Hi, I'm Riley and I'm lost.

Riley and Fae |pomeriggio|12.01.2021

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    Nel rispetto di tutti i lettori si avvisa che da questo punto in poi sono presenti tematiche di: [riferimento a uso di droghe leggere].
    Ricordiamo che si tratta di un'opera immaginaria, frutto della fantasia di chi scrive e che non mira a danneggiare nessuno nello specifico.


    Riley Møller | 29 |Terracinesi | Giornalista

    In molti detestano essere svegliati dai raggi del sole, pare che la luce dritta negli occhi appena svegli li renda particolarmente irritabili. Si alzano con il piede sbagliato, come si suol dire, e addirittura pare che abbiano l’umore nero per l’intera giornata. E perché? Solo perché il sole li ha svegliati. E Riley non ha mai compreso in pieno questa categoria di persone, forse preferiscono essere svegliati da una sveglia che suona tanto assordante tale da rompere i timpani? Preferiscono che arrivi qualcuno che li scuota vigorosamente per le spalle? O, ancora, preferiscono svegliarsi circondati dal buio senza rendersi conto se sia notte o giorno e quindi se sia ora di alzarsi o se si sono svegliati in anticipo? Non che sia un tipo che giudica, la solare Riley, ma lei adora essere svegliata dai raggi del sole e, chi la conosce, non è affatto sorpreso da questa sua predilezione per la luce. Saltella come una cavalletta già appena sveglia, in barba a tutti quelli che sostengono come siano sacrosanti i minuti appena dopo il risveglio, in cui è meraviglioso rimanere in silenzio senza nessuno che sia iperattivo. Riley è l’esatto opposto. Neanche quella mattina aveva cambiato idea riguardo alla bellezza di essere svegliata in maniera naturale dal sole, nonostante si trovasse in un letto che ancora non era totalmente familiare per lei e che, per giunta, si trovava in una stanza da dieci persone in cui però, attualmente, ne dormivano solo quattro. Arricciò il naso quando Bono Vox, il suo gatto, fece le fusa proprio sulla sua faccia: «Palla di pelo, ti voglio bene anch’io, ma così non mi fai respirare!» lo coccolò un pochino prima di alzarsi definitivamente e rabbrividire non appena mise piede fuori dal letto.
    Se c’era una cosa che aveva notato di Besaid, a pochi giorni dalla sua permanenza, oltre al freddo che cozzava con il clima africano in cui era cresciuta e a cui era abituata, era l’assenza parziale di gente esterna, turisti, persone che camminano col naso in sù per ammirare ciò che ha da offrire la città tanto caratteristica; lo poteva capire anche dal modo in cui l’ostello fosse relativamente deserto, solitamente posti come quello pullulavano di ragazzi, viaggiatori temporanei, turisti che facevano una vacanza all’insegna del viaggio estremamente economico. Non nell’ostello di Besaid, comunque. «Buongiorno Ragen, già a lavoro eh?» In uno sbadiglio in verità poco aggraziato, Riley saluta uno dei quattro con cui condivide quella sistemazione da dieci, Ragen l’energumeno russo che ha presumibilmente un animo buono -così l’ha soprannominato Riley nella sua testa, poi che dia soprannomi così lunghi è una questione da approfondire- era seduto a gambe incrociate sulla parte superiore di un letto a castello, il fatto che fosse altissimo e con muscoli esagerati lo si poteva capire anche da come il suo peso facesse cedere il materasso in cui era seduto, fortuna che sotto di lui non dormiva nessuno. L’uomo le fa un cenno di saluto sorridendole e dicendole qualcosa in russo, non capisce di cosa stia parlando ma può intuire che non sia nulla di minaccioso quindi sorride: «Se lo dici tu, non ho dubbi che sia così!», risponde senza aver capito un bel niente. Ragen parla russo, un russo che Riley non riuscirà mai a decifrare, non è nemmeno sicura che il suo nome sia proprio Ragen, pensa che sia questo, almeno a giudicare da quello che le ha detto quando si sono presentati, il giorno in cui è arrivata a Besaid, con un trolley strapieno in una mano e la gabbietta di Bono Vox nell’altra. Fortuna che è tanto socievole da non farsi fermare nemmeno dalle barriere linguistiche, Ragen le dice qualcos’altro infatti, mentre con le dita troppo grandi ticchetta qualcosa al suo pc, può essere una mail indirizzata ad un sicario ingaggiato dal russo per ucciderla, ma a Riley questo pensiero non sfiora nemmeno la mente, sorride: «Grazie, buona giornata anche a te.» ed esce dalla stanza con Bono Vox sotto braccio, il freddo che la perseguita e il pallino irrisolto del dover trovare al più presto un appartamento lì a Besaid. Per quanto possa essere già una grande fan di Ragen, nonostante possa tramare di ucciderla, Riley sente comunque il bisogno di iniziare a sentirsi più a suo agio in quella città, dal momento che non sa per quanto altro tempo ancora sarebbe durata la sua permanenza. Potrebbe pensare al Besaid Daily News, a come quella nuova esperienza la stessa emozionando più di quanto avesse immaginato e a qual è stata la prima impressione non appena ha incontrato il suo caporedattore, tale Lars A. Berg che, quasi sicuramente, spesso e volentieri farà arrabbiare nel suo ruolo di redattore junior, ma dopotutto è anche questo il bello del lavoro no? Dunque, potrebbe perdersi veramente in tutti questi pensieri, ma ha la mattinata libera e dalla cucina al piano di sotto arriva un profumino che sia lei che Bono Vox non possono ignorare. E’ la colazione fatta da Miss Pink, la proprietaria dell’ostello che con quel cognome ha immediatamente fatto tanta simpatia a Riley, perché a lei i cognomi che ispirano solo fiducia e non simpatia non le sono mai andati a genio. L’Aamot Lodge, l’ostello, tra i non proprio tanti turisti e un po' più studenti che ospita, presenta questa vecchina dallo spirito gioviale che sta sempre dietro ai fornelli, forse perché è un po' gelosa della sua cucina e forse anche perché vuole fare da mamma chioccia a tutte quelle persone che sono decisamente più giovani di lei. «Miss Pink, non so cos’ha fatto per colazione, ma so già che è qualcosa di buonissimo.» E Bono Vox approva la sua osservazione con un deciso “Miao”. «Tesoro, non so nemmeno io cosa ho preparato, ieri sera ho esagerato con l’erba e oggi sono ancora un po' assonnata.» Buongiorno anche a lei, Miss Pink! Riley da un’occhiata a quel ben di Dio in tavola e, potrà anche essere frutto dell’erba, ma ha un aspetto e un odore ottimo quindi chi se ne frega. Da un morso ad una fetta di pane dopo averla abbondantemente farcita con burro e marmellata. «Fumi erba più spesso, è deliziosa.», beve poi un gran sorso di caffè mentre chiacchiera amabilmente con Miss Pink, che nel frattempo ha preso in braccio Bono Vox accarezzandolo amabilmente, discutendo su quando e come sia il caso di condividere l’erba, una delle prossime sere.

