alla fine, poi, non era solo una sensazione, credo lo fossi davvero.» continuò lei e Darko restò in ascolto, attirato dalle parole che veloci sembravano uscire dalla bocca di Cat dove per troppo tempo avevano avuto residenza, forse nascoste dietro i denti bianchissimi o attaccate alle pareti della gola. Sola, era quella la sensazione che aveva provato e che l’aveva spinta a compiere gesti estremi? Non ne era stupito, Darko. Aveva avuto a che fare con gente solitaria, quelli che restavano lontani dalla folla per scelta. E aveva avuto a che fare con gente sola, quelli che nonostante cercassero costantemente il contatto altrui, la festa, il chiacchiericcio, dentro la mente sembravano esserci anni luce di distanza da chiunque altro, ci si abituava anche il corpo, il battito del cuore tremava ad ogni passo vicino ed estraneo. Quando lei si voltò a guardarlo di nuovo, quell’espressione di tenerezza sul viso, Darko scrollò appena le spalle mentre metabolizzava il discorso, o meglio, il suo significato più profondo. «Nel mio piccolo… mi dispiace averti fatto credere di esserlo.» sussurrò, sollevando una mano nella sua direzione quasi volesse scacciare l’ombra di un Darko più egoista, qualcuno che un tempo era stato molto meno maturo di ciò che sembrava esser diventato. Sapeva non avrebbe potuto fare molto altro, neanche nel prima. L’idea della solitudine la conosceva bene anche lui e, sebbene alcuni la vivessero in modo migliore di altri, di certo non avrebbe potuto essere lui a salvare vite vissute in solitudine, neanche quella di Cat. «Ho una particolarità un po' strana, oltre che inutile. E' una mezza cazzata col tempo.» disse allora lei, gli occhi che tornavano ad illuminarsi all’improvviso, Darko ebbe giusto il tempo di rivolgerle un’occhiata curiosa appena prima che lei sparisse letteralmente dal punto in cui si trovava. Quando il buio calò sulle sue iridi chiare, Darko si ritrovò istintivamente a spostarsi con il busto in avanti, quasi volesse sfuggire all’oscurità, intimorito da ciò che non conosceva. «Buh.» fu familiare quell’esclamazione, un dejavu che tornava a bussare alle porte della sua mente per riportarlo nel passato, alla stessa notte sulla scogliera. Lo aveva fatto anche lì, eppure Darko non vi aveva prestato forse la giusta attenzione o, semplicemente troppo fatto per reagire in maniera appropriata, aveva lasciato correre. «Diciamo pure che il fatto che mi siano sbucate le tette e che sia cresciuta di, boh - Quanti anni sono passati? Cinque? Facciamo cinque. - cinque anni nonostante ne siano passati soltanto due, è legato a questo.» confessò allora lei e, per un attimo, tutto sembrò nettamente più chiaro di quanto lo fosse mai stato. Si prese qualche istante per osservarla, senza nascondere minimamente la traiettoria delle iridi che, dal viso, partivano verso il basso costeggiando sui lineamenti da donna che, effettivamente, solo due anni prima poco si erano visti. Dall’alto verso il basso, Darko arrivò ad osservarle persino le caviglie bianchissime, le stesse che anni prima aveva visto affondare assieme ai piedi nella sabbia della spiaggia, una giornata qualunque delle loro trascorse a fare, letteralmente, niente, pur stando insieme. «Ok, allora mi correggo, non avevi forse la metà dei miei anni ma almeno tre quarti.» constatò, ironicamente serio mentre, con le palpebre assottigliate sulle iridi chiare, tornava a sollevare lo sguardo dalle caviglie di lei al suo viso. Innumerevoli le domande che pulsavano nella sua mente, le spiegazioni che, lentamente, sembravano sbocciare nel suo subconscio ritrovando tasselli del puzzle che mai aveva saputo davvero mettere insieme, fino a quel momento. Perché lo aveva fatto? Perché bloccare il tempo così a lungo? Era quello, il vero significato della solitudine di cui aveva parlato solo poco prima? E, cosa più importante: lo faceva ancora? «Mi dispiace per quello che è successo quel giorno.» udì le sue parole riportarlo al presente, lo stesso in cui il destino aveva voluto rimetterli sulla stessa strada quella mattina. «A me dispiace di essermi comportato da insensibile… Non sapevo cosa stessi passando davvero, Cat.» ammise, un po’ affranto, portandosi una mano alla nuca e lasciando che i polpastrelli delle dita si premessero contro la pelle delle tempie, ora infuocate. «A volte ho pensato di cercarti però, sai com'è, l’orgoglio. Alla fine ho preferito cambiare 'compagnia' e rifornirmi altrove.» ammise lei, continuando a spiegare ciò che era avvenuto. Scosse il capo, Darko, tornando a liberare la nuca dalla presa delle dita e sollevando il capo nella direzione di