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Paul x Lucas | Sera | 28-03-2021

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    Paul J. Vesaas
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    Non erano stati mesi facili quelli che aveva appena vissuto. Il lavoro nell’impresa di famiglia si era fatto più intenso tanto che talvolta Paul si sentiva quasi mancare il respiro per quanto non avesse tempo per se stesso o, peggio ancora, per Evan. Niente di irreparabile, comunque, svolgeva quel lavoro da abbastanza tempo per sapere che periodi del genere potevano esserci, spuntavano dal nulla, duravano per un po', e poi svanivano, lasciandosi dietro solo tanta stanchezza. E Paul era così, era veramente stanco, soprattutto perché con la mente era sempre stato in un altro posto. Fortuna che il suo lavoro non richiedeva tanta concentrazione, quell’incombenza spettava al suo staff che svolgeva le pratiche al posto suo, di lui serviva solo la presenza. Era in quell’ambiente da abbastanza tempo per sapere che, talvolta, era più importante salvare le apparenze, quindi presentarsi coesi come famiglia e come soci dell’azienda per convincere gli altri che i Vesaas erano affidabili e quindi potevano rilevare le imprese altrui senza troppa fatica. Era un lavoro sporco, ma qualcuno doveva pur farlo. Tutto questo preambolo per dire che, finalmente, quel periodo intenso sembrava essere terminato e poteva tornare a Besaid. Mancava dalla città solo da qualche settimana, ad intervalli di pochi giorni, ma sentiva come se non vi mettesse piede almeno da un paio d’anni. Gli mancava il suo Bolgen e tutte le persone che lo popolavano, quella era come casa per Paul, più della sua vera casa in cui era cresciuto con i suoi genitori. Lui, almeno, era cresciuto con entrambi i genitori sotto lo stesso tetto, talvolta si domandava se Evan, suo figlio, invece soffrisse perché non vedeva quasi mai i suoi genitori insieme. A Paul sembrava un bambino felice a cui non mancava nulla e, dopotutto, lui stesso s’impegnava affinché vivesse nel migliore dei modi, un impegno condiviso da June, la sua ex compagna e madre di suo figlio.
    Talvolta, Paul, si chiedeva se dovesse dare ascolto a suo padre. «Torna insieme a June, sei un uomo adulto ormai. Dovresti avere una famiglia alle spalle, non fai una bella figura facendo la parte dello scapolo d’oro.» Paul senior gli ripeteva spesso quelle parole, ignorando completamente il fatto che, al momento, aveva già una donna al suo fianco e non era June, bensì Lys. Ancora Paul non sapeva se con lei sarebbe riuscito a costruire una famiglia, era ancora troppo presto per dirlo con certezza, ma sapeva per certo che era lei la ragazza a cui pensava più spesso e, soprattutto, era merito suo se il suo cuore era tornato in sesto dopo la rottura con June. Tuttavia le parole di suo padre gli tornavano continuamente in testa, andando ad intaccare la sua sicurezza. Era una fortuna che Paul, in fin dei conti, non si lasciasse influenzare troppo dalle parole del suo omonimo brizzolato, altrimenti, se fosse stato per lui, non sarebbe nemmeno stato in grado di investire in quella che si rivelò la migliore decisione della sua vita: il Bolgen, per l’appunto.
    Se Besaid profumava di familiare, il Bolgen profumava proprio di casa e Paul, felice di essere tornato, non voleva perdere tempo nel riallacciare nuovamente i rapporti che quella città tendeva a cancellare non appena si metteva il piede oltre il suo confine. Lo aveva capito col tempo, Paul, che ogni suo breve viaggio a Bergen comportava anche la perdita di qualche breve ricordo a Besaid. Il suo lavoro e, cosa più importante, suo figlio, gli impedivano di rimanere in pianta stabile nella cittadina solo per salvaguardare i suoi ricordi quindi aveva concluso che, per il bene della famiglia e del lavoro, avrebbe fatto solo viaggi di breve durata e, per sicurezza, si sarebbe appuntato tutto ciò che doveva fare una volta tornato a Besaid. Era un modus operandi che ormai praticava da un bel po' di tempo e che funzionava alla grande! Non aveva rivelato ad altri i suoi vuoti di memoria, non sapeva se anche per gli altri cittadini ci fosse lo stesso problema e men che meno voleva creare allarmismi su qualcosa che, probabilmente, aveva solo lui. Dunque, appena tornato nella sua camera che una volta era stata di Beat, aveva dato un’occhiata ai post-it che aveva diligentemente scritto e lasciato sulla sua scrivania, uno di quelli citava: Chiama Lucas, incontratevi perché non vi vedete da un sacco di tempo, idioti!. Non c’era bisogno di scavare nella sua memoria per ricordare chi fosse Lucas, lui rimaneva sempre nella sua memoria, come accadeva per Beat e Anders, erano i suoi amici più stretti e, di conseguenza, i ricordi legati a loro non potevano andare via dopo un paio di giorni. Il post-it sboccato lo fece sorridere e immediatamente prese il cellulare per invitare il suo caro amico al Bolgen, avrebbe offerto lui ovviamente! Lucas accettò di incontrare Paul quella sera stessa e lui si diede da fare per prepararsi ed arrivare al locale un po' prima, in modo tale da fare prima un giro di ricognizione con i suoi dipendenti/amici, da Fae ad Anders.
    original
    Era tutto come lo aveva lasciato, perfettamente caotico, pieno e divertente. A dirigere la baracca in sua assenza aveva messo solo persone di cui si fidava ciecamente e che sapeva erano abbastanza in gamba da saper gestire tutto anche senza di lui. Paul lo diceva sempre: «Il Bolgen non sarebbe lo stesso senza tutte le persone che mi hanno dato una mano e che continuano a darmela.» che sembrerebbe un po' una frase fatta ma, in realtà, è ciò che pensa veramente. Non sa quanto tempo passò prima che la figura slanciata di Lucas facesse il suo ingresso nel locale. Alto, bello e intelligente: Lucas era il ragazzo perfetto che tutte/i avrebbero voluto al loro fianco ma lui, a quanto pareva, voleva ancora spassarsela un po' prima di mettere la testa a posto. In pratica Lucas era il tipo di ragazzo da cui Paul Senior avrebbe detto al figlio di tenersi alla larga. Ma Junior ormai era abituato a fare l’esatto opposto di quello che gli diceva il padre, quindi si fiondò a salutare l’amico con un fraterno abbraccio. «Ei tu, smettila di essere così affascinante o mi farai svenire metà dei clienti qui dentro!» Lo salutò con affetto, facendogli segno con la mano di seguirlo fino al bancone, dove avrebbe ordinato quello che più gli andava a genio. «Come va?» Domandò banalmente, volendo però sapere sul serio come si trovasse Lucas in quel luogo che, ancora, era nuovo per lui. «E, soprattutto, hai finalmente imparato a parlare norvegese o devo continuare a tentare di capire ogni parola che esce dalla tua boccuccia?» Scherzò poi, posizionandosi accanto a lui al bancone ed attirando l’attenzione del barman di turno quella sera.