    ***


    Per uscire dall’ostello Riley si era imbacuccata come se non fosse in Norvegia ma in Alaska. Non era abituata a quel clima e, soprattutto, non era abituata al nevischio che sembrava colpire frequentemente la cittadina. Nonostante sentisse un senso di familiarità nei confronti di quella terra fatta di freddo, neve e fiordi, non poteva negare che un po' di nostalgia verso la sua Africa dal rosso terriccio un po' la sentiva. Dopo aver scribacchiato qualcosa in mattinata da poter proporre come articoli a Berg, nel primo pomeriggio ha approfittato dell’essere libera da ogni incombenza lavorativa per divenire una piccola esploratrice e conoscere meglio Besaid, dal momento che non ha ancora avuto tempo per visitarla come si deve. Sa che vicino l’ostello c’è una grande galleria d’arte, ma le sue conoscenze si fermano lì. Dunque, con piglio molto coraggioso, afferra la sua bicicletta, pregando di non scivolare e pregando di non ghiacciare, per partire alla scoperta di Besaid, si sarebbe portata dietro Bono Vox nella sua gabbietta, ma Miss Pink ha detto che fa troppo freddo per quella palla di pelo e quindi ha preferito lasciarlo con lei…e con Ragen. I russi hanno qualche avversione nei confronti dei gatti? Non che lei sappia. Per principio prende una via opposta a quella che solitamente imbocca per arrivare al Besaid Daily News, se deve vedere qualcosa di nuovo è inutile percorrere la strada che da qualche giorno fa in continuazione. Mentre pedala, la prima cosa che pensa è che, oltre ad un appartamento, ha decisamente bisogno di una macchina, una quattro ruote non necessariamente di lusso, ma che le consenta di andare in giro senza morire di freddo. Insomma, non che avesse molta scelta, la bicicletta è il suo unico mezzo di trasporto e, probabilmente, le cose non sarebbero migliorate neanche se fosse andata in giro a piedi. Almeno il movimento nel pedalare l’aiutava a riscaldare i muscoli, ma le cose non miglioravano molto. A dire il vero, però, il freddo venne ben presto sostituito dalla curiosità che provava non appena si dispiegava il paesaggio intorno a lei. Per alcune vie quasi provò un senso di deja-vu, come se lì ci fosse già stata, per altre non provò altro che meraviglia. Non era difficile stupire Riley, lei che ha sempre avuto un atteggiamento di una bambina il mattino di Natale dinanzi alle novità, ma probabilmente Besaid aveva una marcia in più. Quella sensazione di appartenere a quel posto, in qualche modo, la faceva sentire più a suo agio di quanto mai si fosse sentita a Washington, e lì vi era rimasta per un bel po' di anni. Sta di fatto che, quel pomeriggio, quella con il naso all’insù era lei, che guardava in giro, ammirava ciò che la cittadina norvegese aveva da offrirle. La novella turista perse il conto delle ore trascorse a pedalare e, soprattutto, perse la via di casa. Il sole era ormai calato quando, finalmente, era tornata in sé e, a dire il vero, il suo stomaco ricominciava a brontolare perché voleva che mettesse qualcosa sotto i denti. Quella zona le era completamente sconosciuta, wow che novità in una città che non aveva mai visto, ma sta di fatto che doveva assolutamente trovare qualcuno che le desse indicazioni su quale fosse la strada per tornare dal suo Bono Vox e dall’erba di Miss Pink. Scese dalla bicicletta e iniziò a tenerla accanto a sé mentre camminava, giusto per rendere meglio l’idea di piccola fiammiferaia persa, quando vide una ragazza poggiata al muro, fuori da un locale. «Ei, ciao!» Riley attirò la sua attenzione senza pensarci due volte, camminando a passo un po' più veloce verso la sconosciuta. Timida Riley non lo era mai stata e, in quel caso di necessità, era chiaro che non poteva tergiversare su chi fosse più adatto a darle informazioni. «Sono nuova di qui e mi sono persa, non so come tornare all’Aalmot Lodge.» Infreddolita, sorride lo stesso perché neanche la Norvegia e la strada perduta possono toglierle l’allegria dal viso e da quel naso un po' arrossato per il freddo. Si stringe nelle spalle, continuando a guardare la sconosciuta che le diede la sensazione di poter essere una persona affidabile per lei. Riley bada molto alle prime impressioni e, in quel caso, non poteva ignorare l’istintivo senso di tranquillità che la pervase non appena i suoi occhi incrociarono quelli della sconosciuta. «Potrei girovagare senza meta al freddo per un altro po', ma non vorrei rendere orfano il mio gatto.» Spiega ancora, come se poi quella ragazza le avesse chiesto spiegazioni o morisse dalla voglia di sapere che lei aveva un gatto.
     
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    Ci era nata e cresciuta, a Besaid. Con molta probabilità ci sarebbe anche morta, una volta giunto il suo tempo, un concetto che aveva imparato ad accettare diverso tempo prima, quando familiari paure avevano scosso le sue carni spingendola poi ad aprire gli occhi di fronte alla realtà dei fatti: troppo impaurita da quello che c'era oltre il confine, Fae si era costruita una vita che le calzava a pennello, accettando il proprio destino certamente con non pochi dubbi, ma arrivando a credere che, dopotutto, quella era la sua vita e niente avrebbe potuto permetterle di cambiarla in maniera repentina. Aveva conosciuto l'amore, il dolore, la pazienza e l’impazienza, la perdita e la riconquista di qualcosa che era stato lontano per troppo tempo senza che lei se ne fosse mai accorta. E sebbene qualche volta avesse pensato di arrendersi, seguire forse le orme della madre o di tutti coloro i quali avevano avuto il coraggio di andare via e dimenticare, lasciarsi tutto alle spalle, Fae aveva resistito ancora, poi un altro po’, finché era arrivata ad un punto della propria esistenza in cui si era ritrovata addosso una bellissima e strana sensazione di equilibrio che aveva rimesso in discussione tutto quanto. Gli ultimi erano stati anni decisivi, quelli che l’avevano forse cambiata definitivamente e introdotta ad una nuova prospettiva dalla quale vedeva tutto il proprio passato sotto una luce differente, più matura. E se prima aveva ritenuto coraggiosi tutti quelli che abbandonavano la cittadina, aveva dovuto ricredersi: il coraggio ce l’aveva chi restava, nonostante tutto, e per primo l’aveva scorto negli occhi di sua sorella Margareth più che in chiunque altro avesse avuto accanto.
    Quella sera al Bolgen ci sarebbe stato il delirio: Fae e Beat avevano tirato su una serata delle loro, come al solito, invitando un deejay da Oslo che avrebbe spillato un po’ di musica techno mista a qualche nota di drum and bass. La vendita dei pre-ingressi era andata alla grande e l’organizzazione della serata aveva preso la maggior parte del loro tempo da almeno due o tre mesi. Attendevano quell’evento da anni e riuscire ad avere il tipo in console non era di certo stato un gioco da ragazzi, per fortuna Paul e suo padre avevano avuto degli agganci ottimi con un club della capitale e tutto era, finalmente, riuscito ad andare in porto.
