Always there if every knit breaks

Beat x Paul || Bolgen - Morning

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    I'm just the same as I was
    Now don't you understand
    That I'm never changing who I am

    Mani in testa, mani in tasca, indice su una narice per controllare che fosse tutto ok lì su, niente granelli bianchi a parlare per lui della nottata che aveva avuto, reduce per il rotto della cuffia.
    A tradirlo ci pensavano gli scatti del corpo e gli occhi cerchiati che parevano gole scure tra le montagne degli zigomi, ci pensavano le iridi cristalline che si muovevano senza sosta catturate da qualsiasi movimento, quasi sobbalzanti al minimo accenno di un rumore. Mani fra i capelli mani sulla faccia, nike bianche ora grigiastre calpestavano l'asfalto senza aggirare le pozzanghere, senza saltarle. Beat tirò sul con il naso calandosi il cappuccio della felpa nera fin quasi sugli occhi mentre, guardandosi dietro le spalle per l'ennesima volta come fosse pedinato, voltava a destra infilandosi nel vicolo buio di un sottopassaggio metropolitano. Ondeggiò nella penombra, era troppo stanco perché riuscisse a non sbadigliare, troppo post-tutto per camminare diritto. Tirò le braccia in alto per stiracchiarsi proprio mentre svoltava l'angolo e si ritrovava sul retro della sua seconda, se non prima, casa. Edificio anonimo, squallido, nei dedali del Bolgen si aggirava gran parte di quella grande famiglia trovata e trattenuta negli anni. Si alternavano proprio come componenti di una famiglia, come nonni genitori e figli, le sue persone lì dentro e non importava a che ora arrivassi: trovavi sempre qualcuno ad accoglierti. Alle prime luci dell'alba c'era chi rimediava al caos della sera prima, un compito infausto ma essenziale per cui si davano il turno un po' tutti. C'era... «Demi, meine liebe!» (Mio amore). Sempre alla porta stava Demi, un energumeno di donna un po' mamma di tutti in quel luogo di pazzi. Lei la mamma, loro i bimbi sperduti. La trovavi sempre lì, di giorno e di notte, e se qualcuno le dava il cambio Beat non se ne era mai accorto. Si avvicinò a lei girando intorno alla transenna di metallo come un animale che conosce il sentiero a memoria, una mano che usciva dalla tana nella tasca per allungarsi ad afferrare la sigaretta spenta che Demi teneva a mezz'aria. Già pronta per lui. Un rito, quello, che da anni dava un perché alle svegliatacce di Beat. Le fece un sorriso a labbra strette, enfatizzato al massimo per essere sicuro che superasse gli strati di sonno e i residui della nottata, che per Beat era finita solo un paio d'ore prima. Mosse la testa su e giù per poi infilarsi nella porta e sbucare nei corridoi dietro la discoteca, un labirintico intreccio sul quale si affacciavano stanze e stanzette per gli usi più disparati e che il ragazzo sorpassò una ad una, le dita che andavano a incastrare la sigaretta sull'orecchio. Tirò giù il cappuccio solo quando fece ingresso nella sala principale del Bolgen, sottoposta come al solito alla messa in ordine dopo la serata della sera prima. Salutò col capo un paio di persone, Beat, mentre i passi conducevano il gioco per lui e lo portavano verso il bancone da cui poteva vedere già le larghe spalle di Paul, seduto e intento a parlare con Fae. Gli si avvicinò da dietro intonando un «Woooo» che lo accompagnò fino a che non gli fu vicino e e si spinse col peso sulle sue spalle, stringendole fra le dita per scuoterlo un po'. «Guarda un po' chi c'è, der businessman!» Era sempre così con Beat, non si riusciva mai a cavargli dalla bocca una frase in cui non mischiasse inglese, norvegese e, sopratutto, il suo tedesco. Lo lasciò andare dopo averlo scotolato un pochino, circumnavigando dunque il bancone per prendere dai fianchi Fae e farle del solletico proprio lì. Nonostante la faccia assonnata con cui Fae completava l'infausto incarico di asciugare i bicchieri, la ragazza reagì prontamente all'attacco spintonando Beat via da lei, tanto forte che il ragazzo girò all'ultimo su se stesso per non cadere. «Dobbiamo festeggiare.» Sentenziò con il solito sorriso obliquo da stregatto Beat, afferrando una bottiglia di Kahlua e tre bicchierini che riempì l'uno