Good old times are back

Paul x Nora | 04-04-2021|sera

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    Paul J. Vesaas
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    La telefonata che gli aveva fatto Lys lo aveva allarmato ed era sicuro di non averla mai sentita così preoccupata, la sua voce tremava e Paul si sentì in colpa per non essere riuscito ad andare alla festa della fondazione di Besaid, oltre a non aver potuto guardare l’eclissi totale con lei accanto. Non avrebbe mai immaginato che qualcosa del genere potesse succedere…cos’era successo, poi? Lys era stata molto generica per telefono, non aveva spiegato bene il motivo per cui Beat fosse finito in ospedale né come ci fosse finito, semplicemente gli aveva detto che era in coma. Era tornato da Bergen quella mattina stessa appena aveva chiuso la telefonata con Lys, aveva salutato Evan e si era immediatamente messo in viaggio per raggiungere il suo amico. Si trattava di una di quelle notizie che uno non si aspetta. Insomma, Paul ha sempre visto sé stesso e i suoi amici come persone invincibili a cui non potrebbe mai succedere nulla e nonostante sapesse che Beat nella sua vita ha avuto i suoi momenti drammatici, lo ha sempre visto rimboccarsi le maniche e andare avanti come meglio poteva. Beat era invincibile e avrebbe superato anche questa, era ciò che si ripeteva Paul da quando aveva ricevuto la telefonata di Lys, quando era andato in ospedale a vedere l’amico inerme su un lettino -sembrava placidamente addormentato-, e se lo ripeteva anche adesso, mentre stava seduto in un angolo del Bolgen, da solo.
    Il club si rivelava ancora una volta la sua casa. Paul non voleva rimanere per troppo tempo nella sua vera casa, quella che ormai condivideva con Beat, perché gli sembrava vuota senza il disordine che creava l’amico o senza le battute deficenti che faceva dal nulla nel silenzio casalingo, quindi si era rifugiato in quell’angolo del suo locale, che era pieno di persone ma che, al contempo, a Paul sembrava più riservato di qualsiasi altro posto a Besaid. Quasi si sentì un idiota nel rimanere lì, da solo, mentre tutti gli altri attorno a lui si divertivano, parlavano e ascoltavano musica. Lui, in qualità di proprietario del posto, avrebbe dovuto fare qualche giro, parlare a sua volta con i clienti, e invece rimaneva lì seminascosto, con in mano un bicchiere di birra ormai quasi vuoto. Gli amici-colleghi, da Fae ad Anders, avevano capito che in quei giorni era meglio lasciarlo stare senza fargli troppe domande, Paul non aveva voglia di parlare e né di spiegare il motivo per cui avesse perennemente quell’espressione preoccupata dipinta sul viso. Era pensieroso, Paul, soprattutto perché intuiva che in quella dannata festa era successo qualcosa, aveva visto Lys interrogata dalla polizia, qualcuno parlava di un gruppo di ragazzi ritrovati in spiaggia sporchi di sangue, insomma, il suo cervello tentava di mettere insieme i punti, ma senza successo. Quella sera, al Bolgen, si stava esibendo un Dj di cui non conosceva il nome, Fae sicuro sapeva chi fosse, ormai era lei che si occupava di quel genere di cose, per fortuna, probabilmente se non aveva persone tanto efficienti attorno a lui, Paul a quest’ora sarebbe stato costretto a chiudere il locale. Probabilmente sarebbe già andato in fallimento da un pezzo, ma il punto non era questo: il punto era che persino una delle dj che si esibiva spesso da loro, Eira, era finita in coma. Anche qui a Paul mancavano una serie di tasselli che potessero aiutarlo a fare chiarezza sull’accaduto, non avendo idea se i due eventi fossero collegati o se fossero solo uno scherzo del destino di poco gusto.
    Da un momento all’altro aspettava anche l’arrivo di Lucas, l’unica compagnia che tollerava in quel momento, ma non era certo che sarebbe venuto, dopotutto anche lui aveva una vita a cui badare tentando di costruire qualcosa di stabile lì a Besaid dopo essersi trasferito da Londra. Bevve l’ultimo sorso dal boccale di birra, svuotandolo completamente, Paul ne guardò il fondo, su cui era rimasta solo qualche gocciolina ambrata, e decise che aveva bisogno di altra birra, come se questa potesse colmare il totale stato di spaesamento in cui era calato da quando Lys gli aveva fatto quella maledetta telefonata. «Paul, Beat è in coma.» Lys gli aveva detto quelle esatte parole non appena aveva risposto, e Paul si era anche messo a ridere, pensando che stesse scherzando, tanto gli sembrava assurdo che potesse accadere una cosa del genere. Finalmente, poi, il tono di voce della sua ragazza lo convinse che nulla di quello che aveva appena detto era uno scherzo.