    Così, dopo aver letteralmente trascorso l’intera mattinata al club per sistemare le ultime cose, controllare assieme a Roy i rifornimenti del bar e l’ordine dei magazzini mentre Beat e Demi ripassavano le liste intere delle prevendite, tutto sembrava pronto per la sera. Aveva fatto un piccolo break tornando a casa e pranzando assieme ad Ivar e Adam e poi, dopo una brevissima pennichella rigenerativa, era giunta l’ora di indossare qualcosa di decisamente comodo e iniziare a guidare verso il Bolgen. Arrivata al Club, parcheggiò l’auto al solito posto, sul retro assieme ai veicoli dei colleghi, e si addentrò nella discoteca passando per l’entrata secondaria riservata allo staff. Le alte mura del club erano già animate da un sottofondo musicale che li avrebbe preparati al mood giusto per la serata: all’interno, ebbe modo di notare, la maggior parte dei dipendenti aveva preso le proprie postazioni, finendo di sistemare gli ultimi particolari mentre, ricurvo su un vassoio argentato posto sul bancone del bar, Beat era intento a comporre sottilissime strisce di quello che di certo non sarebbe stato scambiato per borotalco. Dall’altro lato, a dargli le spalle mentre sistemava i bicchieri puliti e appena tirati fuori dalla lavastoviglie sugli scaffali a muro, Roy canticchiava l’inno norvegese -per chissà quale ragione. «Chiudi quella bocca, mann lo canzonò Beat, sollevando lo sguardo sull’altro per qualche secondo appena prima di chinarsi con la testa su una delle strisce per farla sparire oltre la narice, Roy che allora prendeva a cantare a voce più alta, concitato. «Insomma, tutti carichi, vedo.» li salutò Fae avvicinandosi ad entrambi e spostando lo sguardo dal viso di uno a quello dell’altro, Fae chinò appena il capo da un lato e sorrise divertita: era la prassi, ormai. Il Bolgen non era più solo un club, era una seconda casa per tutti loro. Quando Beat poi si fu risollevato con il busto, Fae gli fu abbastanza vicina da posare la propria mano sulla sua schiena, esattamente fra le scapole avvolte nella felpa blu, per lasciare qualche pacca amichevole e richiamare così l’attenzione del ragazzo su di sé. Gli sorrise e indicò poi con il mento la sostanza in polvere distesa sul metallo argentato. «Lasciami qualcosa per dopo.» disse, strizzando appena gli occhi in quella che avrebbe dovuto essere un’espressione dolce e dopo avergli sorriso nuovamente a trentadue denti, fece per allontanarsi quasi subito mentre Beat le prometteva a voce alta che di sicuro si sarebbero divertiti, quella sera. La ragazza dai capelli arcobaleno oltrepassò quindi il bancone e si addentrò nella zona riservata allo staff, recandosi all’interno di uno degli uffici e lasciando cadere le proprie cose lì, tornò all’esterno. Incrociata Demi, la porta del Club che ad ogni serata sfoggiava indumenti strabilianti e di un certo calibro, si lasciò passare una sigaretta congedandosi poi da lei, la quale rientrò all’intento del Club per delineare le ultime cose assieme a Beat.
    Passarono un paio di minuti in cui la sua mente fu completamente rapita dall’organizzazione della serata, ancora: ripassò a memoria ogni aspetto dell’evento, cercando di ricordare se avesse o no dimenticato qualcosa. E mentre ripensava alla consegna delle bevande che era avvenuta la mattina e che aveva aiutato Roy a sistemare, si chiese se l’idea di ordinare tutte quelle casse di Lervig* fosse stata avventata. Eppure, non ebbe neanche il tempo di andare a fondo con quel pensiero, che una voce chiamò la sua attenzione. «Ei, ciao!» Mentre sollevava il viso per portare lo sguardo sulla figura di una ragazza ferma a qualche passo da lei, la mente di Fae rimase legata al pensiero del lavoro ancora per qualche secondo. Ci mise un po’ per tornare con i piedi al presente e allontanare, quindi, la sigaretta dalle labbra per avere la possibilità di parlarle. «Sono nuova di qui e mi sono persa, non so come tornare all’Aamot Lodge.» spiegò immediatamente la tipa, avvolta in vestiti piuttosto pesanti e con una bicicletta ferma di fianco tenuta saldamente in piedi dalle dita strette attorno al manubrio. Le sorrise immediatamente, Fae, scuotendo appena il capo come se si fosse appena ripresa dalla trance iniziale. «Potrei girovagare senza meta al freddo per un altro po', ma non vorrei rendere orfano il mio gatto.» aggiunse quella che ora sembrava a tutti gli effetti una forestiera. Era ancora qualcosa di strano per Fae, che non riusciva a comprendere come potesse qualcuno giungere a Besaid o esserne addirittura attirati. Non si spiegava, difatti, come facessero gli Hotel a mandare avanti gli affari con lo scarsissimo turismo che caratterizzava la cittadina ormai da parecchio tempo. Sotto certi punti di vista le dispiaceva: una volta finito il viaggio, tutto ciò che avevano visto o ammirato, tutti i luoghi visitati e le emozioni che avevano provato, tutto sarebbe sparito, cancellato dalla mente e dai ricordi come se la loro presenza in quel luogo non fosse poi mai davvero esistita. Era anche quello, uno dei motivi per cui non avrebbe mai deciso di lasciare la città: tutto quello che Fae era stata e continuava ad essere apparteneva ormai alle spiagge di quella costa, alle strade del centro, ai boschi fitti che circoscrivevano la città da un lato all’altro. Era tutto lì. «Oh no, sarebbe un peccato per il gatto, essere orfani non è piacevole neanche per gli animali, suppongo.» esclamò quindi, ridacchiando appena e rendendosi solo dopo conto di quanto fosse ormai divenuto semplice ironizzare anche su quello, una vita senza la guida di due genitori a spianarne la strada. «L’Aamot è verso est, dovresti imboccare la strada principale e seguirla a lungo fino al grosso centro commerciale, lì poi svoltare sulla destra.» provò a spiegare Fae, avanzando di qualche passo nella direzione della ragazza e prendendo ad indicare lo stradone principale che giungeva fino all’ingresso della recinzione che circondava l’edificio del Club. Quando riabbassò il braccio per andare a chiudere i lembi della giacca nera che aveva rubato a Roy, Fae sospirò appena, le sopracciglia che s'increspavano in un moto di pensiero frettoloso. «Senti, se aspetti che finisco di fumare questa, ho giusto cinque minuti per accompagnarti, prima che qui si crei il delirio.» aggiunse, scrollando appena le spalle ed indicando poi la discoteca alle sue spalle. Per qualcuno, i modi di fare così alla mano di Fae avrebbero potuto essere scambiati per ingenuità o irresponsabilità, dopotutto della tizia che le stava davanti sapeva ben poco, ma Fae era sempre stata un po’ imprevedibile, un po’ sopra le righe, e i capelli dai mille colori non facevano altro che sottolineare quell’aspetto stravagante di lei. «Se ti fidi, ovviamente. Giuro che non ho alcun interesse nel rapirti.» aggiunse quindi sollevando piano le mani all’altezza del volto con aria innocente, la sigaretta ancora fumante e stretta fra le dita. «La bici però dovresti lasciarla qui e magari passarla a riprendere domani.» constatò, abbassando lo sguardo sul mezzo della ragazza e risalendo con le iridi a lei subito dopo. «Comunque sono Fae!» si presentò allora, allungando la mano libera verso di lei e lasciando che questa la stringesse. Il volto squadrato della ragazza le ricordava qualcuno, ma la mente non riusciva a ripescare quei lineamenti in mezzo alla moltitudine dei ricordi che conservava, nonostante lo sguardo e le espressioni amichevoli di lei le risultassero tremendamente familiari. Fu strano per un momento, pensò a quanti sorrisi aveva visto andare e tornare e molti di loro non l’avevano neanche riconosciuta. Quanto poteva essere sacrificato, scegliendo di andare via?