     
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    Nei giorni precedenti l'anniversario di fondazione di Besaid tutta la cittadina era in fermento. Gli abitanti avevano cominciato a rinnovare tutti i locali privati e tutti gli ambienti dedicati ad attività pubbliche proprio per festeggiare dovutamente il ritorno dei loro antenati, dei loro avi, dei gloriosi vichinghi nei tempi che furono, quando i guerrieri norreni a bordo dei loro drakkar conquistarono o depredarono chilometri di costa in terra straniera. Perciò come tutti gli altri edifici anche il Bolgen era in preda alle decorazioni da esporre prima del primo di Aprile per la ricorrenza di festa della storia del loro popolo. A Lucas non sembrava strano, neanche inusuale. In Inghilterra continuavano a celebrare un'istituzione antica quale era la Corona che era ancora in piedi, attualissima ed operativa, e la storia da celebrare era ancora la storia che vivevano. Per tutta la sua vita era stato spettatore e partecipe del suo baluardo, del quale riportava l'effige anche sul casato di famiglia. Non era così strano pensare per lui che la sua famiglia avesse radici tracciabili da secoli e secoli prima, e che lui fosse solo un piccolo ricamo, una fogliolina dell'albero genealogico gigantesco che rappresentava tutta la sua storia. Forse era per questo che non gli faceva paura pensare al tempo che scorreva, ma ne restava affascinato, e al fatto che la sua vita fosse limitata, e fosse un piccolo ingranaggio di quel meccanismo che aveva ancora più senso perché aveva un tempo che era delineato da un inizio e una fine, e soprattutto un percorso da malleare sapientemente. Ma erano pensieri troppo profondi per portarli avanti nella giusta maniera per quella sera.
    Raggiunse la zona sud della città con in mente il monito di non poter utilizzare la sua particolarità di telepatia con il suo amico Paul per avvisarlo di essere man mano sempre più vicino a fargli visita. Un bel peccato perché poteva essere pigro per i motivi più futili e non aveva voglia di perdere molto tempo a lasciare un messaggio al telefono quando riusciva a proiettare nelle menti degli altri, a seconda di quanto fossero lontani da lui, le proiezioni delle immagini che aveva di fronte e le parole che voleva comunicargli. Una volta che riusciva ad allacciare un legame poi riusciva anche parlare con una persona proprio come fosse al telefono. Era semplice poter raccontare tutto ciò che aveva in mente quando in effetti doveva solo riversare le parole che aveva nella sua testa nella testa altrui. E invece aveva appreso con molta tristezza che proprio Paul aveva il potere di esserne immune. Parlare con lui perciò era proprio come parlare come aveva fatto per tutta la sua vita a Londra, una relazione di persone comuni senza poteri sovrumani.
    Le sue amicizie a Besaid erano nate velocemente, così come gli era sempre successo durante tutta la sua esistenza, non faceva difficoltà a fare amicizia, ma era anche vero che non si sentisse per forza incline ad essere amico di chiunque. La frequentazione del Bolgen appena arrivato in città era stata la vera svolta per la sua vita sociale dopo aver cominciato a lavorare a Bergen ed essersi piazzato a casa di suo fratello Theo nella periferia della zona est di Besaid. Il fratello aveva già tessuto in quei tre anni lontano da casa una rete di relazioni più o meno durature, e lui non voleva essere da meno. Non voleva per forza sentirsi dipendente e condizionato agli amici di Theodore, alla vita del primogenito, e alle sue abitudini e stile di vita completamente diversi dai suoi. Lucas aveva bisogno di sentirsi libero e indipendente, e inebriato da legami di cui voleva circondarsi sentendosi legato solo finché le relazioni potessero condizionare e sottostare allo spirito di intraprendenza e novità. Niente che non fosse già consunto e toccato da qualsiasi cosa che gli sembrasse appassito.
    Aveva deciso di restare con Theo proprio finché quel potere non gli sembrasse insopportabile, per tessere lui qualche scherzo, e potersi nel giusto abituare al norvegese. Aveva anche bisogno finché la lingua non fosse stata propriamente sua, di poter parlare un pò in inglese con lo stesso fratello, e riprendere il legame che si era affievolito con lui data la distanza dei mesi passati.
    C'era voluto un pò, ma alla fine nonostante nessuno dei due gli avesse detto nulla, qualcosa dai suoi sguardi e dalle sue parole aveva poi carpito. Quando aveva scoperto che Lily - ovvero la neo Rebecca, attrice di serie e cinema europeo - si trovava proprio a Besaid aveva sentito qualcosa, un fremito, la voglia di rivederla dopo tutto quel tempo, e anche la paura di essere nuovamente allontanato da lei. Quando poi aveva anche appreso che aveva incontrato Theo un paio di mesi prima aveva capito che nessuno dei due era stato sincero con lui: era successo qualcosa. Non aveva mai saputo effettivamente cosa, aveva provato a carpire qualcosa da Theo ma lui era stato forte anche con la sua mente a non lasciare andare alcun segreto tra loro scoperto, neanche sottoforma di qualche immagine, di un ricordo visivo che Lucas con il suo potere poteva vedere se il fratello ci pensava nel momento in cui stabilivano un contatto. Purtroppo non poteva leggere il suo pensiero ma solo affidarsi a quello che Theo poteva mostrargli volutamente. Il ché era in effetti un bel peccato. E più ci pensava e più si scervellava che il suo futuro a Besaid non poteva basarsi su un legame esistente nel suo passato, e che andare avanti sarebbe stato perentorio quanto difficile da realizzarsi. Ci sarebbe stata una lunga strada di fronte a lui, e questa non poteva che essere popolata da nuove figure lontane da Theo, gli Howard, e i Lewis. Santa Cordelia miseria. Imprecava un pò usando il nome della sua ex cognata, brutta abitudine che non poteva rivelare a nessuno che avesse un cuore, visto che Cordelia non era più presente nel mondo dei vivi ed era argomento tabù per la famiglia, ma a lui faceva un pò bene sfogarsi pensando di avere da ridire, anche forse su di lei. Se le cose fossero state diverse... ma non lo erano. Ed era per questo che oramai era al Bolgen, tra tutti i luoghi di Besaid.