    Spostò il peso del suo corpo su entrambe le piante dei piedi, fino a quel momento era rimasto poggiato al muro ma adesso era necessario rimettersi in moto, se voleva un’altra birra. Sorrise come meglio poteva a tutti coloro che lo salutavano, mentre attraversava la sala e raggiungeva il bancone. Quando il barista gli mise sotto il naso la birra, Paul si guardò intorno mentre fece un sorso, prima di tornare nel suo angolino ma, tra la fila di persone al bancone, proprio come lui, ne vide una che conosceva in maniera particolare. Se in quei ultimi due giorni tendeva ad evitare chiunque, non appena vide Nora fu quasi naturale avvicinarsi a lei, curioso di sapere che fine avesse fatto. Erano stati insieme molto tempo fa, questo lo ricordava, come ricordava il carattere particolare di lei che però, stranamente, si coordinava bene con il suo. «Lei non paga, offre la casa.» Attira l’attenzione della ragazza, mettendosi accanto a lei e facendo intere al barista che avrebbe pagato lui per qualsiasi cosa avesse ordinato. Un’entrata in scena tipica di Paul, sempre sicuro di sé. «Nora!» Esclamò poi con un largo sorriso, forse il primo così grande che aveva fatto dopo aver appreso la notizia di Beat. «Sono Paul, ricordi?» Indicò se stesso come se si trattasse di un incontro avvenuto dopo secoli e secoli di conoscenza. Ciò che non ricordava del suo rapporto con Nora era il motivo per cui avevano rotto. Probabilmente quello era un effetto collaterale dei suoi continui viaggi tra Bergen e Besaid, qualche ricordo doveva pur sempre andare perso. Infine si sedette accanto alla ragazza, il sorriso un po' meno grande ma pur sempre presente sul suo volto: «Sembra passata una vita dall’ultima volta che ti ho visto, come stai?» E giù un altro sorso di birra.
     
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    Bella stava bene. Era quello il pensiero su cui si era soffermata negli ultimi giorni per evitare di impazzire. Sapere che anche lei aveva vissuto un’esperienza molto simile a quelle che lei aveva dovuto sopportare all’interno della Cupola e dell’Arena non l’aveva fatta sentire per niente bene. Quando si era presentata alla sua porta, di primo mattino, senza alcun preavviso, ancora in parziale stato confusionale o forse di shock, Nora non aveva potuto fare altro che spostarsi appena a lato della porta, per lasciare entrare e poi abbracciarla. I gesti d’affetti erano molto rari da parte sua quando la sua mente era perfettamente lucida, ma in quel momento l’istinto le aveva suggerito che non c’era molto altro da fare, se non farle comprendere che lei era lì e che ci sarebbe stata sempre, per lei. Non era brava nel dimostrare i suoi sentimenti alle persone, eppure quando vedeva quei pochi affetti che aveva stare male era come se qualcosa scattasse all’interno della sua mente, un istinto primordiale che l’avrebbe quasi costretta ad andare avanti fino alla fine dei suoi giorni, pur di trovare una soluzione, qualcosa che li facesse sorridere di nuovo. Aveva sentito una rabbia disarmante risvegliarsi dentro di lei quando Bella le aveva raccontato che cosa le era successo, di come in qualche modo qualcuno avesse cercato di ucciderla, riuscendoci, anche se ora lei era lì, in piedi, nella stessa stanza dove si trovava lei. Troppe cose assurde accadevano in quella città ormai, più di quante sarebbe stato lecito credere e lei non poteva sopportare l’idea che non ci fosse nulla da fare, che nessuno avesse ancora trovato i colpevoli. Le aveva detto anche che alcune persone non erano state fortunate come lei, come Beat. Lui non si era svegliato, non ancora. Il pensiero l’aveva fatta rabbrividire e l’aveva lasciata senza parole. Era un caro amico Beat, una di quelle persone a che a Nora piacevano davvero, anche se non si frequentavano molto spesso, ma questo più per colpa sua che non del ragazzo. Si isolava di frequente, sempre presa da pensieri troppo grandi, da problemi troppo complessi per poter essere spiegati alle altre persone. Eppure ora che non sapeva se si sarebbe svegliato tutto le sembrava assolutamente senza senso.