    *(una marca di birra artigianale norvegese)
     
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    Riley Møller | 29 |Terracinesi | Giornalista

    Della ragazza dai capelli del colore dell’arcobaleno Riley, in realtà, aveva notato per prima cosa la sua aria assorta, tale da farla sentire un po' in colpa per interrompere il suo corso di pensieri con quella domanda idiota su dove fosse l’ostello in cui pernottava da poco meno di una settimana. Beh, sei una ragazza grande e vaccinata, ormai dovresti sapere come ritrovare la via di casa, ha pensato quando la sensazione di essere non solo una presenza nuova a Besaid, ma anche una tipa senza senso dell’orientamento che disturbava gli estranei, si fece strada in lei, insediandosi nella sua mente e auto rimproverandosi per avere sempre la testa tra le nuvole anche quando non era il caso. Aveva deciso di fare conoscenza con la cittadina, iniziare a memorizzarne i colori e gli odori, rimanendo piacevolmente sorpresa nello scoprire che molti di essi le erano familiari, quasi come se li avesse incontrati in una vita precedente. Un dettaglio, quello, che in altri casi le avrebbe dato da pensare tanto da spaventarla ma, in questo caso, con una strada da ritrovare, passò in secondo piano. Così com’erano passati in secondo piano quei mal di testa che avevano iniziato a torturarla dopo un paio di giorni dal suo arrivo e che, solitamente, facevano capo ad una serie di flash indefiniti del suo passato, che ancora non riusciva a collocare in un tempo preciso della sua storia. Che una persona normale vi avrebbe prestato più attenzione, Riley invece persisteva nell’essere convinta che fosse tutto normale e che fosse causato da un jet lag che si era prolungato più del normale. No, nessuno può entrare nel suo mondo reale parallelo, nel caso qualcuno se lo stia chiedendo. Prima o poi se ne renderà conto da sola che qualcosa non va, ma per adesso continua a concentrarsi più sulla ragazza dai capelli variopinti che su se stessa. Attira la sua attenzione e fa appello a tutta la sua abilità sconosciuta che la rende simpatica al prossimo, forse è quel suo sorriso o quel suo modo di fare espansivo -talvolta anche troppo- ma rimane il fatto che sa di fare una buona impressione sulle persone, almeno la maggior parte delle volte. Pensandoci, ancora non sa bene che impressione abbia fatto al suo capo, Lars Berg, ma se l’ha assunta deve pur avergli ispirato fiducia, nonostante quell’uomo per lei sia ancora troppo machiavellico per poter essere decifrato. E, di nuovo, si sta perdendo nei suoi pensieri senza capo e né coda, quindi si concentra sul sorriso della ragazza dai capelli variopinti che ora le presta attenzione dopo essere riemersa chissà da quali pensieri suoi. Tutti pieni di pensieri qui. «Oh no, sarebbe un peccato per il gatto, essere orfani non è piacevole neanche per gli animali, suppongo.» Ben detto, sorella. Uno dei requisiti per andare d’accordo con Riley era mostrare un minimo di sensibilità per gli animali. Lei li adora, in Africa viveva praticamente in mezzo a loro -che detta così sembra una novella Tarzan in versione negativa- e di certo questo ha contribuito a renderla particolarmente affezionata alla fauna in generale, tra giraffe, leoni e insetti non proprio piacevoli. Si sarebbe soffermata anche su chi altro fosse orfano, rifacendosi a quello che aveva appena detto la ragazza arcobaleno, ma si morse la lingua in tempo, comprendendo che in fondo non erano affari suoi. Si limitò a sorridere perché, grazie al cielo, la ragazza era amichevole e non la guardò male nonostante avesse chiaramente interrotto il suo flusso di pensieri, poi però probabilmente l’espressione di Riley assunse una piega perplessa, mentre la ragazza le spiegava la strada per raggiungere il suo ostello. La verità era che non aveva capito un bel niente, e non perché la sua interlocutrice non avesse buone capacità comunicative ma perché Riley non ricordava nemmeno la strada che aveva fatto, a furia di stare col naso all’insù per guardare il paesaggio che la circondava. Aveva guardato il paesaggio e non la strada, questo era il riassunto del suo problema. «Senti, se aspetti che finisco di fumare questa, ho giusto cinque minuti per accompagnarti, prima che qui si crei il delirio.» Quella proposta, oltre che essere estremamente gentile, derivava sicuramente dal volto perplesso di Riley che a momenti non riusciva nemmeno a capire in quale città fosse. Ora, c’è da dire che un pizzico di diffidenza l’avrebbe avuta chiunque, era naturale non essere del tutto sicuri di voler entrare in macchina con una sconosciuta, dopotutto è la prima cosa che la mamma t’insegna: “non dare retta agli sconosciuti”. Riley no. Riley s’illumina in volto all’idea che qualcuno in quel posto a lei ancora parzialmente sconosciuto volesse aiutarla. «Te ne sarei grata, sei la mia salvatrice, come posso ricambiare? Insomma, non posso darti un passaggio con la bici in futuro…» Indica con un mezzo sorriso il suo mezzo di trasporto che, in effetti, serve a ben poco e di certo non è adatto a trasportare due persone. Fa le battute idiote come suo solito, non cambierà mai, può immaginare sua madre che la guarda rassegnata e si chiede come abbia fatto a mettere al mondo una figlia che non pensa mai prima di parlare. Poggia la bici ad una parete lì vicino, ancorandola con il catenaccio. Meglio lasciare orfana per qualche ora la sua bici, piuttosto che lasciare orfano per sempre Bono Vox. Per qualche strana ragione sopita dentro di lei, sente di non correre alcun rischio con quella ragazza e si tratta di una sensazione che Riley non riesce ad ignorare. «Nel caso volessi rapirmi devo avvertirti: chiacchiero troppo e finiresti col non sopportarmi.» Giusto per mettere subito in chiaro quale sia il suo più grande difetto, uno dei tanti in realtà. Si porta le mani a coppa davanti la bocca, dopo aver sistemato la bici in modo sicuro, almeno secondo lei, e soffia sui palmi almeno per riscaldarli un po'. L’ha già detto che non è affatto abituata a quel freddo? Allunga la mano, poi, e sorride con tremila denti quando la sconosciuta non è più sconosciuta. «Piacere Fae! Io sono Riley. Sto ancora pensando ad un soprannome con cui mi possono chiamare le persone, ma Riri è già occupato da Rihanna, e nessuno osa rubare il soprannome a Rihanna.» Così, dal nulla, si presenta e nomina Rihanna. Sarà stata colpa di quella stretta di mano, che le diede una sensazione di familiarità come se lei avesse incontrato Fae già altre volte. Strano, quei capelli se li sarebbe ricordati, ne era sicura, perché li adorava. Riley avrebbe volentieri detto che lei per un certo periodo i capelli li aveva portati di colore rosa, ma una cosa per volta. «Tu lavori qui? Che posto è?» Indicò il posto alle spalle di Fae, quello a cui prima lei stessa aveva fatto cenno. Riley stava iniziando a conoscere l’esterno di Besaid, le stradine, i posti più frequentati e, naturalmente, la redazione, ma rimane il fatto che per quanto riguardava i locali la sua conoscenza era praticamente nulla, non aveva la più pallida idea di dove fossero. Il che le fece pensare che, forse, era il caso di ricominciare ad avere la parvenza di una vita sociale.
     