di fianco all'altro. Mandò giù il suo di corsa e tutto d'un fiato nonostante fossero solo le otto e qualcosa di mattina, sbattendo il vetro sul tavolo e lanciando uno sguardo scrutinatore all'amico. In realtà Paul, insieme a Mia, era quello che di più vicino aveva a una figura di riferimento, a un fratello. C'era stato nei momenti più alti di Beat, avevano fatto feste pazzesche ed erano tornati a casa dopo quarantotto ore da quanto ne erano usciti; ma Paul gli era rimasto accanto anche nei momenti più bassi, quelli di un vuoto così pieno che Beat non voleva neanche più pensarci. Paul gli aveva teso la mano e l'aveva tirato su dal baratro che la morte di Jannik gli aveva lasciato dentro, e da lì erano stati inseparabili. Almeno fino a quando non aveva deciso di metter su famiglia, di lasciarsi e di rifidanzarsi di nuovo. E indovinate con chi? Già, neanche a dirlo. «Non ti si vede da un po' da queste parti. Già guai in paradiso?» Alludeva alla sua nuova fiamma, ovviamente, della quale neanche riusciva a pronunciare il nome senza sentire uno scricchiolio interno, da qualche parte nel corpo. Da qualche tempo Paul era infatti passato dall'altra parte della barriera, ora più uomo d'affari e padre di famiglia piuttosto che compagno di sbronze e Beat, con i cambiamenti, non andava molto d'accordo. Tirò fuori dal ripiano un vassoio nero sul quale allungò due strisce bianche, un po' di cocaina che scendeva a scatti imprecisi dalla bustina che Beat aveva estratto dalla tasca dei jeans. Porse allora il vassoio all'amico tenendolo sul palmo di una mano mentre con il busto si sporgeva sul bancone, verso Paul che ancora vi sedeva al di là. «Come ai vecchi tempi?» Inclinate le vertebre di lato, Beat piegò il collo e rimase a fissarlo con un sorriso da stronzo sulle labbra.
     
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    Il Bolgen, ormai, per Paul era più simile al luogo in cui si ritrovava con i suoi cari amici, e non il suo luogo di lavoro. Aveva seguito il suo istinto nella scelta del personale e di coloro che sarebbero stati al suo fianco nel gestirlo e, per una buona volta nella vita, sentiva di aver fatto la cosa giusta. Ogni qualvolta ne varcava la soglia, incrociava sempre un volto amico di cui si fidava ciecamente, non un dettaglio da poco, siccome spesso e volentieri era lontano da Besaid per adempiere a quell’altro lavoro noioso che gli aveva rifilato suo padre e che, allo stesso tempo, lo aveva condotto verso la retta via. Volti amici, quindi, a partire da quello di Fae che in poco tempo aveva preso in mano l’organizzazione degli eventi all’interno del Bolgen che riuscivano a raccogliere tanta gente al suo interno. La ragazza dai capelli color arcobaleno aveva un talento naturale nell’attirare persone dentro il locale con le sue idee talvolta anche troppo sopra le righe che, però, funzionavano alla grande. La vitalità di Fae gli era tornata utile anche là dove spesso serviva qualcuno per fare mansioni che nessuno aveva mai intenzione di fare, come il sistemare il locale dopo la festa della serata precedente. Proprio quella mattina, il Bolgen ormai vuoto, erano in pochi, tra il personale del Bolgen, che stava dando una mano a rimettere in ordine tutto e, tra questi, c’erano anche Paul e Fae. Lo scenario dentro al Bolgen, in quel momento, era quasi simile ad un ambiente in cui era appena passato un tornado. Inutile dire che fosse tutto in disordine e c’erano bicchieri per i cocktail abbandonati qua e là ormai vuoti, ma Paul si era rimboccato le maniche per dare una mano, dopotutto l’essere proprietario di quel posto non voleva dire anche delegare i lavori più seccanti agli altri. Tuttavia lui e Fae si erano presi un attimo di pausa, vicino al bancone e la sua collega ormai amica, aveva colto l’occasione per aggiornarlo su un’idea che le era venuta in mente per una prossima serata. Non riusciva mai a dire di no a nessuna delle idee di Fae perché erano sempre ottime e, cosa più importante, sempre fattibile rispetto al budget che avevano a disposizione. «Woooo» Seduto su uno sgabello, Paul continuava a parlare con Fae di questa fantomatica futura serata a tema quando sentì dietro di lui quel suono e