    Non era andata a trovarlo in ospedale. Quelli non erano luoghi adatti a lei, lo aveva sempre detto a tutti. Neppure quando era lei ad avere bisogno di aiuto se ne stava seduta buona e calma su quei maledetti lettini, figuriamoci se ci sarebbe riuscita per stare a guardare qualcuno che, inerme, non poteva neppure restituirle uno sguardo. Ed era proprio pensando a lui che si era spinta verso il Bolgen, il locale dove lo aveva incontrato più di una volta solo per caso. Lui e Paul, il proprietario, erano grandi amici. Lei e Paul invece non lo erano più da un po’ di tempo. Si erano frequentati per qualche mese, senza che nessuno dei due avesse mai pensato che da quello potesse nascere qualcosa di serio. O almeno, lei non ci aveva creduto un solo istante. Gli era sembrato un tipo tranquillo, piacevole, almeno fino a che non aveva cercato di convincerla a cambiare, a smetterla con tutte quelle sostanze che la aiutavano a sentirsi viva. Era stato allora che avevano litigato e che lei se era andata sbattendo la porta, mettendo in chiaro che non si sarebbero più rivisti, non in quel modo almeno. La vita era la sua e voleva essere libera di distruggerla come meglio credeva, senza che qualcuno si mettesse in testa di poter decidere per lei. Sapeva che, per poter mantenere delle amicizie, avrebbe dovuto cercare di essere meno dura, più aperta ai consigli, ma in tutti quegli anni aveva davvero pochi avanti nel campo delle relazioni sociali.
    Una volta varcata la soglia del Bolgen si guardò attorno, alla ricerca di Beat, serrando appena le labbra nel rendersi conto che non avrebbe mai potuto trovarlo. Sollevò un braccio in alto per rivolgere un veloce cenno di saluto ad Anders e poi proseguì verso il bancone. Aveva bisogno di qualcosa da bere per poter spegnere tutti quei fastidiosi pensieri. Si accomodò su uno sgabello, senza badare troppo a chi aveva vicino o al fatto che non indossasse abiti particolarmente eleganti. Non era lì per attirare l’attenzione di qualcuno o andarsene in compagnia. Era solo per caso, a essere del tutto sincera. -Una birra. - chiese, sporgendosi appena in avanti con il busto affinchè il ragazzo dall’altro lato del bancone potesse sentirla meglio. La musica alta della sala sovrastava le voci, rendendo più semplice evitare qualcuno se lo si voleva. Accennò l’ombra di un sorriso quando una birra venne posata di fronte a lei, ritrovandosi però a corrucciare la fronte e voltarsi con aria confusa, quando Paul le offrì la birra, sedendosi accanto a lei con un largo sorriso, come se fossero stati due amici per la pelle che non si vedevano da qualche tempo. Si voltò nella sua direzione, osservandolo con aria circospetta, come se avesse appena visto un fantasma. Inarcò il sopracciglio alla sua successiva domanda, quasi indispettita al pensiero che lui potesse credere che a lei sfuggissero delle cose, che potesse dimenticare. Aveva per caso capito che la sua particolarità le stava dando qualche problema a livello cerebrale? Aveva notato qualcosa che non le aveva mai detto? -Per quale motivo non dovrei ricordare? - domandò quindi, per niente preoccupata al pensiero di poter risultare troppo schietta, troppo diretta, forse persino antipatica. Afferrò la sua birra, senza distogliere lo sguardo da lui, mandandone giù un primo sorso. -Sì, sai.. circa due anni? Forse di più? Non ho tenuto il conto onestamente. Ma dalla volta che abbiamo litigato. - aggiunse, come se fosse stato davvero necessario chiarire per quale motivo avevano smesso di parlarsi e questo non fosse piuttosto solo un modo gentile per attaccare bottone. Solo dopo aver finito quel breve sproloquio quel pensiero le sfiorò la mente, facendole assumente un’aria più pensierosa, quasi turbata. -Ma suppongo che non volesse essere questo l’argomento di conversazione, non è così? - disse quindi, esprimendo a voce alta quel pensiero che era più per se stessa che per lui. -Sto.. bene comunque, più o meno come al solito direi. - mormorò, quasi senza prendere fiato dalla frase precedente, sperando forse di non lasciargli così il tempo di tirarsi indietro e annullare quella conversazione. Lo aveva visto più volte, di sfuggita, senza mai avere l’istinto di parlargli, ma in quel momento le cose le apparivano un po’ diverse. Non era più arrabbiata, capiva che lui doveva averlo detto per il suo bene, anche se lei non aveva voluto accettarlo. -Tu come stai, invece? - chiese, e il tono serio con cui gli porse quella domanda rese chiaro che fosse sincera nel chiederlo, che volesse sapere davvero se stava bene. -Ho saputo di Beat… - disse, facendo poi calare un silenzio grave per qualche istante, prima di proseguire. -Sai come sta? C’eri anche tu a quella stupida festa? - domandò ancora, nella speranza di avere qualche informazione in più.