    Il Bolgen, come aveva capito e vissuto in quei due mesi a Besaid era una famiglia di quelle che si scelgono, un ingranaggio strano che era stato messo in moto dalla fervida fantasia di Paul Vesaas e che aveva permesso di arrivare all'apertura di un locale di successo, un discoclub che frequentavano i ragazzi della sua età appassionati dalla musica techno e da uno stile di vita discutibile. Era insomma il posto giusto per un eterno Peter Pan come lui. Entrò attraverso la grande porta dell'edificio in mattoni, esponendo il suo ID e dichiarando il suo nome all'ingresso. La conoscenza con Paul non faceva più sostare il ragazzo in lunghe code come se fosse uno qualsiasi, ma era oramai uno di loro.
    Attraversò il lungo corridoio illuminato da luci colorate al neon, per oltrepassare a grandi falcate le sale del guardaroba, i bagni, e giungendo infine alla prima grande sala, il cuore pulsante del club. Nello spazio aperto che cominciava a popolarsi delle frequentazioni del locale in vista della preparazione per la serata imminente si diresse direttamente verso il bancone del bar, per raggiungere il proprietario e suo amico Paul. Intercettò la sua figura, vestito di tutto punto per la serata in quanto proprietario, Paul svettava sul resto dei colleghi che si affacendavano in vista dell'arrivo del resto della clientela con la sua altezza e quella che Lucas bonariamente chiamava 'presenza scenica'. Dovunque si trovasse nel locale non faceva mai fatica ad individuarlo. «Ei tu, smettila di essere così affascinante o mi farai svenire metà dei clienti qui dentro!» Disse Paul, incoraggiando subito Lucas a rispondere a tono al complimento dell'uomo con un occhiolino e un sorriso divertito in sua direzione. Fece un piccolo inchino, con le mani sul petto come se si stesse riprendendo un pò e rinvenendo da un'emozione esagerata. «Tra tutti, vorrei fare quest'effetto su di te però. Parliamone.» Gli andò incontrò passandogli un braccio sulla sua spalla e appendendosi a lui in una stretta goliardica. Lo seguì al bar mentre ondeggiavano insieme sul peso di Lucas, che per fortuna tra i due era il più mingherlino, Paul aveva la sua stessa altezza ma le spalle larghe e il fisico più prestante. Non che lui fosse messo male in ogni caso. Però a pensarci seriamente Paul era un bell'uomo, il tipo di uomo per cui in effetti potevano svenire metà dei suoi clienti, proprio come aveva detto lui con le sue parole. «Come va?» Lo guardò, sedendosi al bancone del bar, e poggiando le mani sul marmo scuro del bancone. Aveva voglia di parlare con Paul da quando era partito per il suo ennesimo viaggio di lavoro, e aveva un mucchio di cose da elencargli. «Tu dovresti dirmi come va. Raccontami un pò. Come è andata? Viaggio, lavoro, figlio, Lys?» Rise. Non si ricordava molto bene i nomi delle persone che non facevano direttamente parte della sua vita, ma nell'enumerazione della sua frase il nome di Lys gli era uscito con molta semplicità. Guardò l'amico, cominciando a rispondere poi alla sua domanda. «Bene, bene. Lavoro ok. Sto cominciando a fare qualcosa da free lance a parte il lavoro a Bergen, così mi aiuta un pò a conoscere anche il territorio. » Si fermò, guardando Paul richiamare all'attenzione il barman del locale. «E, soprattutto, hai finalmente imparato a parlare norvegese o devo continuare a tentare di capire ogni parola che esce dalla tua boccuccia?» Ecco, una frase di quel tipo era il tipico rapporto canzonatorio che si era creato tra i due, semplice e lineare, come se si fossero conosciuti da sempre, senza alcun tipo di pudore o pensiero di invadenza l'uno per l'altro. Era così che sentiva dovessero essere le amicizie, quelle che contavano davvero. Veritiere e prive di qualsiasi filtro.
    «Piano piano. Cretino. Diciamo che sto cominciando a parlarlo meglio. » Mormorò, parlando in norvegese con il suo accento inglese, pur sapendo che a parte le frasi più semplici sarebbe arrivato il momento durante la serata in cui avrebbe cominciato a pronunciare parole e frasi nella sua madrelingua proprio perché ancora non padroneggiava la lingua di quel posto.
    «Cosa fate per il primo? La festa di Fondazione? » Cominciò a chiedere Lucas, intavolando la discussione mentre si guardava attorno per osservare i possibili cambiamenti temporanei che avrebbero mostrato nel locale.

    Edited by wanderer. - 23/10/2021, 15:42
     
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    Paul J. Vesaas
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    Quando aveva deciso di investire nel Bolgen, tempo addietro, Paul stesso non credeva che sarebbe riuscito a creare quel posto adesso tanto frequentato dai giovani di Besaid. Era un locale vuoto, decadente, andava rifatto l’impianto elettrico e per lui, che non aveva mai gestito un locale in vita sua, sembrava un’impresa più che difficile. La determinazione, però, e la voglia di avere qualcosa che fosse totalmente sua e non condivisa con il nome di suo padre, gli permise di superare gli ostacoli e l’inesperienza con una grande dose di pazienza e buona volontà, sino a creare il Bolgen per come lo si conosceva adesso. Era soddisfatto del risultato finale, sarebbe stato da ipocriti dire che era stato un gioco da ragazzi, tuttavia a costo di risultare ripetitivo, Paul ribadiva sempre che era stato un lavoro di squadra. Mentre attendeva Lucas si guardò intorno, in quel caos fatto di musica e luci al neon in cui lui stesso, a Bergen, era cresciuto. Non c’era una sera che non trascorresse in un posto come il Bolgen, diamine che gioventù aveva avuto! Paul a lungo aveva provato a scostarsi una volta per tutte da quel suo passato dissoluto, ma la verità è che non ci si può mai liberare totalmente di qualcosa che ha fatto parte di te per così tanto tempo quindi, alla fine, aveva imparato a conviverci, tentando non vergognarsene. Non era di certo la prima cosa che raccontava a qualcuno. Lucas, ad esempio, in poco più di due mesi era a conoscenza di tanti dettagli della vita di Paul, ma non della sua parentesi adolescenziale dissoluta che l’aveva quasi portato alla morte, dopo una overdose ed un ricovero che per miracolo gli ha salvato la vita. Non era qualcosa che si raccontava a cuor leggero ma, se mai ce ne fosse stata l’occasione, Paul non avrebbe esitato ad aggiornare il suo amico dopotutto, se c’era una cosa su cui si basava l’amicizia o l’amore, secondo lui, era proprio la sincerità.