qualcuno che lo prendeva per le spalle: «È arrivato Beat.» E lo disse prima ancora che l’amico potesse fare sfoggio del suo solito accento tedesco misto al norvegese misto all’inglese. Era lui, era Beat e Paul non aveva dubbi a riguardo, abituato com’era alle reazioni vitali di quel benedetto ragazzo a cui ormai si era affezionato più di quanto avesse mai immaginato, tanto da andare addirittura a vivere con lui e tanto da preoccuparsi per lui. Non c’era accoppiata di amici più diversa da quella di Paul e Beat e, al contempo, tanto simile. Provenivano da uno stesso passato fatto di estremi poi le cose per Paul erano cambiate, si era ‘asseriato’ ma, in qualche modo, il rapporto di amicizia tra loro era talmente forte che nemmeno un tale cambiamento era riuscito a dividerli anche se spesso Paul sembrava essere addirittura il fratello maggiore di Beat. «Dobbiamo festeggiare.» Ad ogni modo, vederlo tanto allegro e spensierato, dopo così tanto tempo che Paul aveva trascorso a Bergen, gli fece spuntare un largo sorriso sulle labbra. Adesso era veramente a casa. «Avanti, non far finta che ti sono mancato. Tanto lo so che ti è solo mancato qualcuno che ti facesse trovare la colazione in tavola appena sveglio!» Scherzò Paul, mentre l’amico prendeva un liquore per celebrare il ritorno di Paul e riempì con gioia i bicchierini che mise sotto il naso dei tre presenti a quella strana rimpatriata. Paul mandò giù il liquore al caffè, probabilmente uno strano surrogato per la colazione nell’ottica di Beat, assaggiando ciò che in realtà non assaggiava da un bel po'. C’era un momento esatto in cui Paul aveva deciso di abbandonare quello stile di vita fatto di feste e divertimento: quando aveva rischiato di rimanerci secco per aver abusato troppo di qualche droga che adesso nemmeno ricordava quale fosse. Ciò, però, non toglieva il fatto che non giudicasse male Beat anzi, un po' era contento che lui fosse riuscito a mantenere quello stile di vita, anche se talvolta Paul tentava di trattenerlo quando notava che stava un po' esagerando. In qualsiasi caso nessuno avrebbe scommesso sulla buona riuscita della loro convivenza, e invece.
    «Non ti si vede da un po' da queste parti. Già guai in paradiso?» Paul scoppiò a ridere quando sentì la domanda dell’amico. Le frecciate spiritose tra loro due non erano una novità anzi, probabilmente erano una delle caratteristiche che rendevano tanto unica l’amicizia tra Paul e Beat. C’era l’ironia visibile a tutti, e poi c’erano i riferimenti espliciti che solo loro riuscivano a leggere, dietro tutto quel sarcasmo. «Tutto fila liscio tra gli arcangeli e i cherubini…tu, piuttosto, cos’hai combinato all’Inferno?» Lo guarda dritto negli occhi. Paul era stato a Bergen, preso dal suo lavoro e dal tempo trascorso con Evan che sembrava sempre troppo poco, per questo non era riuscito a sentire spesso Beat o Lys -prima o poi avrebbe dovuto farli conoscere perché erano due delle persone più importanti della sua vita-, sta di fatto che non aveva la minima idea di ciò che avesse combinato l’amico in quel lasso di tempo: «Dimmi che non hai mandato a fuoco la casa.» Aggiunse immediatamente, facendo riferimento all’iperattività dell’amico. Spesso Paul veramente non riusciva a capire da dove Beat riuscisse a prendere tutta quella energia…lui si sentiva già un giovane con l’anima di un anziano! E quella stessa anima di anziano fece capolino in Paul quando Beat allungò due strisce bianche su un vassoio nero. «Come ai vecchi tempi?» L’uomo arricciò il naso a quella proposta. Dopo essere quasi morto, di tanto in tanto beveva qualcosa, ma aveva detto no per sempre a qualsiasi tipo di droga. «No, man. Ormai ho chiuso con quella roba.» E si sentì veramente un novantenne mentre diceva di no al sorriso da stronzo di Beat, dannato lui e quanto gli voleva bene. L’amico avrebbe inteso che non era nulla di personale, semplicemente non aveva intenzione di ricadere nel vortice malsano in cui era già caduto anni fa. «Sai che sto per dire qualcosa di estremamente pesante…qualcosa da vecchio.» Preparò Beat a quello che stava per uscire dalla sua bocca. Avrebbe potuto trattenersi, Paul, avrebbe potuto chiudere un occhio, stare