     
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    Paul stava attraversando un particolare momento della sua vita, il che è tutto dire perché nel corso della sua vita di momenti particolari ne ha già affrontati parecchi. La differenza tra quello di adesso e tutti gli altri del passato era che, in questo caso, ad esserne direttamente coinvolto non era lui ma una persona a lui particolarmente cara. Non ha mai avute troppe difficoltà nell’esprimere i suoi sentimenti, quando questi erano forti e sinceri, quindi in egual modo non ha mai nascosto il bene viscerale che provava per Beat. Chiunque conosce Paul sa per certo quanto adesso stia soffrendo per il suo amico in ospedale. Non era raro vedere lui e Beat insieme al Bolgen, intenti a parlottare -la maggior parte delle volte si scambiavano insulti bonari da buoni amici quali erano- raramente bevevano insieme, ma solo perché Paul aveva detto addio da tempo a quel genere di vita in cui l’unico dio da seguire era il divertimento. Un cambiamento, però, che non influenza affatto il rapporto di amicizia con Beat. Quello che, invece, ha messo il bastone tra le ruote della loro amicizia, era quella maledetta festa, quella a cui Paul sarebbe dovuto andare ma alla fine, a causa del lavoro, non era andato, convinto del fatto che mai niente di grave sarebbe successa senza di lui, al massimo si sarebbero divertiti un po' di meno! Mai avrebbe immaginato quell’epilogo su cui la sua stessa Lys ancora non era riuscita a fare chiarezza. Paul non voleva insistere con le domande, prima di tutto perché lui stesso non ne aveva voglia, e secondo perché poteva ancora leggere negli occhi della ragazza la sofferenza che l’aveva segnata durante quei festeggiamenti. Spesso, appena si svegliava alla mattina, aveva la sensazione che tutto andasse bene, che tutto fosse come al solito, ma il sollievo durava solo pochi secondi prima di riprendere coscienza e ricordarsi che il suo migliore amico era appeso ad un filo che ondeggiava tra la vita e la morte. Chissà cosa cazzo stesse immaginando la mente di Beat mentre era in coma. Vedeva qualcosa? Stava avendo un’esperienza ultra terrena? O forse non stava vedendo nulla e navigava solo in un mare di nulla ed oscurità? Bevve l’ultimo sorso di birra, come a scacciare via quell’ultimo pensiero: era odioso sapere che Beat potesse essere avvolto solo dall’oscurità, quell’idea lo faceva tremare di paura. Il gusto alcolico della birra lo aiutò a mettere da parte quel pensiero e si trascinò fino al bancone per ordinare ancora di quel liquido ambrato che gli impediva di cadere nella tristezza totale per l’amico. Fu lì che riconobbe Nora.
    Nora, con cui aveva avuto un flirt. Nora dal carattere deciso e senza filtri. Nora, con cui poi tutto era finito e, a riguardo, Paul aveva ricordi un po' confusi: colpa dei suoi continui viaggi da Bergen a Besaid e viceversa, che nonostante gli impedissero di perdere in totale tutti i suoi ricordi, ogni tanto li rendeva un po' confusi. In qualsiasi caso, niente nel suo stato d’animo gli impedì di attirare l’attenzione della ragazza e di rivolgersi a lei come se fossero vecchi amici. -Sì, sai.. circa due anni? Forse di più? Non ho tenuto il conto onestamente. Ma dalla volta che abbiamo litigato. - Nora lo guardò quasi come se fosse un alieno, con quel suo sguardo diretto e addirittura sfacciato, che rifiutava ogni filtro del buon vivere sociale. Paul sorrise, pensando che era pur sempre la solita Nora e, per qualche motivo, gli era piaciuta così tanto dallo stare con lei per un breve periodo della sua giovinezza. Una coppia che mai nessuno si sarebbe immaginata, persino gli amici di Paul erano scettici sullo strano feeling che aveva con la ragazza e che mai nessuno di loro aveva avuto. «No, in realtà volevo conversare di quanto fosse buona la birra.» Scherzò con quella che fu la sua prima battuta dopo tanto tempo, lo si poteva capire dal fatto che non facesse ridere nemmeno un po'. Prese la bottiglia di birra che gli porse il barman, che ne porse una uguale anche a Nora e, a quel punto, Paul alzò il contenitore di vetro come a voler fare un brindisi. «Agli incontri inaspettati.» Disse, un po' a voce alta per farsi sentire oltre la musica alta, facendo cozzare la sua bottiglia con quella di Nora. Si poggiò, poi, con la schiena sul bancone guardando la ragazza che rispondeva alla sua domanda, un po' di rito e un po' curiosa, su come stesse. -Tu come stai, invece? - E a quella domanda Paul non sapeva come rispondere. Voleva rendere giustizia al tono sincero con cui Nora gliel’aveva chiesto anche