Blood could clean my soul

Anders x Frida - Bianconiglio

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    Anders Jan Sandström

    Una chiazza nera informe sullo sfondo di decine di mensole illuminate da dei neon leggeri, questo era Anders, se non avesse avuto il viso scoperto probabilmente sarebbe stato scambiato per un’ombra. La sua espressione perennemente corrucciata non invitava la gente ad avvicinarsi al bancone del bar, nonostante ciò erano in troppi i temerari che si sedevano e gli chiedevano cocktail e stuzzichini vari. Avrebbe preferito di gran lunga rifugiarsi nei magazzini e occuparsi dello scarico della merce quella sera, invece era il figlio reietto di Oskar Sandström, inevitabile sottrarsi dal contatto pubblico e dalle relazioni sociali. Scosse il capo per allontanare i riccioli ribelli dalla fronte e poi si voltò di spalle per prendere dalle mensole il necessario per la preparazione di un Cuba Libre; mescolò coca cola, rum chiaro e lime come un vero esperto, ammettendo che quella era una delle richieste più semplici della serata. Ogni volta che si ritrovava le mani appiccicaticce per gli alcolici che debordavano dai bicchieri, si chiedeva che cosa si fosse laureato a fare in ingegneria del suono se suo padre non gli permetteva di occuparsi del service del Bianconiglio. Non era un ruolo che donava al figlio del capo, la conoscenza della parte più scientifica del suono non era di utilità alcuna in caso di sparatoria nel loro locale. Come avrebbe potuto intervenire in conversazioni o risse o peggio se stava rintanato dietro la console? Fortunatamente Anders aveva trovato modo di applicare i suoi studi fuori dal loro locale, invitando i pochi amici che aveva a sentire i suoi lavori. Lui non era il dj nei locali, bensì colui che si occupava di far sì che i volumi dei microfoni non entrassero in collisione, che gli effetti sulle voci o sugli strumenti fossero perfettamente equalizzati e mai contrastanti. Insomma era colui che creava il perfetto equilibrio del suono, cosa che invece non sapeva fare nella sua vita personale. Era nato dello Scorpione e non della Bilancia perché la sua era sempre pendente da una sola parte.
    ”Theresa.” fece una pausa in attesa che la ragazza gli prestasse attenzione. ”E’ appena finito il rum, mi assento un paio di minuti per recuperare un paio di bottiglie dal retro. Per favore, sostituiscimi.” non un accenno di sorriso sul suo viso, solo un cenno col capo in segno di ringraziamento prima di eclissarsi dietro la porta che recava la scritta Staff Only su una targa bianca. Non appena se la richiuse alle spalle il mondo entrò in modalità silenzioso, la musica della sala gremita di gente era solo un eco lontano e finalmente sentiva circolargli nei polmoni dell’aria pulita che non sapeva di pettegolezzi e sudore. Fece un sospiro prima di avviarsi lungo il corridoio vuoto, sorpassò la cucina da cui proveniva un vociare forte e distinto, sembrava il rumore di una pentola piena d’olio durante la frittura. Tirò dritto godendosi quell’accendersi e spegnersi di suoni nelle sue orecchie, da ogni stanza proveniva il rumore della vita in fermento e ogni volta che ne superava una ne conseguiva una pausa di silenzio. Vita. Pausa. Vita. Pausa. Era come camminare lungo uno spartito musicale reale. Finalmente raggiunse la porta dove tenevano le scorte di alcolici, aprì con la sua chiave personale, prese la bottiglia di rum e poi si affrettò verso la sala. Non che non si fidasse di Theresa, ma nelle serate movimentate preferiva tenere lui le redini di ciò che accadeva al bancone, era il tecnico del suono del bar, armonizzava i ritmi di tutti con naturalezza e con un certo tocco di severità. Quando arrivò davanti alla soglia che lo avrebbe condotto nuovamente in sala esitò per un attimo, poi spalancò la porta e venne travolto dal ruggito della vita che animava la stanza. Era in direzione del bancone quando una voce piuttosto familiare lo distrasse, si voltò e vide sua sorella Frida che lo fissava con le braccia incrociate al petto. Anders inclinò la testa da un lato e le rivolse un ghigno divertito, era da qualche ora che la sua presenza non si faceva sentire in lui, era stata insolitamente quieta, neanche un livido leggero procurato di proposito. ”Sei venuta a trovarmi perché giù ti annoi?” la prese in giro, facendole cenno di seguirlo verso il bancone. Si sistemò meglio la camicia nera con la mano libera, ”Theresa, per favore sistema la bottiglia al suo posto. Grazie.” la ragazza annuì con eccessivo zelo, non gli piacevano le persone che dicevano sempre di sì perché era il figlio del capo. Avrebbe preferito passare il suo turno al piano terra dove c’erano un paio di dipendenti che considerava quasi amici, invece gli era toccato sostituire un certo Petar che si era sentito male per migliorare il suo umore. L’ultimo piano del Bianconiglio era quello che detestava più di tutti, lì c’era solo l’élite di Besaid, coloro che avevano soldi da spargere con imbrogli di basso livello, nulla a che vedere con coloro che si dilettavano nei piani interrati del locale. Farabutti principianti col viso d’angelo, così lì definiva Anders.
    ”La riunione come sta andando? C’è qualcosa che dovrei sapere?” domandò alla sorella appoggiandosi coi gomiti sul bancone. Avrebbe voluto salutarla con un bacio sulle labbra che sapeva essere morbide come zucchero a velo, ma in quelle sale non gli era concesso seguire il suo istinto. Si limitò a fissare i suoi occhi scuri in quelli di Frida, alzando un sopracciglio in sua direzione con aria complice. Le aveva chiesto se doveva essere messo al corrente di qualcosa di proposito, da quando lui e sua sorella avevano chiarito la loro posizione all’interno dell’organizzazione, rendendosi finalmente conto di essere dalla stessa parte, si scambiavano spesso informazioni confidenziali che non avrebbero mai dovuto divulgare nemmeno al proprio gemello. Sapeva che Frida non gli avrebbe detto nulla in mezzo alla folla, ma sarebbe bastato un cenno col capo per fargli capire se doveva abbandonare la barca e cercare un sostituto per aiutare la povera Theresa, la donna sommersa dallo zelo per i suoi superiori. ”Quindi sono richiesto anche io questa sera? Quale onore…” disse con una latente ironia nella voce, iniziò a slacciarsi il grembiule rigorosamente nero che teneva legato in vita e lo lanciò sotto il bancone. ”Theresa, è richiesta la mia presenza da Oskar in persona, cercherò di farti arrivare un sostituto il prima possibile.” andò sul retro del bancone per utilizzare il telefono fisso che utilizzavano come centralino all’interno del locale, bastava premere il numero corrispondente al piano che si voleva contattare per inoltrare la chiamata. ”Hey, Jerry! Ti ho riconosciuto subito, come va lì sotto nel tugurio? Senza di me come giudice le gare di beating non valgono! Comunque ti contattavo per una cosa importante, Oskar mi ha chiesto di sganciarmi, serve una mano al secondo piano. Grazie, amico. A più tardi.” sistemate le burocrazie finalmente poteva concentrarsi su sua sorella, non disse nulla, si affiancò a lei incamminandosi nuovamente verso la porta Staff Only. Ecco di nuovo quel silenzio ovattato dove c’era solo l’eco della vita nelle altre stanze, si voltò a guardare Frida con uno sguardo più gentile stavolta, lì erano soli e poteva permettersi di abbassare la guardia. ”Potevi sbattere leggermente la mano sulla sedia per farti viva, mi sei mancata durante questa riunione troppo silenziosa. Se prendiamo le scale d’emergenza avremo più privacy, andiamo.” parlò a bassa voce nel caso in cui qualcuno arrivasse all’improvviso, doveva comunque essere cauto quando si trovavano tra le pareti del Bianconiglio, quella era davvero una tana ambigua esattamente come quella della “favola”.