Cat le sorrise divertito, le sopracciglia che si inarcavano. «Ah, questo non te lo perdono di certo.» scherzò, sollevando il mento nella sua direzione e lasciando che il viso assumesse un’espressione fintamente disturbata. «Hai ferito un bel po’ di persone nel nostro giro. Ricordi di Dag?» disse d’un tratto, ridacchiano sommessamente mentre tornava ad allontanare lo sguardo da lei inconsciamente e ricordare dei giorni passati. «Per dirla in termini carini, credo avesse una cotta per te. Quando abbiamo smesso di girarci intorno io e te, mi ha chiesto spesso che fine avessi fatto.»Una botta alla piccola Cat no?” le parole dell’amico ancora risuonavano nella testa di Darko come se le avesse udite solo il giorno prima. «Però, ora che la Cat venticinquenne ha fatto questo grande passo ed ha sconfitto il suo acerrimo nemico, posso tornare da te e magari ripargarti con una... cena? Sono un po' povera per offrirti di più, mi spiace.» gli propose lei allora e lui non potè far altro che continuare a sorridere mentre si staccava dal cofano dell’automobile per piantarsi di fronte a lei. Gettò quello che rimase della sigaretta e allargò le braccia. Le fece cenno con le dita per incitarla ad avvicinarsi e poi le richiuse attorno alle sue spalle per stringerla affettuosamente a sé. Col mento che affondava leggermente fra i capelli ora sciolti di Cat, Darko strofinò il palmo della mano destra contro la schiena della ragazza. «Accetto molto volentieri, piccola Cat. sussurrò piano, enfatizzando il nomignolo che da sempre le aveva affibbiato perché, nonostante passasse del tempo, anche più di quanto lui potesse notare, lei restava comunque la stessa per lui. La stessa ragazzina apparsa dal nulla anni prima, la stessa che aveva deciso di accogliere nella sua cerchia nonostante forse all’inizio con lui non avesse poi molto a che fare. Era la piccola Cat delle giornate trascorse a dormire e le nottate passate fuori, in giro, in parte fatti e in parte euforici per qualsiasi cosa capitasse loro, per il modo in cui le stelle bruciavano nel cielo quando si stendevano sulla spiaggia l’estate, anche quella che aveva visto spezzare tutto su una scogliera. La piccola Cat a cui aveva voluto bene, un bene fraterno che forse allora non era stato abbastanza forte da resistere ai cambiamenti della vita, non prima di aver maturato una certa responsabilità di chi si era e cosa si volesse. Quando la lasciò andare, sciogliendo l’abbraccio, lasciò che una delle sue restasse ancorata alla spalla magra di lei, per tenerla appena più vicina mentre udiva l’ennesima confessione. «Giuro, non ho nessuna cotta per te ormai. Mi sono fatta grande.» e sorrise, Darko, sollevando il capo verso il cielo e lasciando che il petto vibrasse a quel suono. Quando tornò a guardarla senza stancarsi di sorriderle, portò la mano libera dalla sua spalle alla nuca, andando a scompigliarle il capelli. «Peccato, ora avremmo l’età giusta per divertirci.» scherzò ancora, facendole l’occhiolino prima di liberarla dalla sua presa e allontanarsi di qualche passo per raggiungere la tanica dell’olio che poco prima aveva posato per terra e afferrarla con una mano, ora più leggera perché mezza vuota. «Questa va a me, ma attendo notizie per la cena, non dimenticartene!» disse, ora serio, mentre sollevava una mano nella sua direzione e andava ad indicarla con il dito indice. Poi, come se avesse appena ragionato su quello che aveva detto e si era sentito stupido, tornò a lasciare la tanica sull’asfalto e raggiunse Cat mentre usciva il telefono dalla tasca dei jeans e lo sbloccava, passandoglielo fra le mani. «Non fare caso allo sfondo, altrimenti mi ingelosisco.» disse indicando il telefono con il mento. «Fatti uno squillo, così mi salvo il numero.» spiegò quindi, lasciando che lei avesse il tempo per fare il tutto e riprendendo poi l’iPhone tra le mani così da infilarlo nuovamente nella tasca dei pantaloni. Tornando ad afferrare la tanica d’olio e sollevandola all’altezza della vita, si voltò nuovamente verso di lei, sorridendole dolcemente. «Fa’ la brava.» disse, sollevando il mento nella sua direzione. «E… per qualsiasi cosa, ci sono. Sai dove trovarmi ora.» continuò, spostando brevemente lo sguardo sulla stazione di servizio e poi tornando su a posare la propria attenzione su di lei.
    Dall’autodistruzione alla maturità di un abbraccio: che fosse, quello, un altro salto nel mondo che lentamente stavano provando a migliorare insieme?
     
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5 replies since 31/5/2020, 12:16   177 views
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