se per un secondo, per un solo brevissimo secondo, aveva pensato di rispondere con il rituale <i>bene, anche se non stava affatto bene. Si sentiva l’anima accartocciata, sotto la pelle, stanca e quasi rassegnata al susseguirsi di eventi che, comunque, erano rimasti sospesi da quando Beat era in ospedale. -Ho saputo di Beat… - Fu Nora a nominare il suo amico prima ancora che Paul rispondesse, come se gli avesse letto nel pensiero o avesse intuito qualcosa da quei secondi di silenzio che stava impiegando prima di rispondere alla sua domanda. «Non sto alla grande, proprio perché sono preoccupato per lui.» Disse infine, prendendo un sorso dalla bottiglia e poi guardando Nora. C’era da dire che la ragazza era stata un po' sfortunata quella sera: aveva incontrato Paul, dopo tanto tempo, che non era decisamente nella sua condizione migliore e, per giunta, gli poneva una domanda che mai nessuno in quei giorni gli aveva posto. Era stato tanto preso dal sapere come stavano gli altri che Paul aveva trascurato il suo stato d’animo. Fino a quella sera. «Dovevo andarci, ma alla fine ho avuto un contrattempo…e forse è stato un bene. Su Beat non si hanno novità.» Rispose a Nora, spiegandole come aveva trascorso lui quella dannata festa: impegnato con il lavoro. Non poteva sapere se anche lui sarebbe incappato nello stesso destino di Beat ed Eira, non sapeva se la sua presenza avesse potuto evitare la tragedia. Non sapeva un bel niente. «Tu invece ci sei andata? Sai qualcosa su come si sono svolte le cose?» I giornali non avevano dettagli precisi, così come la polizia che stava cercando di ricostruire i fatti. Paul non era un poliziotto e né un giornalista, per quanto fosse abbastanza ricco dal pagare per le informazioni che cercava non voleva forzare la mano su una situazione così delicata. E poi quel genere di ragazzo lo aveva lasciato già da un pezzo, apparteneva al suo lontano passato. Talvolta pensava che quel Paul, quello irresponsabile che non faceva altro che bere e drogarsi, sarebbe andato sicuramente a quella festa, fregandosi del lavoro, e magari avrebbe fatto una fine peggiore di Beat. Almeno l’amico, attaccato alle macchine, aveva ancora una possibilità di tornare in vita, come l’aveva avuta lui quando era finito in ospedale per un’overdose. Quell’esperienza, per Paul, è ancora oggi una chiave di volta che ha aperto la sua rinascita. «E perché avremmo litigato io e te? Sentiamo.» Domandò a Nora, poi, curioso, riferendosi a ciò che era stato detto all’inizio della loro conversazione. Probabilmente non era una cosa totalmente piacevole, ma era convinto che era passato abbastanza tempo e che erano cresciuti abbastanza dal poterne parlare senza alcun problema.
     
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    Ultimamente non tirava una buona aria a Besaid. Cose incredibili accadevano, o meglio, ancora più incredibili del solito, perché nulla di normale poteva accadere in una cittadina dove la gente aveva strani poteri. Qualcuno, tuttavia, sembrava divertirsi a rendere le vite degli altri un totale inferno e il fatto di non avere idea di chi ci fosse dietro tutta quella storia la faceva imbestialire. Nei primi tempi, quando era sopravvissuta a quella maledetta cupola, aveva provato a cercare ogni informazione, ogni traccia di notizia su quanto le era accaduto. Si era rivelata una pista inutile, nessuna strada le aveva fatto scoprire davvero qualcosa. Poi, era stata la volta dell’Arena, che l’aveva vista uscirne in condizioni ancora peggiori e dopo quella terribile esperienza la rabbia era stata ancora maggiore e l’aveva allontanata da alcune delle persone a cui aveva imparato a volere bene. Anche in quell’occasione non c’erano stati elementi tangibili che potessero far comprendere chi si trovasse dietro a quegli attacchi. Aveva vagato in lungo e in largo per la rete, aveva persino osservato ogni fotogramma che era riuscita a reperire dalle telecamere di sicurezza della zona in cui erano avvenuti i fatti, ma niente. Chiunque fosse stato era terribilmente bravo a coprire le sue tracce. Aveva quindi per un po’ smesso di cercare, anche perché anche quelle azioni si erano placate, per qualche motivo. Poi quella maledetta festa sulla spiaggia, Bella al tracollo e Beat in ospedale. Non avrebbe saputo dire come si sentiva a riguardo. Lei al dolore e alle delusioni era abituata, tutta la sua vita era stata costellata da insuccessi, crisi e medicine, ma non era lo stesso quando quelle cose le vedeva riflesse negli occhi di coloro a cui voleva bene. Era una cosa che non aveva mai imparato a gestire.