     
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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [Descrizione o discussione estesa di situazioni incestuose].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.
    Le azioni descritte non sono ad ogni modo condonate e sono diretta responsabilità creativa di chi ha realizzato tali contenuti.



    Faceva un po’ di freddo laggiù, al piano più basso di quel locale che dall’esterno aveva un’aria decisamente austera. Soltanto le installazioni realizzate davanti al portone di accesso lasciavano intendere che all’interno si trovasse un night club, altrimenti da fuori chiunque avrebbe pensato a un edificio industriale come tanti altri, rimasto a memoria del suo glorioso passato. Oskar lo aveva acquistato poco dopo il suo arrivo in città e Frida lo aveva sempre conosciuto così, anche se negli anni avevano un po’ rinnovato gli arredi, le luci, le disposizioni delle sale. La Tana del Bianconiglio mutava i suoi interni periodicamente, ma all’esterno rimaneva sempre lo stesso, come se il peso degli anni non potesse scalfirlo, così come non poteva fare breccia sul suo proprietario. Freddo, calcolatore, con quell’aria seria e impassibile che non lo abbandonava mai del tutto. Soltanto in rarissime occasioni ricordava di averlo visto sorridere nella sua direzione, felice del suo operato. Non esprimeva quasi mai quello che provava, né a parole, né con i gesti. Tutto quanto restava all’interno della sua mente, nel bene e nel male ed era difficile riuscire a scorgere qualcosa dal suo sguardo o dal suo volto. Anche in quel momento, mentre se ne stava seduto ad ascoltare il dialogo tra alcuni dei suoi sottoposti, se ne stava fermo, rigido, con lo sguardo puntato su alcuni fogli che teneva davanti a sé, come se neppure li stesse ascoltando. Ma lo stava facendo, era evidente dalla concentrazione che faceva vibrare appena alcune vene sulle sue tempie, nel suo sguardo fisso e attento. Stava pianificando qualcosa, da tempo ormai Frida si era reso conto che c’era qualcosa che gli frullava per la testa, anche se non aveva voluto rivelare neppure a lei di che cosa si trattasse. La cosa più strana era stata notare l’assenza di suo fratello Nils in quella discussione, ma non aveva fatto domande, certe cose era meglio non chiederle e scoprirle da soli. Che suo fratello maggiore avesse finalmente commesso un passo falso? Quella si che sarebbe stata una sorpresa degna di nota, ma sotto quel frangente forse solo Anders avrebbe potuto risponderle lui che, ovviamente, non era mai tra gli invitati d’onore a quelle discussioni. Ci stavano lavorando però e, anche se molto lieve, aveva notato un cambiamento nel modo in cui suo padre lo guardava ora, come se davvero pensasse che qualcosa potesse essere mutato nel suo gemello e che finalmente stesse mettendo la testa al suo posto. Probabilmente questo doveva averle fatto guadagnare dei punti e la possibilità di essere lì quel giorno, a discutere di nuovi affari insieme a suo padre e ai suoi uomini più fidati, volti che avrebbe impresso a fuoco nella sua memoria per non dimenticarli mai. Chiunque era lì dentro poteva divenire un potenziale pericolo per i loro piani. Rimase ferma, con la schiena dritta, seduta al suo posto in perfetto silenzio, mentre gli altri discutevano, tenendo il suo sguardo fisso su Oskar per studiare ogni suo più piccolo cambiamento. Il patto che lei e Anders avevano fatto vedeva lei in prima linea nello scoprire quanto più possibile su di lui e sui suoi piani. Avevano bisogno di molte informazioni per poter sovvertire l’ordine delle cose e di tanta pazienza. Le rivoluzioni non si potevano compiere in un giorno, se si cercava solo un modo per suicidarsi.
    Un cenno della mano da parte di suo padre e cadde il silenzio, non aveva neppure avuto bisogno di parlare. Tutti si erano voltati nella sua direzione, attendendo una sua parola, come se da quello potessero dipendere le loro vite. Poteva percepire la tensione in quella sala e anche lei, inconsciamente, si ritrovò a trattenere il respiro per un momento, mentre lui schiudeva appena le labbra. -Le vostre idee sono tutte molto interessanti, ma ho altri piani al momento. - disse soltanto. Era evidente che gli fosse importato delle loro proposte, che quella non era la giornata adatta per accettarle, ma ci avrebbe riflettuto, come faceva sempre e avrebbe valutato quelle più opportune. Prendeva sempre le sue decisioni da solo, ma sapeva quando accettare un consiglio brillante. -Ci sarà un’importante transizione di denaro, ho bisogno di persone fidate che se ne occupino. - continuò, per poi sollevare lo sguardo e puntarlo dritto su di lei. Immaginava che quelle attenzioni volessero dire che quello sarebbe stato il suo nuovo compito, anche se ancora non le aveva dato abbastanza informazioni. -Frida? - la chiamò quindi, come se fosse necessario specificarlo e lei allora lo guardò con più attenzione. -Si padre? - domandò, rimanendo in attesa di un ordine, di una richiesta, qualunque cosa potesse farle comprendere anche solo un minuscolo dettaglio. -Mi hai detto che tuo fratello vuole rendersi utile, aiutarci. E’ giunto il momento per lui di dimostrarlo. Vai a chiamare Anders. - terminò, attendendo un leggero cenno del capo da parte di lei, prima di tornare a guardare le carte davanti a sé. Si sollevò, senza aggiungere nulla, muovendosi velocemente verso la porta alle sue spalle, per poi prendere le scale e iniziare a salire di qualche piano, raggiungendo la sala più sfarzosa del locale. Avrebbe potuto prendere l’ascensore ma aveva bisogno di camminare per schiarirsi le idee. Poteva essere un’ottima opportunità per loro, ma anche una trappola, che cosa doveva pensare?
    Raggiunse la posizione che avrebbe dovuto occupare suo fratello trovandola invece vuota. Si voltò verso Theresa, la ragazza che doveva lavorare con lui quella sera. -Dov’è? - domandò, senza neppure preoccuparsi di salutarla o di mostrarsi gentile nei suoi confronti. Aveva altro per la testa e non voleva sprecare tempo in convenevoli. -Si è spostato un momento per… - iniziò, prima che la figura di Anders si palesasse a pochi metri da lei. -Finalmente! - disse, in maniera sin troppo seria, come se lo stesse aspettando da ore piuttosto che da qualche minuto, ricevendo in cambio un ghigno divertito. Le fece cenno di seguirlo verso il bancone, per poi chiedere alla ragazza di sistemare la bottiglia al suo posto, per poi fissarla dritta negli occhi mentre le rivolgeva alcune domande. -Mi ha chiesto di farti scendere. - rispose soltanto, mentre per un lungo istante i suoi occhi si immersero nei suoi, cercando di trasmettergli le sue preoccupazioni, che avrebbero avuto voce dopo, lontano da occhi e orecchie indiscreti. Detestava dover mantenere le distanze da lui, non poterlo sfiorare, guardare come avrebbe voluto, e ancora meno riusciva a reggere la tensione di tutti quei segreti. Si slacciò il grembiule, lanciandolo sotto il bancone e informando la collega che si sarebbe allontanato, ma che le avrebbe mandato un sostituto il prima possibile. -Bah, secondo me potrebbe anche fare da sola. - mormorò, al suo orecchio, mentre si allontanavano dal bancone e lui si muoveva verso uno dei telefoni per chiamare un altro ragazzo al secondo piano. Poi entrambi si mossero silenziosamente verso la zona dello staff e i rumori della sala vennero spazzati via dal silenzio di quell’ala del locale, dove in pochi trascorrevano il loro tempo. Era rinfrescante a volte entrare lì dentro e prendersi una pausa da tutto il casino delle sale colorate. -Ero occupata a cercare di studiarlo, ha qualcosa in mente. E non sono sicura che sia una buona cosa. - disse, senza fare nomi, visto che lui avrebbe compreso comunque, mentre si muovevano verso le scale di emergenza, che nessuno utilizzava mai. Oltrepassarono la porta di emergenza e si fermò a un passo da essa, chiudendosela alle spalle, per poi stringere suo fratello in un abbraccio che sapeva di necessità. Lo strinse a sé, concedendosi poi un momento per baciare le sue labbra con foga, prima di allontanarsi di nuovo e guardarlo dritto in volto. -Nils non c’è, ne sai qualcosa? - chiese, sperando che lui fosse a conoscenza delle missioni del loro fratello maggiore, o magari qualche problema. -E’ un affare di soldi e credo voglia ce ne occupiamo insieme, ma non so altro. Temo possa essere una trappola quindi.. stai attento lì dentro. - disse, stringendo la sua mano e rivolgendogli uno sguardo un po’ più preoccupato, per poi sollevare la mano libera ad accarezzargli appena la guancia. -Andiamo, non abbiamo molto tempo, o inizierà a diventare sospettoso. - disse, strofinando appena il naso contro quello di lui, per poi iniziare a scendere le scale, diretta verso l’ultimo livello, dove Oskar li aspettava.