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    Era sempre stata piuttosto amichevole, Fae, che nel corso degli anni si era fatta una cerchia di amicizie e conoscenza invidiabile. Sin dalla tenera età si era rifiutata di restare sotto una campana di vetro, la stessa sotto la quale l’avevano lasciata sua madre e suo padre, ricordi di cui inizialmente aveva voluto liberarsi per restare viva, alla continua ricerca di emozioni che avrebbero sostituito il senso di perdita e abbandono che aveva provato e che era stata ancora troppo piccola per interpretare e comprendere al meglio. Allora aveva trascorso molte delle sue giornate senza neanche tornare a casa, sperduta fra le strade e in compagnia di gente che era andata e venuta come il vento, fugace, ne aveva acchiappato frammenti poi impossibili da trattenere fra le dita magre. Forse anche per via di quel continuo contatto con altri Fae era divenuta quella, sempre pronta a scoprire quello che si nascondeva oltre la superficie visibile che gli altri usavano mostrare a primo impatto. Non si spaventava delle persone, Fae, ma aveva solo paura del momento in cui l’avrebbero abbandonata. Aveva dovuto fare i conti con degli addii dacché avesse memoria e mai il dolore sembrava esser scemato, ci si era solo abituata a sentirlo sotto la pelle.
    Il viso della ragazza che le apparve davanti sembrava il riflesso di una sua stessa espressione, il volto di qualcuno che non si faceva alcun problema nell’affacciarsi al nuovo per scrutarvi dentro. L’accento straniero poi non fece altro che confermare quella breve impressione che Fae ebbe modo di farsi al riguardo. Provò a spiegarle dove si trovasse l’ostello così da aiutarla con qualche indicazione che, fu piuttosto evidente dallo sguardo dell’altra, non sembrò aiutarla particolarmente. Per quel motivo si decise ad offrirle un passaggio in auto, consigliandole semplicemente di lasciare lì la bici per tornare a riprenderla il giorno dopo. «Te ne sarei grata, sei la mia salvatrice, come posso ricambiare? Insomma, non posso darti un passaggio con la bici in futuro…» accettò la sua proposta, quindi, e con tono amichevole si offrì di ricambiare il favore. Scosse velocemente il capo, Fae, ritrovandosi a sorridere divertita nella sua direzione mentre con la mano libera le intimava di non preoccuparsi. «Non devi, non è un problema per me!» spiegò subito. Non lo faceva per ricevere qualche favore in cambio, a Fae piaceva poter dare una mano dove fosse necessario e se accompagnare la straniera nell’ostello l’avrebbe aiutata a non congelare o morire di ipotermia, il karma ne avrebbe sicuramente giovato prima o poi. «Nel caso volessi rapirmi devo avvertirti: chiacchiero troppo e finiresti col non sopportarmi.» udì le parole dell’altra mentre questa si allontanava di qualche passo per sistemare la bici in modo sicuro. Tirò via la sigaretta dalle labbra, Fae, così da lasciare che una risata leggera si levasse dal petto riuscendo ad immaginarsi perfettamente quanto alla tipa piacesse parlare. Dopotutto, Fae non era da meno, allora avrebbero avuto molto di cui discutere durante il viaggio in auto. «Non se il chiacchierare ininterrotto è anche una delle mie passioni.» sentenziò la ragazza arcobaleno inarcando le sopracciglia e sollevando una mano all’altezza del viso, il dito indice che andò a dondolare da una parte all’altra. «Forse ce la giochiamo alla grande.» aggiunse, ridendo di gusto mentre seguiva la sagoma dell’altra tornare verso di lei e fermarsi a qualche passo di distanza da dove si trovava Fae, ancora con la sigaretta stretta fra dito indice e medio. Fu allora che si decisero a presentarsi, allungando entrambe le mani e stringendosele nel mezzo. «Piacere Fae! Io sono Riley. Sto ancora pensando ad un soprannome con cui mi possono chiamare le persone, ma Riri è già occupato da Rihanna, e nessuno osa rubare il soprannome a Rihanna.» fu impossibile non ridere alle sue parole, così i muscoli del viso si contrassero per fare in modo che ogni singolo frammento di quei lineamenti confessasse a Riley del divertimento più che genuino. Il modo di parlare di lei, l’ironia che vi incastrava fra le parole di ogni frase, tutto di lei metteva Fae a proprio agio in quel momento. «Oh, certo che no, potrebbe citarti per plagio, non credo possa finire bene.» stette al gioco Fae, increspando le sopracciglia mentre una finta espressione seria prendeva forma sul suo viso ora pensoso. Tornò però quasi subito a sorriderle appena prima di aspirare un altro po’ di veleno dalla sigaretta per poi allontanarla di nuovo. «Peccato però, Riri sembra piuttosto carino e penso ti starebbe bene.» scherzò ancora, scrollando appena le spalle. «Ma concordo sul non voler fare un torto a Rihanna, quindi continuerò a chiamarti Riley se per te è ok.» aggiunse sorridendo. Nella mente, un pensiero prese vita frammentato, un misto di immagini e ricordi che Fae aveva sepolto nel proprio passato e che mai troppo spesso era riapparso in tutti quegli anni. Ricordò di aver avuto un’amica, durante la sua infanzia, qualcuno da cui aveva dovuto separarsi molto presto, ancora prima di poter rendersi conto di ciò che la cittadina faceva ai suoi abitanti, delle punizioni astratte che rifilava ad ogni spirito così audace da sfidare la memoria e andare via per lasciarsi tutto alle spalle. Per un momento si chiese che fine potesse aver fatto quel faccino ingenuo e gentile che aveva visto ogni qualvolta avesse guardato dalla finestra della vecchia casa Olsen, quando le era bastato sporgersi dalla finestra della camerata per incontrare uno sguardo amico anche oltre il vetro, al riparo fra le mura della casa vicina. Si erano spesso salutate così, la mattina, quando entrambe avevano cercato il viso amico dell’altra per controllare che nulla fosse cambiato durante la notte, che ad essere amiche bastasse veramente poco: un cenno della mano e una corsa attraverso il giardino per incontrarsi a metà strada e trascorrere un paio d’ore insieme. Quando quella Riley era andata via, Fae aveva iniziato a comprendere come ci si sentisse ad essere abbandonati. Tutto quello che era accaduto dopo, quando addirittura sua madre si era arresa al dolore e aveva deciso di andare via, non avevano fatto altro che approfondire quella stessa sensazione. Lasciò andare per un momento quel pensiero, tornando al presente quando la ragazza le domandò se lavorasse in quel posto e di cosa effettivamente si trattasse. Inarcò le sopracciglia, Fae, voltandosi brevemente col busto verso l’enorme edificio del Bolgen per osservarne la facciata di mattoni così alta ed imponente. Sorrise istintivamente, ritrovando nella forma comune di quel palazzo vecchio stampo un posto che da sempre aveva chiamato “casa”. Quando tornò a voltarsi verso Riley, Fae sorrideva in maniera compiaciuta e orgogliosa, inconsciamente. «Sì, questo è il Bolgen. È un club, ci lavoro da una decina d’anni ormai. Mi divido fra la gestione e il bar, più o meno.» spiegò, sebbene le fu difficile trovare il modo di descrivere appieno ciò che combinava lì dentro. Aveva iniziato dal niente, dal frequentarlo e basta come cliente e poi si era ritrovata, come in quel momento, a fare le veci del proprietario occupandosene come se fosse qualcosa di suo. Era una delle cose più belle che le fossero mai capitate. «Mi sembra di capire che tu sia in vacanza qui, o mi sbaglio? Se hai intenzione di restare ancora un paio di giorni dovresti certamente farci un salto.» la invitò amichevolmente, scrollando appena le spalle mentre tirava l’ennesima porzione di fumo dalla sigaretta stringendo il filtro fra le dita. «Stasera c’è una bella serata e siccome non conosci il posto sono disposta a metterti in lista, se ti va. Ti faccio conoscere un po’ di gente, magari, qui dentro la sera esplode di vita, credimi.» continuò Fae, gli occhi animati da sentimenti di euforia che mai sembrava esser scemata, quando parlava del Bolgen. Eppure, se da un lato amasse l’idea di inserire Riley in quell’ambiente, convinta del fatto che condividesse con la ragazza più di qualche passione, come quella, da un altro lato Fae pensò a quanto sarebbe stato tutto inutile se poi l’avesse vista andare via dimenticando, ovviamente, tutto quello che in quei giorni aveva vissuto, la vita del Bolgen compresa. Un pensiero che in qualche modo riusciva a stendere sui sentimenti di Fae una sorta di tristezza alla quale ormai sembrava addirittura essersi abituata. Era certa fosse difficile abbandonare la città e accettare di dimenticare, ma era altrettanto sicura di quanto fosse dura anche essere dall’altro lato, quello di chi avrebbe dovuto accettare di restare e guardare tutti gli altri andare via. Lo aveva fatto per anni, finché non aveva anche iniziato a comprendere quanto fosse importante concentrarsi su chi le restava vicino e, forse, quella sensazione di sicurezza l’aveva imparata stando accanto a sua sorella Meggy più che chiunque altro. Era stato l’affetto e la famiglia, quello che di essa ne era rimasta, a riempire ogni suo vuoto lasciato da chi era andato via. «Ma dimmi di te, che ci fai qui?» chiese Fae, curiosa di sapere cosa avesse portato Riley ad avventurarsi tra le strade di una delle città meno sponsorizzate per il turismo sulla faccia della terra.
     
