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Avvolta in una nuvola di fumo, batteva freneticamente le dita sulla tastiera che aveva di fronte. Prese un’altra boccata di fumo dalla sigaretta che teneva appoggiata al posacenere accanto a lei, accompagnata da una lunga pila di compagne cadute. Aveva promesso a Bella che avrebbe cercato di smettere, o quanto meno di ridurle, invece nei mesi che non aveva fatto altro che fumarne sempre di più. Prima aveva usato quel vizio per colmare l’assenza di Lukasz, l’ultima persona a cui si era affezionata dal punto di vista sentimentale. Aveva abbassato le difese per un momento, convinta di poter fare un passo avanti e che il vuoto non l’avrebbe inghiottita, che sarebbe riuscita a volare di nuovo, invece la città di Besaid l’aveva fatta andare incontro a qualcosa di molto più grande che l’aveva finita in ospedale per qualche tempo e che aveva portato lui a decidere di andare via, fuggire lontano da quel posto maledetto. Tante persone nel corso degli anni avevano deciso di abbandonare quel luogo per tornare a essere soltanto delle persone normali, senza particolarità, senza preoccupazioni aggiuntive. Lei, invece, normale non aveva mai creduto di esserlo, neppure da bambina, quando si vedeva così incredibilmente diversa rispetto a tutti gli altri. E poi, sapeva bene che senza la sua particolarità non si sarebbe mai sentita completa. Era quella a tenere insieme tutti i fragili pezzi di cui era composta e al tempo stesso era sempre lei a metterla in pericolo, giorno dopo giorno, quando si spingeva troppo a fondo nel mondo fatto di codici e stringhe che prima o poi avrebbe inghiottito la sua mente per sempre, facendo di lei un semplice contenitore vuoto. Negli ultimi tempi poi c’era stato anche dell’altro ad aggiungere altri pensieri. Il Giorno Nero dell’anno precedente aveva segnato una prima frattura nell’equilibrio che aveva imparato a costruirsi. Il pensiero che Bella, la sua Bella, avesse rischiato la vita insieme a delle altre persone che erano rimaste in coma per lungo tempo e che qualcosa di strano e oscuro fosse stato rivelato loro in quello strano rito di morte e rinascita. La malattia che aveva colpito prima poche persone e poi sempre di più, facendo vivere la città nella paura. I giornali avevano invitato tutti alla calma, ma allo stesso tempo a restare in casa ed evitare di usare le proprie particolarità, considerate il vettore di trasmissione di quella malattia silenziosa che affollava le strade. Non ci aveva creduto. Troppo brillante per potersi fermare alla superficie delle cose, aveva preferito cercare di scavare da sola, andando a indagare all’interno dei database degli ospedali e anche in quello del Mordersonn, che aveva contribuito a creare, senza tuttavia riuscire a trovare nulla di concreto. Sembravano brancolare tutti nel buio, come se ci fosse davvero qualcosa di inspiegabile, qualcosa che non dipendeva da regole scritte della città, ma da qualcosa di molto diverso. Presenziare alla riunione indetta dal governo a riguardo, presieduta dalla Professoressa Greseth le aveva permesso di mettere insieme alcuni puntini e di comprendere che si trattava dell’opera di un solo folle. Si era quindi messa subito all’opera nella sua ricerca, firmando un accordo con il Governo che l’aveva portata a diventare una sorta di consulente della Divisone Governativa del B6D. Non si riteneva ancora una di loro. Lei non si fidava di qualcuno che aveva sempre guardato con sospetto e loro, di rimando, non si fidava di una hacker che avevano cercato di portare dalla loro parte per anni, senza mai riuscirci. Avevano bisogno l’una dell’altra, per il momento, ma non poteva dire come sarebbe andata avanti una volta raggiunto il comune interesse. Inspirò ancora una volta dalla sigaretta, facendo partire un codice di ricerca attraverso i dati e alcune immagini sfuocate che il Governo era riuscito a farle avere, per poi stendere le braccia verso l’alto e cercare di allungare la