     
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    Se ci fosse stato lui alla console del tecnico del suono di certo non avrebbe permesso che l'equalizzazione della musica fosse così piatta, le mani di colui che stava gestendo la serata sicuramente erano infilate nelle proprie tasche, perché mentre i brani scorrevano non percepiva cambiamenti o adattamenti. Avrebbe fatto in modo che quell'incompetente non ricevesse neanche una corona e che non mettesse più piede all'interno del loro locale. Quel pensiero si arrestò quando la voce di Frida lo raggiunse tra la folla, si voltò verso di lei tirando fuori uno dei suoi ghigni migliori, ma l'espressione sul suo viso era piuttosto seria. Non servì la loro simbiosi per leggere nei suoi occhi la preoccupazione che faceva pressione dentro di lei, Anders non disse nulla quando sua sorella gli disse che Oskar aveva chiesto di lui. Non era una cosa che accadeva spesso, anzi quasi mai, lui e suo padre cercavano sempre di avere contatti solo per le cose importati, tutto il resto gli arrivava sotto forma di comunicazione di ogni sorta fuorché fisica. Anders ignorò l'affermazione di Frida, non si fidava affatto di Theresa, sotto pressione rendeva come un misero fiammifero in una notte di gelido inverno. Attaccando il telefono coi ragazzi del secondo piano pensò che avrebbe preferito passare la serata con loro, ma gli era toccata Theresa. C'era poco da stupirsi persino quei piccoli avvenimenti erano lo specchio esatto della sua vita: non aveva scelta.
    "Non mi fido di lei, si fa prendere dall'ansia quando è sola. Insopportabile." si confidò con Frida solo quando furono lontani da Theresa, per quanto la ragazza non rientrasse tra le sue preoccupazioni, se la serata fosse andata a rotoli a quel piano parte della responsabilità sarebbe stata anche la sua. Già si immaginava l'ennesima lite con Oskar che lui avrebbe accolto a testa alta, non si era mai tirato indietro dagli scontri diretti con suo padre, mentre aveva visto la maggior parte dei loro dipendenti nascondere il capo nella terra davanti al suo sguardo. Poteva respirarla a pieni polmoni la codardia di chi gravitava attorno a Oskar, era il timore reverenziale che incuteva a tenere le persone vicine e la sicurezza che al suo fianco sarebbero state protette che li portava ad accettare ogni tipo di incarico, anche quelli su un filo sottilissimo sospeso tra la vita e la morte. Meglio morire in missione che per mano di Oskar, un disonore senza eguali che invece Anders non capiva. Troppe volte aveva sputato sulla reputazione di suo padre cercando il suo proiettile letale che non era mai arrivato, se la cercava la sua rabbia, era l'unico tipo di attenzione che Oskar sapeva rivolgergli. Se l'affetto non era contemplato, allora si sarebbe riempito del suo odio, una fame insaziabile nel suo stomaco che ne chiedeva sempre di più. Solo di recente l'aveva messa a tacere per sfruttarla al momento opportuno, lui e Frida progettavano di eliminare il padre dalle loro vite, Anders avrebbe taciuto il suo rancore fino a lasciarlo esplodere quando avrebbe trattenuto tra le sue dita l'ultimo respiro di Oskar. Nella sua immaginazione era suo il compito di recidere il filo della vita del tiranno che aveva tirato i fili della sua sin dal primo vagito. Presto sarebbe tornato libero, nessun guinzaglio al collo, nessun 'Sissignore', nessuna paura di essere se stesso, solo una chiazza nera di carne e ossa.
    "Ha un piano, non mi includerebbe se così non fosse. Vorrà testare la mia lealtà, mi considera al pari di una nuova recluta, lo sappiamo entrambi. Finché gli strillavo in faccia i miei pensieri poteva controllarmi, ora la mia mente è troppo silenziosa per i suoi gusti." mormorò mentre si richiudevano alle spalle la porta riservata allo staff del Bianconiglio, si avviarono lungo il corridoio animato a intermittenza delle chiacchiere di qualche dipendente, non c'erano altri rumori a riempirgli i timpani e il cranio tanto era il fracasso nella sala dell'ultimo piano. Raggiunsero la porta d'emergenza e una volta compressi nel silenzio della tromba delle scale poterono rilassarsi per un istante, le braccia di Frida lo avvolsero mentre le sue labbra raggiunsero quelle di Anders con urgenza. Strinse a se' sua sorella sentendo il cuore scivolare sui battiti, le prese il viso tra le mani per trattenerla qualche secondo in più, non poteva afferrare i minuti sarebbe stato sospetto per Oskar tutto quel tempo per scendere. Poteva immaginare complotti e chiacchiere sulle sue intenzioni, di certo non aveva idea che quella manciata di secondi fosse amore. Erano stati bravi a mascherare i loro sentimenti fino a quel momento, erano stati in grado di mascherarsi davanti a ogni singolo paio di occhi che si era posato sulle loro pelli eterozigoti.