in silenzio e godersi quel momento con gli amici che non vedeva da un bel po'. E invece decise di rompere il cazzo. «Per quanto tempo ancora hai intenzione di fare uso di questa roba? Questa si che ti porta all’Inferno.» Disse, poi, col tono di voce di un papà rompipalle che tentava di essere accondiscendente con il proprio figlio ribelle. A scanso di equivoci: Paul non voleva che Beat cambiasse, dopotutto se gli voleva tanto bene era proprio perché era così, era Beat, però voleva che iniziasse a vivere in maniera più sana. Lo voleva per Beat, meritava di vivere al meglio. Lo guardò negli occhi, in attesa della risposta dell’amico che, in realtà, un po' già immaginava quale sarebbe stata.
     
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    Alle volte gli sembrava impossibile che Paul ci fosse cascato, che alla fine anche lui avesse ceduto alla vita e fosse cresciuto. Gli anni passavano per chiunque, non era così scemo da credere il contrario, però dentro lui rimaneva sempre lo stesso pezzo incrinato di quando a vent'anni la sua vita era cambiata per la terza volta. Prima c'era stato quel fattaccio di cui non parlava, la donna che aveva pensato che lasciare un settenne da solo fosse una buona idea e il dubbio che farlo non fosse stato un incidente ma una scelta ponderata lo faceva impazzire; la seconda, grande svolta era stata scoprire la Norvegia insieme a Jan, vivere da adulti ancora senza neanche un pelo in faccia, imparare, fare stronzate, imparare dalle stronzate o almeno provarci: quelli erano gli anni belli, spensierati, mesi invincibili, in quei giorni aveva conosciuto Lys e il suo mondo aveva conosciuto una luce diversa, più intensa di qualsiasi altra prima. E poi il passaggio da quel chiarore a un buio fittissimo era stato così violento da spezzarlo non in uno, non in due ma in tanti di quei pezzi che era impossibile recuperarli e riattaccarli tutti. Paul ne aveva trovati alcuni e Mia, Fae, i Bryne tutti, Roy, Debbie etc. altri, rimettendoli insieme con una lentezza da sfinimento che aveva portato al Beat di adesso, pieno di energia e all'interno tutto crepato. Aveva dovuto reimparare a fare un sacco di cose banali come camminare, parlare e anche respirare, ma alla fine il risultato non era troppo male, autodistruzione a parte, e molto di quel incrinato successo lo doveva all'uomo che in quel momento si divertiva a stuzzicare stringendo forte le spalle. Molto era cambiato di Paul, in primis la vita che aveva preso una piega matura e più noiosa di un tempo ma, nonostante Beat non si risparmiasse di farglielo notare ogni volta che poteva, non avrebbe mai smesso di essere legato a quell'omone robusto dal sorriso largo quasi quanto la sua mascella. Mostrò una faccia pensierosa, Beat, mentre elencava mentalmente ogni cosa che di Paul gli fosse mancata in quei giorni di assenza. «E le lavatrici, e i piatti sporchi, e che pulisse il bagno. » Contò sulle dita della mano. «Meno male che sei tornato, va'. » Ridacchiò sommessamente riabbassano il braccio per concentrarsi sui tre bicchierini che riempì fino all'orlo, un incentivo, quello, più che necessario per iniziare la giornata con la giusta carica. Il calore nella pancia lo fece sorridere ancora di più. Chissà quanto tempo ci avrebbe messo a ubriacarsi, probabilmente sarebbe andato avanti fino a sera e solo a quel punto avrebbe iniziato a sentire gli effetti di tutto quello di cui giornalmente si imbottiva per sentire tutto e di più, sempre di più, tanta era la paura di rimanere senza niente, vuoto com'era da quando aveva perso una fetta importante della sua vita. Si avvelenava da così tanto tempo che, arrivati a quel punto, doveva prendere dosi massicce di tutto prima di cominciare ad avvertire qualcosa. Sempre a mille, mai fermo, mani che toccavano e agitate premevano, sguardo ovunque, occhi paranoici pure dietro la testa, tutto per celare la gran paura che Beat aveva di soffrire, di rimanere solo, di non piacere da sobrio, di non piacersi senza quello di cui si riempiva ogni giorno, senza le droghe senza l'alcool senza il fumo, senza le emozioni che con i polpastrelli rubacchiava dagli altri. Di scoprirsi un guscio vuoto, senza sostanza.
