Ti ricordi di me? Abbiamo fatto scintille

Beat x Lys | 2:00 am | Bagni del Bolgen

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    Ti ricordi di me?
    Abbiamo fatto scintille
    Io mi ricordo e lo sai
    Pensavo fosse amore
    E invece erano guai
    🥀

    La pasticca tremava sulla lingua impaziente di vedere in quale gola sarebbe scivolata giù, se in quella di Beat o in quella del ragazzo che, mano dietro al collo, il primo tirò a sé per baciare e iniziare quella battaglia, un braccio di ferro ruvido e sudato. La piccola conchiglia d'estasi si perse quasi subito fra quelle bocche e fu impossibile sapere chi l'avesse avuta vinta, non c'era modo d'essere certi, ne avrebbero visto gli effetti e scontato la pena solo più avanti se solo Beat avesse avuto il tempo e la voglia di aspettare. Ma a lui non interessava davvero fino in fondo, niente era più importante del sentire ognuna di quelle cose che ormai aveva perduto e riempirsene fino a stare male, fino a vomitare tutto. La peluria dell'altro gli scaricava nei polpastrelli tutta l'eccitazione che il bacio, i corpi, il Bolgen, la droga e la situazione procurava nel ragazzo biondo di cui stava assaggiando le labbra, e gli parve di venire preso a pugni quando tutto cessò di un botto come se qualcuno avesse reciso il legame che era in grado di avere con gli altri attraverso il solo utilizzo delle mani e lui, privo d'emozioni, fosse un solo un guscio vuoto. Respinse l'altro quasi con sgarbo riservandogli un'occhiata che voleva incolpare mentre il sorriso spento a tempo perso che fino a quel momento gli aveva scoperto i denti ora spariva del tutto. Perché stava succedendo a lui? Senza le sensazione degli altri Beat rimaneva solo, inutile, un po' come senza Lys. Ma all'assenza di quest'ultima credeva d'essere abituato, anche se dentro di lui sapeva che non ci sarebbe mai riuscito davvero. Non da quando era tornata, no. L'aveva dimenticata una volta, poteva farlo di nuovo? Si ricordò della chiamata fatta nel mezzo della notte, Lys in una casa di cura lontanissima e lui sfatto in ginocchio in una cabina telefonica a implorarsi di smetterla ma incapace di farlo, il solo pensiero di non sentirla più ripetere il suo nome lo ammazzava da dentro. Beat beat beat? Il tempo perse qualche battito e Beat si ritrovò spinto al largo dal mare di folla che per anni era stata la sua casa e che ora gli sfuggiva dalle mani, al largo nella sua mente dilaniata dallo stato attuale delle cose, del suo stato attuale. Gli occhi azzurri velati dalla droga, la pelle tirata sugli zigomi e una cera grigia simile al colore delle pareti del Bolgen che ormai non lasciava da giorni, Beat aveva visto giorni migliori e serate più belle di quella nonostante fosse organizzata da sballo, con il dj più in voga del momento e le luci nuove da poco montate. Aveva fatto un ottimo lavoro, Beat, lo vedeva sulle facce stravolte degli amici anche senza riuscire a gioirne in prima persona, colpa di quel dannato vuoto che cercava di riempire. Beatbeatbeatbeat. Posò gli occhi sulla figura di Kris, beveva china a parlare all'orecchio di qualcuno. Non si accorse di lui e Beat non cercò un contatto, voltando invece le spalle per seguire con sollievo la corrente che lo spingeva nel verso opposto. Non era Kris a chiamarlo, non c'era nessuno che diceva il suo nome ma da mesi lo sentiva nelle orecchie, solo un sussurro in grado però di rimbombare al di sopra di qualsiasi musica.
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    Improvvisamente si rese conto del caldo asfissiante, dei litri d'alcool ingeriti, dei residui di cocaina al naso e tutto divenne terribilmente reale, fisico, anche il malessere in salita dallo stomaco. Con gli occhi e il corpo che bruciavano si mosse tra la gente, il dorso sudato di una mano passò sulle labbra mentre chiudeva gli occhi per rivedere quello che rivedeva ogni volta. La corda intorno al collo, la canna spinta sul cuore mentre due labbra rosse e dolci sussurravano va tutto bene, finalmente staremo insieme, il sangue che sgorgava senza mai fermarsi da un viso pallido che perdeva i sensi,la vita. Lys che perdeva la vita per rinascere senza di lui. Lui era rimasto indietro, anche se non voleva crederci, anche se si riempiva l'organismo di schifezze per non pensarci Beat lo sapeva: tutto era cambiato.
    Aveva anche il segno, l'ennesimo, a sfregiargli il corpo tatuato. Era lì, tra i vivi, ma non sarebbe rimasto a lungo. Gli sembrò di riaprire gli occhi solo in quel momento, con un corpo estraneo che gli si muoveva sopra mentre lui sedeva su uno dei cessi vuoti, le gambe aperte, i pantaloni calati e la porta spalancata senza preoccuparsi di poter essere visti dalla prima persona che fosse entrata. Davvero era sembrato un battito di ciglia, aveva perso tutti i passaggi che l'avevano condotto lì e non provò neanche a recuperarli, ormai consapevole di quanto fosse inutile anche solo tentare. Da quando si era svegliato dal coma la sua vita non era stata più la stessa, qualcosa era cambiato e tutto era andato solo peggiorando, dal suo stato fisico a quello mentale. Non dormiva più neanche quelle due, tre ore a notte perché gli incubi lo attanagliavano a tal punto da pensare di non essere mai davvero uscito, d'essere ancora sulla spiaggia o sprofondato in un coma senza fine. C'era una parte di lui che avrebbe voluto non essersi mai svegliato, e diventava più grande ogni giorno passato in quell'inferno terreno. Col potere ad intermittenza Beat non riusciva più a trovare sollievo neanche nella tecno, nelle pasticche, nello stare con gli altri dai quali in realtà si stava allontanando sempre di più. Paul non gli parlava, Lys lo evitava, e più Kris cercava di stargli vicino più Beat la respingeva. Non sapeva perché, anzi lo sapeva ma non voleva ammetterlo. Sarebbe voluto tornare indietro nel tempo e non averla mai rivista, quella sera al Labirinto. Ma proprio formulando quel pensiero chiuse gli occhi sapendo che avrebbe immaginato lei a cavalcioni sulle cosce, lì con lui nel bagno pubblico del Bolgen a condividere un momento che d'intimo non aveva davvero nulla mentre la musica arrivava ovattata dal locale adiacente. Con Lys sarebbe stato diverso. Avrebbe sentito le vene bruciare dalla voglia che aveva di lei e non di quella di vomitare tutto fuori. Non osò sollevare lo sguardo sul viso della sconosciuta ma lo tenne basso, chiuso su un minuscolo frammento di pelle che faceva di quella la spalla di chiunque. Poteva essere di Lys se Beat lo voleva, e fu a quello che si appese mentre sollevava un braccio e la mano sul suo collo dettava un ritmo preciso ai suoi movimenti.
    Così gli parve di sentirla davvero, Lys, allora mosse anche l'altro braccia per aggrapparsi alla sua schiena, al suo collo, avvicinando Lys il più possibile per sentirsi vivo. E anche se da lei a lui non passava più niente per via del potere difettoso, a Beat sembrava davvero di averla contro. O se non altro vicino abbastanza da bruciargli il cuore. Il mondo parve fermarsi nel momento esatto in cui gli occhi azzurri di Beat incrociarono quelli nuvola di Lys, immobile sulla porta con quello sguardo che Beat sapeva anticipava una sequenza di azioni o parole impossibili da trattenere. La conosceva così bene da sembrargli quasi di poter vedere i muscoli tremare lievemente sotto la pelle nel tentativo di trattenere l'incontenibile, che poi era semplicemente la sostanza di cui Lys era fatta.
    Non avvertì chiunque gli stesse sopra anzi, veniva facile lasciarsi prendere di più dal momento ora che il sole aveva fatto ingresso nella stanza. Strinse i capelli della ragazza tirandoli leggermente continuando a guardare Lys al di sopra di una spalla e di un corpo che per lui non avevano significato, quando gli occhi lampeggianti di Lys iniziarono a bruciargli contro per tutte le ragioni sbagliate. Odiava quando era lei a guardarlo così. «Ti unisci o te ne vai.» Col fiato corto Beat buttò fuori quel commento con stizza, non riuscì a trattenersi mentre sentiva la sensazione evaporare e tutto andare nel verso storto, la nausea tornò a farsi viva nel momento in cui ogni cosa si infranse e la ragazza girava la testa per capire con chi stesse parlando. In quel momento intravide una porzione del suo viso e non provò nulla. Averla davanti non riuscì a personificare fino in fondo la fantasia che prima stava vivendo a occhi chiusi, forse perché non riusciva a far finta che la distanza degli ultimi mesi non fosse abissale. In carne e ossa non era così semplice poterla avere come invece succedeva nei pensieri di Beat, quando dentro ad altra gente riusciva a immaginarsi con Lys. Di persona era tutta un'altra storia. Di persona Lys era diventata irraggiungibile e in quel momento Beat capì quanto risentimento provasse nei suoi confronti.
    Proprio mentre sentiva la bionda sfuggire e sollevarsi dolorosamente da lui, tutte le sue colpe lo investirono in petto spinte da quegli occhi brillanti che come un magnete lo inchiodavano su quella tazza del cesso, incapace di muoversi come sotto mille chiodi; e la odiò, Beat odiò il potere che Lys aveva ancora su di lui nonostante il tempo, nonostante tutto. «Non guardarmi così.» Mi fai male.
     