    "La vedova nera non c'è perché è in missione. Jerry ha detto che faceva il misterioso sui dettagli, top secret, ordini diretti dall'alto. Oskar deve avergli affidato un incarico personalmente, non si è sbilanciato più di così. Hanno detto qualcosa al riguardo durante la riunione?" Nils era la seconda persona sulla sua lista nera subito dopo suo padre, lui era il figlio prediletto, quello dall’animo senza scrupoli che tutti ammiravano. Non falliva una missione quel so-tutto-io, era la prima donna della famiglia Sandström ai suoi occhi di gemello di seconda mano. Anders allontanò quel pensiero socchiudendo gli occhi assieme alla bocca nel concludere il discorso, si lasciò accarezzare da Frida perso nel limbo che si creava tra le onde dei loro sentimenti che s'incontravano nel suo petto. Si riaffacciò sulla realtà quando sua sorella gli disse che era il caso di sbrigarsi per non destare sospetti. Annuì in sua direzione seguendola lungo la scalinata in discesa. "Soldi? Andremo a riscuotere o a consegnare, sai qualche cosa in più o è stato vago?" teneva le dita salde in quelle di sua sorella, solo quando raggiunsero il piano interrato allentò la presa fino a scioglierla del tutto evidentemente controvoglia. Fece scorrere ogni centimetro di pelle disponibile contro l'altra prima di separarsi da Frida, poi poggiò la mano libera sul maniglione antipanico e aprì la porta d'emergenza che conduceva sul corridoio dell'ultimo piano interrato. Era passato dal trovarsi raso cielo a raso terra nel giro di qualche rampa di scale, mossero i primi passi nel corridoio in penombra, lì l’atmosfera era diversa, il silenzio era immobile, non un riverbero di vita da equalizzare ad un altro. Erano in uno spartito vuoto, l’unico suono che raggiunse le loro orecchie dopo qualche istante era la voce di Oskar che si sentiva ovattata dietro la porta chiusa. Anders guardò Frida negli occhi con intensità prima di bussare per annunciare la loro presenza, scese un silenzio glaciale quando entrarono, nessuno osava parlare senza il benestare di Oskar. Anders fece un mezzo inchino col capo senza dire una parola, anche se non aveva preso spesso parte alle riunioni sapeva che c’era un codice non scritto da rispettare, se suo padre non dava il benvenuto a chi entrava era un chiaro segnale di pericolo, le persone sgradite venivano portate via. Così attese forzando la sua pazienza a non vacillare, non distolse mai lo sguardo da suo padre finché non gli fece cenno di avvicinarsi. La tensione che gli aveva stretto le spalle tra di loro si fece notare solo quando si rilassarono scendendo verso il basso, non si era neanche accorto di avere il corpo contratto nell’attesa. ”Padre.” disse a voce appena udibile, fermandosi a pochi passi da lui che lo fissava dal basso della sua seduta. Oskar era più alto di Anders, sarebbe bastato farlo alzare a ridimensionare il divario tra padre e figlio. Pausa. L’ennesima. ”Ti ho fatto chiamare perché ho bisogno di te.” c’era dell’ironia in quelle parole, era il modo in cui glielo aveva detto associato a quel sorriso da stronzo, se lo sentiva nelle ossa che lo stava prendendo per il culo. L’uomo si alzò in piedi posizionandosi accanto ad Anders, il quale con la coda dell’occhio si era accorto che alcuni erano indietreggiati in segno di rispetto, come se ci dovesse sempre essere una distanza obbligatoria. Cercò di non permettere al suo viso di muoversi, neanche un impercettibile segno di dubbio per quei comportamenti che non tollerava. ”Anzi, di voi.” si corresse includendo Frida, con un gesto della mano ne richiese la presenza per spiegare a entrambi la missione per la quale erano stati scelti. ”Ho bisogno di due persone di fiducia per questo compito, ma mi accontenterò di una a garanzia di due.” un sorriso licenzioso gli tese le labbra sottili, due lame di carne. Pausa. Doppia pausa. Due battute andate a vuoto sul pentagramma che Anders si rifiutò di riempire per non cadere nella sua trappola, lo provocava di proposito, sapeva che in altri momenti sarebbe esploso davanti a quelle parole. Non passò nulla sul suo volto, neanche l’ombra di un’emozione, impassibile come un soldato in attesa di ordini e nient’altro. Solo Frida poteva sentire la rabbia che gli ribolliva nelle vene, che lo corrodeva dentro come un veleno ad azione lenta. ”Posso contare su di voi?” nessuna informazione su cosa avrebbero dovuto fare, sul luogo, sulle persone da incontrare. Tipico di Oskar afferrare la pazienza di suo figlio a mani nude e pizzicarla violentemente per vedere quanto avrebbe resistito prima di scattare e tramutarsi in orgoglio. Anders deglutì il proprio ego prima di rispondere seccamente: ”Certo, padre.” lanciò un’occhiata di sfuggita a sua sorella per vedere cosa avrebbe risposto, sicuro di udire l’eco delle sue stesse parole. Frida era la sua ancora al suolo quando tutto sembrava volare via. Percepiva la preoccupazione di lei premergli nel petto, chissà se era dovuta anche alla sua rabbia assordante, non l’avrebbe delusa, avrebbe mantenuto la sua promessa solo per lei.
     
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    Sbuffò quando suo fratello le spiegò che la ragazza che aveva condiviso il turno con lui sino a quel momento si faceva prendere dall’ansia quando era da sola e per questo non si fidava molto a lasciarle quell’area da controllare. -Uhm.. sembri conoscerla bene. - soffiò, senza neppure guardarlo, come a voler insinuare qualcosa senza dirlo davvero. Era complicato portare avanti una relazione che non potevano vivere, fingere di non essere così intimi, di non tenere così tanto l’uno all’altra. Frida detestava quella condizione e non riusciva a farsi andare giù l’idea di suo fratello che passava del tempo con un’altra. Era sempre stata molto gelosa, anche se cercava di nasconderlo dentro di sé. Inspirò e poi espirò profondamente, cercando di raccogliere tutta la sua calma e di spazzare via quei pensieri che l’avrebbero soltanto resa più sciocca e avventata. Era preoccupata e quando la sua mente iniziava a elaborare infinite possibilità per togliersi da un guaio, iniziava anche a riportare a galla tutti quei dettagli che non la facevano stare serena. Non era semplice avere a che fare con lei, sopportare i suoi sbalzi d’umore, la sua irascibilità. E nessuno più di Anders poteva saperlo, che da sempre era stato costretto a subire quegli stessi cambiamenti. -Lui ha sempre un piano. - soffiò lei, a bassa voce, inspirando appena, mentre suo fratello iniziava a teorizzare. Lo guardò mentre le faceva notare che il suo silenzio non doveva essere passato inosservato e che, facendogli quella proposta, gli aveva chiesto di farsi puntare un mirino addosso per chissà quanto tempo. I sensi di colpa la invasero all’improvviso. Era stata sua quell’idea e inizialmente le era sembrata l’unica cosa da fare, ma ora che iniziava a vivere sulla sua pelle quanto quella loro folle idea potesse essere pericolosa per entrambi, le sue certezze iniziavano a vacillare. -Dobbiamo stare attenti. Tu devi stare attento. - mormorò, mentre entravano in una zona più tranquilla, prendendosi così qualche momento per fermarsi e riprendere fiato. Aveva così tanti pensieri per la testa che temeva di poter esplodere.
    In quella rampa di scale si sentivano come sospesi tra il loro mondo e quello reale, stretti in un abbraccio che purtroppo non sarebbe potuto durare molto a lungo. Non avevano tempo, non ne avevano mai abbastanza. Era sempre una continua corsa, un rincorrersi a vicenda nel tentativo di strappare un po’ di quel tempo al resto del mondo e trattenerlo solo per loro. Viveva per quegli attimi Frida, per il battito del cuore di suo fratello, per il suo calore. Immaginare una vita diversa sarebbe stato impossibile per lei. Si strinse a lui quindi, inspirandone il profumo a pieni polmoni e sperando che questo bastasse a ridarle forza e determinazione. Storse il naso poi quando Anders le disse che Nils era fuori per una missione che era stato Oskar stesso a dargli e che non si era sbilanciato molto dando indicazioni in tal senso. -Dobbiamo capire che cosa sta combinando. Non possiamo restare indietro. - mormorò, con un’espressione corrucciata sul volto, mentre tentava di analizzare una serie infinita di possibili opzioni, senza tuttavia riuscire a ottenere alcuna risposta. Di sicuro c’era sotto qualcosa, ma cosa? -No, non hanno parlato di lui, nessuno lo ha nominato purtroppo. - aggiunse poi, con un leggero sbuffo. Detestava non sapere le cose, soprattutto se queste riguardavano il loro fratello maggiore, con cui si era sempre sentita in conflitto visto che entrambi volevano raggiungere la vetta di quell’organizzazione e nessuno dei due ne faceva mistero. -So solo quello che ti ho già detto. Aspettava che ci fossimo tutti per aggiungere i dettagli. Detesta ripetersi. - aggiunse quindi, prendendosi un altro momento per accarezzare il volto di Anders, con dolcezza, per poi guardarlo dritto negli occhi come a chiedergli silenziosamente di rimanere calmo. Oskar era un uomo difficile con cui avere a che fare e sembrava che con lui si divertisse a spingere per ottenere reazioni negative. Per Anders non sarebbe quindi stato semplice restare in silenzio, evitare di reagire, ma era importante che lo facesse, soprattutto in una situazione come quella. Erano due testardi, eppure erano d’accordo su ciò che, per entrambi, valesse davvero.