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    Riley Møller | 29 |Terracinesi | Giornalista

    Riley tende sempre a circondarsi di persone. E’ la sua attitudine caratteriale, quella di stare bene in compagnia e, di contro, quella di soffrire un po' se sta per troppo tempo da sola. Per quanto Besaid si fosse rivelata una gran scoperta in senso positivo, rimaneva il fatto che ancora le sue amicizie in quella cittadina erano pari allo zero. Dai tempo al tempo, è quello che le avrebbe sicuramente detto sua madre Lilith non appena l’avesse informata di quella fase grigia in cui stava sprofondando mentre tentava di ambientarsi al meglio in quel posto. Non che fosse difficile ambientarsi per Riley, lei si ambientava dappertutto, in particolare lì a Besaid con cui si sentiva particolarmente legata. Strano a dirsi, ma la sensazione di essere già stata lì non voleva saperne di andarsene, era una presenza costante, ma non inquietante come alcune vecchiettine che ti fissano male mentre stai camminando in strada per i fatti tuoi. A parte il paragone quasi circense che era spuntato nella testa di Riley, bisogna ammettere che la via del ritorno per l’Aamot Lodge non era tanto difficile e piena di pericoli, tuttavia la giornalista iniziava ad avere freddo ed un passaggio in macchina era bene accetto, oltre ad essere più veloce. Bono Vox non doveva rimanere solo ancora per molto, sempre che Riley non avesse iniziato ad attaccare bottone sparlando a sproposito di qualsiasi cosa le passasse per la testa. E fu proprio quello che fece con Fae. La ragazza dai capelli variopinti, anche lei destava in Riley una sensazione di familiarità tale da rendere quell’incontro più fluido e spontaneo di quanto in realtà non avesse mai fatto con qualsiasi sconosciuto fermato per strada. Detto così sembra che Riley fermi gente in strada per hobby. No, lo fa raramente, ma quando lo fa di certo non sente sotto la pelle una particolare sensazione di sollievo nel relazionarsi con quel particolare individuo. E’ difficile da spiegare, inutile perdere tempo! «Non se il chiacchierare ininterrotto è anche una delle mie passioni. Forse ce la giochiamo alla grande.» Nel caso fosse necessario qualche dettaglio in più per annoverare Fae tra le persone preferite lì a Besaid, quello servì per darle immediatamente un sicuro posto sul podio. Spesso Riley è stata tacciata da amici e conoscenti come la chiacchierona del gruppo, sono stati rari -se non addirittura inesistenti- i momenti in cui qualcuno di loro sia riuscito a superare la sua parlantina o, ancora più impossibile, a zittirla. Perché il fatto è che Riley non è solo chiacchierona, è anche una ragazza che riesce ad avere sempre un’opinione su tutto e, quindi, è in grado di parlare di qualsiasi cosa. Ininterrottamente. Con questa premessa è ovvio che trovare una sua degna “avversaria” in fatto di parlantina non le faccia altro che piacere. Almeno non è l’unica ad essere considerata chiacchierona! Non vedeva l’ora di assaggiare il dolce sapore del non essere la sola ad essere additata come logorroica e, però, ci ripensò quando iniziò ad impelagarsi in un ragionamento senza né capo e né coda sul perché non potesse soprannominarsi Riri. Almeno c’era di buono che Fae si mise a ridere e, nel trillo della sua risata, Riley non sentiva alcuna intonazione di scherno nei suoi confronti, solo puro divertimento per le cose involontariamente comiche che uscivano dalla sua bocca. Avendo un passato di ragazzina bullizzata per essere più alta delle sue coetanee all’età di 12 anni, Riley fa caso alla differenza di quando qualcuno ride di lei e quando, invece, qualcuno ride con lei. E’ una sottile linea di demarcazione a cui ha imparato a fare caso, dopo aver trascorso pomeriggi interi nella sua stanzetta a piangere perché pensava che le sue gambe fossero brutte. «Ma concordo sul non voler fare un torto a Rihanna, quindi continuerò a chiamarti Riley se per te è ok.» «Oh si, mi va più che bene! Ho un nome ispirato da una canzone degli Who, come potrebbe non andarmi bene?» Una volta stabilito che le andava bene essere chiamata Riley poteva anche fermarsi lì. Invece no. Ha dovuto dare a Fae un’informazione non richiesta sulla derivazione del suo nome. Ma cosa mai potrà importare alla ragazza arcobaleno che sua madre è patita di musica rock è ha deciso di chiamare la figlia come il titolo di una canzone di quattro capelloni strafatti? Niente, per l’appunto. Si morse la lingua per l’ennesima volta da quando aveva incontrato Fae che, con quel nome, nemmeno poteva soprannominare. Insomma, ragazza arcobaleno fortunata che non deve avere il tormento di condividere un nomignolo con una vip dello star system! Ringraziò il suo buon senso che, ogni tanto, le veniva incontro impedendole di dire quel genere di sciocchezze ad alta voce e, quasi come a distogliere i suoi pensieri da quel continuo parlare a raffica, alzò lo sguardo curiosa per vedere se quel posto avesse una caratteristica, un dettaglio, una crepa, un colore particolare, anche un muro scrostato l’avrebbe fatta contenta, qualsiasi cosa per ricordare il posto dell’incontro con la ragazza arcobaleno. «Sì, questo è il Bolgen. È un club, ci lavoro da una decina d’anni ormai. Mi divido fra la gestione e il bar, più o meno.» Era impossibile non sentire quel pizzico di orgoglio nella voce di Fae, che guardava all’edificio come se fosse il suo bambino. Bolgen. Per Riley quel nome sapeva di nuovo; nuove esperienze, nuovi amici. Nuovo, ed immediatamente, dal luccichio che illuminò gli occhi della sua interlocutrice, ne fu genuinamente incuriosita. Di riflesso, poi, sentì anche la nostalgia di quelle serate a Washington trascorse a divertirsi con i colleghi in qualche club, dopo un’estenuante giornata di lavoro. Una serie di flashback stavano popolando la mente della giornalista che, è ufficiale, aveva decisamente bisogno di rimettere in carreggiata la sua vita sociale. «Vuoi scherzare? Caspita, è un lavoro che t’impegna giornate intere, immagino. I miei complimenti!» Ogni lavoro è degno di nota, ma vedere che una ragazza come lei è alla gestione di un locale rende Riley particolarmente orgogliosa per il genere femminile. Parentesi da quote rosa a parte, finalmente distolse il suo sguardò all’insù verso l’edificio in mattoni per posarlo su Fae che, con grazia da ragazza disponibile e tormentata fumava quella sigaretta e le narrava come il Bolgen alla sera avesse una vita tutta sua. Impossibile non essere curiosa di trascorrervi una serata dopo una premessa del genere! «Ti sembrerà strano ma, credimi, è da una vita che non mi diverto in un posto come questo!» Riley non è di certo una ragazza che bada solo a divertirsi, insomma è pur sempre lì per lavoro, ma non ha mai disdegnato un paio d’ore di sano svago quindi, alle parole di Fae, già tentava di ricordare quando fosse la sua prossima serata libera per poter andare al Bolgen. «Stasera c’è una bella serata e siccome non conosci il posto sono disposta a metterti in lista, se ti va. Ti faccio conoscere un po’ di gente, magari, qui dentro la sera esplode di vita, credimi.» Ok, con una proposta del genere che bisogno c’era di attendere la prossima serata libera? Tanto valeva cogliere l’attimo è sfruttare questa serata libera. Un enorme sorriso si allargò sul viso della giornalista che, come accettò subito il passaggio in auto, accettò immediatamente anche l’invito al Bolgen, senza fare troppi complimenti, senza preoccuparsi di apparire scroccona. In realtà lo scroccare cose a Fae era veramente l’unica cosa che le stava passando per la testa, ciò a cui veramente Riley stava pensando era una vita a Besaid meno solitaria. E quell’invito sembrava fare proprio al caso suo. «Non vorrei approfittare della tua gentilezza, ma mi piacerebbe veramente molto vedere il volto della Besaid serale che, ancora, non ho avuto l’occasione di vedere.» Presa dal lavoro giornaliero al Besaid Daily News che le risucchiava le energie fino al tardo pomeriggio, Riley non aveva mai avuto l’occasione di andare in giro per la cittadina di sera, studiarne il fermento una volta calato il sole. Molte città cambiavano volto una volta arrivata la sera. Washington, per esempio, rimaneva sempre sveglia, anche alle 3 di notte i marciapiedi ed i locali erano popolati da persone che davano al tutto un’atmosfera di quasi ora di punta a mezzogiorno. Si domandava se Besaid fosse la stessa o se fosse diversa. «Tuttavia non potrò bere troppo, domani devo andare a lavorare!» Divertimento si, ma mai dimenticare il senso del dovere ed il motivo per cui si trovava a Besaid, lontanissima da casa sua e da sua madre a Città del Capo. E poi, dopo l’inizio rocambolesco avuto con Lars, non intendeva dare l’idea a lui o ai suoi nuovi colleghi che non si meritava quel posto o che, peggio, non le importasse veramente di lavorare lì. A quel proposito, l’ultima domanda di Fae sembrò quasi leggerle nel pensiero. «Lavoro al Besaid Daily News, mi sono trasferita da poco, dopo che mi hanno offerto un posto come giornalista.» Questa volta tocca a Riley avere una punta di orgoglio nella sua voce, mentre parlava della sua professione che, al tempo stesso, era la croce e la delizia della sua vita. Ogni studio fatto, ogni sacrificio, ogni notte insonne, Riley l’aveva compiuto solo per divenire una giornalista e, per quanto non amasse vantarsi, quella era una delle poche cose che la rendevano felice. Se era lì lo doveva solo a se stessa e, naturalmente, al sostegno incondizionato di sua madre. «Non sono una turista, anche se sembrerebbe il contrario siccome ancora non conosco le strade, come avrai notato! Ma ho in progetto di rimanere qui a Besaid ancora un bel po'…almeno finché il mio caporedattore me lo consente!» Ride pensando a Lars e allo sguardo che le ha lanciato la prima volta che si è presentata nel suo studio, vestita in maniera poco elegante e con la gabbietta di Bono Vox in mano. Ancora non si capacitava come avesse deciso di darle una possibilità. «Tu, invece? Sei nata a Besaid? Sembri conoscere bene questo posto.» Un’osservazione lecita, oltre al dettaglio dei quasi dieci anni trascorsi per lavorare al Bolgen. Riley aveva la sensazione che Fae fosse lì da tempo immemore. Ancora una volta si faceva strada la convinzione di conoscere già quella ragazza, come se fosse già a conoscenza di una fetta minuscola della sua vita. Eppure mancava ancora un pezzo mancante per rendere il puzzle dei suoi ricordi definitivamente più nitido.
     