    Vide Lucas arrivare e svettare tra il resto della gente, era alto e sicuramente attirava l’attenzione con quella sua bellezza fuori dal normale. Paul era abbastanza sicuro di sé dal non provare invidia nei confronti dell’amico e, soprattutto, da ammettere quanto fosse ben messo. Non che badasse solo all’aspetto esteriore ma, insomma, avete visto Lucas? Ridacchiò quando fece finta di svenire per i complimenti che gli aveva rivolto e Paul, a sua volta, rispose: «Sono un uomo impegnato, ma per te potrei fare un’eccezione. Il mio corteggiamento inizia con l’offrirti un drink!» Incredibile come riuscisse a sentirsi a proprio agio con quel ragazzo che conosceva da relativamente poco tempo. Due mesi che aveva fatto la sua conoscenza e già riuscivano a scherzare come se si conoscessero da una vita, a Paul questo bastava per comprendere che si trattasse di un’amicizia più unica che rara al pari di quella che era riuscito ad instaurare con Beat. Raggiunsero il bancone, schivando tutte le persone che si trovavano sul loro cammino, qualcuno fermò Paul per salutarlo e complimentarsi per la bella serata, lui ringraziava e sorrideva: i tanti doveri che venivano con l’essere proprietario di un locale, se tutto andava bene era merito tuo, se tutto andava male era colpa tua. Ordinarono immediatamente qualcosa da bere, per Paul era sempre la solita buona birra, mentre Lucas poteva ordinare quello che gli pareva, offriva la casa. . «Bene, bene. Lavoro ok. Sto cominciando a fare qualcosa da free lance a parte il lavoro a Bergen, così mi aiuta un pò a conoscere anche il territorio. » L’amico lo aggiornò su come stava procedendo la sua permanenza a Besaid, una città che per lui era totalmente nuova. «Dovrei chiedere se qualcuno ha bisogno del tuo lavoro, ho un paio di conoscenze a cui tu potresti tornare utile.» Si sarebbe fatto in quattro per gli amici, quelli veri che lo meritavano, e Lucas era senz’altro uno di quelli. Arrivarono i loro drink e Paul bevve un consistente sorso della sua birra prima di rispondere alla domanda che gli aveva fatto Lucas, riguardo ad Evan, Lys e il viaggio di ritorno più in generale. «Il viaggio è andato bene, normale come tutti gli altri. Evan questa volta ha fatto un po' i capricci perché non voleva che andassi via.» Il figlio di Paul aveva sette anni e, se fino a quel momento gli sembrava normale che il padre andasse e venisse da casa sua, adesso che era più grandicello iniziava a fare i capricci e a pretendere una presenza più costante di Paul, com’era anche normale. Lui, dal canto suo, tentava di essere il più presente possibile, lavoro permettendo. «Lys, invece, ha detto che mi avrebbe raggiunto qui, ma sicuramente sarà ancora occupata con il lavoro al giornale.» Concluse, poi, con un altro sorso di birra e guardandosi attorno, come se potesse vedere la sua ragazza spuntare da un momento all’altro tra la gente. «Quand’è che tu ti farai una ragazza? Non sei stanco di spezzare i cuori di tutte?» Tornò a puntare l’attenzione su Lucas, con un sorriso sornione. Paul scherzava, non si sarebbe mai sognato di giudicare la vita sentimentale del suo amico. Ognuno era libero di gestirla come meglio credeva, di questo era fermamente convinto. Tuttavia non riusciva a trattenersi dal fare il simpaticone, per questo chiese bonariamente a che punto fosse con il norvegese. In realtà l’accento straniero di Lucas gli piaceva, dannato ragazzo, gli donava qualsiasi cosa! «Piano piano. Cretino. Diciamo che sto cominciando a parlarlo meglio. » Scoppiò a ridere perché era quasi buffo il modo in cui si era impegnato a parlare norvegese: «Di questo passo parlerai la lingua del posto anche meglio di me!»
    Divenne pensieroso, poi, pensando a quello che avevano organizzato per il 31 marzo, niente di eclatante in realtà, siccome il pezzo forte dei festeggiamenti si sarebbe svolto sulla spiaggia. «Fae ha pensato bene di fare un piccolo chiosco sulla spiaggia, si terrà lì la festa principale. Tu hai dei progetti per quel giorno?» Il Bolgen avrebbe svolto la sua normale attività, magari inserendo qualche decorazione, ma rimaneva il fatto che quello sarebbe stato un posto secondario se comparato alla grande organizzazione che si stava programmando sulla spiaggia, tra carri adibiti a festa che convergevano sulla sabbia e falò di ogni tipo.
     
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    «Sono un uomo impegnato, ma per te potrei fare un’eccezione. Il mio corteggiamento inizia con l’offrirti un drink!» Detto fatto. Lucas poggiò il suo peso sullo sgabello del bar, cominciando a guardarsi intorno nell'ambiente circostante. C'erano tanti cambiamenti che sembravano constatare che alcune modifiche in vista della ricorrenza erano in atto, o lo sarebbero stati nelle successive ore. Era incuriosito con riserva: non sempre tutto ciò che catturava la sua attenzione diventava effettivamente di reale importanza per lui. Qualche volta si incuriosiva su argomenti che non pensavano potessero catturarlo, e doveva ricredersi tutte le volte in quei casi di non aver trovato ancora un ordine stabile che lo tenesse su, che lo guidasse nelle sue abitudini. Ordinò un Long Island, accettando, senza pensarci su due volte, l'invito di Paul. Intercettò la sua occhiata e gli rivolse una risata complice, inclinando la testa da un lato e poggiandola sul braccio ancorato al bancone. In confronto alla birra di Paul il Long Island gli avrebbe dato il picco alcolico richiesto e voluto senza spingersi con difficoltà oltre il secondo drink, e per quella sera andava bene così. Il giorno dopo non aveva impegni al mattino, poteva intrattenere Paul a lungo facendogli compagnia nella serata, se non per tutto l'arco della notte, per buona parte di essa. «Se te lo stai chiedendo, è necessario. Ti racconterò.» Commentò, le dita sulle labbra come se stesse facendo un giuramento tutto suo. Rimase ad ascoltarlo, aspettando che gli desse il giusto là per procedere nella loro conversazione, e poi intervenne alla sua risposta sul lavoro. Lo faceva sentire più protetto avere non soltanto Theo come riferimento su quel pianeta alieno, l'aiuto in ambito lavorativo di Paul sarebbe stata la soluzione ad eventuali problemi che sarebbero potuti nascere in seguito. «Fammi sapere. Più agganci mi arrivano per adesso e meglio procedo più avanti, se dovessi mai trovarmi in difficoltà.» Gli sorrise, la frase proiettata in un futuro che non conosceva ancora, nell'attesa che le loro bevande arrivassero e cominciassero a bere. Il sapore dei vari superalcolici mischiati assieme sembrò ricordargli i momenti in cui anche un sorso riusciva a stordigli i sensi e ad ingarbugliargli lo stomaco. Per fortuna il Bolgen di Paul non era un locale che serviva cattivi prodotti, e poi lo sapeva anche il suo barman che quando lo vedeva di fronte aveva due richieste, qualsiasi bevanda gli chiedesse, non rifilargli nulla di meno del Hendrick's gin, e solo Whisky scozzese.