    Lasciò che fosse Anders ad aprire il portellone che li avrebbe condotti al secondo piano interrato, lì dove erano ammessi solo coloro che Oskar riteneva idonei. Tutta la parte che si trovava sotto terra di quell’edificio era riservato a chi nel corso del tempo aveva intessuto dei rapporti abbastanza saldi con il padrone di casa. Di norma una volta ottenuto il permesso era improbabile perderlo, a meno di perdere anche la propria vita con esso. Chi conosceva quel segreto dopotutto non poteva continuare a conoscerlo se non stava più dalla loro parte. I gemelli si guardarono per un lungo istante prima di fermarsi davanti alla porta della sala riunioni e bussare. Attesero di venire invitati ad entrare, poi entrambi rivolsero un leggero inchino all’uomo che sedeva a capotavola, lei gli sorrise appena, per poi riprendere il suo posto, lontana da suo fratello. Non disse neppure una parola inizialmente, lasciando che fosse il più anziano a condurre il dialogo e farle capire quando sarebbe giunto il momento di avere delle spiegazioni. Osservò Anders a quel punto, mentre il loro padre cercava di stuzzicare il suo caratteraccio con le solite frecciatine. Suo fratello rimase impassibile, nonostante dentro di sé potesse percepire il suo fastidio. Sorrise, come a volergli infondere un po’ più di tranquillità che lo aiutasse ad arrivare alla fine di quella conversazione. Qualcuno si mosse quando l’uomo si alzò dalla sua sedia, per raggiungere il figlio, ma non Frida, che rimane immobile nella sua posizione almeno fino a che Oskar non la coinvolse nel discorso, invitandola a raggiungerli con un cenno della mano. Rivolse un’occhiata di sufficienza alle altre persone in quella sala mentre avanzava fiera verso i due uomini della sua famiglia. Oskar posò appena la mano contro la schiena di lei, avvicinandola a sé prima di ire che lei sarebbe stata la loro unica garanzia, facendo capire immediatamente ad Anders che ancora non si fidava di lui e che quello sarebbe stato una sorta di test. Annuì appena, con il capo, accettando senza fiatare quel ruolo che era sempre stato il suo all’interno della coppia. Anche suo fratello mantenne il silenzio e Frida notò l’espressione sul volto del padre mutare in maniera quasi impercettibile, come se non si fosse aspettato tutta quella calma da parte sua.
    La richiesta di accettare arrivò prima di avere le informazioni, così come faceva sempre. Anders fu il primo ad accettare, poi fu lei a parlare. -Come sempre. - rispose, mantenendo un tono di voce pacato, rivolgendo però un’occhiata quasi seccata al padre. Non aveva mai rifiutato un incarico quindi trovava quasi irrispettoso che le rivolgesse una domanda come quella. -Che cosa dobbiamo fare? - domandò quindi, mantenendo lo sguardo fisso sul suo vecchio, che però sollevò appena una mano in aria, come a dirle di pazientare ancora un istante, per poi rivolgersi al resto della sala. -Lasciateci. - disse, con il tono di chi non avrebbe ammesso alcuna replica a quella richiesta. Tutti piegarono appena il capo e poi, silenziosamente, iniziarono ad arretrare verso l’uscita. Rimasero in silenzio ancora per alcuni istanti, poi Oskar iniziò a passeggiare per la sala. -Dovrete presenziare ad un evento di beneficienza organizzato da vostra madre. - iniziò, restando sul vago, come faceva spesso quando iniziava a descrivere questa o quella missione da affidare ai suoi sottoposti. -Dovrete recuperare dei soldi e delle informazioni. -aggiunse, puntando di nuovo lo sguardo verso i suoi figli, lasciando solo allora la possibilità di fare delle domande. -Informazioni? Che genere di informazioni? - domandò allora lei, prontamente. Aveva sempre bisogno di cercare di avere tutto sotto controllo, o almeno tutto il possibile. Lui scosse il capo. Domanda sbagliata. pensò lei, arricciando appena le labbra con aria decisamente insoddisfatta. -Avrete maggiori dettagli a tempo debito. Avrete qualche mese per prepararvi. Dovrete imparare tutto ciò che c’è da sapere sull’associazione di vostra madre e sugli invitati all’evento. - disse quindi, per poi riprendere a camminare, con aria tranquilla. Lei alzò gli occhi al cielo, non aveva mai avuto un ottimo rapporto con sua madre, a differenza di Anders e l’idea di dover avere a che fare con lei non le piaceva.
    Un’altra pausa e lei guardò suo fratello per poi sospirare. -Dovrete recarvi a Bergen quando sarà il momento e portare a termine la missione, tutto chiaro? - domandò quindi, aspettandosi chiaramente una sola risposta. -Come scusa? - domandò invece lei, che al sentire nominare una città diversa da Besaid si era subito messa sulla difensiva. -Cosa non ti è chiaro, Frida? - le chiese di rimando, restando a guardarla dalla sua posizione, a qualche metro da lei. -Noi non POSSIAMO andare a Bergen, e tu lo sai. - ribattè, scocciata, cercando tuttavia di frenarsi e di non alzare la voce, anche se il suo sguardo fiammeggiava nella sua direzione. -Farete in fretta e tornerete prima di avere delle ripercussioni. - rispose lui, come se sapesse più di quanto aveva sempre detto loro riguardo alla loro particolarità. Lei gli scoccò un’occhiataccia, per nulla convinta. Era furiosa di aver sentito quelle parole da parte sua, ma cercò di inspirare ed espirare per calmarsi ed evitare di peggiorare l’umore di suo fratello. Lo guardò allora, in attesa di avere la sua opinione e di chiudere quel discorso prima che diventasse troppo pesante.
     
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    ”Quando sei gelosa sei anche più bella.” mormorò così piano che temette che Frida non lo avesse sentito nel caos della sala. Si tolse il grembiule e lasciò sola la ragazza dall’ansia facile fino all’arrivo di rinforzi, in parte aveva ragione sua sorella, doveva imparare a cavarsela come tutti loro. Scrollò le spalle come a togliersi di dosso quella preoccupazione come fosse un granello di polvere, aveva cose molto più importanti a cui pensare. Seguì Frida verso la zona riservata allo staff così da avere un po’ di privacy per affrontare quella conversazione, richiusa la porta alle loro spalle, attorno a loro si creò una bolla di silenzio, interrotta a tratti da qualche lontano chiacchiericcio proveniente dalle cucine. ”Ti prometto che starò attento, ma se ci sei tu al mio fianco sarà tutto più facile.” una parte di se’ voleva credere profondamente alle proprie parole, l’altra era in tensione perché sapeva quanto Oskar potesse essere pericoloso. Loro erano due ragazzini che volevano sovvertire la scala gerarchica, eliminare il capostipite era un rischio enorme, l’anarchia era solo una delle tante conseguenze che avrebbero dovuto affrontare. Quanti fedeli di Oskar avrebbero accettato loro due come leader? Era più probabile che seguissero quello stronzo di Nils senza battere ciglio, lui si era dimostrato degno di ogni missione che gli era stata affidata, ma la competizione con Frida era dura, lei gli aveva messo i bastoni tra le ruote per primeggiare a sua volta. Una battaglia pericolosa. Eppure nessuno dei due si era mai tirato indietro, avevano sgomitato per avere il posto privilegiato a fianco del padre, mentre Anders li aveva guardati disgustato, temendo che Frida provasse davvero dell’affetto per quell’anima nera di Oskar. La verità gli era arrivata tra capo e collo quel giorno a casa sotto il getto della doccia, non aveva capito minimamente le intenzioni di sua sorella, nonostante avesse il dono di percepire le sue emozioni, la mancanza di parole in quelle sensazioni lo aveva portato verso la strada sbagliata. Invece in quel momento, sulla scalinata che conduceva ai piani inferiori, era sveglio e consapevole di ogni singola mossa che avrebbe dovuto fare per portare avanti il piano che avevano ideato quel giorno che aveva stravolto ogni sua convinzione.