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    Il viso amichevole di Riley le trasmise una sensazione di fiducia e familiarità, sensazioni che Fae raramente aveva avuto modo di riscoprire negli occhi di qualcuno, ancora meno se sconosciuto. Per tutta la vita si era circondata di poche persone, solo le più fidate avevano avuto la possibilità di avvicinarsi a lei quel tanto da poterla realmente vedere. Era stata solo una bambina quando aveva iniziato a preferire i sogni alla realtà, i ricordi di mani affettuose che si erano sempre posate sulle sue spalle in silenzio, solo per incoraggiarla. E quando quelle mani si era dissolte nel nulla affondando nel mare, oltre la sua superficie scura ed emblematica, Fae aveva riposto se stessa fra le braccia di Meggy e Sam. E se da un lato aveva dato la sorella maggiore per scontata, con l'altra era stato diverso. Sam era sbucata dal nulla in un giorno qualsiasi, e Fae non era più riuscita a separarsene. Anche quando la migliore amica le aveva comunicato che avrebbe iniziato a studiare a Bergen, tornando ogni weekend in città, Fae aveva avuto certamente paura di perdere anche lei, eppure non era mai accaduto. Sam era stata, da sempre, l'unica figura che Fae era riuscita a tenersi vicino da quando era stata solo una bambina, il punto fermo che non l'aveva mai abbandonata, neanche durante quegli anni tremendi che, probabilmente, avrebbero separato chiunque altro. Ed era un po' la sua maledizione, un po' maledizione della città che, seppur ferma nei propri confini restrittivi e solidali, non poteva mai fare davvero a meno che le persone andassero e venissero. E così era stato anche per quella piccola Riley che Fae un tempo aveva conosciuto e a cui aveva voluto genuinamente bene, come si fa con i fiori che fioriscono e s'illuminano sotto ai raggi del sole per spegnersi solo di notte. Riley aveva brillato tantissimo, ma poi anche lei era diventata solo un'ombra e quel legame si era dissolto tanto velocemente quanto si era generato. Poteva, però, un fiore tornare a brillare dopo anni ed anni di ombra? Forse Fae lo avrebbe scoperto presto.
    «Oh si, mi va più che bene! Ho un nome ispirato da una canzone degli Who, come potrebbe non andarmi bene?» rispose quindi l'altra, riferendosi alla scelta di Fae di chiamarla con il suo nome per intero. Si ritrovò a sorridere, la ragazza dai capelli arcobaleno, ritrovandosi a pensare a quanto fosse semplice conversare con la sconosciuta che, ora, tanto sconosciuta più non era. Quando poi le domandò se lavorasse lì, Fae annuì energicamente, internamente compiaciuta del percorso intrapreso e, messa faccia a faccia con la realtà delle cose, orgogliosa di ciò che nel suo piccolo aveva creato, non solo per sé stessa, ma anche per tutti quelli che avevano la possibilità di godere di quelle ore di svago all'interno del Bolgen. Certo, non la baracca non era sua e neanche aspirava a possederla sulla carta; le bastava quello, il fatto di poter avere anche un minimo di potere decisionale e non per presunzione od orgoglio, ma perché da sempre lo faceva con estrema ed euforica passione. Aveva conosciuto Paul ormai diversi anni prima e i due si erano trovati bene sin da subito, aveva avuto fiducia in lei e i due, insieme a Beat, avevano completamente rinnovato l'intero posto. Erano stati anni di meraviglia e fatica, ma Fae avrebbe rifatto tutto allo stesso modo, dall'inizio. «Vuoi scherzare? Caspita, è un lavoro che t’impegna giornate intere, immagino. I miei complimenti! Ti sembrerà strano ma, credimi, è da una vita che non mi diverto in un posto come questo!» si ritrovò ad esclamare Riley, non appena Fae ebbe avuto modo di spiegarle. Al ché, Fae colse subito l'occasione per invitarla all'evento di quella sera stessa, sperando che l'altra accettasse l'invito. La ragazza dai capelli arcobaleno si era sempre lasciata guidare dal sesto senso, e non solo verso le cose buone, ma anche verso quelle terribili. Aveva provato e fatto miriadi di esperienze durante i suoi trent'anni e di certo non si sarebbe fermata lì, sebbene gli ultimi due anni erano stati più statici, da quando Ivar e Adam erano entrati nella sua vita. Era quasi come se ogni tassello del puzzle prendesse il posto giusto e lei avesse finalmente l'occasione di guardare il quadro completo e da una prospettiva più comoda e ottimale. Tutto tornava al posto giusto. A guardare Riley, lì in piedi di fronte a lei e con quell'espressione contenta sul viso, Fae avvertiva lo stesso sotto la pelle, qualcosa la spingeva a fidarsi di lei, ad avvicinarla. Poteva essere l'inizio di qualcosa di positivo o, forse, la continuazione di qualcos'altro altrettanto speciale. «Non vorrei approfittare della tua gentilezza, ma mi piacerebbe veramente molto vedere il volto della Besaid serale che, ancora, non ho avuto l’occasione di vedere.» accettò quindi Riley, assecondando l'invito di Fae per la sera stessa. «Perfetto, allora! Non preoccuparti, approfitta quanto vuoi. Sono contenta di essere io a mostrarti questo lato di Besaid per prima.» esclamò Fae, gentile, con un sorriso divertito e gentile che si apriva sulle labbra sottili e rosee. «Tuttavia non potrò bere troppo, domani devo andare a lavorare!» aggiunse quindi Riley, annunciando la sua presenza ma certamente non fino a notte fonda. Si ritrovò ad annuire energicamente, Fae, aspirando l'ultimo accenno di fumo dalla sigaretta prima di voltarsi e spegnerla nel posacenere a forma di cilindro metallico attaccato alla parete di mattoni. «Prometto che non ti tratterrò più del dovuto, sarai libera di andare quando riterrai più opportuno.» le disse Fae, sollevando le mani all'altezza delle spalle con aria innocente mentre quel sorriso divertito le restava appiccicato alle labbra. Curiosa, le domandò quindi cosa ci facesse a Besaid, se fosse solo di passaggio o intenta a restarci oltre. «Lavoro al Besaid Daily News, mi sono trasferita da poco, dopo che mi hanno offerto un posto come giornalista.» spiegò Riley quindi, impossibile per Fae non cogliere la punta d'orgoglio nella voce dell'altra mentre le comunicava di cosa si trattasse il suo lavoro e come mai si ritrovasse in città. Inarcò le sopracciglia e schiuse le labbra, Fae, piacevolmente sorpresa dalle sue parole. Prima do tutto perché questo voleva significare che Riley si sarebbe presumibilmente fermata a lungo in città, e poi perché collegò Riley inevitabilmente a Lars, caporedattore della testata giornalistica di cui lei poco prima aveva parlato. «Non sono una turista, anche se sembrerebbe il contrario siccome ancora non conosco le strade, come avrai notato! Ma ho in progetto di rimanere qui a Besaid ancora un bel po'…almeno finché il mio caporedattore me lo consente!» aggiunse l'altra quindi, concludendo la frase con una risata leggera e divertita. Avanzò di qualche passo verso di lei, Fae, sollevando una mano ed indicandole di seguirla verso l'auto, ora che aveva spento la sigaretta. «Davvero? Non dirmi che lavori con Lars.» commentò quindi lei, ridacchiando. «Lo conosco da una vita, io e sua sorella andavamo insieme al liceo, siamo tutt'ora molto amiche.» spiegò, tornando per un momento a ripesare a ciò che fra di loro era avvenuto. Ne conservava un ricordo affettuoso, nonostante le cose fra loro due non fossero andate come avrebbero potuto. Troppo diversi, eppure stranamente attratti l'uno dall'altra. Un'infatuazione da liceo e serie tv per adolescenti, con tanto di sorella ignara di mezzo per il quale, alla fine, avevano deciso di tenere il rapporto su un livello di pura amicizia. A pensarci oggi, avevano decisamente fatto la cosa più giusta, lei e Lars. Continuò quindi a camminare di fianco a Riley verso il parcheggio situato dietro l'edificio del Bolgen. «Lascia pure qui la bici, hai la catena? Non vorrei che qualche frequentatore del Bolgen un po' su di giri te la freghi per pedalare inconsciamente fino a casa domani mattina.» si rivolse Fae a Riley quando furono vicino alle staffe di metallo contro il quale venivano sistemate le bici. Le era capitato almeno tre volte, diversi anni prima, che uscita dal Club all'alba non avesse ritrovato la propria. Certo, fortunatamente riappariva sempre nello stesso posto dopo una settimana circa, ma il problema persisteva. Grazie al cielo aveva comprato finalmente un auto! «In ogni caso, Lars è una bravissima persona e tu mi sembri altrettanto, sono certa che troverai il modo di farti amare da lui così come lui si farà amare da te.» aggiunse quindi, una volta raggiunta la sua VW Golf nera. L'aprì e fece quindi cenno a Riley di salire su. «Scusa il casino, dai miei capelli penso si capisca che sono una tipa decisamente disordinata, no?» scherzò abbassandosi in direzione dei sedili per spostare velocemente su quelli posteriori la giacca di Ivar rimasta in macchina da una vita e che ormai indossava praticamente solo lei, i pacchi di sigarette aperti e sparsi sul sedile e una bottiglia d'acqua ormai vuota appartenuta ad Adam, che per qualche ragione aveva costantemente sete. Insomma, afferrò tutto e gettò con noncuranza dietro. Una volta dentro entrambe, rispose alla domanda dell'altra riguardo le sue origini. «Sì, sono nata qui. Non ho quasi mai viaggiato, mai visto tanto altro, ad essere onesta.» spiegò, iniziando a guidare in direzione dell'ostello in cui alloggiava Riley. «Diciamo che sono molto legata alle mie origini e questo posto, e...» s'interruppe brevemente, con lo sguardo ancora fisso sulla strada, mentre rimuginava sull'assurdità che caratterizzava non solo la città di Besaid, ma anche tutti i suoi abitanti. Andare via non era mai stata un'opzione per Fae, e non perché effettivamente volesse rimanere entro quei confini, ma perché le era sempre stato difficile lasciar andare qualsiasi cosa cui fosse legata, persino un ricordo, uno qualunque. Si era creata il proprio percorso, era fatta non solo di carne ed ossa, ma anche e soprattutto di ciò che le era stato insegnato in tutto quel tempo e delle cose che invece aveva dovuto affrontare ed imparare da sola. Lasciare Besaid e perdere tutto ciò che lei era non era assolutamente una possibilità. Ma Riley - nuova a tutto quello, all'uso dei poteri e ai ricordi che avrebbe perso se fosse andata nuovamente via - quanto era effettivamente al corrente dell'intera situazione? Quanto aveva avuto modo di scoprire e sapere? «Insomma, non potrei. Trovo coraggioso da parte tua lasciarti alle spalle tutto quello che avevi per intraprendere un percorso totalmente nuovo.» spiegò quindi, voltandosi brevemente a guardarla con un sorriso gentile ed incoraggiante sulle labbra. «Sai, però, c'è molto altro oltre all'imparare a memoria le strade di Besaid. Per conoscerla davvero non ti serve una bussola o una cartina geografica, Riley. Lo scoprirai presto.» menzionò Fae, le mani strette attorno al volante e lo sguardo attento sulla strada. Per quanto forse avrebbe potuto aiutarla parlarne con Riley, Fae non aveva mai confessato a nessun turista o nuovo arrivato che fosse, il segreto che rendeva Besaid semplicemente Besaid. Non si riteneva adatta ad un compito di quel tipo, preferiva che fosse qualcun altro a farlo o che, col tempo, i forestieri scoprissero da soli di cosa quei confini fossero capaci. Per un momento si ritrovò a pensare alla sua Riley, agli anni che per inerzia erano trascorsi da quando era andata via. «Quando ero piccola avevo un'amica di nome Riley.» disse sorridendo gentilmente al pensiero. Un'altra cosa che aveva potuto conservare dentro non andando mai via. «Poi dovette trasferirsi altrove con sua madre, non so neanche il perché, ai bambini si spiega sempre troppo poco. Purtroppo perdemmo i contatti e non ho idea di dove sia, ora. Oh, eccoci qua, siamo arrivate.» spiegò ancora, scrollando appena le spalle mentre imboccava la strada che portava all'ostello davanti al quale si ritrovò ad accostare poco dopo. Spense la macchina e si voltò a guardare Riley, il solito sorriso che, partendo dalle labbra, riusciva a prendere forma anche nello sguardo blu di Fae.
    Qualcosa nella figura slanciata di Riley le sembrava tremendamente familiare. Besaid aveva tolto tanto a Fae, lei e la città erano due spiriti diversissimi eppure in lotta da sempre. Possibile che ora la sua unica nemica volesse finalmente ridarle qualcosa?