    Si fermò ad aspettare Paul raccontare delle ultime settimane. Il viaggio, il figlio Evan, la relazione con Lys. Per un attimo, ma fu un momento velocissimo che lo prese e passò via, si disse che era molto strano pensare di essere lì con un quasi coetaneo che avesse così tanto tra le mani, nella sua vita, che lo portasse così lontano da quello che aveva lui in ballo. Solo tre anni di differenza e una vita di decisioni completamente opposte, anche se molte erano state frutto del caso o non volute. Eppure Paul e lui avevano così tanto in comune. Gli ricordava enormemente Theo se anche suo fratello fosse stato almeno per una parte della sua vita preso a guardare le distrazioni piuttosto che avere il cammino ben scelto e designato di fronte a lui. Paul invece aveva il suo buonumore e la sua stessa voglia di sentirsi vivo. Ma aveva delle responsabilità che aveva imbracciato, anche se non poteva dire quando avesse iniziato a farlo.
    Indossò un sorriso accennato, divertito, Lucas cominciò a mangiucchiare la cannuccia da un lato delle labbra. Era il turno della sua risposta. «Devo ancora conoscere entrambi, by the way. Evan e Lys.» Mormorò, dopo che Paul menzionò il fatto che Lys li avrebbe raggiunti quella sera. Chissà come era quella ragazza che aveva fatto tornare attorno Paul sulla sua persona. Com'è che poteva dirlo in norvegese? Doveva proprio chiederlo a Sam, per capire come mettere una dopo l'altra quelle parole in un concetto più ampio, proprio come l'espressione nella sua lingua. Lys aveva cambiato Paul facendogli ritrovare la fiducia in una relazione con una donna. Avrebbe dovuto trovare anche lui la sua Lys del suo futuro, qualsiasi forma, faccia, sembianze potesse avere. Che avesse già qualcuno nella sua vita che poteva farlo sentire allo stesso modo? Difficile da dire con la confusione che aveva in quel momento addosso. Aver rivisto Lily dopo tutto quel tempo non l'aveva solo scosso, l'aveva fatto sbriciolare in pezzettini scomposti e l'aveva fatto ricomporre in modo sbagliato, come se adesso avesse qualcosa al posto di altro, lo stomaco al posto del cuore e il cuore sotto ai piedi. Meglio non menzionare dove pensasse fosse il suo cervello.
    «Ahia. Sono io quello con il cuore spezzato.» Disse, portando la mano sul petto, di nuovo, e poi a riprendere il tumbler alto che conteneva il suo drink. Bevve qualche sorso di fila, cercando di calmare la sensazione di stranezza che sentiva quando guardava Paul e pensava a Lily tra le braccia degli altri. «Pensi che stia lasciando una scia di disperazione dietro di me?» Alzò una mano per indicare le sue spalle, dietro di lui, la fila immaginaria di persone con cui aveva avuto a che fare e con cui non era riuscito a tornare attorno per tornare in sé, o dal suo cuore sotto ai piedi. «Forse dovrei guardarmi meglio intorno stasera. Magari incontrerò qualcuno che risanerà le mie ferite.» Ci pensò un pò su, e si chiese quanto aveva raccontato del suo passato a Paul, che sapeva di Lily e di quanto fosse presente nella sua vita, ma non sapeva ancora il racconto di tutti i tasselli che avevano composto la sua storia. Avrebbero avuto più tempo e trovato occasione in un luogo più adatto, allora nel locale non poteva essere che un momento per festeggiare il ritorno di Paul. Adocchiò con una occhiata lanciata al di là del centro della pista del locale, il tavolo da biliardo libero a diversi metri da loro, e posò la mano sul braccio dell'amico per richiamarlo. «Andiamo subito a giocarci.» Rise, tirando letteralmente di peso Paul per farlo spostare, prima di alzarsi e ricoprire in pochi passi affrettati la distanza tra loro e il tavolo da gioco, in una nuvola di luci al neon che cominciavano ad illuminare senza sosta la pista da ballo, in attesa che dessero il via alle danze. Lucas non avrebbe trascinato Paul a ballare, su quello avrebbe mantenuto il suo faccino composto migliore e avrebbe atteso di cercare lo sguardo di una sconosciuta fintanto che Paul fosse raggiunto da Lys. Lui aveva messo la testa a posto perché aveva trovato il posto per la testa, e lui aveva sentito prima un pò di ammirazione e invidia in quello che lui non aveva. Ma la serenità di uno status quo doveva attendere per quella sera, non si sarebbe abbattuto. Si armò di stecca, e cercò in lungo e in largo il gessetto per gessare la punta dell'arma del gioco. Sorrise a Paul, passandogli quella per lui, nel frastuono leggermente più ovattato della musica che veniva mixata per l'inizio della serata dell'amico di entrambi, Beat, ma amico di lunga data di Paul. «Vedrai che parlerò meglio norvegese tanto da farti discorsi più seri. Ma se stasera cominciò a farfugliare inglese non dirmi nulla, ok?» Posò le mani sul tavolo, inclinandosi con entrambe le braccia su di esso prima di guardare la reazione di Paul all'idea di giocare in attesa di Lys. Amava spendere il suo tempo a farfugliare con quell'uomo in realtà, sapeva di poter dire mille stupidaggini e di poter infilare in una battuta un argomento serio ed avere la sua totale comprensione. Paul doveva aver inteso lo stesso del ragazzo, forse, oltre che per Lucas, anche lui lo vedeva come una sua versione poco più giovane e inesperta, ad un momento nella sua vita in cui non aveva alcun peso che sentire di doverla vivere.