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    Und über uns
    ziehen lila Wolken in die Nacht,
    Wir bleiben wach,
    bis die Wolken wieder lila sind

    xxx

    Il terreno era morbido sotto i piedi di Lys, lieve sopra quelli di Jan. Ci sperò. «…”Und über uns ziehen lila Wolken in die Nacht”» ripetè come la voce roca che le cantava nelle orecchie, partiva dell’iPhone per salire su fino ai vecchi auricolari dai cavi ingialliti e finire dentro la sua testa, nei muscoli.
    Si accucciò davanti ad una croce di legno scalfita per anni da pioggia, neve, solitudine? A labbra strette, Lys sorrise piano, timida, dinanzi quell’incrocio di staffe anonime per chiunque altro forse, per lei più che familiare con la J graffiata nel centro. «Hey, Jan?» sussurrò poggiandosi col peso del corpo sulle ginocchia ora affondate nel verde umido del prato sottostante. Intorno a Lys un silenzio maestoso, uno di quelli che ricordava con dispiacere da quando Jan non c’era più. Da quando lei lo aveva cacciato per sbaglio. Tante cose erano rimaste, ma più di tutto un’instancabile senso di colpa che oramai l’accompagnava come ossigeno nei polmoni. Per quello ci aveva provato: perché se fosse riuscita a rifiutarsi di accumularne così tanto respirando, allora sarebbe stata anche capace di cancellare ogni sporcizia che sentiva le fosse rimasta dentro dopo quella notte. «Te la ricordi questa?» chiese al terreno privandosi di una delle cuffiette per posarla contro di esso, l’altra ancora salda sull’uscio dell’orecchio sinistro. La canzone vibrò infrangendosi in note sui sottili steli d’erba che facevano da tappeto ad un cielo violaceo, nuvole lilla si disperdevano sopra di lei e sopra Besaid sfumandosi contro l’orizzonte mentre, dalla parte opposta, il blu della notte cominciava a mangiarsi tutto, a partire dai tetti delle case che Lys poteva vedere in lontananza. Con gli occhi ora chiusi, mosse appena il capo da un lato e dall’altro al ritmo di una musica che solo lei e la terra intera avrebbero potuto udire in quel momento, un segreto che tutti conoscevano eppure nessuno sapeva. Quando risollevò le palpebre, gli occhi lucidi si piantarono dolcemente sulla croce di legno. «Manchi.» confessò piano. Nessun nome, pronome, aggettivo, superlativo, come se fosse chiaro che, da quando lui non c'era più per Beat, il mondo intero si fosse capovolto e la sua mancanza non causasse un dolore individuale, bensì collettivo. Abbassando poi lo sguardo sulle proprie ginocchia - di fianco le dita della mano destra si stringevano ancora attorno all'auricolare rivolto verso il basso - Lys sospirò profondamente, pronta a mettere nuovamente da parte il senso di colpa aggrappato con gli artigli al suo stomaco, una presa ferrea che, sapeva con certezza, mai l’avrebbe abbandonata. Allora sorrise. «Sto solo cercando di fare la cosa giusta, Jan.» affermò con voce ferma, più per rassicurare se stessa che la terra sotto il suo peso. «Mi sembra che qualsiasi cosa faccia, anche quella che mi pare meno sbagliata, ci fa male continuò, scrollando quasi impercettibilmente le spalle. «Ho la sensazione che tutte quelle parole che del vocabolario di Beat ho imparato a memoria, fino ad assimilarne ogni significato, ora siano solo un disordinato groviglio di lettere che non sono neanche più in grado di leggere, figurarsi capirle.» confessò con un leggero tono di voce. Scosse brevemente il capo ed ecco che le scappò l’ennesimo sorriso, noncurante di rivolgerlo alla terra, a steli d’erba e radici di alberi che non poteva vedere ma che sapeva s’intrecciassero le une alle altre sotto di lei alla ricerca di vita. Ne avrebbero trovata, lì sotto? Un brivido le percorse la schiena come il frammento di un ricordo, quello di un tocco che non avrebbe mai smesso di trasmetterle vita fino al punto più buio che aveva dentro, fino al giorno più brutto della vita che ancora conservava tra le costole, forse fra cuore e polmoni, come se fosse l’organo senza il quale non avrebbe potuto vivere e, allo stesso tempo, morire. Per comprenderlo, quel punto sconosciuto e oscuro, Lys aveva dovuto ritrovarsi proprio nel mezzo.
    Quando la canzone terminò nelle sue orecchie e in quelle della terra, Lys ritirò la cuffia degli auricolari riposandola nuovamente sull’orecchio rimasto sordo fino a quel momento, poi allungò nuovamente la mano verso la croce di legno per andare a sfiorare con dolcezza lo scheletro di una Primula ormai secca depositata sul verde qualche tempo prima. La toccò con i polpastrelli nudi delle dita magre finché i petali si tinsero di giallo vivo e lo stelo, allungandosi di poco, tornò di un verde che sembrò brillarle nel palmo della mano, ne avvertì la linfa vitale sgorgare fino a bagnarle la pelle immergendosi in essa, una spugna di carne e ossa che distribuiva nuovi inizi e altrettante fini. Dono o maledizione, troppi erano i punti di vista da cui sarebbe stato possibile giudicare.
    Si sollevò piano, tornando a rimettersi in piedi e restando ancora qualche istante con lo sguardo sul fiore appena nato. «Spero tu possa perdonarmi.» Lo ripetè l'ennesima volta. Ballerò anche per te stasera, Jan. Come tutte le volte. sussurrò o forse lo pensò solamente, che a dirle a voce alta certe cose fa sentire stupidi, come parlare con la terra anche essendo certi che nessun altro possa ascoltare. Ed ecco che, in uno dei suoi enormi sorrisi, gli angoli delle labbra di Lys si andarono ad impuntare nelle guance colorate di rosa per via del freddo. Dopodiché diede le spalle a quel frammento di terra e al fiore che conosceva ormai alla perfezione, incamminandosi verso il lato opposto non più leggera, portandosi via solo quel senso di colpa che lì non avrebbe mai lasciato. Quel pezzo di terra e fiori doveva restare leggero tutto il tempo.