    Alla ricerca dello spettro di Beat si mosse dentro al Bolgen, accomodandosi vicino al bancone per ordinare la prima birra della sua giornata. Aveva ridotto gli alcolici e le sostanze stupefacenti negli ultimi tempi, ma non era stata una cosa volontaria. Era accaduto e basta, troppo presa da altri pensieri per sentirne la mancanza, ma quando qualcosa mutava non poteva fare a meno di cercarle di nuovo. Ritrovarsi a parlare con Paul fu una cosa strana, una delle tante che non si era aspettata che accadessero. Sembrava tranquillo, sebbene sul suo volto ci fosse uno strano cipiglio, che in rare occasioni gli aveva visto. Immaginava quale fosse il motivo e forse si sarebbe dovuta limitare a qualche breve parola di conforto, ma il tatto non era tra le sue qualità migliori. Anzi, si poteva dire che ne possedesse davvero una percentuale molto bassa. Scosse appena la testa, accennando l’ombra di un vago sorriso, quando lui cercò di sdrammatizzare con un commento sulla birra. Dei due Paul era sempre stato quello più simpatico, quello che non si lasciava abbattere dalle situazioni. Fece tintinnare la sua bottiglia di birra contro quella dell’altro, acconsentendo a quel bizzarro brindisi che di allegro non aveva neppure l’ombra. -Agli incontri inaspettati. - gli fece da eco, evitando di puntualizzare, per quella volta, che trovare il proprietario di un locale nel suo locale non era poi una cosa così inaspettata. La vecchia Nora non ci avrebbe pensato un istante a farglielo presente, ma la nuova stava cercando di imparare ad avere a che fare con il genere umano. A piccoli passi ovviamente e senza grandi cambiamenti, ma ci stava lavorando. E in rarissime occasioni riusciva già a comprendere che, quando qualcuno era particolarmente giù di tono, a volte necessitava solo di un po’ di compagnia e non della verità. Era difficile per lei accettarlo, ma aiutava.
    Il lungo silenzio che seguì alla sua domanda rese ancora più evidente lo stato di Paul, che poco dopo decise di essere onesto con lei e ammettere le sue preoccupazioni. Non c’erano novità. Una leggera smorfia comparve sul suo viso e la nascose dietro un altro sorso di birra, direttamente dalla bottiglia. -No, non ci sono andata. Anche io avevo da fare. - ammise, per poi lasciarsi andare a un leggero sospiro. -C’era Bella però. E.. non sta molto bene, anche se è ancora tutta intera. - continuò, parlando della sua migliore amica osservando un punto non ben definito di fronte a sé. Quel tipo di festa non era il suo genere e non era pentita di non esserci stata. -Mi ha raccontato qualcosa ma.. non sembra del tutto chiaro neppure a loro. Credo che sia una delle tante stranezze che stanno accadendo negli ultimi anni. - aggiunse, con un leggero sospiro e senza volerlo si portò una mano sul fianco, nel punto dove le coltellate si erano rimarginate ormai. A volte quelle immagini vivevano di nuovo nei suoi incubi, in quelle rare occasioni in cui non assumeva qualcosa per dormire. Quanti erano i segreti di quella città che ancora non conoscevano? Quando ci sarebbe stato il prossimo evento catastrofico? Improvvisamente non si sentiva più così tranquilla. Mandò giù un lungo sorso di birra, arrivando quasi a metà della bottiglia, poi guardò di nuovo Paul. -Ho provato a cercare qualche notizia, ma non se ne trovano molte. Temo che qualcuno si stia impegnando parecchio. - terminò, abbassando appena la voce. Era sicura che gli stessero nascondendo qualcosa, che ai piani alti sapessero esattamente che cosa stava succedendo, ma ammetterlo avrebbe gettato la popolazione nel panico.
    -Per quale assurdo motivo non litigavamo tutti i giorni, vorrai dire! - ribattè lei, fingendosi molto seria, per poi lasciarsi andare ad un’espressione un po’ più morbida. -Hai cercato di farmi diventare una persona tranquilla, non è andata bene. - disse, stringendosi appena nelle spalle, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Non si preoccupò di esprimere in maniera più chiara quale parte di lei volesse cambiare e mandò giù un altro sorso. Parlare si se stessa e dei suoi problemi non era una questione semplice per lei. I tentativi degli psicologi che si erano susseguiti negli anni non le avevano permesso di fare molti avanzamenti in tal senso. Continuava a chiudersi in se stessa, a evitare di affrontare l’argomento, ad annegarlo con altro alcol per annebbiare la mente. -Sei cresciuto troppo in fretta, mentre io non volevo farlo. - disse poi, in un soffio, accennando un mezzo sorriso mesto e terminando la bottiglia. Fece cenno al barista di portargliene un’altra. Dopo la morte di Tim era sprofondata, era tornata a essere la Nora più piccola, che dalla vita non pensava di volere più nulla. -Non che ora sia cresciuta poi così tanto. - aggiunse, cercando di smorzare un po’ la situazione. Non le mancava Paul. Non era stata male per la loro separazione. C’era stato solo un vero amore nella sua vita, tutti gli altri erano stati frequentazioni di passaggio. Non aveva mai davvero provato a far funzionare le cose, forse era stato quello il vero problema. -E tu invece? Hai trovato quello che cercavi? - chiese, mentre il barista le avvicinava la seconda birra della serata. Che cosa avesse sempre cercato Paul lei non lo sapeva di certo, ma qualcosa doveva aver pur trovato in tutto quel tempo.