    Si ricordò allora dopo quel pensiero di non aver ancora risposto a Paul sul tema che aveva aperto lui, e riprese la discussione da dove il ragazzo l'aveva lasciata. «No, io non ho ancora impegni a pensarci bene. » Sapeva che Theo avrebbe trafficato tra le sue conquiste, dato che, come Lucas immaginava, arrivare in terra straniera doveva aver riacceso desideri che non ricordava di avere, e scusa Cordelia per qualsiasi cosa poteva esser successa ma era pur sempre un dato di fatto. Adesso restava capire quanto Lily potesse riguardare quel pensiero o fosse solo una fantasia della sua mente audace, così tanto da dubitare di suo fratello, o piuttosto nel credere che fosse riuscito dove lui aveva fallito. Si raddrizzò, scrollando le spalle. I capelli portati semi lunghi si scossero con lui, e strane ombre di luce sembrarono fluttuare un pò nell'atmosfera tersa del locale. «E tu cosa farai? Sarai alla festa sulla spiaggia, da queste parti, o resti altrove? » Gli disse, per portare subito la discussione su quello che a lui premeva: Paul, festeggiare, andare avanti, in tante direzioni che non fossero quella che si voleva lasciare dietro di sé.

    Edited by wanderer. - 20/11/2022, 19:12
     
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    La barriera linguistica tra Paul e Lucas sembrava essere nulla. Nonostante l’amico parlasse più inglese che norvegese, non era difficile per Paul comprendere quello che diceva anche perché lui stesso conosceva l’inglese. Se c’era un unico lato positivo dell’essere ricco sfondato era che si poteva pagare profumatamente e in cambio arrivava a casa tua un insegnante privato che per un’ora e mezza ti spiegava una nuova lingua, esattamente come in passato era successo a Paul. Probabilmente lui stesso avrebbe fatto così con Evan, poiché voleva che suo figlio divenisse un uomo pieno di conoscenza e cultura, non solo un ragazzino viziato che credeva di essere potente solo perché in tasca aveva un mucchio di soldi. Questo era uno degli obiettivi di Paul: impegnarsi affinché Evan non divenisse un idiota come lui. Questo, sicuramente, era l’obiettivo di molti altri genitori sparsi nel globo terrestre, ma lui ci teneva in maniera particolare, soprattutto perché un po’ di intelligenza avrebbe evitato ad Evan di sfiorare la morte come era capitato a Paul. L’uomo viveva con il costante timore di essere come suo padre, preso troppo dal suo lavoro e poco dalla sua famiglia, per questo raggiungeva Evan non appena ne aveva la possibilità. Quello fu comunque un pensiero passeggero, era impossibile rattristarsi quando ci si trovava accanto a Lucas che a Paul aveva sempre dato l’impressione di essere spensierato e felice, una felicità che riusciva a rendere contagiosa. A scanso di equivoci: Paul non pensava che la vita di Lucas fosse tutta rose e fiori, sapeva che anche lui come ogni altro essere umano aveva sicuramente dei problemi, ma il suo modo di parlare, di agire, era talmente spensierato che non riuscì ad esimersi dal dirgli che avrebbe fatto il suo nome ad un paio di persone che conosceva, per un posto di lavoro. Sapeva che con quell’enorme sorriso da Lord inglese non gli avrebbe mai fatto fare brutta figura. Una volta appurato che si, Paul avrebbe fatto il nome di Lucas a qualche sua conoscenza, i due ragazzi iniziarono a parlare di come procedeva la vita di Paul. «Devo ancora conoscere entrambi, by the way. Evan e Lys.» Guardò l’amico come se si fosse appena ricordato di qualcosa. Lucas aveva ragione. Solitamente Lys non la presentava perché già la conoscevano più o meno tutti lì a Besaid, mentre con Evan era più difficile presentarlo perché stava a Bergen. Paul aveva deciso che il figlio non avrebbe messo piede a Besaid, non voleva che anche lui dovesse fare i conti con una qualche particolarità che, magari, sarebbe stata più invasiva di quella che aveva lui. Eppure Lucas aveva ragione. Se per Evan era più difficile, rimaneva il fatto che non aveva minimamente pensato di presentargli Lys e voleva assolutamente rimediare. «Hai ragione. Che ne dici se organizziamo una cena a casa mia? Ci sarà anche Lys e forse Beat. Sarà un modo per trascorrere altro tempo insieme.» Lucas ormai era diventato una persona importante per la sua vita, era ovvio che Paul volesse renderlo parte integrante della cricca delle persone a lui più vicine. Lys l’avrebbe quasi sicuramente incontrata quella sera stessa, riguardo a Beat, invece, al momento stava mixando la musica lì al Bolgen e non credeva che avrebbe avuto tempo per chiacchierare in quel momento con lui e Lucas. «Ahia. Sono io quello con il cuore spezzato.» Paul si fece serio. Eccolo, il Lucas che aveva anche pene d’amore, nonostante avesse un’indole spensierata. Difatti tentò di sminuire tutto facendo qualche battuta. Sapeva a grandi linee della donna che gli occupava la mente giorno e notte, per questo pensò che, dopo aver scherzato, ci stava poter parlare anche seriamente. A patto che Lucas ne avesse avuto voglia. «Guai in paradiso? Ci sono sviluppi che avresti voglia di raccontarmi?» È vero che le amicizie maschili sono diverse da quelle femminili. Tra i ragazzi non c’è quell’idea di confidare tutto all’amichetta del cuore e, anche se ci si confidasse, si tende sempre a non voler apparire troppo fragili o troppo coinvolti. La domanda di Paul, quindi, fu abbastanza generica, non perché fosse disinteressato, ma perché così si faceva nelle buone amicizie tra ragazzi. «Sono abbastanza più vecchio di te per dirti che le nostre ferite non guariscono se noi stessi non vogliamo che guariscano.» Più che un rimprovero, quello di Paul era un invito affinché Lucas guardasse dentro sé stesso e non facesse troppo affidamento a terze persone. Spesso la guarigione doveva partire dalla propria anima, com’era accaduto per Paul. Diede una pacca sulle spalle all’amico e bevve un altro sorso di birra, mentre Lucas gli diceva di andare a giocare a biliardo. Paul sbuffò divertito: «Ti piace vincere facile? Sono una frana con quella roba!» Eppure si lasciò trascinare fino al tavolo da biliardo ridacchiando. Era un tipo sportivo, Paul, non nel senso che amasse particolarmente l’esercizio fisico, ma nel senso