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    Il crop top bianco s'illuminava di tutti i colori del Bolgen, quei fasci di luce intrappolati nel buio della vecchia fabbrica abbandonata, un tempo rinata dalle sue stesse ceneri per trasformarsi in un luogo senza tempo e forse anche senza spazio, là dove la vita si asciava trasportare all'interno di un vortice di musica che tutto permetteva: Lys si sentiva sparire piano, dissolvendosi contro la pelle di qualcun altro mentre si faceva spazio camminando fra i corpi di chi conosceva e non. E dissolvendosi nella massa, ecco che riappariva, un fascio di luce acchiappava la ciocca di capelli ribelle che le ricadeva sulla fronte, si lisciava sulla punta del naso per finirle sulle labbra carnose aperte in un sorriso bianchissimo, i denti grandi sembravano voler mordere l'aria, la musica, il respiro di chi le stava intorno. E allora diveniva facile sentirsi parte di qualcosa sotto quel tetto altissimo, i fari bianchi blu, rossi, verdi e rosa raggiungevano chiunque affilando i movimenti di chi non riusciva a più a far funzionare i propri freni: non nei muscoli, non nello sguardo, non sulla lingua, non nelle intenzioni. Tutto era in costante movimento e Lys amava quegli istanti anche per questo, perché aveva l'occasione di saltare, ballare, scrollarsi di dosso il passato così come il futuro ed arrivare in alto, tanto in alto come quando si lasciava gettare per aria e il corpo allenato, avvolto in un paio di pantaloncini cortissimi e un top aderente, tornava ad essere libero. Era la formula matematica della sua vita, quella, dopo l'addizione che solo fra le sue mani era la conseguenza di una sottrazione, la stessa che teneva separati sole e luna, Lys e Beat, torace e dito. Ogni risultato d'addizione o sottrazione, però, non restava incosciente di fronte a quel tipo di matematica, così come a Lys era perfettamente chiaro di non avere più Beat; lo vedeva lì, spariva e appariva in mezzo a loro come accadeva a lei, le passava di fianco, restava a metri di distanza, cercava il contatto di chi le era simile e di chi, soprattutto, si distingueva in tutto e per tutto da Lys. Per un momento fu come stare sulla torre a Berlino, la ringhiera che le premeva contro la schiena incurvata per tenersi in equilibrio, per non cadere, non ancora. Chiuse le dita della mano intorno al polso di qualcuno, quando si voltò non riconobbe alcun volto, solo luce che a tratti veniva e andava, prima di un colore e poi di un altro, quando si voltò di nuovo lui era di nuovo altrove, lontano da lei e lontano dall'aria che coi denti ancora cercava di mordere. Ora ferma, si guardò intorno mentre tutto il resto continuava a muoversi a ritmo della musica, respirando a fondo per ritrovarsi con i piedi incollati al pavimento e il senso di leggerezza che strisciava via da lei, giù lungo le gambe scoperte e fino ai talloni.
    Le fu chiaro anche quando, entrata nel bagno dei maschi per saltare la fila in quello delle ragazze -sotto suggerimento di Fae- se lo ritrovò davanti avvinghiato al corpo di un'altra. S'immobilizzò, le gambe rigide sembrava si fossero disconnesse dal resto del corpo, le iridi azzurre cercarono di scollarsi dall'immagine, dal nodo di carne che le stava a due metri di distanza solamente e che, se solo avesse avuto un odore, le avrebbe quasi certamente fatto bruciare gli occhi. A labbra serrate e braccia tese verso il basso con i palmi delle mani che aderivano leggermente al tessuto della mini gonna aderente in finta pelle nera, Lys non perse comunque la posizione retta delle proprie spalle, petto e fondoschiena all'infuori, il corpo slanciato di chi non si ferma neanche un secondo. Sembrò quasi un'eternità: dietro le pupille, al sicuro nel cranio, la mente di Lys stava lavorando ad una velocità assurda, lottando per mantenere il controllo sulle sensazioni che quella visione a dir poco sgradevole stavano ora sprigionando dentro di lei. La pelle d'oca si prese possesso delle braccia, della schiena e del collo; ebbe la sensazione che i capelli s'irrigidissero sulla cute del capo, riuscì a muoversi solo per spostarne una ciocca dietro l'orecchio, le guance arrossate ora ben in vista. Quando lui sollevò finalmente lo sguardo su di lei, la trovò già ancorata a quella fetta di viso che, oltre la spalla della donna seduta su di lui in movimento, Lys aveva modo di scorgere. Serrò la bocca appena dopo aver passato la punta della lingua asciutta sul labbro inferiore, forse per impegnare la lingua in qualcosa che non fosse insultarlo. Com'era possibile che solo lui potesse farla impazzire in quel modo? «Ti unisci o te ne vai.» fu quasi un sussurro, quello che si levò dalle labbra di Beat, ancora schiacciato dal peso piuma della ragazza bionda che solo in quel momento sembrò tornare sulla terra, voltandosi in direzione di Lys per seguire lo sguardo di Beat che, ora, non sembrava essere più solo con lei, dentro di lei. E se per un breve istante quella consapevolezza le fece dispettosamente bene, lo sporco che gli vide addosso -anche solo per il momento che lei aveva interrotto infilandosi con lo sguardo fra i due- s'infranse persino su di lei, a due metri di distanza. Non disse nulla Lys, neanche quando la ragazza si fu finalmente sollevata per staccarsi da Beat. Si limitò a guardare lui e poi la tipa dai capelli biondi, quando questa si fu voltata per dare le spalle a Beat. Ne seguì la figura minuta ma alta sistemarsi il pezzo di stoffa che a stento le copriva busto e cosce, prima di avanzare verso di lei e oltrepassarla ridendo, probabilmente immaginando di esser finita nello scenario in cui Beat veniva beccato in flagrante. Quando la porta dei bagni si richiuse, Lys tornò a voltare il capo in direzione dei bagni, piantando le iridi azzurre di nuovo su di lui. «Non guardarmi così.» non seppe Lys se quella fosse una richiesta oppure solo il modo che Beat aveva per difendersi dalla propria vergogna. Eppure Lys ancora lo fissava, fermo lì, seduto con i pantaloni ancora abbassati e l'espressione sul viso di chi vorrebbe esplodere e divenire fiamme, bruciare tutto al suolo ed esplodere finché di lui non ne sarebbe rimasto altro che cenere. Era lo stesso desiderio che aveva Lys, non per lui, ma avvertiva il sangue bollirle nelle vene mentre alla mente tornavano momenti di pace e di guerra, scelte che aveva compiuto per scappare pur restando ferma e altre che aveva dovuto affrontare per limitare i danni.

    Quella che prese in quel momento avrebbe saputo collocarla solo dopo.

    Si avvicinò alla porta del bagno in cui Beat era seduto e, afferrandola con forza, se la chiuse alle spalle dopo essersi infilata nello sputo di spazio che si ritrovò a condividere con lui. Restando in piedi allungò una mano in direzione del viso di Beat per afferrarne il mento fra dito medio e pollice, premendo con i polpastrelli nella pelle ruvida del suo volto. Lo guardò restando in piedi, la nuca ricurva nella sua direzione, la pioggia di capelli andò a nasconderle le orecchie e parte delle guance. Fu un solo istante, il momento in cui Lys dimenticò la paura d'esser rifiutata forse davvero per la prima volta da quando lo aveva rivisto. C'era solo rabbia e non sapeva che farsene. Si chinò mentre tirava il viso di Beat nella propria direzione trattenendone il mento fra le dita. Posò le proprie labbra su quelle sottili di lui mentre dentro di sé combatteva contro ragioni che le suggerivano di fare l'esatto opposto. Per un momento fu addirittura capace di dimenticare cosa fossero e quanto distanti lo fossero, così che, quando tornò a staccarsi da lui, Lys faticò a credere che avessero potuto farsi così tanto male invece che bene. «Ti guardo come si guarda uno che fa male quando invece è capace di fare bene.» sussurrò, posando l'altra mano su quella di lui per afferrarla e stringerla, provò a bloccarne ogni movimento mentre la punta delle unghie affondavano nel palmo della sua mano. «Perché diavolo credi che sia ancora qui?» chiese, ora lo sguardo si faceva corrucciato, le sopracciglia s'incresparono sotto il peso di un'espressione che aveva un misto di rabbia e incomprensione, forse ingiustizia nel non sentirsi capita, non sentirsi letta da chi, tempo prima, aveva saputo farlo come nessun altro. Lys aveva la sensazione che la propria vita fosse venuta alla luce nel momento in cui l'aveva incontrato, tutti quegli anni prima, ora ne avvertiva i ricordi ancora vivi eppure come se venissero da due esseri umani che avevano rubato loro tutto quello che un tempo li aveva resi quello che erano stati. Quel qui era per Lys nessun luogo materiale, più che altro una sensazione, un sentimento di cui non riusciva più a liberarsi e che tornava ad oscurare tutto il resto nel momento in cui le iridi azzurre di lei s'immergevano letteralmente in quelle blu elettrico di lui, dimenticando che potessero esserci tanti altri mari di colori diversi. «Voglio che tutte queste cose tu le faccia con me affermò, il tono della voce un sibilo ruvido, una preghiera che più che tale, voleva esser un'affermazione, forse un comando. Tirò la mano di Beat dietro la sua schiena per farlo avvicinare non con l'intenzione di provare a fare qualcosa, ma perché inconsciamente voleva, Lys, che Beat si scuotesse, che la vedesse. Quella vicinanza però scosse anche e soprattutto lei, che in quello spazio angusto ora sentiva di essere al di fuori, lontano da mura, corpi, respiri sconosciuti. Lì dentro Lys aveva quello che stava cercando da una vita, l'addizione alla sottrazione. «Cos'hai visto?» chiese a bruciapelo, le dita premevano sulla pelle calda del viso di Beat. Senza aver bisogno di specificare che si trattasse dell'orribile esperienza avvenuta lo scorso anno, lui avrebbe compreso a cosa si riferisse Lys. «Chi hai visto, Beat?» ripetè, questa volta scandendo piano le lettere del suo nome mentre lo pronunciava, le bruciarono sulla lingua quelle quattro lettere che mai aveva dimenticato, le erano stampate sul retro delle palpebre, dentro il cranio, sotto la gabbia di costole che proteggeva il luogo nel quale quel nome era nato. Fu allora che, abbassando per la prima volta lo sguardo dal suo viso, Lys lo puntò sul petto di Beat, lì dove l'impronta del proprio dito ancora bruciava su entrambi. Gli liberò il mento dalla presa della mano per lasciarla scivolare verso il basso, sul petto, là dove ora il polpastrello coincise alla perfezione col la piccola cavità che Beat aveva all'altezza del cuore.
    Il dito di Lys la riempiva alla perfezione.
     