    Sbatté il bicchierino sul bancone e poi annuì alle parole di Paul, distratto dal pensiero del paradiso che, a detta di lui, continuava a imperversare la neo coppietta. Dovette sforzarsi e sopprimere una smorfia di fastidio, Lys non era più affar suo. Dopo poco però sogghignò, muovendo le spalle in alto mentre trafficava con la bottiglia per riempirsi ancora il bicchiere. «Solo i tuoi vestiti. Ho dimenticato di pagare la bolletta e senza riscaldamenti dovevo pur inventarmi qualcosa.» Spiegò come fosse la cosa più razionale del mondo e intanto tirava la nuca all'indietro per scaraventare il liquido scuro di nuovo sulla lingua. Lo portò giù schioccando le labbra che poi strinse, come a voler imprigionarvi un certo sapore dentro. Passare dal Kahlua alla cocaina fu facile come l'istinto che spinge qualcuno a scavalcare una pozzanghera per non bagnarsi le scarpe, solo che invece di salvarlo quella propensione l'avrebbe spedito al creatore. Era questione di tempo e lo sapeva, ma in qualche modo la cosa non sembrava preoccuparlo più di tanto, tuttavia comprendeva le motivazioni che spingevano Paul a negarsi la striscia spianata di fronte a lui dalle dita esperte e nevrotiche di Beat. Per lui, che c'era quasi morto, quella sul vassoio era una condanna bianca su sfondo nero. Il più giovane si trovava sempre a sorprendersi della tenacia che l'altro dimostrava nel resistergli, una forza che lui invece sapeva di non avere. Lo apprezzava e al contempo se ne sentiva offeso. La salute di Paul gli aveva fatto perdere però dei punti contro la vita, ora era il solo a precipitare. Beat però incassò il colpo indietreggiando con il busto per tornare dalla sua parte del bancone, solo nello sguardo si scorgeva una sfumatura di risentimento. «Ormai hai chiuso con la vita, sì.» Biascicò con la bocca impastata dopo aver tirato su il viso dal vassoio reclinando il capo all'indietro. Una delle due strisce era sparita dritta nel naso che Beat si tamponò con le dita. «Mhm.» Allora non dirla. Ma non aprì bocca, Beat, la lingua gli pizzicava e preferì passarsi l'indice sulle gengive per acchiappare i rimasugli che di quei cristalli finissimi gli erano rimasti sui polpastrelli. Tanto, da vecchio o no, Paul se ne sarebbe uscito con quello che voleva dire e tanto valeva lasciarglielo fare. Era un cazzo di testardo in crisi di mezza età molto anticipata. Restituì lo sguardo con gli occhi improvvisamente tanto seri da sembrare oscurati da un'ombra improvvisa, l'azzurro altrimenti vivace ora aveva perso una tonalità. «È inferno senza questa roba.» Sembrò aprire la bocca per aggiungere qualcos'altro ma si trattenne e cambiò idea, spezzando l'asse dritta delle prime vertebre per piegare il collo e far sparire la seconda striscia di cocaina, quella che Paul aveva resistito. Era il suo migliore amico, Paul, eppure da qualche tempo sentiva di non potersi far capire del tutto. Colpa della nuova fiamma.