schiena, facendo schioccare alcune delle vertebre con un rumore sinistro che non prometteva nulla di buono. Aveva recuperato una buona mobilità nei mesi, ma si rendeva conto di non aver ancora recuperato tutta la sua prestanza fisica, non ancora. Faceva fatica a portare a termine gli allenamenti, soprattutto quando non si concedeva le corrette ore di sonno. Aveva preso a utilizzare i sonniferi in maniera più regolare, conscia del fatto che fossero l’unico modo per evitare gli incubi ricorrenti che, notte dopo notte, la riportavano in quella maledetta arena, ancora e ancora. Quanto ancora avrebbero dovuto patire prima che quell’incubo finisse davvero? Osservò il suo riflesso sullo schermo del pc: aveva delle occhiaie profonde, più di quanto ricordasse, il trucco nero era quasi completamente cancellato, segno che la sera prima doveva aver dimenticato di struccarsi, i capelli erano sciolti e sempre più lunghi. Un segnale luminoso sullo schermo del computer la fece tornare in allerta, aprendo il sistema di sorveglianza che aveva installato all’esterno del capannone dove trascorreva buona parte delle sue giornate. Ci mise qualche istante a mettere a fuoco la figura Petra, che si avvicinava alla serranda in compagnia del suo skate. Chiuse gli occhi, scuotendo la testa e dandosi mentalmente della deficiente per essersi dimenticata del loro appuntamento, presa come era stata da questioni ben più importanti. Premette il pulsante che avrebbe azionato la serranda e, consapevole di avere solo qualche minuto di tempo prima che l’altra la raggiungesse, si premurò di far sparire dal computer tutto ciò che poteva essere compromettente e di disattivare tutte le notifiche relative alla sua ricerca, che comunque le sarebbero arrivate, in via indiretta, direttamente alla mente. Si spostò nella seconda stanza, accendendo il computer da cui stava svolgendo le ricerche sulle intelligenze artificiali prendendo poi tutti i sensori di cui avrebbero potuto avere bisogno per quella sera. -Scusa, lo avevo dimenticato. Dammi qualche minuto per sistemare tutto. - mormorò, quando l’altra la raggiunse nella sala più grande, dove era stata allestita una pista da skate con alcuni elementi principali. Sollevò la mano nella sua direzione per farsi notare mentre collegava il sistema per poi sollevare lo sguardo verso di lei. -Ah, già, ciao. - aggiunse, ricordandosi che fosse buona norma, tra le persone, quella di salutarsi prima di iniziare una comunicazione. -Puoi iniziare ad accomodarti se vuoi. - disse ancora, indicando un divanetto in pelle nera, in un angolo della stanza, accanto a un dispenser per l’acqua e a un minifrigo che doveva contenere più alcolici che altro, insieme a qualche merendina. Riemerse con alcuni dei sensori, pronta ad applicarli al corpo di Petra. -Volto, braccia e gambe. - le ricordò, mentre glieli mostrava prima di iniziare ad applicarli, con un’attenzione quasi maniacale. -Come stai? - domandò, senza guardarla in volto, continuando la sua opera stando ben attenta alla precisa distanza tra un elemento e l’altro, così da essere sicura che il risultato fosse il migliore possibile. Avevano già fatto una o due sedute, non lo ricordava con esattezza, ma c’erano ancora alcune manovre e gesti che le sarebbe servito mappare. Una volta posizionato l’ultimo sensore si fermò a guardarla con maggiore attenzione, cercando di scorgere tracce di stanchezza o di preoccupazione. Era da tempo in effetti che non si vedevano. Si erano sentite per l’appuntamento ma non sapeva che cosa fosse le capitato e se anche lei fosse stata turbata dagli ultimi avvenimenti. Sebbene detestasse, di norma, avere a che fare con le persone, ne esistevano alcune in grado di risvegliare la parte più emotiva e sensibile di lei. Non avrebbe insistito comunque, se lei avesse dato l’idea di volersi concentrare semplicemente sul lavoro, tutto il resto sarebbe sparito in un battibaleno, esattamente come era arrivato.
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