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    C'era sempre un riflesso nei capelli di Jan che lo abbagliava come il sole. A volte era così intenso da distrarlo, l'amico parlava ma Beat non lo ascoltava già più, strizzava le palpebre, il biondo sfavillante sembrava volerlo avvertire di un futuro che però Beat ancora non poteva capire. Sembrava volergli dire, apri gli occhi, guardami finché puoi. Gli faceva pensare alla madre anche se Beat non ci pensava quasi più a lei, troppi gli anni passati, la voce si era confusa e il viso troppo spesso si disfaceva, l'argine si era spezzato da tempo e l'acqua sotto i ponti aveva straripato. Troppo difficile ricordare. O dimenticare? Però c'erano volte in cui gli tornava in mente d'improvviso, più un dettaglio che altro, una cosa minuscola che gli intirizziva ogni osso. Allora chiudeva gli occhi, li strizzava come affrontasse il sole, il fuoco, e non guardava Jan che di fianco a lui gli parlava del suo nuovo ragazzo, Ich glaube, ich liebe ihn, credo di amarlo. Cos'era l'amore? Gli venne in mente l'altra lucciola della sua vita, la più piena, quella che emanava la luce più calda anche sotto al sole di mezzogiorno, e come al solito avvertì una fitta alle reni, un languore che avvertiva solo quando pensava a lei. Non guardava il biondo di Jan che voleva attirare la sua attenzione, la ciocca argentea che la madre portava dietro l'orecchio, i cerchi di luce disegnati su una schiena che non respirava più. Mi manchi. Lo avrebbe dovuto dire più spesso o dirlo e basta. Dirlo a Jan, dirlo a Mia, dirlo alla madre, a Lys, a Paul. Ma a dirlo si pensava automaticamente al distacco, alla perdita, non poteva neanche sopportarne l'idea. Mi manchi.
    Veniva più facile distogliere lo sguardo, concentrarsi sulla sigaretta rubata, sui passi ondeggianti, sul profumo di bagels e salmone dalla vetrina di una bakery lì vicino, era buona ma mai come quella a casa, a Berlino, quella sotto casa da cui certi Sabato mattina la mamma tornava avvolta dal profumo delle brioche. Lo sentiva dalle scale, le rimaneva nei capelli per ore. Era più semplice ascoltare la città che era già sveglia da un pezzo, mica come loro, a cui di giorno i luoghi non sembravano più gli stessi della notte prima, come se avesser perso colore, pienezza. Pensava a qualsiasi cosa piuttosto che a quella sensazione di perdita che provava da sempre, o da quando la schiena magrissima della madre aveva smesso di respirare, come se tutto dovesse fermarsi da un momento all'altro e lui ritrovarsi fermo, immobile su un letto gigante. Da solo. Mi hai sentito? ich liebe ihn Lo guardò, finalmente prestò attenzione alle iridi castane e a quei capelli che volevano a tutti i costi parlargli. ≪Se sei felice, sono felice. Vorsichtig sein≫ Solo sta' sattento. Le ossa avevano tremato. Perché? Perché l'aveva sentita di nuovo, la stretta della paura di perdere qualcuno. Ma cosa poteva saperne davvero lui, come poteva immaginare, Beat, che quella luce si sarebbe spenta e il buio sarebbe calato su di lui, su di loro, su tutti quelli che quel biondo l'avevano visto almeno una volta. Perché Jan era così, gli si voleva bene da subito senza doversi neanche impegnare. Ti rimaneva dentro, Jan. Un hallo, tutto quello che serviva.
    Mi manchi, Jan.