    Edited by ƒiordaliso - 16/4/2021, 13:44
     
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    Sarebbe quasi ipocrita dire che Riley impiega molto tempo a stringere amicizia. E’ socievole e sarebbe capace di farsi amiche anche le pietre, altro conto è poi sviluppare un rapporto amicale più profondo che si basa sulla fiducia. Ecco, in questo caso le cose si complicano e, seppur Riley fosse in grado di parlare con chiunque, bisogna ammettere che coloro di cui si fida veramente si possono contare sulle dita di una mano e sono anche persone che conosce da parecchio tempo. Tuttavia, questa regola tacita, è stata spezzata nel momento in cui ha rivolto la parola a Fae. C’era qualcosa, nella ragazza dai capelli multicolore, che sapeva di antiche memorie, di esperienze vissute insieme ed in completa spensieratezza. Riley non aveva una palla di vetro e né la previsione del futuro rientra tra le sue capacità, eppure non poteva fare a meno di pensare che la legava qualcosa a quella ragazza, qualcosa che non aveva un nome, non sapeva come definire quell’intuito che non solo le faceva classificare Fae come una sua amica, ma anche come una di quelle pochissime persone fidate. Assurdo, siccome la conosceva da poco meno di venti minuti, eppure non poteva ignorare il suo istinto proprio lei, che era al 10% razionalità e al 90% puro istinto. Quindi eccola lì, intenta ad accettare tutto ciò che le aveva proposto Fae che, a quanto pare, le avrebbe anche potuto proporre di uccidere qualcuno e Riley sarebbe stata lieta di assecondarla e di nascondere insieme il cadavere. State calmi, questo è solo un esempio estremo, la giornalista non vorrebbe mai uccidere qualcuno, al massimo ne scriverebbe sul Besaid Daily News, ma niente di più. Questo per dire che si è infilata nella macchina di Fae senza batter ciglio, dopo aver messo in sicurezza la sua bicicletta. «Oh che meraviglia, finalmente un po' di caldo.» Non riesce a trattenersi dal mostrare apprezzamento per il caldo che l’aveva accolta non appena era entrata nell’abitacolo. Non è una cosa da niente se si considera che era stata su una bicicletta al freddo almeno per un’ora! Si strofinò le mani per riscaldarle meglio, mentre poteva immaginare che la sua faccia fosse inguardabile con il naso e le guance arrossate dal gelo. Dopo aver perso tempo col freddo e col gelo, finalmente Riley riesce ad elaborare meglio ciò che le ha detto Fae poco prima di entrare in macchina. «Lars ha una sorella?» Guarda la ragazza dai capelli arcobaleno come se le avesse appena rivelato una verità sconosciuta e super segreta, questo a dimostrazione di quanto la giornalista conosca ancora troppo poco il suo caporedattore e quanto lavoro deve ancora fare per entrare nelle sue grazie. «In ogni caso, Lars è una bravissima persona e tu mi sembri altrettanto, sono certa che troverai il modo di farti amare da lui così come lui si farà amare da te.» Riley annuì poco convinta a quelle parole, lei era sempre positiva, ma bisogna dire che Lars doveva ancora inquadrarlo e capire bene come comportarsi con lui. Sperava di avere abbastanza tempo per farlo e di non essere buttata fuori dal Daily già dopo una settimana. «Non ho dubbi che sia una brava persona. Quando mi sono presentata in redazione con Bono Vox non ha battuto ciglio. Penso che chi tratta bene gli animali sia un’ottima persona.» Altra opinione non richiesta che esce dalla bocca della giornalista, ma a Fae non sembra dare fastidio il suo essere troppo logorroica, un altro punto in più per la ragazza dai capelli arcobaleno. «Se io avessi una macchina sarebbe esattamente così.» Tranquillizzò la sua nuova amica che si era scusata per il disordine che c’era nell’abitacolo. A parte il fatto che non era così disordinata come diceva lei, ma comunque c’è del genio nel disordine e Riley non poteva fare altro che apprezzarlo, dal momento che anche lei era disordinata. Da perfetta giornalista qual era, Riley approfittò del viaggio in macchina per chiedere qualcosa in più a Fae, non che volesse impicciarsi nella sua vita, ma era curiosa e voleva conoscerla meglio. Non aveva dubbi sul fatto che fosse nata a Besaid, in fondo il modo in cui ne parlava e il modo in cui si muoveva nella cittadina non lasciavano spazio a malintesi. E le parole che pronunciò la ragazza arcobaleno non fecero altro che confermare la sua idea. Sembrava che Fae e Besaid fossero legate da un filo invisibile, sottile ma resistente tale da rendere indissolubile quell’unione astratta. E Riley avrebbe dovuto approfittare di quel momento per guardare dall’auto la strada che la riportava all’Aamot Lodge e memorizzarla una volta per tutte, eppure si ritrovò a tenere gli occhi puntati su Fae, a studiare ogni sua espressione e ad ascoltarla con attenzione. «Sai, però, c'è molto altro oltre all'imparare a memoria le strade di Besaid. Per conoscerla davvero non ti serve una bussola o una cartina geografica, Riley. Lo scoprirai presto.» Sorride, la giornalista, e annuisce quando la sua nuova conoscenza le fa presente che, per conoscere Besaid, bisogna fare molto più che imparare le strade a memoria. «Mi impegnerò!» Lo promette più a se stessa che a Fae, parole che sanciscono un suo serio impegno nei confronti di quella città così nuova che, però, le stava iniziando a riservare una serie di belle sorprese. E continua a sorridere ad ogni parola della ragazza arcobaleno, come se ogni cosa uscisse dalla sua bocca la mettesse di buon umore. «Quando ero piccola avevo un'amica di nome Riley.» La giornalista spalancò gli occhi quando udì quelle parole, talvolta il caso si divertiva a creare situazioni che quasi rasentavano l’assurdo. «Vorrei conoscerla quest’altra Riley, non mi è mai capitato di parlare con una mia omonima. Sarà che siamo in poche.» Non aveva la presunzione di dire che il suo fosse un nome raro, lei non aveva mai incontrato nessuno che si chiamasse come lei, ma magari era un caso. Magari nel mondo esistevano più Riley di quanto pensasse ed era lei convinta che fosse un nome più unico che raro. E poi perché mai adesso doveva pensare a quante persone si chiamavano come lei? Era fondamentale? Le avrebbe migliorato l’esistenza? No. Era un po' come chiedersi chi fosse stato il primo al mondo ad assaggiare il ketchup. Insomma, quel genere di domande inutili di cui conoscere la risposta non è fondamentale, a meno che non si vuole partecipare ad un quiz show in cui fanno domande assurde le cui risposte non conoscerebbe nemmeno l’uomo più intelligente del mondo. «Oh…» E’ sinceramente dispiaciuta nell’apprendere che Fae ha poi perso quell’amicizia perché trasferitasi. Per ricordarla ancora adesso doveva sicuramente volere molto bene a quella bimba. «Chissà se lei adesso si fa soprannominare Riri, a differenza mia!» Una battuta idiota che più idiota non si può! E la cosa più grave è che davvero si è chiesta una cosa del genere, non l’ha fatto solo per sdrammatizzare sull’accaduta ma perché veramente vorrebbe saperlo. Insomma, se qualcuno si fa chiamare Riri, come Rihanna, e ancora non è stato fulminato da qualsiasi tipo di Dio che sta nei cieli, allora sicuramente è una cosa lecita da fare e Rihanna non manderà i suoi avvocati per farle causa. Si, Riley vive decisamente in un modo parallelo. «Oh, eccoci qua, siamo arrivate.»E come erano arrivate fin lì? Era stata talmente presa dal chiacchierare con Fae che nemmeno si era resa conto che il tempo in sua compagnia era scaduto, peccato. Le era piaciuto parlare con lei e sperava vivamente di poter approfondire la loro conoscenza. «Non so come ringraziarti! Ti offrirò qualcosa da bere stasera, anche se sarei poco credibile siccome lavori nel locale. Ti inviterò a cena allora! No, così sembra che ci stia provando con te. In qualche modo mi sdebiterò per il favore, giuro! Devo solo capire come.» Voleva veramente mostrare tutta la sua gratitudine a Fae nella maniera più naturale e spontanea possibile, anche se quando si tratta di Riley la cosa più spontanea di solito è qualcosa di strano, ma che almeno viene dal cuore. Fae non avrebbe fatto alcuna eccezione, le avrebbe offerto qualcosa, o le avrebbe fatto un qualche regalo, questo era ancora da decidere. «Prima o poi ti farò anche conoscere Bono Vox. Adesso è meglio non disturbarlo perché sarà affamato e quindi irritabile, potrebbe graffiare senza sosta.» Parlò del suo gatto come se fosse una bestia di satana…e nessuno le assicurava che non lo fosse. Sorrise, sempre presa dal suo troppo chiacchierare, e poi guardò la facciata dell’Aamot Lodge che non aspettata altro che il suo ingresso. Torna poi a guardare la ragazza dai capelli arcobaleno. «Mi ha fatto veramente tanto piacere conoscerti, Fae. A più tardi.» Le sorride sincera un’ultima volta, prima di scendere dall’auto e dirigersi verso l’ostello con ancora quel sorriso stampato in faccia. Era felice perché era sicura di aver trovato in Fae una buona futura amica.
     
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