    ”Cercherò di chiedere in giro, magari Eden e Pedro ne sanno qualcosa. Sarò discreto, lo prometto.” aggiunse la seconda parte anticipando quelli che potevano essere i pensieri di Frida, lei sapeva meglio di chiunque altro che all’interno dell’organizzazione era visto come la pecora nera che non era in grado di controllare la rabbia. Nessuno sospettava che sapesse essere subdolo e sfruttare la sua fama di persona ombrosa per i suoi scopi, essere sottovalutati non era poi così male in fin dei conti, poteva tornargli utile per origliare conversazioni importanti. ”Lo so.” annuì alle parole di Frida. Si lasciò accarezzare il viso, incastrando lo sguardo con quello di sua sorella, poteva leggervi le parole ’stai calmo’ come su di un libro aperto. Prese la mano di lei prima di avviarsi verso i piani interrati, non la lasciò fino all’ultimo secondo disponibile, separarsi dalla sua pelle era come entrare in apnea dopo aver respirato a pieni polmoni prima di un’immersione. Entrarono nella sala riunioni, attesero che Oskar desse loro udienza, ottenendo delle battute derisorie come benvenuto. Anders accusò i colpi, le parole di suo padre erano come pugni ben assestati allo stomaco. Rimase in silenzio a ogni sua provocazione, il viso di pietra e l’anima in tumulto. Se Frida non fosse stata presente probabilmente avrebbe perso il controllo, il suo sorriso in quella stanza dall’aria rarefatta gli diede la forza di deglutire il proprio orgoglio.
    Lasciò che fosse Frida a chiedere delucidazioni sul motivo per cui era stato convocato, se avesse parlato probabilmente la sua voce avrebbe tradito una rabbia che Oskar avrebbe scovato sin troppo facilmente. Rimase sorpreso quando suo padre diede l’ordine di lasciare la stanza a tutti i presenti, gli occhi di Anders si strinsero in due fessure di sospetto. Cosa aveva in mente? Non gli piaceva il suo continuo passeggiare avanti e indietro per la stanza mentre attendeva che si svuotasse, sul suo viso non si leggeva alcun tipo di emozione. Doveva ammetterlo, in questo aveva ripreso da Oskar, i lineamenti dei loro volti erano come quelli di un’ombra, illeggibili. Notò che nessuno proferì parola alla sua richiesta di lasciare la sala, non un obbiettore a dire di voler essere messo a parte dei suoi piani. Di solito quel ruolo spettava ad Anders, avrebbe minato l’autorità di suo padre innescando il dubbio nella massa, “cos’è non siamo degni della tua fiducia, padre?” quelle sarebbero state le sue parole di sicuro. Invece rimase a osservare le persone che se ne andavano via in religioso silenzio, nemmeno i loro passi sulle piastrelle di granito facevano rumore, fluivano via come uno squadrone di anime incorporee. Assurdo come i seguaci di Oskar sapessero annullarsi al momento opportuno, rendendosi invisibili anche essendo profondamente presenti. Lui non era mai stato in grado di comportarsi a quel modo e non lo sarebbe mai stato, persino i suoi silenzi gridavano qualcosa, qualsiasi cosa pur di farsi sentire.
    ”Dovrete presenziare ad un evento di beneficienza organizzato da vostra madre.” Oskar parlò solo quando la stanza divenne troppo grande per ospitare solo tre persone, improvvisamente lo spazio si era dilatato vertiginosamente. La sua attenzione era tutta protesa verso ciò che disse dopo sul recuperare soldi e informazioni, si voltò verso Frida quando la sentì chiedere ulteriori spiegazioni. Bastò un cenno di diniego del capo per capire che non gli era concesso sapere di più, ennesima missione a scatola chiusa senza sapere cosa avrebbero stretto tra le mani. Odiava quella parte di Oskar più di ogni altra, non erano autorizzati a pensare in sua presenza o ad avere un’opinione, lui schioccava le dita e quel semplice rumore diventava un ordine. Persino loro che erano i suoi figli non erano altro che burattini legati alle sue dita. ”Avrete maggiori dettagli a tempo debito. Avrete qualche mese per prepararvi. Dovrete imparare tutto ciò che c’è da sapere sull’associazione di vostra madre e sugli invitati all’evento.” Anders dovette trattenersi con tutte le sue forze per non roteare gli occhi in aria, conosceva gli eventi di sua madre, sapeva che gli invitati sarebbero stati centinaia e che li aspettava un lavoro di ricerca lungo e noioso. Si limitò a stringere leggermente le labbra tra di loro come unico segno di fastidio, mentre interiormente sentiva la necessità di gridare. Avrebbe voluto toccare Frida, metterle un braccio attorno alle spalle, ma i gesti d’affetto davanti a Oskar erano off limits, qualcosa di disgustoso da tenere a bada. Provare sentimenti per lui equivaleva ad essere deboli, mentre Anders era orgoglioso di essere vulnerabile, significava solo una cosa: era un essere umano.
    ”Come scusa?”
    ”Bergen?” lo chiesero nello stesso istante, sovrapponendosi l’uno all’altro. Oltre alla sua rabbia sentì per qualche istante quella di Frida esplodergli nel petto, una sensazione veloce che fluì via come un’onda che s’infrange su uno scoglio. Anders cercò lo sguardo della sorella per assicurarsi che mantenesse la calma, sapeva che per lei allontanarsi dalla città era un argomento delicato, tanto quanto lo era avere a che fare con la loro madre. Quella missione toccava troppi nervi scoperti per i suoi gusti, pareva studiata per mettere alla prova la loro pazienza e la loro resistenza. Oskar non doveva sottovalutarli, insieme potevano mettere il guinzaglio al mondo. ”Noi non POSSIAMO andare a Bergen, e tu lo sai.” poggiò una mano sulla spalla di Frida solo per un breve istante, come a intimarle di non spingersi oltre, cosa insolita per lui che in un altro momento l’avrebbe istigata a spaccargli la faccia. ”Farete in fretta e tornerete prima di avere delle ripercussioni.” di cosa stesse parlando di preciso non era chiaro, loro non erano mai usciti dai confini di Besaid e non avevano la più pallida idea di cosa potesse accadergli fuori di lì. Frida aveva da sempre paura delle “ripercussioni”, mentre Anders era da sempre affascinato dall’idea di evadere da quella città che pareva attorniata da sbarre, come una prigione all’aria aperta. ”Va bene, padre. Bergen sia, nessun problema.” suonava come una sfida la sua, non aveva paura, bensì sentiva una leggera scossa di adrenalina attraversargli il sistema nervoso. Per un istante si sentì in colpa, sapeva che Frida avrebbe percepito chiaramente la sua euforia, la sua voglia di trasgressione. Era la loro occasione per sperimentare i loro limiti, a differenza di sua sorella lui era convinto che non gli sarebbe accaduto nulla se fossero usciti dall’orizzonte di Besaid. Avevano litigato tante volte su quell’argomento, Anders spingeva per fare dei tentativi di viaggio, mentre Frida non voleva neanche saperne di perdere anche solo un soffio della loro connessione. Non che lui non temesse le conseguenze del mettere piede fuori da Besaid, perdere Frida era l’unica paura della sua vita, tutto il resto erano sciocchi timori senza senso. Il solo pensiero di non percepire il suo umore appena sveglia, gli stringeva le viscere. Era abituato a sentire il suo umore al primo aprire gli occhi del mattino, quante volte lui era già fuori casa e a distanza riusciva a captare il mood dei sogni di sua sorella, quelli piccanti gli lasciavano un formicolio nello stomaco per parecchio tempo, mentre quelli brutti gli strisciavano nella spina dorsale. Il suo corpo sapeva sempre come stava sua sorella, emotivamente programmato per vivere due vite in una sola. Uscire da Besaid comportava il rischio che la presenza di Frida scivolasse via dal suo corpo in un modo che non avrebbero potuto prevedere. Perché dopo tanti anni Oskar aveva deciso di mandarli fuori città proprio ora? Aveva detto che sarebbero rincasati prima di avere conseguenze con una naturalezza che gli faceva credere che sapesse molto più di loro