    Buttò la testa all'indietro e roteò gli occhi, le pupille sparirono per un secondo dietro le palpebre tremolanti. «Sei proprio un rompi coglioni, papà. » Sentenziò allora riaprendoli e posandoli su di lui mentre le mani iniziavano a battere sul bancone un ritmo tutto suo. «Parli come un'ottantenne. Sei sul punto di morire? No dimmelo, così so cosa aspettarmi.» Scrollò la testa, ma Beat aveva ritrovato il sorriso. Oltrepassò il bancone aggirandolo quasi saltellando, buttandosi poi contro l'amico afferrandogli le spalle con il proprio braccio. «E non condividerò neanche un centesimo dell'eredità con questa tua nuova ragazza che tieni tanto segreta. Inizio a pensare che neanche esista, ah man? Esiste o è solo una bambola gonfiabile che ti tieni nel letto?» Lo strinse di più solo per staccarsi successivamente e piegare il collo, un'aria furba stampata sulle labbra da stregatto. «June come l'ha presa?» June, il stato dolente di Paul, l'ex pazza ma importante perché madre dell'unico bambino che Beat amava come quasi fosse proprio: Evan. Nonostante si fossero lasciati da un pezzo, June continuava a rendere difficile la vita dell'amico e andare d'accordo era difficile. Però si sforzavano per il bene di Evan, e Beat continuava a chiedersi con che forza, coraggio e una bella dose di pazzia la gente decidesse di fare figli. Si staccò definitivamente da lui per saltare su uno sgabello di fianco e subito iniziare a tamburellare col tallone contro il legno. «Almeno descrivicela questa misteriosa mädchen» Ragazza. Lanciò uno sguardo a Fae che scrollò le spalle. Era impossibile ricevere una qualsiasi tipo di reazione o di supporto da quella ragazza prima delle dieci e mezza del mattino, a meno che non la si istigasse con la forza bruta.
     
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    Paul J. Vesaas
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    Cosa ti ha spinto a diventare amico di Beat? Una domanda a cui Paul non sapeva rispondere. Meglio, non sapeva rispondere a parole. Era difficile esprimere a voce la grande amicizia che lo legava a quel ragazzo scapigliato e il motivo per cui quella amicizia stesse durando per così tanto tempo. In molti, forse, non avrebbero capito, altri invece avrebbero liquidato la questione come inutile, perché sprecare fiato per spiegarlo a qualcuno che, dopotutto, non poteva capire? Paul preferiva tenere per sé quell’aspetto più personale della sua vita, era fatto così. Anzi, era diventato così. Il vecchio della situazione, ormai Beat lo diceva per prenderlo in giro, ma Paul iniziava a credere che in fondo non aveva tutti i torti. Era cambiato, era invecchiato nonostante il suo aspetto esteriore lo raffigurasse ancora alla soglia dei trent’anni, nonostante addosso se ne sentisse almeno il doppio. C’era di buono, però, che con Beat intorno era quasi impossibile non lasciarsi andare ad un bel po’ di divertimento. La verità era che il buon umore invadeva Paul non appena incrociava lo sguardo un po’ scapigliato dell’amico, ne avevano passate insieme di cotte e di crude ma lo rendeva allegro il sapere che erano ancora lì, tutto sommato spensierati dopo aver superato determinati ostacoli nelle loro vite. «Sei uno stronzo!» Scherzò quando Beat gli disse che si, gli era mancato, ma per fare le lavatrici, lavare i piatti sporchi e pulire il bagno. Per arrivare a convivere con lui Paul doveva volergli proprio tanto bene. Paul, che era sempre stato figlio unico e aveva sempre vissuto da solo, senza condividere mai nulla. Aveva deciso di farlo con Beat. Ecco, come poteva spiegare a voce qualcosa del genere? Bevve d’un sorso lo shottino infernale che aveva fatto Beat. Maledetto. Quel po’ di alcool gli doveva bastare per i prossimi giorni, non poteva e non voleva abusarne, un po’ un controsenso per qualcuno che era proprietario di un locale in cui non si faceva altro che bere e ballare. Continuarono a scherzare con Beat che diceva di aver bruciato i suoi vestiti per riscaldarsi -scherzava vero?- e con un altro sorso Paul terminò qualsiasi traccia di liquido vi fosse nel bicchierino lanciando uno sguardo a Fae mentre Beat continuava a blaterare cose che erano irrimediabilmente legate alla sua visione della vita. Non sapeva cosa cazzo gli girasse per la testa 24 ore su 24, nonostante fosse suo grande amico e condividesse con lui un appartamento. Ma Beat era così, non bisognava stargli col fiato sul collo altrimenti c’era il rischio che si allontanasse e Paul sapeva bene che a Beat serviva tutto tranne che allontanarsi da quella famiglia che si era creata al Bolgen.