     
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    Un incontro inaspettato. Si, Nora aveva trovato proprio la giusta definizione per ciò che era appena accaduto tra loro: due anime che si erano incrociate, poi scontrate, poi divise e che adesso si erano incrociate di nuovo. Bastava il loro piccolo quadretto per far comprendere quanto imprevedibile potesse essere la vita. In una cittadina come Besaid era possibile perdersi e poi ritrovarsi, così come era possibile rischiare di perdere un amico. Ci provava, Paul, a svuotarsi la testa, ma proprio l’immagine di Beat che stava male in un letto d’ospedale non voleva lasciarlo. Si era illuso che il caos del Bolgen potesse distoglierlo dalla realtà per qualche ora, ma aveva sottovalutato l’affetto che provava per l’amico e l’irruenza della realtà che lo assaliva lì, dove la sua tristezza si condensava. Fece scontrare la sua bottiglia di birra con quella di Nora, felice di aver trovato un volto conosciuto almeno per quella sera. Ultimamente aveva un particolare bisogno di stare in compagnia, come se questa potesse distoglierlo da continui e tristi pensieri. -C’era Bella però. E.. non sta molto bene, anche se è ancora tutta intera. Mi ha raccontato qualcosa ma.. non sembra del tutto chiaro neppure a loro. Credo che sia una delle tante stranezze che stanno accadendo negli ultimi anni. - Questo fu cosa gli disse Nora, quando si ritrovarono inevitabilmente a parlare dell’argomento del momento. Ciò che fosse successo sulla spiaggia nessuno lo sapeva, nemmeno chi era stato lì. Nemmeno Lys riusciva a raccontargli nel dettaglio cosa fosse successo, nessuno ci stava capendo un bel niente. Ma a Paul non sfuggì l’osservazione che aveva fatto Nora sulle stranezze e sul fatto che qualcuno si stesse impegnando a non far scoprire nulla. Si bloccò con la bottiglia a mezz’aria, mentre stava per portarla alla bocca. «Cosa intendi dire?» La sua era una domanda animata da sincera curiosità. Lui, come il resto di Besaid, voleva capire cosa diamine fosse successo ma, al contrario di Nora, non era a conoscenza di alcuna stranezza avvenuta in passato. Forse aveva le fette di prosciutto sugli occhi o forse si era concentrato su altro tanto che non aveva notato nulla fino a quel momento, fino a che le stranezze non lo avevano colpito direttamente. Paul non intendeva vestire i panni dell’investigatore, quelli sicuramente non gli stavano bene, voleva soltanto capirci qualcosa in più. Era una pretesa più che umana.
    La conversazione, poi, si spostò sulla loro passata relazione, come se qualsiasi argomento fosse accettabile pur di non pensare a quello che attanagliava entrambi. Un leggero sorriso apparve sul volto di Paul, quando Nora gli ricordò che litigavano più di quanto limonassero, ed era uno dei pochi sorrisi che riusciva a concedersi ultimamente. «Guardando mio figlio Evan penso che crescere non è stata poi questa grande idea.» Nora era schietta, come sempre. In effetti, all’epoca, era uno dei motivi per cui a Paul piacesse tanto Nora. Era uno dei motivi per cui lei gli piacesse tanto, all’epoca. Paul era cresciuto in un contesto familiare dove le apparenze erano tutto, Nora gli aveva mostrato che non c’era nulla di male nel mostrarsi per ciò che si è veramente. Che Paul avesse un figlio era ormai di dominio pubblico, quindi dubitava che Nora non ne fosse a conoscenza. -E tu invece? Hai trovato quello che cercavi? - Questa volta bevve un sorso della sua birra prima di rispondere. Bella domanda. «Non ricordo che facessi domande così difficili!» Scherzò, più per prendere tempo che per reale divertimento. La domanda da fare era un’altra: cosa cercava Paul? Non lo sapeva. Era nato in una famiglia che gli aveva dato tutto, adesso aveva un lavoro, una donna al suo fianco e un figlio, era rimasto altro da cercare? Fece spallucce: «Penso di sì. Ho Lys al mio fianco. Sai, anche lei quella sera era con Bella, e anche lei non ha idea di quello che è successo.» Pensava che Nora sapesse anche di lui e Lys, era una donna che riusciva ad avere tutte le informazioni che voleva per quella sua attitudine nell’avere a che fare con computer e altri strumenti tecnologici. Ennesimo sospiro. «E tu? Hai trovato quello che cercavi? Mi sembra giusto ricambiare la domanda difficile.» Non lo disse con tono antipatico, era più un modo per continuare quella conversazione e sapere come se la stesse cavando Nora ultimamente.