stessi sulla loro particolarità. Dovevano indagare a fondo sull’argomento, ma chiedere in maniera esplicita a suo padre sarebbe stato avventato, forse avrebbe potuto rivolgersi a sua madre all’evento di beneficenza. Poteva domandarle se era al corrente di qualcosa che a loro sfuggiva, aveva un buon rapporto con lei, l’unica persona – oltre Frida – che lo considerava degno di stima e affetto. Al pensiero di rivederla gli si dipinse sul viso l’accenno di un sorriso che non passò inosservato ad Oskar, i suoi occhi erano puntati sulle labbra del figlio, c’era dell’irritazione nel suo sguardo per quella reazione fuori luogo per i suoi canoni. ”Avrete solo quest’occasione, non si accettano fallimenti. Nessuna distrazione all’evento di beneficenza, avrete a breve le informazioni sul vostro target.” ricominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, molto lentamente, percorrendo distanze disomogenee come un pendolo rotto. ”Non dovete sapere altro, potete andarvene.” si fermò a guardare i suoi figli, una luce cupa nei suoi occhi, sembrava quasi volesse dargli un avvertimento. Anders annuì, il viso di nuovo nel suo status perenne di neutralità. ”Come desideri padre, andremo a Bergen ed eseguiremo i tuoi ordini.” mentre parlava poteva sentire la rabbia di Frida montargli dentro, sapeva che il pensiero di uscire da Besaid la stava logorando. Finse una compostezza che non aveva, come un attore professionista sul palcoscenico della vita. Fece un mezzo inchino col capo e si congedò, attendendo che sua sorella facesse lo stesso. Aveva mille domande che gli vorticavano nella testa, ma sapeva che non avrebbero mai trovato risposta dalla vecchia serpe, dovevano giocare a fare i detective ancora una volta. Aprì la porta per far passare sua sorella, poi uscì richiudendosela alle spalle. Si portò l’indice sulle labbra per farle capire che non era il caso di parlare lì fuori, si avviarono assieme verso la porta che conduceva alla scala d’emergenza che portava ai piani superiori. Una volta che si ritrovarono nuovamente compressi nel silenzio della tromba della scala, Anders si voltò verso Frida con lo sguardo serio. ”Vuoi ammazzarmi perché non ho opposto resistenza per andare a Bergen, vero?” le fece cenno col capo di seguirlo, così da potersi avviare di nuovo verso l’ultimo piano dove il suo turno lavorativo prevedeva ancora diverse ore di agonia. ”Se dovessimo perdere lucidità o qualsiasi cosa ci sarà la mamma, le parlerò prima di andare al suo evento di beneficenza. Non saremo soli se la particolarità dovesse scricchiolare, abbiamo un’occasione irripetibile: entrare nelle grazie della serpe e capire cosa ci accade fuori di qui senza essere soli. Potrebbe essere una trappola, ci ho pensato. Non sottovaluto Oskar, ma lo sappiamo che può permettersi di perdere solo me, tu sei la sua stella.” si fermò a metà della scalinata per guardare sua sorella negli occhi, le prese il viso tra le mani e poggiò il naso contro il suo, respirando il suo profumo con la stessa urgenza che avrebbe avuto se fosse stato ossigeno. ”Sei la parte più importante di me, non permetterò che ci accada qualcosa durante questo incarico. Avremo un piano B se qualcosa dovesse andare storto, te lo prometto.” catturò le sue labbra tra le proprie, spinto da un bisogno viscerale di sentire il riverbero delle sue emozioni dentro di se’. Chiuse gli occhi e per una frazione di secondi il mondo perse i suoi confini, c’erano solo loro due e quelle sensazioni prepotenti ristrette nei loro corpi. Si distaccò controvoglia. ”Andrà tutto bene.” disse più a se stesso che a Frida, non lo avrebbe mai ammesso, ma anche lui aveva paura in fondo.
     
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    Un leggero sbuffo abbandonò le sue labbra quando Anders le fece notare che era più bella quando era gelosa. Non avevano tempo per flirtare, né per godersi un po’ di pace. Ogni secondo era importante quando si parlava di Oskar. Un solo istante di troppo avrebbe potuto convincerlo che c’era qualcosa che non andava, che i suoi figli gli stessero nascondendo qualcosa. Era complicato portare avanti il loro piano, ma era molto più rassicurante sapere di non essere più sola in quel cammino che li avrebbe portati, forse, a ricoprire il vertice della piramide. Il problema principale, eliminato loro padre, sarebbe rimasto Nils, ma anche quello era qualcosa di risolvibile. Storse il naso quando suo fratello nominò Eden. Sebbene si fosse dimostrato attento e capace nella missione che avevano svolto insieme, lei continuava a non fidarsi di lui e a considerarlo qualcuno da tenere d’occhio. Era troppo bravo, troppo attento, sarebbe potuto diventare un problema se non si fosse dimostrato dalla loro parte e lei questo non poteva certo accettarlo. Anche Pedro sarebbe stato un osso duro da convincere, visto il rapporto stretto che lo legava al capofamiglia. Non lo avrebbe mai tradito di sua spontanea iniziativa. -Va bene. - mormorò soltanto, rivolgendogli un cenno d’assenso dopo qualche secondo. Non le piaceva l’idea di provare a chiedere in giro, ma in effetti non c’era molto altro che potessero fare e potevano quanto meno iniziare con le persone a loro più vicine, con cui parlare era quasi naturale. Dovevano tastare il terreno, capire quanti tra gli uomini che trascorrevano molto tempo con loro erano legati a Nils, e quanti invece non gli davano poi così tanta importanza. Non era una questione semplice da comprendere, ma nulla doveva avvenire per caso, né spinti dalla fretta. Ogni piccolo pezzo del puzzle doveva andare al suo posto soltanto nel momento più giusto, né un attimo prima, né un attimo dopo, oppure tutta quella fatica sarebbe andata sprecata e la testa di entrambi sarebbe volata prima ancora di poter mormorare una sola parola.
    Raggiunsero la stanza dove Oskar e i suoi uomini li aspettavano. Si era aspettata qualche breve preambolo, i soliti grandi discorsi che suo padre faceva davanti ai suoi uomini per tenerli uniti, invece fece calare il silenzio attorno a loro chiedendo a tutti gli altri di andare via. Doveva trattarsi di qualcosa che non doveva essere diffuso, una missione di cui nessun altro sarebbe stato a conoscenza, a parte loro tre. Per un momento si sentì fiera del percorso che aveva fatto in tutti quegli anni, degli sforzi che l’avevano condotta a essere lì, a un passo dal far avverare i suoi desideri. Quella sensazione però si spense non appena Oskar disse che avrebbero presenziato a un evento organizzato dalla loro madre. L’espressione sul volto di lei si fece molto meno entusiasta, come se le avessero gettato una secchiata d’acqua gelida in pieno volto. Perché diavolo dovevano avere a che fare con quella donna? Provò a chiedere qualcosa di più, ma suo padre si rifiutò di dare troppe spiegazioni in quella fase iniziale. Cercò di trattenere il fastidio e la rabbia. Non le piaceva il fatto che quella missione ora suonasse come un test per entrambi, un modo per valutare quanto fossero bravi a muoversi in diverse situazioni. Il pensiero di dover stare dietro a Elin poi non le piaceva per niente. Avrebbe preferito socializzare con un estraneo che stare ad ascoltare quella donna. Sebbene biologicamente fosse sua madre, Frida non era mai riuscita a costruire un rapporto d’affetto con lei. Non ricordava una sola occasione in cui lei e quella donna fossero riuscite a non litigare tra di loro. Era certa quindi che quello non fosse il prologo di una missione ben riuscita. Era sicura che Oskar lo sapesse e lo avesse fatto di proposito. Voleva testare cosa fosse disposta a fare per lui, se sarebbe riuscita persino a mostrarsi più gentile e remissiva nei confronti di Elin, se necessario e la cosa la faceva infuriare. Non gli aveva già dimostrato abbastanza? Era stato per caso Nils a mettergli quelle idee in testa?