    Gli sembrava così stupido, così poco, ora, parlare d'amore. Cos'era diventato, che nome aveva quella cosa che ora li univa e li separava, li univa e li separava senza sosta? Non poteva trattarsi d'amore perché faceva un male terribile, un male fisico che risaliva su per la gola insieme all'alcool e a poco altro. Da quanto non mangiava? Spingeva per uscire insieme alla vergogna, a una rabbia cieca, come le lacrime contro l'interno degli occhi, voleva schizzare da lui e attaccare lei per farle sentire come si sentiva. Male. Sul letto enorme, solo con una schiena svuotata d'aria. Beat non riusciva a reggerlo, quell'azzurro tanto sfacciato, tanto sincero. Per questo chinò il capo, trafficando con la cintura e le braghe che tirò su per coprirsi, nascondere quello che sentiva ora come uno scempio. Perché? Stava bene, prima, a fare quello che faceva, era un suo sacrosanto diritto decidere di che cosa riempirsi il vuoto nel costato e lei era lì per farlo sentire sbagliato. Perché? Non l'aveva mai capito. Lei, tornando, aveva rovinato tutto. Quando le dita di lei gli afferrarono il mento costringendolo a guardarla Beat emise un singulto, uno solo, leggero ma lancinante a tal punto da somigliare a qualcosa che si infrangeva tra gli organi e le ossa. La lucciola più luminosa di tutte. Poteva sopravvivere in tutto quel buio? Non si permise di chiudere gli occhi neanche per un secondo, guardò le ciocche cadere e trascinare via orecchie e guance alla vista. Desiderò tirarle indietro, scoprirle, disegnare il contorno delle sue fossette con le la punta delle dita. Ma non aveva energia, Beat, la forza era finita, Beat si era perso. Non strizzò gli occhi neanche quando l'azzurro delle iridi di Lys si confuse con il rosa del naso, neanche quando le ciglia lo solleticarono, o quando l'odore della sua pelle oltrepassò il tanfo dei bagni, una ventata di buono a spazzare il marcio. Ce l'avrebbe fatta? Sarebbero riusciti a vedere la luce? Beat non lo sapeva, e la risposta non tardò ad arrivare. Uno che fa male. Quasi non sbatteva le palpebre, Beat. Quasi non aveva reagito al bacio, come fosse morto, o come uno a così tanto dall'esplodere. Se avesse parlato, se solo avesse aperto bocca, tutto sarebbe colato a picco. Sentiva il tremolio delle ossa, il presagio che ogni volta cercava di avvertirlo. Nel bagliore dei capelli di Jan, nella ciocca grigia della madre, nei sistemi solari che Lys aveva al posto degli occhi. Erano tutti in grado di vederli? Guardami, ora che sei in tempo. Provò a slacciare le loro mani, solo l'ombra di un tentativo, un fare finta fiacchissimo che le unghie di Lys, conficcate nel suo palmo, bloccarono senza alcuno sforzo. Lasciò la sua aperta, quasi inerme nella presa di lei. Ma non poteva farlo, non poteva perderla definitivamente, di nuovo. Meglio così, meglio incazzati, meglio distruggersi che darla vinta al destino che, era evidente, non li voleva felici insieme. Distolse lo sguardo ancora e ancora. Si sentiva debole e al contempo c'era qualcosa che dentro cresceva. Non aveva nome, rabbia non bastava, delusione, dolore, paura, vergogna. ≪ Warum?Perché perché perché perché? Anche quella volta, la risposta non si fece attendere troppo. «Voglio che tutte queste cose tu le faccia con me.» Gli occhi saettarono di nuovo verso di lei, stavolta senza una spinta, senza un comando. Sembrava un avvertimento, quell'occhiata traversa di Beat. In pochi secondi si ritrovò con lei ma altrove, seduto in un ricordo, steso supino su un letto di cuscini circondato da candele, sopra di lui il viso all'incontrario di Lys lo guardava. I denti grandi spuntavano appena come scaglie di zucchero su labbra cappuccino. Lei gli diceva qualcosa e lui non sentiva nulla, forse non le ricordava, quelle parole. Vedeva solo la bocca muoversi, la punta della lingua spuntate di tanto in tanto tra gli incisivi, i capelli gli sfioravano la barba di qualche giorno mentre lei a carponi gli prendeva la mano e la spingeva dietro la schiena. Lui di slancio la abbracciò, in quella posizione assurda le cinse la schiena e restarono così a lungo, finché uno sfrigolio li costrinse a slacciarsi. Lys si voltò e il bagliore di una vampata la sorprese. I suoi capelli stavano prendendo fuoco. Presero entrambi a colpirli con le mani, con i cuscini, domando quel principio di incendio che la lasciò con le punte bruciacchiate. Dopo qualche minuto di interdizione, ancora col fiato corto, scoppiarono a ridere. Con il tempo Beat avrebbe modificato inconsciamente quel ricordo, e quando gli sarebbe tornato in mente avrebbe visto le ciocche di Lys risplendere, e incorniciarle il viso proprio come un sole. Sarebbe rimasta avvolta da una luce irresistibile, quella che Beat non avrebbe mai smesso di puntare. Aveva cominciato a bruciare nel momento esatto in cui Beat l'aveva abbracciata, aveva preso fuoco tra le sue braccia. D'impeto si alzò, obbedendo al comando muto di Lys, seguendo quella mano le cui dita fecero ora presa sulla schiena, metà sul crop top bianco e metà sulla pelle. L'aria si rarefece all'istante mentre Beat premeva contro di lei con una forza e una disperazione insaziabili. Ricordò i baci più belli e più tristi che avevano avuto, di solito gli ultimi di un periodo felice ormai agli sgoccioli. Il bacio all'ospedale dopo l'incidente, il bacio al lago, il bacio di giuda l'ultima volta che l'aveva vista. Sapevano tutti di lacrime, quei baci, lacrime per lui, per Jan, per la colpa di Lys e quella di Beat. Fu così repentino che niente la avvertì del suo arrivo, e niente le avrebbe potuto far immaginare cos'altro sarebbe arrivato dopo. Nessuno ammonì neanche lui del resto, che non appena cercò respiro da quelle labbra venne colpito a bruciapelo da quella domanda. La trovò invadente, personale, quasi un affronto. E quell'impronta digitale sul petto che si adattava perfettamente al suo corpo. Un brivido, una scarica elettrica dritta al ventricolo sinistro. Si ritrasse bruscamente come scottato. Come se i capelli di Lys fossero di nuovo in fiamme. Ma era la sua faccia ora a ribollire. La collera offuscava ogni altra emozione, ingrossava la barriera che da un po' lo separava dagli altri, isolandolo. La collera guastava tutto, persino la voglia che aveva di Lys. Il suo nome, in bocca a lei, era dolce e faceva male al tempo stesso. «Lys, no.» La ammonì. Non sapeva neanche perché fosse così arrabbiato, probabilmente perché quello che aveva visto l'aveva sconvolto a tal punto da impedirgli di riuscire a parlarne. Quella verità era troppo grande per chiunque, figurarsi per lui che era nessuno. O forse perché una parte di lui sentiva come un tradimento non aver visto Jan o la madre, cosa avrebbe dato pur di rincontrarli un'ultima volta. Ma lo sapeva che era sempre stato quello il suo destino, che la sua vita e la sua morte erano legati a Lys e non c'era scampo, non poteva essere altrimenti. Forse vedeva come un affronto il fatto che lei non lo amasse quando lui invece quasi non ci aveva pensato due volte a premere il grilletto e a uccidersi per lei. Ci era cascato, era così debole, così inerme quando si trattava di Lys da arrivare a quello. E lei non lo vedeva, era quello a fare male. Non che fosse morto per lei. Eppure era più semplice covare rancore piuttosto che parlare. Ripiombava così nei vecchi meccanismi, strizzare forte gli occhi per non dover vedere. Le aveva voltato le spalle, una mano tra i capelli umidi, le gambe che sfioravano il gabinetto. «Chi hai visto, Beat?» Trovava oltraggioso che le servisse chiedere. Sollevò la testa verso l'alto, vero la finestrella sottile che dava sul buio. Le spalle si alzarono sotto la maglietta, prendeva respiro prima dell'esplosione. «Vuoi sapere chi ho visto?» Si voltò di nuovo per fronteggiarla, la voce alta vibrava distorta col sottofondo musicale. Voleva uscire, ma per farlo avrebbe dovuto spingerla, toccarla, non poteva farcela. «Te.» Le puntò l'indice contro, cattivo. «Sarebbe potuto essere Jan, avrebbe avuto senso, non credi? Il mio migliore amico che...» Si bloccò, una mano aperta sulla faccia. « E invece no. Vieni anche prima della mia cazzo di madre morta, ti rendi conto?! Scheisse!» Dalla propria faccia, il palmo della mano aperta piombò abbattendosi sulla fragile impalcatura che divideva i cubicoli, facendola tremare. Anche Beat tremava ora, le mani, la voce, il petto scosso dal respiro affannato. La guardò, istanti e respiri sospesi. Avrebbe voluto solamente tornare indietro a quella sera, quando a Lys si erano incendiate le punte dei capelli e dopo il panico aveva riso fino a stare male. Perché era tutto così difficile?
    Alzò le mani di nuovo ma non per colpire altro, lei mai, ma per tirare su la maglietta sgualcita e lasciare scoperto il busto, lasciarsi guardare; si batté il palmo sul petto due, tre volte, finché non si arrossò. ≪Te la fai con Paul, gli dici cazzate, lui mi taglia fuori, tu mi tagli fuori, è proprio come se non esistessi, e io che mi punto una cazzo di pistola contro. Parlando di cose che fanno male, ah?» Restò zitto per un po'. Possibile che non riuscisse a capire quanto la volesse? Aveva ancora il fiato corto, le labbra livide come se avesse passato la giornata in acqua. Scoprirsi, colpirsi lo aiutò a spogliarsi un po' della rabbia, sentiva il peso del mondo sulle spalle che lo schiacciava, sul petto lì, sul tatuaggio, sull'impronta del dito di Lys ora ancora più affossato. Un piccolo cratere tra le ossa, i bordi più scuri quasi bruciacchiati come le punte dei capelli di Lys quell'estate, come se la polvere da sparo stesse ancora fumando sulla cicatrice brutta. «Non ho quasi pensato a nessuno, lì. Per me era normale che fossi tu a chiedermelo, era scontato dirti di sì.» Disse a voce bassissima, colpevole. Neanche a Mia aveva pensato, ma era forte, lei. Senza di lui se la sarebbe cavata, no? «Volevo tornare a Berlino. Volevo solo stare con te.» Non gli serviva spiegare cosa avesse fatto, non sarebbe neanche riuscito a dirlo. «Sono felice che tu abbia detto di no, chiunque te l'abbia chiesto.» Continuava a guardarla con quegli occhi cerchiati, occhi arrugginiti dal tempo avverso.