    Il suo amico era un’anima tormentata, questo Paul lo sapeva bene, e tutto ciò non faceva altro che renderlo estremamente protettivo nei confronti di Beat. Lo avrebbe difeso a spada tratta da chiunque avrebbe anche solo pensato di criticarlo o fargli del male. «Sei proprio un rompi coglioni, papà. » Che per quanto ormai fosse diventato un tipo leggermente serioso, a quella frase Paul non resistette dal mostrare il dito medio all’amico, perché in fondo l’animo da coglione lo aveva pure lui ancora, conservato da qualche parte. Ormai Paul con la droga aveva ben poco a che fare, dopo che aveva rischiato di morire. L’unico motivo per cui si comportava da ottantenne con Beat era perché non voleva che lui corresse i suoi stessi rischi ma, ancora una volta, a Beat non si poteva imporre nulla. Aveva uno stile di via tutto suo e andava bene così. Ridacchiò ancora, perché Beat era un pagliaccio che riusciva a mettere di buon umore anche il più musone essere umano esistente sulla faccia della terra. «Sei uno stronzo, ma divertente, te ne do atto.» Disse, lasciando che lo stronzo lo abbracciasse perché che amicizia era senza la coglionaggine condita dal sano affetto? «Esiste, esiste. E tu farai meglio a starle simpatico perché non ho intenzione di fare uscite separate tra fidanzata e migliore amico.» Lo minacciò puntandogli contro il dito indice, in maniera poco convincente, ma rendeva comunque l’idea. Beat non aveva ancora conosciuto Lys, la nuova ragazza di Paul, ma essendo entrambi persone fondamentali nella sua vita, aveva intenzione di farli incontrare al più presto. «June come l'ha presa?» A quella domanda fece spallucce, lui e June ormai avevano chiuso la loro relazione da tempo, tentando di rimanere in buoni rapporti per il bene di Evan. «Non gliel’ho detto ancora, ma sono certo che la prenderà meglio di te. Tu sei il gelosone della coppia.» Scherzò, tirandogli un piccolo buffetto sulla spalla. Con Lys le cose erano ancora all’inizio e prima di mettere i manifesti perché stava frequentando una nuova ragazza, voleva accertarsi che le cose tra loro fossero giuste senza ingerenze da terzi.
    Abbassò lo sguardo con un sorriso leggermente imbarazzato, come se fosse un adolescentello alla sua prima cotta, quando Beat gli chiede qualche dettaglio in più sulla nuova ragazza: «Si chiama Lys e non c’è bisogno che te la descriva, l’incontrerai presto. Smettila di fare il ficcanaso.» Lo riproverò affettuosamente, con quel dannato modo di fare da fratello maggiore sempre disposto a proteggere tutto e tutti. Presto l’avrebbe invitata a casa, Lys, o semplicemente avrebbe organizzato una serata spensierata lì al Bolgen. Di occasioni per far conoscere a Beat quella ragazza ce n’erano a bizzeffe, doveva solo decidersi a metterle in atto. «E quando l’incontrerai non la spaventare come tuo solito, mostra almeno un po’ di buone maniere.» Continuava a prenderlo in giro, nonostante sapesse bene che i modi di fare di Beat, spesso, potevano risultare…strambi. Tuttavia conosceva abbastanza Lys da presumere che per lei non sarebbe affatto stato un problema. «Invece di parlare solo della mia vita sentimentale, si può sapere tu come stai messo in fatto di donne? Quanti cuori ha spezzato mentre io non c’ero?» Quella seconda domanda la rivolge a Fae che fece un gesto con la mano come a dire che lei in quel discorso non voleva proprio entrarci. In effetti sembravano due bimbetti che stavano giocando al loro gioco preferito: prendersi per il culo.
     
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3 replies since 5/9/2021, 17:55   120 views
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