    Il vortice di pensieri si interruppe non appena udì che non sarebbe stato a Besaid che avrebbero svolto quel compito delicato, bensì a Bergen, dove tutto sarebbe stato ancora più complesso. Non riuscì a trattenere le parole, né la rabbia. Rispose a suo padre, nel tentativo di fargli cambiare idea e affidare quella missione a qualcuno di diverso, invece le parole di lui le fecero comprendere che c’erano molte cose che non le aveva mai detto, anche riguardo la loro particolarità. I suoi occhi si assottigliarono per un momento, la schiena che si protraeva in avanti, come pronta a un assalto, ma si placò non appena la mano di Jan si posò sulla sua spalla. Doveva mantenere la calma, anche lei, soprattutto lei. Abbassò quindi appena il capo, evitando di discutere ancora. Eppure il pensiero che lui sapesse qualcosa, che avesse indagato sulla loro particolarità, e che non glielo avesse mai detto, la faceva infuriare. Era il suo modo per tenerli con sé? Per impedire loro di uscire così che non dovesse preoccuparsi di convincerli a stare dalla sua parte? Forse a questo punto anche Elin poteva sapere qualcosa. Percepì l’euforia di suo fratello nell’accettare quella maledetta missione e il fastidio dentro di lei si fece ancora più evidente. Non era il momento però di litigare su quella faccenda, di discutere di cosa avrebbe potuto comportare. In quel momento l’unica cosa importante era capire come avrebbero dovuto organizzare il lavoro nei mesi a venire. Tenendo la mascella serrata si ritrovò comunque ad annuire a sua volta, accettando silenziosamente qualcosa che, se avesse potuto scegliere, non avrebbe mai portato a termine. -Va bene. - disse quindi, soltanto, facendo scivolare velocemente quelle parole tra le sue labbra, perché non potesse più rimangiarsele. Erano poche le cose davvero in grado di spaventarla, tanto da paralizzarla o lasciarla senza parole e lasciare la città era una di quelle. Era certa che suo padre lo sapesse e che stesse giocando proprio su quell’aspetto per capire chi designare come suo successore. Nils, dopotutto, non aveva di questi problemi, era senza dubbio il più versatile dei quattro. Lei si muoveva su un terreno minato, molto più instabile di quello che aveva a disposizione suo fratello maggiore, ma non si sarebbe arresa solo perché il suo percorso era più difficile. Anzi, quel genere di avversità la invogliava a impegnarsi più a fondo, come se avesse la necessità impellente di dimostrare di valere più di lui.
    Le informazioni sull’obiettivo finale della serata sarebbero arrivate più avanti, probabilmente a ridosso del giorno esatto della missione. Era un rischio diffondere troppe informazioni prima del tempo, aumentava le possibilità che qualcosa andasse storto. Li salutò senza troppi convenevoli, invitandoli a lasciare la sala, visto che non avevano altro da dirsi. Lo sguardo di Frida indugiò per lunghi istanti dentro quello di suo padre. Scalpitava per la voglia di fargli delle domande, incalzarlo e farsi spiegare tutto ciò che sapeva sulla simbiosi che la legava a Anders, ma non era quello il momento. Non poteva permettersi di sfidare l’autorità di suo padre davanti a suo fratello, né di porgli quegli interrogativi a ridosso di una missione. Ci sarebbe stato un momento più propizio, ne era certa, o al limite lo avrebbe costruito lui. -Attenderemo notizie. Nel frattempo ci terremo pronti. - disse, e con quelle parole parve recuperare tutta la calma e la determinazione, o almeno a livello apparente, per quanto un occhio esterno avrebbe potuto vedere. Nel profondo continuava a sentire la rabbia e l’agitazione, ma era divenuta brava nel mascherare i suoi sentimenti. Ovviamente a tutti tranne che a Jan. A lui non avrebbe mai potuto nascondere ciò che sentiva. Oskar parve sollevato nel sentire di nuovo la sua voce ferma e decisa e le rivolse quindi un cenno del capo prima di lasciarli andare. Anche Anders mantenne un atteggiamento irreprensibile e poi entrambi uscirono, uno dietro l’altro, quasi senza guardarsi. Solo all’esterno, dopo che lui ebbe chiuso la porta, le rivolse un cenno con le dita per indicarle di non parlare. Probabilmente temeva che potesse sentirli persino dietro quelle spesse mura che lo separavano dal resto dell’edificio e non aveva tutti i torti nel crederlo. Sapeva bene che Oskar aveva diversi assi nella manica e nessuno poteva dire di conoscerli tutti.
    Una volta giunti nella tromba delle scale d’emergenza, il loro nuovo rifugio all’interno di quel luogo, lui si fermò, iniziando a discutere di quanto accaduto. Lei gli rivolse un’occhiata di traverso. -Sai bene che non vorrei mai ucciderti. E dire una frase come quella mi fa pensare che tu non mi conosca affatto, Anders. - ribattè, visibilmente irritata per quell’uso improprio delle parole. In un altro momento non avrebbe fatto una tragedia e avrebbe risposto con leggerezza, ma in quel preciso istante, con la rabbia che ancora la incendiava all’idea di dover partire, ogni cosa era un buon pretesto per arrabbiarsi. -Non voglio il suo aiuto. - ribattè, piuttosto secca, quando il fratello le disse che si sarebbero affidati alla loro madre in caso di problemi dovuti alla particolarità. Il pensiero di dover dipendere da lei non la rendeva affatto tranquilla, anzi, peggiorava soltanto la situazione. -Tu forse sarai al sicuro. Se dovrà salvarne uno sai benissimo chi Elin sceglierà. - continuò, con lo stesso tono indispettito. Lui era il preferito della donna, insieme alla piccola di casa e non ne aveva mai fatto mistero. -Tuttavia, sono convinta che lei sappia qualcosa, e non te lo abbia detto. Potresti finalmente provare a capire se ti vuole bene davvero o se è solo la stronza che io ho sempre sostenuto essere. - terminò, rivolgendogli un sorrisetto indispettito. Dopotutto, se la donna non aveva mai rivelato ad Anders ciò che sapeva, forse la fiducia di suo fratello era riposta nella persona sbagliata. Da suo padre potevano aspettarselo, ma lei, che si atteggiava sempre a donna pia e che fingeva di volergli un gran bene, almeno a lui avrebbe dovuto dire qualcosa. -Sono d’accordo sul fatto che potrebbe essere una trappola. Abbiamo qualche mese per capire cosa aspettarci, o almeno provarci. - aggiunse poi, riflettendo sul resto del discorso di suo fratello. Si fermò a metà della scalinata, quando lui le ostruì il percorso fermandosi. Le prese il volto tra le mani e dopo un momento di fastidio anche lei parve rilassarsi, lasciandolo fare. Ricambiò il suo bacio, assaporando quegli ultimi istanti che avevano a disposizione prima di doversi separare di nuovo, visto che lui aveva ancora un turno di lavoro da portare a termine. -Avremo un piano B. - gli rispose, con una certa decisione. Ancora non sapeva quale sarebbe stato, ma non sarebbe partita da quella città prima di averne ideato uno. Le mancavano delle informazioni, ma una volta reperite avrebbe fatto in modo di non trascurare neppure un dettaglio. Non sarebbero stati loro a uscire sconfitti da quella serata. Annuì al suo tentativo di rassicurarla, rivolgendogli un leggero sorriso. -Vedi di non farti trattenere troppo, ci vediamo più tardi. - gli rubò un altro veloce bacio, poi cambiò strada. A lei non serviva raggiungere il piano dove lui doveva riprendere servizio, lei aveva altre cose da fare in quelle ore.
     
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