    Edited by scarecrow! - 4/6/2023, 17:39
     
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    Lì, a meno di mezzo metro di distanza da lui, rinchiusi in quel sudato metro quadro di spazio, Lys ricordò il momento in cui, meno di un anno prima, aveva provato ad allungare una mano nella sua direzione per abbracciarlo e, invece, aveva solo potuto acciuffare un pugno d'aria, la stessa che, attraversandole gli spazi fra le dita, le era sfuggita via e niente si era lasciata dietro. Niente di tattile, solo quella spiacevole sensazione d'illusione che casca per terra e si frantuma, nessun vero suono, eppure solo caos. Lo ricordava come fosse stato il giorno prima, come se non fosse mai davvero andata a letto, come se non avesse avuto neanche il tempo per addormentarsi e, risvegliandosi, credere fosse stato solo un sogno, l'ennesimo, perché ogni cosa che aveva vissuto insieme a Beat avrebbe potuto esserlo: i giorni belli tanto quanto quelli brutti. Aveva potuto toccarlo solo dopo, di nuovo; quando steso nel letto d'ospedale, Beat aveva perso quasi tutto ciò che lo rendeva Beat, a partire dal movimento, quel continuo stato di tensione che si sprigionava attraverso braccia e gambe ad ogni beat musicale, ed era negli spazi grandi tanto quanto in quelli piccoli che lui rinasceva ogni volta: sotto l'alto soffitto del Bolgen, sospeso fra buio e fasci di luce, o sul sedile dell'auto mentre guidava con la musica a palla. Lo aveva conosciuto in quel modo, in mezzo alla vasta distesa di verde, fra un tenda colorata e l'altra, fra un salto ed un passo, fra un marshmellow bruciacchiato dalla fiamma di un fuoco che li avrebbe riscaldati a tarda serata, e uno sguardo interessato, troppo curioso da lasciar inesplorato, ignorato. Non aveva mai davvero smesso di sapere chi fosse, cosa fosse per lei e che significato avesse nella sua vita. Beat era giunto così, come la nota musicale di una canzone che sai subito ti resterà dentro, ad ogni rintocco l'aveva riconosciuta, come quando entri in un negozio d'abbigliamento e lì la trovi di sottofondo, neanche ci pensi e già la stai canticchiando, ti riporta lontano, dietro o avanti, in luoghi della mente che tempo non conosce, solo sentimenti, una coda di pelle d'oca che ti si muove addosso, la stessa che scosse Lys in quello stesso istante, quando le labbra incontrarono quelle di Beat senza incontrare lui ancora per davvero. Irrigidito, seduto, Beat si era lasciato sfiorare senza reagire a quel tocco lasciando Lys alla ricerca della stessa nota che lui cercava impertinente di nasconderle. C'era qualcosa, il segreto di un suono che conoscevano entrambi e che sembravano aver dimenticato come funzionasse, chi potesse condividerlo, come potesse esser condiviso. Per quello Lys cercò la sua mano per fermarla fra le proprie dita. Per quello Lys afferrò il mento di Beat per trattenerlo fra i polpastrelli e stringere, stringere forte per non farlo scappare via, anche quando notò lo sguardo del ragazzo vagare altrove, sembrò lisciare ogni superficie tranne che la pelle di Lys, un vento che vorticava all'interno di quelle mura sporche, era lo stesso che le scompigliava i capelli sulla nuca, dondolavano sul viso di Beat mentre lei restava chinata col capo nella sua direzione. Erano settimane che non le rivolgeva lo sguardo, si richiudeva nel proprio silenzio e nessuno sembrava poterci più entrare, cercare quella nota che a Beat tanto piaceva, una melodia caotica e felice, qualcosa che pensava di avergli strappato tempo prima e che l'aveva soffocata nei sensi di colpa di cui mai era davvero riuscita a liberarsi, gli stessi che avevano strappato a lei il sorriso per così tanto tempo, ma mai i ricordi di cosa si provasse ad averlo intorno, di fianco, sopra, sotto, perché Beat aveva riempito le sue giornate con una parola, con una carezza, con un pizzico, lo stesso che l'aveva salvata un anno prima dentro quell'arena, sulla torre più alta di Berlino. Però, tra tutto ciò che era cambiato, una cosa continuava a restare la stessa: ≪Warum?≫ la voce di Beat risuonò roca in mezzo a quelle pareti di plastica, parlò una lingua diversa, lontana, straniera. Si pronunciava nella sua lingua madre, il tedesco, e Lys sapeva Beat parlasse per lei, che era un modo di comunicare che lui usava quando aveva l'impressione che in norvegese fosse emozionalmente troppo difficile da concepire, un po' come tutti quei ich liebe dich detti a voce bassa con la testa posata su una pila di cuscini o urlati con le mani a cingerle i fianchi per proteggerla da una folla che li avrebbe schiacciati a ritmo di techno. Era strano, Beat parlava con Lys una lingua che lei non conosceva e Lys, di tutta risposta però, capiva lui.
    Quando smise di tirargli la mano, Beat si era sollevato, aveva ceduto a quel richiamo, alla mano di Lys che gli restava saldamente ancorata, le unghie ancora premute contro la pelle dei palmi ruvidi di lui, gli stessi che ora sembrarono cercare ogni contatto possibile col corpo di lei, eppure non davvero con la sua Lys, quella che aveva conosciuto troppi anni prima, la stessa che lo aveva riportato lì dov'erano, la stessa che era sparita per un tempo indefinitamente lungo senza mai cancellarlo da dentro al petto, un battito dopo l'altro il cuore accelerava la propria andatura lì dentro, sgomitava fra le costole di uno scheletro che senza l'altro sembrava esser stato ricoperto di muschio da quando non lo aveva più visto. E le domande erano state centinaia, giorno dopo giorno, così come i secondi interminabili d'attesta quando, per qualche ragione, lui l'aveva chiamata senza mai parlare. Come lo dici a qualcuno che ami che la scelta compiuta, quella d'amarlo, ha portato via un altro pezzo di vita? Non lo dici, ti assenti. E il bacio, ora, sapeva di quello: d'assenza. Quasi fu Lys a non reagire, stavolta, restando lì impalata mentre riconosceva la scarica di rabbia provenire da Beat e trasformarsi in carne, in qualcosa che non avrebbe fatto male come uno schiaffo, ma che fece male come un insulto. Perché sì, c'era desiderio e lo avvertiva salirgli da dentro, forse da qualche parte fra stomaco e cuore, o fra cuore e polmoni, questo lei non poteva saperlo, eppure un bacio come quello non era ciò che aveva cercato, non era ciò che li aveva fatti addormentare spesso immersi nel buio di un auto dopo una nottata di festa, oppure neanche uno di quelli che li aveva visti ricongiungersi dopo due giornate pienissime di cose da fare, allenamenti, organizzazione di una serata, una pila di libri accatastata sulla scrivania in una mansarda con un numero piuttosto esagerato di cuscini sparsi per terra. No, loro non erano quello, non erano quel bacio immobile e rancoroso.
    Posò allora una mano sul petto di Beat e, provando piano a spingerlo via mentre contemporaneamente si ritirava con la nuca, si staccò da lui pur restandogli vicinissima, quasi fosse inconsapevolmente indecisa sul da farsi, impaurita che il distacco avrebbe piantato un'altro pezzo di terra infinita fra di loro e lei non avrebbe potuto più udire quel beat venirgli da dentro. Si chiese, Lys, cosa avrebbe fatto se quella rabbia nei suoi confronti che Beat covava dentro fosse esplosa durante quella notte di un anno prima: sarebbe stata capace di toccarlo per riportarlo da lei, senza doverlo vedere disteso in mezzo alle lenzuola bianche dell'ospedale? E la domanda che più bruciava, ancora dopo tutto quel tempo, restava sempre la stessa: le era rimasta dentro la testa ogni giorno, si era svegliata con lei, aveva vissuto con lei, si era riaddormentata con lei. Era la domanda che non avrebbe dovuto pronunciare mai a voce alta ma che, invece, in quel momento venne fuori come il proiettile di una pistola, lo stesso che probabilmente si era conficcato nel petto di Beat quella notte. Chiuse istintivamente le mani in due pugni al ricordo del sangue che gli aveva visto macchiare la maglietta sulla spiaggia quando non aveva potuto niente contro la forma che aveva preso, astratta, lontano da lei e quello che avrebbe potuto fare per lui, lontano dal rischio di sacrificare qualcun altro per egoismo, per un sentimento che per Beat ancora bruciava dentro come fosse fiamma viva. Era dura doverlo ammettere a sé stessa, ma di quello si trattava davvero alla fine: lo aveva fatto per Beat, certo, lo aveva fatto senza esser ancora sicura di come funzionasse, certo; lo aveva fatto perché, in ogni possibile scenario, Lys non avrebbe mai amato nessun altro come aveva amato Beat e, bè, alla fine così era stato e dopo quasi dieci anni, Lys si ritrovava ancora in un metro quadrato di spazio sudicio, eppure ancora alla ricerca del suo sguardo. E sì, forse lo avrebbe fatto di nuovo. Sì, lo avrebbe rifatto.
    «Lys, no.» ci provò, Beat, a scacciare via qualsiasi tempesta stesse arrivando, eppure Lys continuò, stavolta con le mani di nuovo aperte e le dita a cercare il cratere che lei aveva creato sulla sua pelle, trovando casa per le sue dita dentro di esso appena prima di perderlo di nuovo vedendolo sottrarsi a quel contatto, darle le spalle mentre cercava di sfuggire forse sia alla domanda che allo sguardo di lei.

    Fu fugace, quel pensiero. Apparve per un istante e le infestò la mente come un formicaio, si diramò dalla testa al petto come le radici di un albero che cercano casa nella terra più profonda, cercano il punto in cui scorre l'acqua per restare in vita.
    Fu veloce, eppure sembrò lasciarsi la scia dietro, quel pensiero assurdo.
    "E' qui che finiamo." - lo aveva detto mille volte a sé stessa, cento volte a Beat senza mai parlare, una volta a voce alta. E' qui che finiamo?