che quando perdeva a qualche gioco perché era una schiappa non se la prendeva. L’amicizia tra lui e Lucas, quindi, non era messa in pericolo da un paio di palline colorate. Prese la stecca che gli porse l’amico e la preparò per iniziare a giocare, sapendo già che non avrebbe vinto, ma almeno era un modo per trascorrere il tempo in compagnia mentre attendeva l’arrivo di Lys. Ridacchiò alla battuta di Lucas sull’iniziare a farfugliare parole in inglese: «L’importante è che non inizi a farfugliare parole in qualche lingua antica. Lì inizierei a preoccuparmi…» Un modo per dire che qualsiasi farfugliamento fosse uscito dalla bocca di Lucas, con Paul era al sicuro. Fortuna per lui e per tutti, il ragazzo era abbastanza riservato da non aver alcun interesse nel raccontare gli affari degli altri in giro. Talvolta, però, per ovvi motivi, raccontava qualcosa a Lys, com’era anche giusto che fosse dal momento che lei era la persona con cui stava condividendo la parte più intima della sua vita. Mentre iniziavano a puntare le palline da biliardo con le rispettive stecche, il discorso si spostò su cosa avrebbero fatto durante i festeggiamenti per la festa della Fondazione di Besaid. Paul si strinse nelle spalle, aveva perso interesse per qualsiasi festa, ormai badava più con chi le trascorreva perché erano le persone a rendere divertente o meno un avvenimento. Qualche anno prima gli importava solo avere abbastanza alcool e abbastanza droga, pensando che solo con quelli potesse divertirsi. «Ti consiglio di fare una visita alla sfilata dei carri, alcuni sono veramente incredibili…e poi c’è sempre qualche sconosciuto o sconosciuta che ti tira su per ballare.» Riassunse con poche parole come si sarebbe svolta la festa. In pochi comprendevano la vera essenza del perché venisse organizzata, molti invece non vedevano l’ora di ubriacarsi. «Dannazione! Te l’ho detto che sono una schiappa, ma non mi arrendo!» Scherzò quando una pallina che aveva colpito non andò in buca e non colpì neanche le altre palline che potevano andare in buca. Paul e il biliardo erano due cose completamente diverse. «E tu cosa farai? Sarai alla festa sulla spiaggia, da queste parti, o resti altrove? » Si concentrò nuovamente su ciò che gli domandò l’amico. Si strinse nelle spalle, pensando che a lui toccava lavorare. «Sarò a Bergen per lavoro, non per Evan. Spero di essere qui in tempo per la festa. Saremo io e Lys, con qualche amico, ti manderò un messaggio così ci incontriamo se sarai da quelle parti!» Ecco, Lucas era una delle persone con cui Paul avrebbe volentieri affrontato una festa, era sicuro che con lui si sarebbe divertito. «Sarà un’ottima occasione per conoscere meglio le usanze di Besaid! E per conoscere qualche nuova ragazza…a patto che tu non ne conosca qualcuna già stasera.» Paul indicò un punto dietro la spalla di Lucas, dove un paio di ragazza li stavano osservando. A Paul non facevano alcun effetto, per ovvi motivi, quindi se Lucas voleva aveva campo libero. «Dicevi che dietro di te lasci solo una scia di disperazione eh?» Commentò sarcastico, ripetendo le parole che l’amico aveva detto poco prima.
     
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    Paul e Lucas erano oramai in grado di comunicare senza problemi, nonostante Lucas facesse ancora fatica con il norvegese visto che ad onor del vero non era passato molto tempo da quando aveva iniziato a parlarlo. E ammettiamolo, per un inglese come lui era veramente molto difficile pensare di dover imparare una lingua diversa perché potesse essergli utile nella sua vita, mettere da parte il suo accento faceva letteralmente a pugni con il suo istinto. Ma l'istinto anche per Lucas doveva essere messo da parte, lui che il più delle volte agiva e basta senza pretendere di contare le conseguenze, e mai come allora stava cominciando ad imparare a trattenersi dal muovere passi avventati, mai gli era capitato di cominciare ad usare la testa con così tanta frequenza da mettere un limite alle sue passioni, alle voglie, imporre l'inibizione agli obiettivi. Sam l'aveva aiutato moltissimo a fare progressi in quei due mesi di permanenza a Besaid, riuscivano a vedersi tutti i giorni per parlare, e chiacchieravano ore, nell'ultimo periodo, perché Lucas si ritrovava a pensare frasi e parole e a chiamarla senza chiedersi un perché. Ecco dove finivano i buoni propositi di Lucas e le intimazioni al non lasciarsi andare troppo in là - oltre che a farsi benedire - tra le braccia, o nella voce, di una donna, buona per giunta. Scosse la testa, si passò una mano fra i capelli scompigliandoseli, e continuò a bere il suo drink dalla cannuccia storcendo il naso a quel pensiero particolare che stava pensando. La presenza di Paul lo rasserenava, l'aveva pensato dal primo momento che l'aveva incontrato, con quella sua presenza simile ad un Theo, ma più scanzonato, e l'aria da giovane papà che gli donava più di un indumento portato indosso quando parlava di Evan e gli si illuminavano gli occhi, eppure le responsabilità che aveva lo riportavano sempre sulla giusta strada. Così quella serata non doveva avere allo stesso modo altri pensieri non voluti, era lì per parlare con il suo amico: per lui avrebbe aperto volentieri discorsi complessi, alla sua mente e al suo ego li avrebbe fatti tacere. Lo guardò, mentre cominciò a raccontare di sé, del suo viaggio, di quello che era successo a Bergen con suo figlio. Poi alla frase pronunciata sembrò ripensarci, Paul si rese conto che non aveva ancora incontrato in tutto quel tempo le persone che più teneva ad avere attorno a lui. «Sure thing Sussurrò, gli scappò, l'inglese tra le labbra. Poi si ricompose, alzò gli occhi al cielo e bevve una lunga sorsata del suo cocktail, rendendosi conto di aver annaspato aria e acqua, producendo il classico rumore di vuoto e stridore della cannuccia che afferra oramai il nulla, sbattendo le pareti di plastica tra i cubetti di ghiaccio solitari. «Certo. Mi farebbe molto piacere. Sikker. Cosa sarebbe, l'aggettivo o il sostantivo? È corretto?» Rise, portando il tumbler del cocktail che aveva finito sul bancone e avvicinandolo con delicatezza vicino al bordo oltre il suo lato, nella