     
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    Lo guardò in maniera leggermente stranita quando Paul le chiese di che genere di stranezze parlasse. -Non hai sentito parlare di quello che è successo gli scorsi anni? - domandò, arricciando appena le labbra nel chiederlo. In effetti probabilmente per lei era scontato che tutti sapessero visto che lei lo aveva vissuto, ma la verità era che chi non veniva coinvolto raramente veniva a sapere di quei fatti che venivano taciuti dalla cronaca. -Lo scorso anno nel bosco è comparsa una strana arena, come se provenisse da un tempo completamente diverso. - mormorò, con lo sguardo che si perdeva per lunghi istanti sul suo bicchiere. Deglutì a fatica, andando involontariamente con la mano a sfiorarsi il fianco, lì dove aveva ancora alcune cicatrici di quell’evento. -E l’anno prima è comparsa una strada cupola di vetro a coprire un’aria nella periferia. - aggiunse, continuando a guardare dritta davanti a sé, come se volesse mettere una certa distanza tra se stessa e gli eventi che aveva vissuto. -Alcuni cittadini sono stati attirati lì con l’inganno, nessuno ha mai scoperto chi fosse il responsabile. - terminò, mandando giù tutto d’un fiato il contenuto del suo bicchiere di birra, per poi solo allora voltarsi di nuovo verso di lui. -Non sono bei ricordi comunque, siamo finiti tutti in ospedale, in entrambe le occasioni. – spiegò, lasciando intendere solo in quel momento di aver vissuto quegli eventi in prima persona. Non le andava di parlarne eppure, allo stesso tempo, riteneva che fosse giusto farlo. Perchè ignorare quello che era accaduto non aveva portato nulla di buono, quindi forse comportandosi nella maniera opposta sarebbe riuscita a ottenere qualche risultato. Aveva provato a fare delle ricerche, senza riuscire a scoprire nulla, chissà che qualche persona ancora all’oscuro dei fatti non potesse aver notato qualcosa di strano e aiutarla quindi a mettere i corretti puntini sulle “i”.
    Sorrise appena quando lui nominò suo figlio e fece quella battuta sul diventare adulti. -Non so, io non mi ci vedrei bene a tornare bambina. - ammise, con una certa serietà. La sua non era stata un’infanzia spensierata, tutto il contrario. Era quindi felice di essersi lasciata quella parte della sua vita alle spalle. Ogni episodio che aveva vissuto aveva contribuito a renderla la donna che era. Non avrebbe mai voluto dimenticare un istante, ma non sarebbe tornata indietro, per nessun motivo al mondo. Preferiva di gran lunga la sua vita da adulta. Ora poteva dire di avere il controllo, di essersi ritagliata un corretto spazio nel mondo. Lui sembrava aver trovato una nuova compagna e sembrava felice. Annuì appena quindi, ridacchiando poi quando lui le girò la stessa domanda, probabilmente per cercare di metterla altrettanto in difficoltà. -Onestamente non so se ho mai davvero cercato qualcosa. - disse, prima di tutto, rimuginando per un momento sulla faccenda, prima di fare spallucce. -Ad ogni modo, forse potrei direi di si. Il lavoro all’Università procede per il meglio, Bella continua a sopportarmi, mio cugino Roy è ancora vivo. Direi che tutti i pezzi sono ancora al loro posto. - mormorò, non sapendo bene che cosa una come lei potesse cercare. Forse qualcuno con cui condividere la vita, ma quello, in effetti, ancora non lo aveva trovato. Stava bene però. Aveva ricominciato a prendere le medicine, andava regolarmente dalla psicologa. Non aveva smesso di bere, né di farsi, né di fumare, ma nessuno poteva essere perfetto.
    Fece cenno al barista di portarle un’altra birra. Non aveva ancora intenzione di andare via. -Non so per quale motivo loro non ricordino e neppure perché la polizia non abbia ancora mosso il culo decentemente. - disse poi, arricciando appena le labbra in un’espressione pensierosa. Non aveva mai avuto una buona opinione delle forze dell'ordine, ma in quegli anni più che mai era convinta che ci fosse qualcosa sotto, che c'era un motivo se non facevano il loro lavoro. -E non so se sia meglio lasciarle tranquille, così che possano metabolizzare il tutto, come gli altri hanno fatto con me, o se invece sia meglio parlarne, spingere per avere delle risposte. - continuò, cercando di spiegarsi meglio, guardando Paul dritto negli occhi. -Credo che chiunque ci sia dietro approfitti del fatto che nessuno ne parli, che nessuno faccia domande. E’ facile passare inosservati se sono poche persone a cercarti. - terminò, per poi fare una lunga pausa. Era davvero curiosa di sapere come lui la pensasse. Se credeva fosse meglio lasciar stare o se, al contrario, voleva cercare di venire a capo della faccenda. Lei ci aveva provato, per poi accantonare l’idea. Ma ora che non era lei a essere al centro del ciclone, trovava più semplice discuterne e desiderava trovare una soluzione.
     
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