    Mai Lys si sarebbe aspettata quella risposta. Si scagliarono su di lei tutte quelle parole, per un momento credette le temperature si fossero abbassate e il gelo volesse avvolgersi attorno a lei salendo dalle gambe, i polpacci tremarono come ghiaccio che viene colpito per essere spaccato; i capelli delle stalattiti del colore della terra che all'improvviso iniziarono a pungerle la schiena e le spalle. Si ritrasse di un piccolissimo passo, Lys, scontrando il separé di plastica nera con la schiena, non avendo alcun altro luogo in cui andare, come persa in un posto che in quel momento non le sembrò appartenerle. Se lo chiese di sfuggita, cosa ci faceva nel bagno degli uomini? E perché Beat aveva alzato la voce? La punta del dito indice indicava il petto di Lys avvolto in un crop top bianco aderente, le sembrò soffocarla mentre si stringeva attorno al suo torace. «Te.» lo disse quasi con disprezzo, con rabbia e risentimento e Lys restò immobile nel suo spazio, non riuscì a muoversi di un millimetro mentre, a labbra schiuse, provò ad inspirare una sola volta, profondamente, alla ricerca non solo d'aria ma di parole, ragioni, forse uno schiaffo che avrebbe potuto riportarla nel mondo reale. «Sarebbe potuto essere Jan, avrebbe avuto senso, non credi? Il mio migliore amico che...» si fermò per un istante e Lys tornò a serrare le labbra mentre sollevava le mani a cingersi le braccia, strinse fortissimo le dita attorno alla pelle nuda e fredda, le nocche divennero bianche così come il resto della cute posta sotto pressione. «E invece no. Vieni anche prima della mia cazzo di madre morta, ti rendi conto?! Scheisse!» e la mano di Beat piombò aperta contro la parete che divideva i cubicoli, Lys ebbe la sensazione che la terra stesse per aprirsi sotto i loro piedi e risucchiarli dentro.
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    ≪Beat...» venne fuori lieve dalle labbra carnose di Lys quel richiamo, non impaurito, non arrabbiato, non rassegnato. Fu lieve, triste, quasi automatico, inaudibile con la musica del Bolgen di sottofondo e i movimenti rabbiosi di Beat che, ora, afferrava i lembi della propria t-shirt per sollevarsela e sgualcirla mentre, con l'altra mano, andava a premere uno, due, tre colpi sul petto. ≪Te la fai con Paul, gli dici cazzate, lui mi taglia fuori, tu mi tagli fuori, è proprio come se non esistessi, e io che mi punto una cazzo di pistola contro. Parlando di cose che fanno male, ah?» continuò lui e, finalmente, Lys ebbe la sensazione di potersi muovere di nuovo. Liberò le braccia dalla stretta delle dita per portare la mani al viso e oscurarlo qualche secondo, nasconderlo allo sguardo furioso e triste dell'altro che sembrava essersi liberato di un peso soffocante. Nel silenzio che seguì subito dopo, Lys restò col volto nascosto fra le mani, almeno finché non riuscì a muoversi di qualche passo verso sinistra, poi di nuovo verso destra, in quel metro quadrato incastrato fra due pareti nere di plastica. Fece scivolare via le mani dal viso continuando a tenere gli occhi chiusi mentre Beat continuava, questa volta il tono della voce più pacato, forse ora rassegnato. «Non ho quasi pensato a nessuno, lì. Per me era normale che fossi tu a chiedermelo, era scontato dirti di sì. Volevo tornare a Berlino. Volevo solo stare con te.» aggiunse ancora, e le parole sembrarono rimbombare in quel cubicolo, per un attimo Lys credette ci fosse troppo spazio, troppo spazio per muoversi lì dentro e Beat, Beat troppo lontano, troppo distante, per quello c'era l'eco nella sua testa? Si portò una mano alle labbra, Lys, mentre riapriva gli occhi e si voltava a guardarlo, fermando di nuovo il dondolio del corpo. Le iridi azzurre ora lo guardavano da sotto uno strato d'acqua sottilissimo, Lys dovette chiudere e riaprire le palpebre più volte mettendoci tutta la forza che avesse per non lasciare che le lacrime scendessero irrecuperabilmente lungo le guance bianche, eppure qualcuna sembrò riuscire a scappare mentre lei schiudeva le labbra per parlare e nessun suono sembrava uscire.
    D'un tratto fu capace di udirlo, quel suono: fece crack dentro, un beat che sembrò smuoverle tutte le costellazioni che aveva dentro e che solo lui era stato capace di vedere, osservare, una vista di cui aveva goduto finché i pianeti non erano spariti sotto metri d'acqua e, anche quando lui li aveva riportati a galla, non avevano mai più brillato, tutte le stelle del cielo s'erano spente, annegate in un pomeriggio qualunque in un lago qualunque lì, da qualche parte fra gli arbusti altissimi di un bosco norvegese. ≪Come... perché?» domandò voltandosi finalmente nella sua direzione, gli occhi spalancati, il capo che si scuoteva, faceva no con la testa Lys, solo no, no, no, no. ≪Perché, Beat!?» ancora, un passo avanti nella direzione dell'altro. ≪Ci siamo passati, dannazione!» esclamò a voce più alta, tremava ora, così come le corde vocali dentro la gola, infondo alla lingua. ≪Come hai potuto pensare che volessi questo per te?» chiese ancora, le sopracciglia corrucciate le donarono una delle poche espressioni disperate che fosse possibile riconoscerle in volto. ≪Ho usato queste mani per riportarti da me, Beat. Le vedi?» implorò lei, i palmi delle mani ora aperti fra di loro all'altezza del viso di Beat. ≪C'è l'impronta del mio dito sul tuo petto, Beat. Qui, è proprio qui!» continuò e, lentamente, la lucidità che aveva accumulato sopra le iridi blu si fece onda, cascata, venne giù sulla pelle del viso e fu caldissima, come se tutto il calore del mondo che aveva perso nella sensazione di gelo di poco prima si fosse concentrata lì dentro e, ora, cercava di raggiungere ogni centimetro della sua pelle per riscaldarla e riportarla in vita. Con una mano andò ad afferrare lei il collo della maglietta di Beat questa volta e, frettolosa, lo tirò giù per andare a far aderire il polpastrello alla propria incavatura nel torace dell'altro. Chinò il capo per posare la fronte contro il mento di Beat, scivolando poi piano poco più in basso e premere con la fronte nell'incavo del suo collo, il dito ancora al suo posto, l'altra mano ora andava ad afferrare il braccio dell'altro per stringerselo fra le dita. Era una rabbia che non comprendeva, Lys, che con i propri sentimenti mai era stata brava a comunicare; che dai propri sentimenti così spesso si era lasciata schiacciare, impotente, incapace di comprendere come fosse possibile vivere con così tante tempeste dentro, belle o brutte che fossero. Si era sentita spesso esageratamente piccola per tutto quel sentire, la faceva tentennare, cercare la soluzione più facile, il tasto da premere per arrestare quel sesto senso che gli altri sembravano gestire sempre meglio. ≪Ho pensato non ti saresti risvegliato e non sapevo cosa fare, come fare... eri lì, steso, gli occhi serrati, non ti muovevi- si bloccò per riprendere fiato, il pianto ora sembrava aver ripreso la meglio sul respiro e sulle parole e Lys avvertiva un'esplosione di ricordi e di parole e di sensazioni nel petto e non sapeva cosa farci con tutta quella roba mentre le mani erano impegnate a trattenere una delle poche cose che non avrebbe mai più voluto perdere nella vita. ≪E le mie mani non potevano fare niente.» proseguì il treno di parole, la nuca che tornava ad alzarsi e cercare lui con lo sguardo, poi si riabbassava, vergognosa, impotente nel ricordo di qualcosa che l'aveva mangiata da dentro. ≪E il pensiero di Jan, Beat...» scosse il capo, serrando di nuovo le palpebre e nascondendosi di nuovo per qualche secondo nel buio per non vederlo, ritrovandosi però dinanzi al ricordo dell'amico seduto nella macchina, la cintura di sicurezza ancora allacciata, le aveva afferrato la mano e l'aveva stretta come mai aveva fatto prima. ≪Non volevo abbandonare te.» disse, ora a voce più bassa, gli occhi ancora chiusi, il volto ora chino col mento che quasi s'incontrava col petto. ≪Volevo sopprimere la consapevolezza di averti ridato noi ma averti privato di lui.» aggiunse piano, pianissimo, un filo di voce che a sentirlo non sembrò neanche il suo. Lys, che s'insinuava ovunque saltellando, che faceva notare la propria presenza guardando senza sosta, senza paura, osservandosi intorno; Lys che era ripiombata nella vita di Beat facendo un compromesso con sé stessa, perché meglio averlo così come lo aveva avuto fino a quel momento, che non averlo affatto. Quando riaprì gli occhi, Lys e Beat erano vicinissimi e, per qualche secondo, ci fu solo silenzio. ≪Non è Paul che amo, lo sai, vero?» La mano di Lys scese, raccolse quella di Beat nella propria e si fece seguire sul fianco morbido e rimasto scoperto fra top e gonna. Lì, in quel punto, Lys strinse le dita di Beat attorno alla propria pelle. «Allora tirami un pizzico e dimmi che è reale, Beat.» sussurrò piano, spostando poi lo sguardo dalle loro mani al viso di Beat.
    Glielo aveva detto Lys su quella torre, ma il pizzico non era mai arrivato. Non avrebbe potuto essere reale.
     