direzione del barman. «In questi casi contatterei Sam, però adesso devi tradurmi tu.» Lo guardò di nuovo, dopo aver risposto senza dar troppo peso alla sua frase, e alzò lo sguardo di sottecchi, con i suoi occhi azzurri in tralice, prima di aggiungere altro. Rise, con il suo sorriso a metà, un angolo delle labbra tirato su e l'altro perso a metà sul resto. « Sono ben felice di organizzare la cena con i tuoi cari, maestro. » Mormorò, volendo rimediare in qualche modo alla frase che aveva pronunciato frettolosamente su Sam, non perché Paul non sapesse cosa stesse avvenendo tra lui e il resto del mondo - Paul sapeva già perfettamente quali e quante fossero le persone che Lucas frequentava a Besaid. Mancava solo sapere quanta parte del suo cuore avesse donato a Lily tanti anni prima, e quello non lo sapeva neanche lui come quantificare con un numero che fosse veritiero, che potesse almeno in parte mettere un pò di pace a se stesso su quello che pensava della ragazza. « In paradiso... ci sono un sacco di pensieri. Vorrei lasciar guarire questa ferita, come dici tu. » Continuò, legandosi alle parole che gli aveva confidato l'amico, utilizzando il suo vocabolario proprio per cercare di spiegarsi. Lucas tamburellò di nuovo la mano che aveva lasciato andare il cocktail sul bancone, decidendo poi di alzarla e compiere un gesto eloquente al barman. Un altro. Era solo il secondo, nessun problema sulla resistenza a stomaco vuoto. « Ma devo capire da dove cominciare. Ammetto. » Disse. In realtà non era il suo forte essere criptico nei pensieri, e non lo fu affatto. Disse come lo aveva pensato. Poteva cominciare da qualche parte a pensare di dimenticare Lily, proprio ora che l'aveva incontrata di nuovo? Oscillò la testa, inclinando il capo per guardare Paul e pensare di ricominciare a raccontare di Sam, di Elise, di tutti i traffici strani che stava incontrando al Bolgen. Da qualche parte stava cominciando, non a dimenticare o a risanare ferite però, stava cominciando a fare casini, in paradiso o dove avesse pensato si trovasse il caro Paul non lo sapeva.
    Aspettò di avere il nuovo bicchiere del cocktail tra le mani prima di fare spallucce e accantonare di nuovo, da bravo procrastinatore, i suoi pensieri sulle ragazze. Adesso era il momento della partita a biliardo con Paul, e guai a chi lo avrebbe distratto dal suo nuovo imminente obiettivo. Trascinò il ragazzo in postazione, si posizionò a sua volta con la stecca, lasciò il nuovo tumbler pieno del Long Island numero due sul bordo del tavolo, e posizionato il triangolo al centro fece cenno all'amico di spaccare le palline disposte con cura all'interno. Il rumore dello scontro si udì appena nel ritmo della musica che saliva nel locale, facendo da piacevole colonna sonora al frastuono nella sua testa, e alla conversazione con Paul. «Tranquillo, ne so solo due. Non sono mai riuscito ad imparare il francese, o altro.» Risero, mentre Lucas pensava e ripensava a quanti insegnanti gli avessero affiancato e a quanto svogliatamente avesse scelto di rifiutare qualsiasi supporto di qualsiasi madrelingua serio di ennesime lingue che potessero proporgli. Francese o altro che fosse, era Marian quella tra i due gemelli che era portata per le conversazioni in altri idiomi, un pò come tutte le donne insomma, molto più brava di lui o degli uomini per pura ragion statistica a parlare molte lingue fluentemente.
    L'argomento tornò alla festa di fondazione, e alle attività che avrebbero organizzato lui e lo staff del Bolgen. «Ok. Sfilate, carri, sconosciute. Mi hai convinto.» Schioccò la lingua, si riservò una espressione compiaciuta, e continuò a giocare con Paul inseguendo il numero di bilia più basso per compiere il tiro da palla in buca correttamente, senza rifilare l'ordine sbagliato e compiere invece un fallo. Paul invece sbagliò, e manco un paio di incroci vantaggiosi per compiere consecutivamente punti multipli e guadagnare diritto di tiro successivo. Gongolò, poggiando nuovamente la stecca per una pausa plateale e bere un sorso del suo cocktail. Guardò Paul di sottecchi nel rendersi conto che non aveva più la bottiglia di birra tra le mani. «Oh andiamo.» Lo incitò, senza però insistere oltre - Lucas non era un gran bevitore a titolo gratuito, aveva il giusto autocontrollo da sapere quando fermarsi quando era troppo, e quando volesse completamente dimenticare se fosse giorno o notte in altre occasioni. Non era una serata che entrambi avrebbero dedicato a dannarsi fegato e reputazione. «Stai migliorando comunque. Merito mio ovviamente.» Aggiunse, a proposito della sua battuta sul gioco e sul fatto che avesse compiuto fallo. In realtà era anche vero, Paul stava facendo progressi con il gioco proprio perché costretto a giocare da Lucas, non aveva mai giocato così tanto da doversi sentire in colpa per i suoi punteggi - Lucas suo contrario aveva sempre avuto un biliardo in tutte le case dove aveva vissuto o che la sua famiglia possedesse, se fosse stato negato avrebbe potuto rinunciare a tutto ed evitare di insistere dedicando il suo tempo ad altro.
    Annuì, quando Paul lo invitò a passare la serata della fondazione con lui. Si sarebbero divertiti, e avrebbe avuto modo di passare tempo con loro come ragazzi della loro età, senza per forza costringersi a formalismi non necessari. «Mi piace, ci sto.» Accettò, e fu sul punto di parlargli ancora del senso dello scarso orientamento che per ovvi motivi non aveva ancora acquisito con fermezza per ambientarsi in città quando Paul gli indicò un punto dietro la sua spalla, con un paio di ragazze dietro di loro che indicate non avevano potuto fare a meno di salutarli. «Puoi ancora parlare o sei incatenato dal rivolgere la parola ad anima viva?» Lasciò la stecca da biliardo sul tavolo, e si poggiò sul bordo, inclinandosi con il busto in direzione di Paul per capire cosa avesse intenzione di fare. Beh, non avrebbe lasciato solo a se stesso l'amico se gli avesse detto che non avrebbe parlato con un paio di belle ragazze nel suo locale per rispetto a Lys. Non era forse la loro serata quella?

    Edited by wanderer. - 20/11/2022, 19:12
     
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