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    If we could turn the hours back in time
    you'd know I've been running in circles for you ☽☀
    Gli risultava impossibile quel confine invisibile tra il proprio e lo spazio di lei, una membrana senza pareti attraversata dalle mani ogni volta che si cercavano, dalle labbra in quei baci tristi; dai cuori che cercavano disperatamente di aggirare il trascorso e raggiungersi. Era facile perforare quella parete, inesistente se non nelle loro menti, sfiorarsi quel tanto che bastava perché scottasse, perché facesse male e del dolore si ricordassero. Ed ecco che si ritraevano di nuovo addossandosi alle pareti di una scatola di plastica. Spalle al muro, testa contro metallo, il più lontano possibile dal casino caldo delle emozioni, degli istinti che in quello spazio strettissimo si volevano. Come tutto il resto, come era sempre stato. Anche quando con gli anni la frana toglieva l'ossigeno al ricordo di lei e Beat finalmente non la vedeva più nelle più piccole cose di ogni giorno tipo alzare una cornetta, dei cuscini disordinati, le note simili di una canzone; anche allora un piccolo fiato era rimasto in vita e lo cercava soprattutto la notte, quando il raziocino s'assentava e la membrana diventava sottilissima. Lo aveva raggiunto così quando s'erano persi, con le dita sul petto e l'indice a fargli ripartite il cuore; senza saperlo si erano cercati anche da assenti, da lontani, da estranei. Come sarebbe dovuto essere. C'erano solo loro a resistersi, alla fine dei giochi, loro i nemici contro cui combattevano. In quel momento, con Beat che urlava verità oltraggiose nell'illusione che ferirla l'avrebbe guarito, a Beat parve tutto di un'assurdità sconcertante. Che cosa stavano facendo? Vedeva il dolore dipingerle il viso di mille sfumature in movimento ma non riusciva a chiudere la bocca; sembrava che luce e ombra si inseguissero sulle sue guance, come le silhouette delle macchine che da fuori proiettavano un'autostrada sulla schiena della madre, ormai svuotata dal fiato di fianco a lui. Dovette cogliere anche lei quelle ombre rispecchiarsi negli occhi di Beat, le coprì con le mani e si nascose pensando così di negarsi e negargli quel nesso terrificante. Non voleva che finisse come con la madre. Sparire senza parlarsi, senza neanche dirsi addio. Era successo una volta, non poteva farlo di nuovo. Cosa cazzo stavano facendo? Ma non smetteva. Sentiva che quella rabbia che le scaricava contro era sbagliata, ingiusta, datata; però continuava a sputarle contro proiettili insanguinati parlandole sopra, cercando di far valere le sue ragioni, proteggersi da quelle accuse. Dalle lacrime che facevano dei suoi occhi due fette di cielo in perturbazione e del suo viso una mappa di fiumi e torrenti. ≪Non lo so, non lo so. Volevo - te l'ho detto perché - basta! Ich weiß, Lys lo so! Pensi che me lo sia dimenticato? Brucia ogni giorno!≫ Cercava di sovrastare la sua voce, il panico di quello che era successo lo faceva incespicare sulle parole, la consapevolezza di ciò che aveva fatto tornava ad allagargli il petto come il sangue che si spandeva da una ferita d'arma auto inflitta. Cercò di resisterle, i gesti fiacchi cedettero come il collo della maglia slabbrato sotto la sua presa, come l'incavo nel torace che accolse i suoi polpastrelli. Espirazione leggera ma potente dalle labbra, come un welcome home sussurrato ma distinguibile dopo un'attesa infinita. Sarebbero dovuti finire molto tempi prima, da Jan, dal lago, dall'auto ribaltata. Beat sarebbe dovuto cessare sull'asfalto come era giusto che fosse, come aveva fatto per non so quanti minuti: niente battito, nessun segno di vita finché le sue mani non avevano fatto di nuovo quella cosa che c'era sempre tra loro. L'avevano cercato al di là della membrana e ancora di più, incapaci di rassegnarsi al fatto che lì non avrebbero dovuto raggiungerlo; impensabile che potessero finire così. E se non erano finiti neanche standosi lontani, potevano seriamente farlo adesso, confinati in un bagno lurido, scagliandosi l'uno contro l'altro? Più parlava, più l'impronta digitale sostava sul petto e più le cose in Beat cedevano. I castelli di rabbia, le mura di dolore e le roccaforti di risentimento crollavano in silenzio, cenere sul pavimento sporco. L'avrebbe vista, Lys? Avrebbe deciso di raccoglierla e raggrupparla in una montagnola, o l'avrebbe lasciata volare via? Il mento scivolò per sostare sulla nuca di lei, la guancia a metà sulla tempi e le dita libere andarono a stringerle il braccio. Ancorati l'uno all'altra, aggrappati a ciò che restava.


    Non riuscì a dire niente, non poteva parlare di Jan o di quello che era successo. Si sentiva stanco, dolorante come sotto influenza e la fronte bruciante di febbre. Chiuse gli occhi per un momento. Percepiva ogni cosa sotto la pelle. A forza di scorrere, alcune gocce avevano trapassato il tessuto sottile della maglietta passando all'altra parte; calde sul collo se le immaginò salate come il mare, come quando una mattina in spiaggia le aveva posato le labbra sulla spalla togliendole via il ricordo dell'ultimo tuffo.
    Il fiato che da lei lo riempiva come una personalissima circolazione extra-corporea. Era una tecnica complicata in medicina, quella, ma che loro rendevano facile grazie al legame che lei anni prima aveva sancito salvandolo dalla morte. Pur non sapendolo per certo Beat lo avvertiva, che a starle vicino si respirava meglio. Quando riaprì gli occhi, Lys e Beat erano vicinissimi e, per qualche secondo, ci fu solo silenzio. Guardò tutti gli agenti atmosferici susseguirsi in quel paio di occhi grandissimi e si sentì fragile, cenere pronta a volare al soffio delle prossime parole che lei gli avrebbe rivolto. ≪Non è Paul che amo, lo sai, vero?» La cenere tremò mentre gli occhi cerchiati di Beat si sgranavano lievemente. Secondi senza fine servirono a fargli entrare la confessione dentro, a convincersi di aver sentito bene. Poteva dare la colpa alla musica troppo alta se solo qualcuno non l'avesse spenta all'improvviso, o almeno così gli pareva per come quella manciata di lettere addossate era risuonata forte all'interno della scatola di plastica. Nel suo cervello, nel suo cuore. Scosse impercettibilmente la testa. Non lo sapeva. O si? E se lo sapeva, se lo avesse accettato che cosa sarebbe successo dopo? La mente avrebbe dovuto pensare a Paul e lo fece ma troppo brevemente, non come ci si sarebbe aspettato dal proprio migliore amico. L'unica cosa che riusciva a fare era pensare a Lys, a loro, alla mano che l'aveva seguita e ora stringeva la pelle del suo fianco; alle uniche parole che voleva dirle, all'unico gesto che voleva fare. Il pollice e l'indice si contrassero. Poteva sembrare uno spasso ma c'era intenzione in quel gesto, in quel lieve pizzico che avrebbe arrossato l'epidermide per qualche ora imprimendosi proprio lì. Quando mosse le labbra gli parvero secche come quelle di uno che non parla da mesi. Non sapeva se fosse reale, forse era ancora in coma e quello era solo un brutto scherzo che la mente gli stava tirando. Sperava che lo fosse, lo voleva così ardentemente da non mollare la presa su quel filo di carne ancora impigliato tra le sue dita. Forse non era il momento, era strafatto e si erano urlati contro fino a qualche minuto prima; forse si sarebbe infranto tutto. Chinò il capo per poggiare la fronte contro quella di Lys. ≪Ich liebe dich ≫ Disse chiaramente, senza intoppi mentre, separando il pollice dall'indice, Beat rilasciava quel pizzico.
    Se doveva finire, se in quel momento il suo cervello fosse entrato in cortocircuito mentre giaceva in una stanza d'ospedale che non aveva mai visto, almeno non avrebbe avuto rimpianti.

    Il suo cervello resse, anche se stordito com'era non avrebbe capito tutto almeno per un po'. Ma il pizzico bastò a sancire la realtà. Sarebbero usciti dalla scatola di plastica insieme, e sempre insieme si sarebbero fatti spazio tra i corpi senza mai lasciarsi la mano, senza più perdersi almeno per quella sera. Si sarebbero fermati per un kebab al volo, diviso che costava bene, mentre i loro respiri si infrangevano l'uno contro l'altro in nuvolette di soffice condensa. Avrebbero parlato, forse, come vecchi amici o amanti ubriachi che devono aggiornarsi ma non troppo. Ci sarebbe stato tempo per quello. Poi, sarebbero crollati sul letto senza neanche svestirsi, si sarebbero rannicchiati sotto le coperte, al caldo. Beat avrebbe pensato distrattamente se si potevano superare certe cose brutte che si erano detti, a quella confessione fatta nella sua lingua più vera. Avrebbe avuto poco tempo, però, prima che il sonno lo vincesse. A quanto egoisti fossero non era il momento di pensare. Ci sarebbe stato tempo per tutto.

    Edited by scarecrow! - 13/1/2024, 11:50
     
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4 replies since 20/11/2022, 17:40   151 views
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